Immigrazione
Cambia verso la migrazione italiana
La nuova normativa sull'immigrazione
di Isabella Menichini
8 febbraio
Viene emanato il primo decreto di programmazione annuale dei flussi migratori d'ingresso, previsto dalla nuova normativa sull'immigrazione. Stabilisce una quota massima, pari a 63.000, di cittadini stranieri non comunitari residenti all'estero che possono essere ammessi in Italia, per motivi di lavoro autonomo o subordinato, nell'anno 2000. Poiché a luglio, però, l'80% di questa quota è già 'impegnato', anche per rispondere alle richieste di innalzamento del tetto massimo formulate in base a un'inchiesta del Ministero del Lavoro sul fabbisogno lavorativo delle imprese, vengono concesse altre 20.000 autorizzazioni, unicamente per lavoro stagionale.
Il 2000 e l'immigrazione
"Fra le sfide epocali che l'Italia è chiamata ad affrontare alle soglie del terzo millennio, quella migratoria - pur con le sue connotazioni oramai globali - assume una rilevanza del tutto particolare anche e soprattutto sul piano nazionale. Il nostro paese, per oltre un secolo terra di emigrazione, si trova oggi di fronte a un repentino cambiamento di ruoli ed è chiamato […] a confrontarsi, sul piano culturale ancor prima che politico, con l'afflusso crescente di uomini e donne provenienti da varie parti del mondo [...]". Con tale affermazione sull'importanza e sulla portata del fenomeno si apre il primo Documento programmatico relativo alla politica dell'immigrazione e degli stranieri nel territorio dello Stato che il governo, in ossequio al disposto dell'art. 3 del Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero (d. legisl. 25 luglio 1998, nr. 286), ha predisposto per il triennio 1998-2000. Il 2000 è stato un anno importante per l'immigrazione nel nostro paese: un anno costellato di eventi che dimostrano quanta attenzione sia riservata al tema, ma anche quante criticità occorra affrontare.
Innanzitutto nel 2000 è andato a regime per la prima volta l'intero pacchetto normativo introdotto con il Testo Unico e il collegato Regolamento di attuazione (d.p.r. 31 agosto 1999, nr. 394). Di conseguenza è stato emanato il primo decreto di programmazione dei flussi migratori (d.p.c.m. 8 febbraio 2000) e sono stati messi in moto i meccanismi e gli istituti di grande portata innovativa previsti dalla legge. A maggio ha avuto luogo la prima Conferenza internazionale sul Mare Adriatico e sullo Ionio, nell'ambito dell'Iniziativa adriatica, nata da un preciso impegno del governo italiano, che ha visto riuniti ad Ancona i rappresentanti dei paesi a essa aderenti (Albania, Bosnia, Croazia, Grecia, Italia, Slovenia), con il sostegno dell'Unione Europea. Tenendo conto del ruolo centrale che l'Italia svolge nell'area adriatica, il governo ha ritenuto di promuovere e coordinare l'avvio di una cooperazione regionale 'interadriatica' con i paesi interessati in diversi settori: economico, ambientale, culturale, scientifico e della lotta alla criminalità. A luglio, nell'ambito delle iniziative per il Giubileo, si è tenuta a Roma una Conferenza internazionale sulle migrazioni (Migrazioni. Scenari per il XXI secolo), volta a sottolineare la rilevanza dei fenomeni migratori in questa fine di millennio.
Nell'ambito della Conferenza delle Nazioni Unite sul crimine organizzato transnazionale tenutasi a Palermo a dicembre è stata aperta alla firma la Convenzione transnazionale messa a punto a Vienna, in sede ONU, e alla cui definizione l'Italia ha dato uno straordinario impulso e contributo. Alla Convenzione sono annessi due protocolli dedicati alla lotta allo smuggling (traffico di clandestini) e al trafficking (tratta degli esseri umani, in particolare di donne e minori a fini di prostituzione). La finalizzazione di questi atti internazionali dimostra quale sia il livello di attenzione e di preoccupazione che la comunità internazionale riserva ai temi della criminalità organizzata e del traffico di esseri umani.
Nel corso del 2000 si è fatto ricorso per la prima volta alla formula sans-papiers per quei 50.000 stranieri che non hanno visto accolte le loro istanze di regolarizzazione: sebbene non tutti siano concordi nell'accostarli ai più conosciuti sans-papiers francesi (immigrati divenuti clandestini dopo anni di soggiorno legale, a seguito di nuove più restrittive disposizioni di legge), essi rappresentano comunque una novità problematica con la quale le istituzioni nazionali sono chiamate a confrontarsi.
L'evoluzione dei flussi migratori
Nell'arco di due decenni il nostro paese ha visto mutare radicalmente la sua posizione da terra di emigranti a meta di flussi migratori. Non che l'emigrazione non rappresenti ancora una delle precipue caratteristiche della nostra storia e del nostro presente e non impegni ancora oggi attivamente il governo e le amministrazioni per la realizzazione di politiche coerenti ed efficaci in favore dei nostri connazionali all'estero, ma il 'terremoto' che il crescente e disordinato giungere di flussi migratori dal Sud del Mediterraneo e dall'Est dell'Europa ha generato nel nostro paese ha colto di sorpresa le istituzioni di fronte a un fenomeno di tale portata, caratterizzato da aspetti di grande complessità e, in alcuni casi, drammaticità. È quindi possibile che almeno inizialmente le risposte date non siano state adeguate; ma va riconosciuto che l'azione di questi anni sta creando le condizioni per una progressiva anche se lenta costruzione di una nuova realtà dove le formule 'politiche migratorie', 'programmazione dei flussi', 'integrazione', 'identità e diversità' cominciano a riempirsi di significati, di programmi, di contenuti nuovi. Non è un caso che la Commissione per le politiche di integrazione nel suo Primo rapporto sull'integrazione degli immigrati in Italia abbia posto l'accento su luci e ombre che compongono il quadro dell'immigrazione in Italia, concludendo che, sebbene ci sia ancora molto da fare, in molti degli ambiti che il fenomeno tocca "le luci forse prevalgono nei fatti nei comportamenti reali" (Commissione 2000, p. 13).
Di immigrazione in Italia si comincia a parlare negli anni Settanta del 20° secolo. Al censimento del 1981 risultavano presenti regolarmente nel nostro paese oltre 300.000 stranieri. Ma già nel 1982 si stimava addirittura in 600-800.000 la presenza di irregolari (L'immigrazione straniera in Italia 1987, p. 21). Più difficile determinare la portata dei flussi annuali soprattutto nei primi anni di immigrazione. Addirittura per gli anni antecedenti il 1980 è impossibile individuare nelle registrazioni anagrafiche dei Comuni quanto nell'ambito dei flussi provenienti dall'estero è 'emigrazione in rientro' e quanto stranieri immigrati. Infatti, soltanto dal 1980 i due dati sono stati registrati separatamente. Senz'altro negli anni a seguire i secondi sono diventati maggiori dei primi. Nell'arco di un ventennio si è giunti a 1.203.907 presenze straniere, di cui 1.061.410 non comunitari, secondo i dati del Ministero dell'Interno.
In questo senso siamo un paese giovane, chiamato inoltre a confrontarsi con flussi migratori dai connotati in parte differenti da quelli dei flussi che, ben prima di noi, hanno accolto gli altri paesi europei. Proprio il nostro patrimonio storico-culturale di paese di emigrazione aiuta a capire meglio le diversità. Analizzando il complesso fenomeno dell'emigrazione italiana all'estero, emerge che a provocare un flusso così consistente di emigranti hanno contribuito certamente lo stentato sviluppo dell'economia del paese e le forti sollecitazioni prodotte da una straordinaria, contemporanea stagione di sviluppo economico in altri paesi. Inoltre quando, a partire dagli anni Venti, si rafforza il flusso migratorio italiano intraeuropeo, esso avviene spesso in forma regolamentata attraverso accordi bilaterali tra i paesi di offerta di manodopera (Francia, Belgio e successivamente Germania) e il nostro. Queste non appaiono essere, invece, le caratteristiche dell'attuale fenomeno migratorio verso l'Italia. Il nostro paese non sta attraversando un periodo di grande espansione economica: è vero che anche oggi ci si muove dai paesi di origine per migliorare le proprie condizioni di vita, ma certamente le prospettive di lavoro che l'Italia è in grado di offrire non sono quelle che furono offerte a suo tempo ai nostri connazionali emigranti. L'argomento, peraltro, è ben più articolato: su di esso si discute in maniera molto approfondita, perché se è vero che la disoccupazione è uno dei flagelli di questi tempi e che sempre più le istituzioni nazionali ed europee ritengono di doverlo affrontare in maniera incisiva e 'strutturale' per la realizzazione di una reale politica di coesione economica e sociale, è altrettanto vero che, almeno nel nostro paese, c'è bisogno della forza lavoro rappresentata dagli immigrati. Il Rapporto delle Nazioni Unite sugli andamenti demografici fino al 2050, pubblicato nel marzo 2000, stima che l'Italia per mantenere la popolazione al livello attuale avrà bisogno di un flusso migratorio crescente da 75.000 unità (nel 1995) a 318.000 nel 2050 e che, per mantenere un rapporto equilibrato tra popolazione e forza lavoro, necessiterà di un flusso di stranieri pari a oltre 16 milioni fino al 2050. L'analisi delle Nazioni Unite deve rappresentare per i fenomeni un punto di riferimento dal quale non si può prescindere; sarebbe però un errore ritenere che i flussi migratori possano rappresentare la soluzione definitiva alla crisi demografica che investe il nostro paese. Inoltre, considerare l'immigrazione in termini utilitaristici non è accettabile, in quanto essa rappresenta una realtà incontrovertibile in termini non solo economici, ma anche culturali, di rinnovamento e rinvigorimento della società. Accogliere gli stranieri è anche un compito umanitario (si pensi ai rifugiati), che non deve essere trascurato.
I problemi sorgono quando poi si passa alla definizione delle strategie, degli strumenti operativi per favorire una immigrazione regolare, non sottoposta alle continue sollecitazioni dell'emergenza - come purtroppo si è registrato in Italia fino a pochi anni fa - e quindi programmata in modo da rispondere adeguatamente alle esigenze del mercato del lavoro nazionale, ma anche attenta a soddisfare i progetti migratori di chi sceglie il nostro paese; occorrono dunque strumenti che riescano a governare in maniera attenta i possibili conflitti sociali che la presenza del 'diverso' spesso porta con sé, e che riducano quindi l'insorgere di fenomeni di intolleranza e razzismo. Questo è un passaggio nodale: Guido Bolaffi, in un articolo apparso il 20 aprile in Tuttolibri (Bolaffi 2000), afferma che più che "le relazioni lavorative sono quelle vitali a essere maggiormente sotto stress" e che forse la concorrenza e le difficoltà di coesistenza tra nazionali e stranieri riguardano più la condivisione delle medesime aree urbane e degli stessi spazi del tempo libero che non l'ambito lavorativo. Dalle indagini svolte (CENSIS 2000) emerge in maniera chiara, per es., che il problema della sicurezza è uno di quelli che più preoccupa gli italiani rispetto al fenomeno dell'immigrazione: nella percezione collettiva l'immigrazione rappresenta il quinto problema nazionale (21,9%), dopo delinquenza comune (37,1%), disoccupazione (27,3%), traffico urbano (27,3%) e droga (24,8%). Da un sondaggio condotto dall'ISPO (Istituto per gli studi sulla pubblica opinione) per la menzionata Commissione per le politiche di integrazione è emerso che decresce da parte degli italiani il timore che gli stranieri sottraggano lavoro, ma cresce la paura che l'immigrazione porti con sé cospicue componenti criminali. Il 73,5% del campione intervistato si è detto d'accordo o abbastanza d'accordo con l'affermazione che "la presenza degli immigrati aumenta le delinquenza". L'irregolarità poi è vista da una buona percentuale di italiani come fonte di problemi per la sicurezza e di conflitti: il 61,8% degli italiani ritiene che gli irregolari vadano espulsi anche se non hanno commesso alcun reato (Commissione 2000, p. 44). Da più parti è stato sottolineato come in questo progressivo affermarsi di un atteggiamento di paura per la propria sicurezza abbiano giocato un ruolo non trascurabile i mass media, che sembrano aver rivolto maggiormente l'attenzione ai fatti di cronaca nera con protagonisti cittadini stranieri che non agli aspetti positivi legati al loro progressivo e favorevole inserimento nel tessuto sociale del nostro paese.
I fenomeni migratori assumono nel nostro paese una valenza peculiare innanzitutto per la collocazione geopolitica che accentua in qualche modo la drammaticità dei fenomeni: l'Italia è in prima linea nell'immediato impatto delle popolazioni che muovono da sud verso nord e, con le sue migliaia di chilometri di coste, è esposta più di qualsiasi altro paese europeo ai continui tentativi di aggirare le misure nazionali e sovranazionali intese a contenere e regolamentare l'ingresso degli immigrati in Europa. La messa a punto di coerenti politiche migratorie è quindi assolutamente indispensabile per assicurare un efficace controllo dei fenomeni illegali connessi con l'immigrazione e per favorire percorsi regolari di ingresso e soggiorno al fine di ridurre il conflitto sociale e le forme di intolleranza o, addirittura, xenofobia che ne possono conseguire.
Analisi del Testo Unico
Quando venne approvato dal Consiglio dei ministri, il 14 febbraio 1997, il disegno di legge Turco-Napolitano, era ancora in vigore la legge Martelli (l. 28 febbraio 1990, nr. 39, di conversione del d.l. 30 dicembre 1989, nr. 416). Anche se questa, negli anni di applicazione, si era ovviamente mostrata inadeguata a rispondere efficacemente alla complessità del fenomeno migratorio che si andava delineando, è stata tuttavia una legge importante che ha avuto il merito di cominciare a guardare all'immigrazione nelle sue molteplici implicazioni: essa toccava infatti la posizione, tutta particolare, dei rifugiati (l'art. 1 che regolamenta questo aspetto è tuttora in vigore, in attesa che il disegno di legge sull'asilo politico sia licenziato dal Parlamento) e regolamentava l'ingresso in Italia degli stranieri (visto e motivi del soggiorno), il controllo delle frontiere (respingimenti ed espulsioni), la programmazione dei flussi, la tutela giurisdizionale. Introduceva inoltre alcune norme sull'esercizio delle libere professioni e sulle politiche di integrazione.
L'approvazione della legge Turco-Napolitano (l. 6 marzo 1998, nr. 40) è seguita a un lungo e acceso dibattito parlamentare e ha richiesto tempi lunghi nonché modifiche e aggiustamenti in corso di esame. Essa rappresenta un importante sforzo per disciplinare tutti gli aspetti toccati dalla presenza dello straniero in Italia (dall'ingresso al soggiorno, al lavoro, alla fruizione di servizi e benefici, al godimento dei diritti alla salute, alla casa, all'istruzione, all'unità familiare) e colmare lacune e vuoti lasciati aperti dalla legge precedente. Occorreva un provvedimento di ampia portata che avesse obiettivi chiari e definiti e fosse in grado di creare coerenti nessi tra due fattori: l'imprescindibile esigenza di controllo delle frontiere e di contrasto dell'immigrazione irregolare (nonché dei connessi e frequenti fenomeni criminali di sfruttamento dell'immigrazione clandestina) e la contestuale messa a punto di una politica di programmazione dei flussi regolari e degli accessi al mercato del lavoro che fosse tale da garantire "l'avvio di realistici e effettivi percorsi di integrazione per i nuovi immigrati e per quelli già regolarmente presenti nel territorio dello Stato" (Miele 1999, p. 29). Innanzitutto occorreva una programmazione dei flussi al contempo innovativa e realistica, sostenuta da una rigorosa politica di controllo e repressione dei fenomeni di irregolarità attraverso un uso attento dei respingimenti e delle espulsioni degli irregolari per consentire di ridurre il grado di 'emergenza' degli interventi in materia di immigrazione e di gestire finalmente il fenomeno in maniera programmatica, individuando bene gli obiettivi e i percorsi per raggiungerli. Combattere l'irregolarità era un punto fondamentale: si è già evidenziato il disvalore che gli italiani annettono a questo fenomeno. Occorre aggiungere, come ha giustamente evidenziato Emilio Reyneri (Commissione 2000, p. 187), che l'irregolarità legata al sommerso lavorativo ha effetti perversi: gli stranieri che giungono in Italia non sono disperati, ma persone che intendono migliorare la loro condizione di vita. Essi finiscono per essere 'fatalmente' attratti da "un paese dove è facile vivere e dove si può trovare lavoro e fare soldi anche senza permesso di soggiorno. Vale quindi la pena di sopportare le difficoltà, le spese e i rischi di aggirare i controlli alle frontiere". Questo stato di cose nuoce sia all'immigrazione, sia all'economia del paese e al mondo del lavoro, e rallenta altresì i processi di integrazione.
Il problema della regolarizzazione
Si tocca così un argomento 'scottante', quello delle regolarizzazioni. È con il d. legisl. 13 aprile 1999, nr. 113, art. 8, comma 2 - quindi in un secondo momento rispetto all'approvazione della normativa - che viene introdotta la possibilità di regolarizzazione per tutti gli stranieri in grado di dimostrare, attraverso l'esibizione di documentazione adeguata, di essere presenti in Italia prima dell'entrata in vigore della legge 40, cioè al 27 marzo 1998. Giovanna Zincone ha evidenziato "il dilemma insolubile che l'opportunità di regolarizzazione pone al decisore pubblico" (Commissione 2000, p. 43): le sanatorie dovrebbero favorire l'emergere dell'irregolarità consentendo così di ripartire, in fase di prima applicazione della nuova normativa, da una situazione 'pulita'. Di contro però, se a esse si ricorre con troppa frequenza o per grandi numeri, si finisce per attivare dei circuiti di richiamo e di attrazione devastanti, costituiti dal meccanismo 'ingresso irregolare-attesa della prima sanatoria'.
La presentazione delle domande di regolarizzazione si è chiusa il 15 dicembre 1998 con oltre 250.000 istanze avanzate alle questure. Un punto critico è rappresentato dall'eventualità di un riesame delle circa 50.000 richieste inizialmente respinte: gli stranieri che si trovano in tale situazione sono stati assimilati al movimento dei sans-papiers sorto in Francia. Sugli aspetti connessi alla regolarizzazione è interessante vedere cosa pensano gli italiani: oltre il 72,7% degli intervistati dall'ISPO è favorevole al rilascio di un permesso di soggiorno a tutti coloro che hanno un lavoro (Commissione 2000, p. 25).
L'attività internazionale sul piano bilaterale ed europeo
Il doppio binario dell'efficiente controllo delle frontiere - indispensabile tra l'altro per essere parte dello Spazio Schengen - e della realizzazione di efficaci e realistiche politiche di integrazione rappresentava per il nostro paese un preciso obbligo nei confronti dell'Unione Europea. L'azione che la legge prefigura è orientata a un saldo ancoraggio delle scelte interne a quelle di politica internazionale, tanto in sede multilaterale quanto nei rapporti bilaterali fra Stati. Gli artt. 11 e 21 del Testo Unico danno centralità all'attività negoziale. Un efficace controllo delle frontiere ha bisogno di strumenti pattizi: è facile infatti invocare in astratto il ricorso al respingimento o all'espulsione degli irregolari, naturale sollecitarne il rimpatrio. Più difficile in pratica attribuire identità e nazionalità certe a chi giunge senza documenti e ottenere che il suo paese di origine lo riaccolga. La finalizzazione di accordi bilaterali di riammissione - fortemente sostenuta dalle amministrazioni degli Esteri e dell'Interno in questi ultimi anni - ha portato alla realizzazione di un reticolo di intese che consentono, grazie alle procedure in esse previste, di ottenere dalle autorità dei paesi di origine o di transito il riaccoglimento dello straniero trovato in posizione irregolare alla frontiera. Tuttavia, se è vero che il principio cardine della legge si fonda sulla complementarità tra controllo dell'immigrazione irregolare e promozione dei percorsi regolari di ingresso e di soggiorno, la politica estera verso i paesi dai quali originano i maggiori flussi di immigrati deve rispondere a questo principio. La strategia perseguita è quindi quella del negoziato globale, che pone in relazione gli accordi di riammissione con altre intese, di interesse per la controparte, sia nel settore sociomigratorio sia sul più vasto fronte della collaborazione bilaterale nei diversi settori, in particolare in quello della cooperazione allo sviluppo. L'impegno profuso ha già portato alla conclusione di oltre venti accordi di riammissione con la maggior parte dei paesi dell'Est europeo e, in particolare, dell'area balcanica, nonché con i paesi dell'area nordafricana. Nuove e fruttuose sinergie con alcuni paesi magrebini, in particolare con Tunisia e Marocco, sono state favorite, proprio nel 2000, dalla possibilità prevista dalla nuova normativa (art. 21) di assegnare, nell'ambito del decreto di programmazione dei flussi, quote privilegiate per l'accesso al mercato del lavoro nazionale in favore di cittadini provenienti da paesi che abbiano sottoscritto con l'Italia intese in materia di controllo delle frontiere; di notevole utilità è stata anche la finalizzazione di intese riguardanti, per es., il settore del lavoro stagionale. È questo un segnale importante da utilizzare nel dialogo con quei paesi di provenienza che con consapevolezza si impegnano nel controllo dei flussi in partenza. Lo sforzo del governo è orientato a far sì che le quote privilegiate siano veramente uno strumento di politica estera.
È innegabile che in questi anni si sia tentato un più attento controllo delle frontiere, e i dati registrati sembrano confermare la validità degli strumenti messi a punto sul piano internazionale per assicurarsi la collaborazione dei paesi stranieri: secondo i dati del Ministero dell'Interno, sono stati oltre 70.000 gli stranieri rimpatriati nel 1999 e oltre 30.000 nei soli primi mesi del 2000.
L'emanazione di una nuova normativa più coerente con gli impegni di Schengen e con le normative degli altri partner europei rappresentava - come detto - un appuntamento non procrastinabile. L'Italia peraltro da tempo svolge una sensibile azione di 'pressing' affinché la comunitarizzazione dei 'volets' migratori (immigrazione, asilo, rifugiati, protezione temporanea, controlli alle frontiere, visti e cooperazione giudiziaria in materia civile ecc.) sancita con il Trattato di Amsterdam, entrato in vigore il 1° maggio 1999, divenga rapidamente una realtà. Ciò nella consapevolezza della complessità dei fenomeni migratori e dell'esigenza di attivare strumenti normativi comuni per la gestione di una politica immigratoria e dell'asilo rispondente alla realtà di tali fenomeni e che permetta inoltre di fronteggiare efficacemente i complessi problemi posti dai sempre più frequenti movimenti di massa di popolazioni in fuga da disordini civili e dalla povertà.
Come è emerso chiaramente nel corso di questi anni, molte delle sfide a livello delle politiche di migrazione hanno carattere transnazionale e sono rivolte all'Unione nel suo insieme, non riguardando in modo isolato un unico Stato. L'esodo delle popolazioni bosniache e del Kosovo, le immigrazioni clandestine organizzate su vasta scala di iracheni e di curdi e i flussi migratori provenienti dal Magreb sono esempi che illustrano chiaramente tale situazione. Il vertice straordinario di Tampere (15-16 ottobre 1999) ha rappresentato certamente l'occasione in cui sono state gettate le basi per la realizzazione concreta di uno spazio europeo di libertà, sicurezza e giustizia e sono stati individuati congiuntamente gli strumenti più idonei e concreti per la realizzazione di tali principi. In particolare, per ciò che attiene al settore dell'immigrazione, è stata ribadita l'esigenza di una politica comune, con l'obiettivo di creare un'Unione Europea aperta e sicura, anche attraverso accordi con i paesi di origine dei flussi migratori e tramite l'individuazione di adeguate politiche di sviluppo. Per quanto concerne il controllo dei flussi è stata affermata la determinazione dell'Unione a rafforzare la propria azione contro il traffico di esseri umani e si è sollecitata una più stretta cooperazione tra gli Stati membri in materia di controllo delle frontiere e per la repressione di tutti i fenomeni legati alla criminalità organizzata transnazionale.
Il decreto di programmazione dei flussi
L'art. 3, comma 4 del Testo Unico dispone che il presidente del Consiglio, con uno o più decreti, stabilisca le quote "massime di stranieri da ammettere nel territorio dello Stato, per lavoro subordinato, anche per esigenze di carattere stagionale e per lavoro autonomo, tenuto conto dei ricongiungimenti familiari e delle misure di protezione". La programmazione, per essere veramente tale, richiede che l'indicazione del plafond complessivo di ingressi sia attentamente valutata sulla base delle informazioni e dei criteri contenuti nel Documento programmatico nonché di quelli forniti dal Ministero del Lavoro sull'andamento dell'occupazione e dei tassi di disoccupazione nazionale. Negli anni passati i decreti hanno rappresentato più spesso un 'consuntivo' sugli ingressi che non una pianificazione, essendo stati pubblicati quasi a fine anno; nel 2000, invece, per la prima volta il provvedimento, approvato all'inizio dell'anno, ha avuto un intento reale di programmazione, tenendo conto di tutte le innovazioni introdotte con la legge. Fissato un plafond complessivo di autorizzazioni all'ingresso pari a 63.000, si è deciso che 28.000 fossero destinate agli ingressi per lavoro a tempo determinato e indeterminato, quindi anche stagionale; mentre una quota molto contenuta (2000) è stata riservata ai lavoratori autonomi. Inoltre, come previsto dall'art. 21, quote privilegiate sono state destinate ad albanesi, tunisini e marocchini nella misura rispettivamente di 6000, 3000 e 3000 e una quota di 6000 ai cittadini provenienti da paesi con i quali sono in corso trattative per la conclusione di intese bilaterali.
La regolazione degli accessi al mercato del lavoro così come definita dalla normativa italiana non sembra trovare riscontro in altri paesi dell'Europa: soltanto la Spagna ricorre a un analogo sistema, mentre in Francia e in Germania non si riscontrano strumenti paragonabili di programmazione e una certa modulazione sulle tipologie di ingresso viene realizzata attraverso una periodica revisione delle norme in vigore. Peraltro, particolarmente in questi due ultimi paesi, i flussi migratori sembrano essere costituiti principalmente da ricongiungimenti familiari e rifugiati, molto meno da lavoratori.
Le politiche del lavoro in favore degli immigrati
La nuova normativa riserva ampio spazio al tema del lavoro e introduce al Titolo III alcune misure di grande rilievo, proprio nell'ottica di assicurare agli stranieri che intendono venire in Italia realistici percorsi di accesso al mercato del lavoro nazionale.
Rimane sostanzialmente immutata la disciplina per l'accesso alle attività lavorative a carattere subordinato - quella che tradizionalmente viene definita la 'chiamata diretta' - ma viene dato maggior risalto al lavoro a carattere stagionale che, come noto, è uno degli ambiti che più richiama lavoratori stranieri. Da anni infatti alcuni settori dell'economia italiana - dal turistico-alberghiero all'agricolo - ricorrono ai lavoratori stranieri stagionali in percentuali altissime. Le legge (art. 24) stabilisce che le autorizzazioni per lavoro stagionale possano andare da un minimo di venti giorni a un massimo di sei o nove mesi e che il lavoratore stagionale già impiegato in un anno possa godere di un diritto di precedenza presso il medesimo datore di lavoro. È ammessa inoltre la conversione del permesso di lavoro stagionale in lavoro subordinato a tempo determinato e indeterminato qualora se ne verifichino le condizioni. Di grandissima portata è poi l'art. 23 che introduce l'istituto del 'garante'. È consentito l'ingresso in Italia a cittadini stranieri per l'inserimento nel mercato del lavoro dietro presentazione di garanzia da parte di un cittadino italiano o straniero, nonché di un ente o associazione operante nel settore dell'immigrazione e iscritta all'albo delle associazioni. Al garante incombe l'obbligo di assicurare allo straniero un alloggio, di iscriverlo nelle liste di collocamento e al Servizio sanitario nazionale. Nel 2000 si è potuto dare concreto avvio a questo istituto - grazie alla piena attuazione delle norme determinata con il d.p.r. 394/99 - e la quota, fissata nel decreto di programmazione flussi, di 15.000 ingressi con garante è stata totalmente impegnata. Il medesimo articolo concede al comma 4 un'ulteriore chance a quegli stranieri eventualmente rimasti esclusi da tale beneficio: trascorsi due mesi dall'entrata in vigore del decreto flussi, l'eventuale quota residuata dal plafond fissato per l'ingresso dietro garanzia, potrà essere utilizzata dai cittadini stranieri che risultino iscritti in apposite liste tenute sulla base del criterio di anzianità di iscrizione dalle ambasciate italiane. Per il primo anno di applicazione si è ritenuto opportuno limitare l'apertura di tali liste ad alcune sedi operanti in paesi di prioritario interesse per l'Italia nel settore migratorio.
L'art. 21, infine, che dà ampio risalto alle intese bilaterali in materia di controllo dei flussi e lavoro, consente che nell'ambito di tali intese siano concordate le modalità per la predisposizione di liste di lavoratori stranieri che intendono venire in Italia, i cui nomi devono confluire in un'anagrafe istituita presso il Ministero del Lavoro a disposizione dei datori di lavoro e delle organizzazioni lavoratori (Regolamento di attuazione, artt. 32 e 33).
Anche l'accesso al lavoro autonomo è stato reso più agevole con procedure atte a facilitarne l'esercizio, grazie pure al superamento, in linea generale, del principio di reciprocità.
Alcune considerazioni sull'area del lavoro
Si sono moltiplicati nel corso di questi anni studi, approfondimenti e indagini sul rapporto esistente tra immigrazione e mercato del lavoro nazionale. A un'analisi superficiale sembrerebbe che in un paese dove il tasso di disoccupazione è tanto alto - tra i più alti di Europa - non ci possano essere sufficienti spazi di occupazione anche per gli stranieri. A un esame più attento emerge invece come interi settori producano solo grazie alla presenza dei lavoratori stranieri: alcuni settori dell'industria, il turistico-alberghiero, l'agricolo, il tecnico-sanitario, dove la carenza di personale è un fatto ormai cronico, e, soprattutto, quello consolidato della collaborazione domestica e dell'assistenza agli anziani. Nel 1997 gli immigrati dipendenti da imprese registrati all'INPS sono oltre 160.000; nel 1999 gli stranieri in totale iscritti sono 381.423, di cui 103.441 quelli iscritti come collaboratori domestici. Il lavoro immigrato 'regolare' sembra essere sempre più una componente necessaria nell'economia italiana; si stima che almeno un terzo del fabbisogno di mano d'opera nell'industria e nei servizi potrà essere coperto soltanto facendo ricorso al lavoro immigrato. La Fondazione Agnelli, che ha presentato a marzo 2000 i risultati di tre nuove ricerche sul tema del lavoro degli immigrati, ritiene tuttavia che tali affermazioni, riferite peraltro ai dati forniti dal Sistema informativo Excelsior realizzato da UnionCamere e dal Ministero del Lavoro, debbano essere interpretate con cautela, tenendo conto della dimensione potenziale delle assunzioni; altrimenti, rischiano di essere fuorvianti. Occorre specificare - questo l'orientamento della Fondazione Agnelli - che il dato emerso dall'indagine Excelsior 1999-2000 riguardo alle potenziali assunzioni di lavoratori non comunitari in Italia, stimate in 200.589 unità, dovrà essere sottoposto a verifica alla luce dell'andamento reale delle occupazioni. Si parla del lavoro degli immigrati anche nel Piano d'azione nazionale sull'occupazione per il 2000 (PAN). I lavoratori non comunitari - è riportato nel documento - hanno coperto parte della domanda di lavoro soprattutto nelle regioni settentrionali del paese. Il PAN, inoltre, tocca il problema dell'alta presenza di immigrati nell'economia informale del paese e individua nel pieno utilizzo del garante uno degli strumenti efficaci per la lotta al lavoro sommerso degli stranieri. D'altra parte, anche il già citato Rapporto sull'integrazione sottolinea come l'ampiezza dell'economia informale italiana rappresenti ancora un forte fattore di richiamo. Occorre attivare tutte le misure per disincentivare l'immigrazione irregolare e far sì che l'immigrazione regolare venga definitivamente ritenuta conveniente. Certamente i dati sulla regolarità registrano dei miglioramenti: nel 1994 solo un immigrato su tre risultava regolarmente assunto, nel 1996 uno su due. Tra il 1996 e il 1997 vi è stato un incremento del 10,9%; dalle analisi emerge tuttavia che le regolarizzazioni non sono sufficienti per l'emersione e che solo per una parte degli immigrati l'uscita dall'economia informale è risultata duratura: perlopiù si tratta di inserimenti nell'attività industriale (Commissione 2000, pp. 157-59).
Dalle analisi emerge inoltre una non marcata concorrenza tra i lavoratori nazionali e gli stranieri, poiché questi ultimi tendono a occupare posizioni che non interessano più gli italiani. Anche il PAN, riportando le previsioni di assunzioni in imprese di stranieri nei prossimi due anni (venticinque ogni cento), conferma che il dato non deve stupire poiché non vi è relazione tra disoccupazione e domanda di lavoro per gli immigrati: le posizioni offerte a questi ultimi - specie nel Centro-Nord - "non si adattano alla qualificazione dei disoccupati". Più forte concorrenza vi è proprio nell'economia informale.
Un'attività lavorativa regolare rappresenta certamente il primo passo nel processo di integrazione: secondo la Fondazione Agnelli non è sufficiente una programmazione basata unicamente sulla quantità ma occorre guardare alle competenze, verificare con attenzione le esigenze del mercato, selezionare le professionalità riconosciute davvero utili. Si devono innanzitutto implementare le norme riguardanti il garante ed è necessario cominciare a operare a livello locale, con la partecipazione di Regioni e Comuni, per costruire efficienti reti informative volte all'individuazione delle reali esigenze di mano d'opera. La Commissione per le politiche di integrazione ha evidenziato infine la primaria esigenza di favorire l'emersione anche attraverso un'attività ispettiva più attenta. Poiché, inoltre, il lavoro irregolare sembra concentrarsi maggiormente sui livelli di occupazione meno qualificata, occorre ridurre i costi non salariali (contributi sociali) dei lavori a bassa retribuzione.
La famiglia immigrata
La nuova normativa assegna alla famiglia una posizione centrale, riconoscendo come diritto soggettivo il diritto all'unità familiare (Titolo IV, artt. 28-33). Hanno diritto al ricongiungimento il coniuge, i genitori solo se a carico, i parenti entro il terzo grado inabili al lavoro ma soprattutto i figli minori, ai quali vanno equiparati i minori adottati, affidati o sottoposti a tutela. La legge consente inoltre, diversamente dal passato, che lo straniero titolare di un contratto di lavoro di durata non inferiore a un anno possa portare con sé all'atto dell'ingresso nel paese anche i propri familiari, secondo le medesime categorie beneficiarie del ricongiungimento. I 'ricongiunti' e coloro che sono entrati in Italia al seguito hanno diritto a un permesso di soggiorno che consente l'accesso ai servizi assistenziali, l'iscrizione a corsi di studio o formazione professionale, l'iscrizione alle liste di collocamento, lo svolgimento di lavoro subordinato o autonomo. L'incremento dei ricongiungimenti familiari è stato negli anni costante, e anzi, analogamente a quanto avviene in altri paesi, già nel 1999 "il ricongiungimento familiare si è confermato come la più importante via di ingresso dei migranti regolari" (ISMU 2000, p. 187). Si ritiene che questo nel futuro diverrà il maggior canale di ingresso nel nostro paese, tenuto conto che non è sottoposto a contingentamento. Il Rapporto sull'integrazione mette in luce la particolare complessità del tema dei ricongiungimenti che, presentandosi come "un generatore automatico e poco selettivo di flussi" (Commissione 2000, p. 75), se non accompagnato da misure attente all'integrazione dei ricongiunti, rischia di produrre piuttosto ulteriori problemi che migliori condizioni di vita. Barbara Ghirighelli (ISMU 2000) ha illustrato i molti studi svolti su questo tema, concludendo che l'eterogeneità delle realtà familiari e la non omogeneità dei contesti locali rendono quanto mai difficoltoso ipotizzare un percorso migratorio 'tipo' o una via all'integrazione 'tipo' e quindi la messa a punto di un modello teorico. Tra i vari studi interessante è quello di Angela Lostia (1999) che ha evidenziato molte delle difficoltà che incontrano le famiglie immigrate, alcune delle quali inaspettate. Innanzitutto il ricongiungimento genera nella realtà più crisi coniugali di quanto si possa credere poiché porta in molti casi a un inasprimento della conflittualità, con conseguenti separazioni. Le donne che giungono per riunirsi al marito sperimentano spesso la delusione tra le aspettative e la realtà che le accoglie. L'isolamento dovuto alla mancata conoscenza della lingua pesa molto e accentua la loro distanza dalle risorse e dai servizi che il territorio offre. Né i mariti - unico tramite con il mondo esterno - in molti casi sembrano favorire l'inserimento delle donne nel tessuto sociale.
Situazione opposta si verifica per quelle comunità, per es. quella filippina o quella latino-americana, nelle quali è la donna che lavora: in queste famiglie si determina un'inversione dei ruoli e il marito vive drammaticamente questa posizione. A ciò si aggiunge inoltre il problema della custodia dei figli. Le donne che lavorano trascorrono molte ore fuori casa e la custodia dei figli diviene così un problema grave e reale, tanto da costringerle, a volte, a darli in affidamento a famiglie italiane (in base alla l. 184/83). L'affidamento eterofamiliare proposto dai servizi socioassistenziali risulta spesso una scelta difficile e può portare conseguenze problematiche. Le donne, nel tempo, si vedono private dei loro figli, soprattutto in casi di lunghi periodi di affidamento che finiscono per consolidare rapporti affettivi tra genitori affidatari e bambini stranieri ben al di là degli obiettivi della legge. In questi casi la donna immigrata vive in un circuito vizioso: deve lavorare per mantenere i figli, ma questo, portandola fuori casa molte ore al giorno, le impedisce di aver cura di essi.
Il tema dei ricongiungimenti familiari è stato affrontato anche a Bruxelles: la Commissione ha predisposto una direttiva allo scopo di uniformare le legislazioni dei partner europei anche con l'obiettivo di evitare eventuali restrizioni all'ingresso di familiari che possano essere adottate a livello nazionale. Le nostre norme sono sostanzialmente in linea con le proposte contenute nel documento comunitario.
I minori stranieri
Il problema dei minori è cruciale quando si affrontano le tematiche migratorie, soprattutto sotto il profilo giuridico, culturale, sociologico e psicologico. Ai bambini immigrati "infatti, non è concessa la possibilità di avere un'unica identità etnica", rappresentando essi un'entità "sospesa tra due mondi" (Istituto psicoanalitico per le ricerche sociali 2000, p. 1383). Tale peculiare condizione può essere all'origine di "lacerazioni identitarie" (p. 1388), ma può anche rappresentare una grande opportunità come punto di congiunzione tra la comunità di accoglienza e quelle degli immigrati, quindi come fonte di arricchimento per i minori, sempreché verso di loro si indirizzino, sul piano educativo, sociale, sanitario, familiare ecc., adeguate politiche volte a integrare armoniosamente questi due universi. Sono 285.000 circa, secondo le stime più recenti (p. 1409), i minori stranieri residenti, che dovrebbero quindi essere i destinatari di tali interventi. Tuttavia i minori rappresentano anche la categoria più esposta e vulnerabile a possibili forme di sfruttamento e, in questo senso, la loro tutela deve essere garantita da misure straordinarie. La legge è attenta ad assicurare loro i diritti fondamentali: quello allo studio, che è divenuto con la legge 40 un obbligo di istruzione per tutti i minori presenti nel territorio nazionale, anche irregolarmente; quello all'unità familiare, in ossequio ai principi contenuti nelle convenzioni internazionali sui diritti del fanciullo (New York, 19 novembre 1989; L'Aia, 29 maggio 1993). È infatti autorizzato al ricongiungimento non soltanto il figlio minore verso i propri genitori, ma anche il genitore naturale verso il proprio figlio già residente in Italia purché dimostri, entro un anno dall'ingresso, il possesso dei requisiti di disponibilità di alloggio e di reddito (art. 29, comma 6). Altre norme della legge rivolgono attenzione particolare alla condizione dei minori stranieri. L'art. 31 regola l'iscrizione nel permesso di soggiorno o nella carta di soggiorno di uno dei genitori fino al quattordicesimo anno di età e il successivo rilascio di permesso individuale; consente, anche, l'ingresso in Italia, dietro autorizzazione del Tribunale dei Minorenni, del familiare di un minore per motivi connessi con il suo sviluppo psicofisico. L'art. 33, inoltre - come modificato dal d. legisl. 13 aprile 1999, nr. 113 -, istituisce un apposito Comitato per i minori stranieri che, oltre ad avere competenza sui soggiorni temporanei umanitari di minori stranieri in Italia, ha compiti precisi nei confronti dei minori stranieri 'non accompagnati'. È questo un fenomeno preoccupante che risulta in rapida ascesa nel nostro paese: aumenta infatti il numero di bambini che giungono irregolarmente in Italia soli, talvolta destinati ad attività illecite (prostituzione, accattonaggio, spaccio di stupefacenti), e per i quali devono essere attivate tempestivamente misure di protezione, assistenza e rimpatrio, quando possibile. Sono oltre 4000 i minori stranieri non accompagnati già registrati dal censimento che il Comitato per i minori stranieri sta effettuando - come previsto dal d.p.c.m. 9 dicembre 1999, nr. 535 - sulla base delle segnalazioni provenienti dalle diverse autorità competenti. Il Comune di Roma, nel solo anno 1999, ha aperto oltre mille tutele per minori stranieri non accompagnati; il Comune di Torino oltre seicento. La Caritas di Roma ha assistito oltre mille minori (di cui il 60% albanesi). Il rischio di coinvolgimento dei bambini stranieri in attività criminali, di sfruttamento, di accattonaggio è forte e deve essere contrastato con tutti i mezzi.
Il 2° Piano d'azione per l'infanzia ha posto tra i suoi obiettivi primari il tema dei 'minori nel mondo, minori del mondo', individuando per i minori stranieri presenti sul territorio nazionale una strategia di interventi per rendere il loro progetto di vita nel nostro paese equilibrato, armonioso, attento a valorizzare la lingua e la cultura madre e per sostenerli nei percorsi di integrazione nella nostra realtà. Il documento di governo ha guardato ai minori stranieri regolarmente residenti individuando quindi le misure necessarie sul piano educativo e sociale, e ha considerato nello stesso tempo i minori 'non accompagnati' che, proprio per la loro condizione, sono particolarmente esposti e hanno bisogno quindi di tempestive misure di protezione.
Le misure di protezione
Anche in questo ambito la nuova normativa (Titolo III) ha introdotto alcune misure di grande rilievo. L'art. 19 disciplina i divieti di espulsione, ribadendo quindi un principio già contenuto nella legge Martelli (il divieto di espulsione o di respingimento di uno straniero verso uno Stato nel quale potrebbe essere oggetto di persecuzioni per motivi di razza, religione, sesso, lingua ecc.) e indica con puntualità le altre fattispecie per le quali è fatto divieto di espulsione, salvo che nei casi previsti dall'art. 13 della legge stessa.
Nei casi di accoglienza per eventi straordinari (guerre, disastri naturali ecc.) sono indicate misure di protezione ad hoc, che devono essere disposte con apposito decreto del presidente del Consiglio. A esse si è fatto ricorso, per es., in occasione della crisi che ha investito il Kosovo nel corso del 1999, al fine di consentire un rapido trasferimento delle popolazioni in fuga da quelle regioni.
Significativa e innovativa misura, unica nel panorama europeo e che ci pone senz'altro all'avanguardia nella protezione delle vittime di sfruttamento e coinvolgimento in attività criminali, è rappresentata dall'art. 18, che prevede la possibilità di rilascio di un permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale in favore di cittadini stranieri che nel corso di operazioni di polizia, indagini, interventi assistenziali di servizi sociali, siano stati riconosciuti in situazioni di violenza o di grave sfruttamento o di pericolo per la propria incolumità per effetto del tentativo di sottrarsi ad associazioni criminali dedite ad attività di sfruttamento. Il permesso di soggiorno rilasciato in base a questo articolo può avere durata semestrale rinnovabile e consente l'accesso ai servizi assistenziali, allo studio, l'iscrizione alle liste di collocamento e l'esercizio di attività lavorative subordinate. Con il nuovo regime di protezione in favore delle vittime di tratta è stato stanziato inoltre un fondo per la realizzazione, da parte di enti e associazioni specializzati, di programmi di assistenza, protezione, integrazione sociale. In seguito all'emanazione del decreto della Presidenza del Consiglio dei ministri - ministro per le Pari opportunità (d.p.c.m. 13 dicembre 1999, nr. 291), che ha fissato criteri e modalità per la selezione dei programmi, un'apposita commissione interministeriale ne ha approvati, per il 2000, circa cinquanta relativi a tutto il territorio nazionale. Le disposizioni in materia di protezione delle vittime di sfruttamento assumono particolare valenza non soltanto per l'alto profilo umanitario, ma anche perché introducono uno strumento che può avere delle importanti ricadute sul piano giudiziario-processuale:
"è ampiamente dimostrato che i procedimenti [in tema di tratta delle donne] non possono neanche iniziare senza la cooperazione delle vittime, che con le loro deposizioni consentono quasi sempre di individuare gli organizzatori e gli esecutori del traffico" (Giammarinaro 1999, p. 36). Una protezione adeguata delle vittime le farà sentire più sicure - le donne sottoposte a forme di sfruttamento sessuale a fini di prostituzione vivono una condizione di autentico terrore - e le indurrà così a una buona collaborazione con le autorità di giustizia. Tuttavia, non deve esistere un rapporto strumentale tra il momento della protezione e quello processuale: il permesso di soggiorno concesso non ha infatti una valenza 'premiale'. Si ritiene che non si possa ottenere la necessaria collaborazione fintantoché la vittima non si sentirà sufficientemente sicura e non le saranno riconosciuti una soggettività giuridica piena e uno status di cittadinanza.
Il rafforzamento della lotta al traffico dei clandestini e alla tratta degli esseri umani
Le misure adottate sul versante repressivo per contrastare il traffico di esseri umani, introdotte dal Testo Unico, modificate dal d.l. 113/99 per rafforzarne la portata, mirano a colpire chiunque compia "attività dirette a favorire l'ingresso degli stranieri nel territorio dello Stato". Aggravanti sono previste qualora il fatto sia compiuto in concorso da tre o più persone o a fini di lucro, ovvero con il ricorso a servizi di trasporto internazionali o documenti contraffatti. La pena si inasprisce notevolmente qualora l'ingresso sia favorito per il reclutamento di persone da destinare alla prostituzione o allo sfruttamento della prostituzione ovvero riguardi l'ingresso di minori da avviare ad attività illecite. Il correttivo 113/99 ha reso obbligatorio l'arresto in flagranza per tutti i reati indicati ed è stata prevista la confisca dei mezzi di trasporto utilizzati. In Italia - ma anche in altri paesi dell'Unione Europea - il traffico degli esseri umani, in particolare delle donne e dei minori a fini di sfruttamento, ha assunto una valenza preoccupante manifestandosi con modalità altamente drammatiche. È il binomio "sequestro-sfruttamento sessuale" (Carchedi 2000, p. 1038) che caratterizza in maniera specifica la tratta connotandola come una vera e propria forma di schiavitù. Il nostro paese, che a causa della sua posizione geografica viene a essere particolarmente vulnerabile alle rotte del traffico illegale di migranti, ha posto grande attenzione al problema. Anche se non si dispone di dati ufficiali circa le dimensioni del fenomeno, studi realizzati da organismi specializzati (per es. l'OIM, Organizzazione internazionale della migrazione), stimano intorno a qualche centinaio di migliaia le donne coinvolte in traffici rivolti al mercato della prostituzione in Europa e valutano in circa 25.000 le prostitute straniere presenti in Italia, delle quali non meno di 1000-1500 vivono in condizioni di sfruttamento: esse provengono principalmente dall'Albania e da altri paesi dell'area balcanica, dall'Est europeo, nonché da paesi dell'Africa subsahariana, tra cui Nigeria, Camerun, Ghana. La tratta delle donne è perlopiù gestita da gruppi criminali specializzati che si attivano già nel paese di origine per il reclutamento delle donne, alle quali solitamente viene prospettata la possibilità di un lavoro regolarmente retribuito in Italia. L'organizzazione cura l'ingresso nel territorio nazionale, per il quale pretende un compenso, costringendo successivamente le vittime alla prostituzione. Le donne sono soggette a violenze di ogni tipo per favorire il loro totale assoggettamento, tanto che il reato di riduzione in schiavitù, che sembrava caduto in desuetudine, è tristemente e drammaticamente tornato di attualità. Gli sfruttatori ricorrono, tra l'altro, alla costante minaccia di ritorsioni nei confronti dei familiari rimasti in patria. Per la messa a punto di misure efficaci di contrasto a un fenomeno tanto aberrante, nel 1997, è stato istituito, presso il Dipartimento delle Pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri, un Tavolo di coordinamento per le azioni di governo, del quale fanno parte, oltre a rappresentanti dei dicasteri competenti (Esteri, Interno, Giustizia), rappresentanti di organismi e associazioni attivi in questo settore. Dai lavori sono scaturite importanti iniziative tra cui la predisposizione di un disegno di legge per l'introduzione nel nostro ordinamento del reato di tratta, già previsto per i minori di diciotto anni (legge 269/98 sullo sfruttamento sessuale dei minori a fini commerciali), e l'attivazione di una linea verde per fornire informazioni alle vittime di tratta.
Diritto alla salute, all'alloggio, allo studio
Il pari godimento dei diritti tra cittadini nazionali e stranieri si estende a tutti i settori della vita. La legge dispone infatti che tutti i cittadini stranieri soggiornanti nel territorio dello Stato siano iscritti al Servizio sanitario nazionale (sia i lavoratori sia i loro familiari) ovvero si assicurino - mediante assicurazione sanitaria privata o iscrizione volontaria al servizio nazionale - contro il rischio di malattie e di infortuni. Ma l'aver previsto che anche agli stranieri irregolarmente presenti siano assicurate, nei casi d'urgenza, prestazioni sanitarie, rappresenta un'innovazione significativa in tema di tutela dei diritti della persona (art. 35, comma 3). È stata introdotta con il Regolamento attuativo una tessera, identificata in base a un codice al fine di garantire l'anonimato. Particolarmente tutelata è poi la donna in gravidanza, alla quale sono assicurati gratuitamente gli accertamenti necessari e che non può essere sottoposta, anche se irregolare, ad alcuna misura di espulsione (art. 19, comma 2 lettera d) fino a sei mesi dopo il parto. Ancora molto frammentari sono i dati e le indicazioni riguardo all'utilizzo da parte degli stranieri delle strutture sanitarie. In linea generale, tuttavia, appare possibile affermare che gli immigrati che vengono in Italia alla ricerca di lavoro al loro arrivo godono di uno stato di salute buono, dal punto di vista sia fisico sia psichico. Ciò è denominato 'effetto migrante sano': il progetto migratorio in linea generale è affrontato da chi è giovane, da chi ha maggiori possibilità di riuscire, da chi ha un contesto familiare che lo sostiene e che dovrà sostenere di ritorno, da chi è fondamentalmente sano. Quindi, fintantoché non si attenua questa prima tendenza 'pionieristica' i livelli di utilizzo dei servizi non sono così alti. Diversa è la situazione dei 'trainati' (coloro che fanno il loro ingresso nel nostro paese in seguito ai ricongiungimenti) che presentano caratteristiche differenti e per i quali meno incisivo è evidentemente il principio del 'migrante sano'.
Gli stranieri devono poter accedere a un alloggio alle medesime condizioni degli italiani. Tuttavia, come è noto, l'edilizia pubblica in Italia è un bene scarso, sul quale quindi la competizione è molto evidente. La Commissione per le politiche di integrazione ha rilevato che il problema dell'alloggio è il più grave ed è quello nel quale maggiormente si esplica la discriminazione rispetto agli italiani: a parità di reddito gli stranieri sono costretti a corrispondere affitti più alti. Sebbene varie ricerche dimostrino che circa il 60-80% degli immigrati trova un sistema alloggiativo di qualche tipo, la difficoltà di reperimento di una casa rischia di essere una causa forte di fallimento del progetto migratorio e può determinare - se non si mettono in atto adeguate politiche edilizie quanto più possibile uniformi su tutto il territorio - un accentuarsi del fenomeno degli homeless, di dimensioni non rilevanti in Italia.
Inoltre, il problema alloggio ha ricadute negative sul reale esercizio del diritto all'unità familiare: l'art. 29 del Testo Unico indica tra i requisiti necessari al ricongiungimento - salvo che per i rifugiati - la dimostrazione di un alloggio in linea con i parametri minimi previsti dalla legge regionale per gli alloggi di edilizia residenziale; tali parametri sono ritenuti da alcuni non rispondenti alla realtà delle situazioni familiari, e da più parti è stato fatto rilevare che questo principio appare discriminatorio rispetto ai cittadini italiani: a nessuna famiglia italiana viene chiesto di dimostrare in quanti metri quadrati abita!
La legge, come già ricordato, estende l'obbligo di istruzione a tutti i minori. Le norme, inoltre, garantiscono a tutti gli stranieri regolarmente soggiornanti pari opportunità di accesso a corsi universitari o di formazione, e ampliano notevolmente le possibilità di ingresso per gli studenti stranieri, introducendo, anche in questo settore, la figura di un garante, sia esso privato cittadino italiano o straniero o ente, che possa garantire riguardo ai mezzi di sostentamento richiesti per l'ingresso in Italia. Ciò, come nel caso del garante previsto all'art. 23, può essere realizzato attraverso una fideiussione bancaria o assicurativa.
Il processo d'integrazione
Il Documento programmatico triennale definisce integrazione "il processo di non discriminazione e di inclusione delle differenze, quindi di contaminazione e di sperimentazione di nuove forme di rapporti e comportamenti, nel costante e quotidiano tentativo di tenere insieme principi universali e particolarismi" (p. 44) e indica anche quali debbano essere i tre strumenti principali dell'integrazione: 1) costruire 'relazioni positive' tra italiani e stranieri; 2) garantire pari opportunità di accesso e tutelare le differenze; 3) assicurare i diritti della presenza legale, quindi la continuità della permanenza legale sul territorio, attraverso strumenti come la sicurezza di un alloggio, dell'unità familiare, del lavoro.
Secondo la Commissione per le politiche di integrazione, questa deve realizzarsi attraverso i due principi dell'integrità della persona e dell'interazione positiva, ovvero della pacifica convivenza. I due aspetti sono strettamente connessi perché si sostengono reciprocamente: la pacifica convivenza richiede che nessun gruppo percepisca l'altro come una fonte di comportamenti e atteggiamenti nocivi per la propria integrità e buona vita. L'impianto normativo della legge 40 risponde, secondo la Commissione, a un modello di 'integrazione ragionevole' costruita su quattro tasselli: interazione come sicurezza, integrità piena per i regolari, integrità essenziale per gli irregolari, interazione come comunicazione e pluralismo. La Commissione, come abbiamo ricordato, ha evidenziato luci e ombre relative all'attuazione di questo progetto e ha indicato dei percorsi da intraprendere. Alcuni suggerimenti sono nel frattempo divenuti realtà: per es. la piena attuazione delle norme riguardanti il garante. Altri non sono stati ancora attuati: tra i più importanti, la carta di soggiorno prevista all'art. 9 del Testo Unico e regolamentata agli artt. 16 e 17 del Regolamento attuativo. Rilasciata dopo cinque anni di soggiorno regolare, la carta consente di accedere a servizi e prestazioni erogati dalla pubblica amministrazione, nonché di partecipare alla vita pubblica locale esercitando anche l'elettorato quando previsto dall'ordinamento. La Commissione ha sollecitato inoltre le istituzioni perché affrontino i due grandi temi che rappresentano gli strumenti per eccellenza di integrazione: la cittadinanza e il diritto di voto. Negli altri paesi dell'Unione Europea si approfondisce il dibattito sulla cittadinanza: quanti anni di permanenza regolare devono essere richiesti per la naturalizzazione; la cittadinanza si acquisisce iure sanguinis (per discendenza) come nel nostro ordinamento o anche iure soli (per nascita)? L'Italia deve avere una legge da paese di emigrazione privilegiando quindi il primo, oppure deve cominciare a guardare alla cittadinanza da paese di immigrazione? La Commissione suggerisce di rivedere la legge del 1992, ancora in vigore, accorciando i tempi di attesa per la naturalizzazione, facilitando l'accesso alla cittadinanza ai minori nati in Italia o che vi hanno studiato, penalizzando i matrimoni di comodo analogamente a quanto è avvenuto in altri paesi. Per quanto riguarda il diritto di voto agli stranieri, molti paesi oramai lo hanno riconosciuto nelle elezioni amministrative. L'elettorato attivo e passivo per i cittadini non comunitari era stato previsto nel disegno di legge governativo, poi stralciato e presentato come riforma dell'art. 48 della Costituzione. La Commissione, poi, raccomanda di facilitare la conoscenza della legge.
Conclusioni
Individuare strategie per una gestione sempre più efficace del fenomeno immigrazione deve rappresentare un obiettivo primario per le istituzioni. La valutazione dei risultati del 2000 è importante per verificare l'impatto di alcuni nuovi strumenti di politica migratoria attuati per la prima volta anche in vista degli eventuali correttivi che dovranno essere apportati. Di alcune cose già si parla: nella programmazione annuale dei flussi occorrerà avere maggiore riguardo anche alle professionalità e non soltanto alle esigenze quantitative; si dovranno coinvolgere anche Regioni ed enti locali nella determinazione dei flussi, ponendo quindi maggiore attenzione alle esigenze locali. Uno sforzo importante dovrà essere indirizzato alla piena attuazione della normativa; nonostante le difficoltà e le opinioni diffuse, molto è stato fatto sul versante del controllo dei flussi irregolari. Senza deflettere da tale impegno, andranno implementate le politiche di integrazione, rendendo quindi più immediati e agevoli l'accesso e la fruizione dei diritti e delle opportunità offerte ai cittadini stranieri non comunitari dalle disposizioni di legge. Andrà inoltre sostenuto lo sforzo di 'comunitarizzazione' del complesso fenomeno migratorio.
L'emigrazione italiana e le comunità italiane all'estero
Il movimento di emigrazione dall'Italia, visto come fenomeno di massa, ha inizio intorno al 1870 e ne sono note le dimensioni grazie alle rilevazioni ufficiali effettuate già a partire dal 1876. In quel periodo la media annuale degli espatri si aggirava intorno alle 110.000 unità che aumentarono progressivamente negli anni successivi fino a raggiungere e superare le 300.000 persone all'anno nell'ultima parte del secolo: ciò per il richiamo esercitato, su una manodopera con scarse opportunità di occupazione, dal mercato di lavoro statunitense, argentino e brasiliano nel ventennio 1880-1900. In quello stesso ventennio il paese europeo preferito dall'emigrazione italiana fu la Francia; ma anche l'Austria e la Germania e, successivamente, la Svizzera costituirono importanti punti di destinazione per i nostri connazionali. In questa fase mancò una precisa legislazione in merito all'emigrazione; solo nel 1901 fu finalmente emanata una legge organica e creato un organo tecnico, il Commissariato generale dell'emigrazione. L'emigrazione aumentò ancora fino alla vigilia della Prima guerra mondiale, con una media annua fra il 1900 e il 1914 di oltre 600.000 unità e con una punta di 873.000 nel 1913; rilevante nello stesso periodo, pur se più modesto, fu il numero dei rientri (150-200.000 all'anno), prevalentemente da Stati Uniti e Argentina. La guerra ridusse al minimo il movimento migratorio, che riprese negli anni del dopoguerra su livelli ridotti: tutte le destinazioni del flusso migratorio furono proporzionalmente interessate alla diminuzione, ma in particolare fu l'emigrazione transoceanica a declinare notevolmente, soprattutto perché in quegli anni gli Stati Uniti promossero, per ragioni economiche interne, una politica contraria alle immigrazioni. Così il fenomeno migratorio italiano cercò sfogo verso paesi europei e, in particolare, verso la Francia, dove affluì più di un milione di italiani tra il 1920 e il 1930. Con il fascismo il fenomeno migratorio italiano si ridusse drasticamente a causa di una deliberata politica demografica: mentre nel 1927 si registrarono ancora circa 219.000 unità di emigranti, nel 1931 si scese a 166.000 unità e in seguito, nel periodo 1933-37, si arrivò a una media di circa 62.000 persone all'anno (in alcuni anni, anzi, i rimpatri superarono gli espatri).
Dopo la Seconda guerra mondiale, durante la quale il flusso migratorio fu paralizzato, emerse ancora più accentuato un forte squilibrio interno tra popolazione e capacità produttiva, sia per la grave crisi economica che il paese si trovò a dover affrontare nell'immediato dopoguerra, sia per l'afflusso di un numero considerevole di profughi, sia per l'accentuarsi dei dislivelli fra regioni forti e deboli; così la disoccupazione e la miseria riproposero a molti, in termini perentori, la necessità dell'espatrio, determinando una netta ripresa del fenomeno migratorio. Nel quarantennio compreso fra il 1944 e il 1984 si sono contati 8.200.000 espatri e circa 5.000.000 rientri. L'emigrazione transoceanica ha assorbito il 30% degli espatri e si è diretta soprattutto verso Stati Uniti, Argentina, Canada, Australia, Venezuela e Brasile. Ben più imponente è stata l'emigrazione intraeuropea che ha interessato paesi come la Germania, la Francia, il Belgio, la Gran Bretagna e la Svizzera. Gli espatri sono andati crescendo rapidamente soprattutto nel corso degli anni Cinquanta e hanno toccato il massimo (quasi 400.000) nel 1961. Poi sono diminuiti, in particolare nei primi anni Settanta, in coincidenza con la crisi di Suez e la conseguente recessione che ha colpito i paesi più industrializzati, mete di immigrazione. Ciò, unitamente ad altre concause, ha fatto salire il numero dei rientri, che nel corso del decennio 1970 hanno addirittura superato le partenze. È in questo momento che si verifica infatti un'inversione di tendenza che porterà alla riduzione dei flussi migratori in uscita e a un aumento di quelli in entrata: l'Italia si trasforma da paese di emigranti a meta di flussi migratori. Per dare un esempio significativo della portata del fenomeno si può citare in particolare la regione Veneto che, dopo Lombardia e Lazio, è la terza regione italiana per numero di immigrati (120.515), dopo aver dato un contributo massiccio all'emigrazione italiana all'estero con flussi di circa 3 milioni di persone nell'arco di un secolo. Si tratta di un primato nella classifica delle regioni per numero di espatri. Al secondo e terzo posto si situano la Campania (oltre 2,7 milioni) e la Sicilia (oltre 2,5 milioni).
Il succedersi nel tempo di flussi migratori di diversa consistenza, più o meno compensati da flussi di ritorno, ha portato alla nascita e all'insediamento di comunità italiane di vaste dimensioni nei diversi paesi di destinazione. Da vari anni il numero di presenze di italiani all'estero si è stabilizzato su di una cifra intorno ai 5 milioni di unità, ma si stima che le dimensioni delle odierne comunità italiane all'estero (compresi i naturalizzati e gli oriundi) equivalgano addirittura a quelle della popolazione entro i confini.
Il quadro dell'immigrazione in Italia
La rilevazione della popolazione straniera residente
Esistono diversi sistemi di rilevazione: 1) quello del Ministero dell'Interno (i cui dati aggiornati a maggio 2000 sono riportati all'interno della voce), che si rifà all'archivio dei permessi di soggiorno collegato con gli Uffici stranieri delle questure; 2) quello dell'ISTAT, che si fonda sulle registrazioni anagrafiche dei Comuni italiani; 3) quello della Caritas di Roma che, nell'elaborazione del Dossier statistico annuale, si basa sui dati del Ministero dell'Interno e dell'ISTAT, introducendo alcuni coefficienti di correzione.
Secondo i dati ISTAT pubblicati l'11 luglio 2000, la popolazione straniera residente in Italia al 1° gennaio 2000 ammontava a 1.270.553 unità (690.236 maschi e 580.317 femmine), con un incremento del 13,8% rispetto all'anno precedente. L'incidenza sulla popolazione totale sale al 2,2% contro l'1,9% registrato all'inizio del 1999. Sul totale degli stranieri la componente più dinamica appare quella dei minorenni, aumentati del 23% grazie sia alle nascite sia ai ricongiungimenti familiari. Fra il 1993 e il 1999 sono nati in Italia 86.000 stranieri. L'ISTAT evidenzia inoltre che la differenza tra iscrizioni e cancellazioni della popolazione straniera è stata di 134.923 unità, mentre quella relativa alla popolazione complessiva si è attestata a 101.181 unità, sottolineando come la differenza tra iscritti e cancellati in Italia sarebbe negativa se non vi fosse la popolazione straniera. La popolazione residente in Italia cresce, sebbene debolmente (0,1%), solo grazie all'immigrazione.
Le stime Caritas comportano un aggiustamento per eccesso dei dati ISTAT e del Ministero dell'Interno. Secondo la Caritas, l'archivio del Ministero dell'Interno è parziale perché non registra tutti gli stranieri regolarmente presenti in Italia, ma solo quelli intestatari a titolo personale di un permesso di soggiorno: possono sfuggire al sistema di rilevazione sia alcuni minori non registrati sia coloro il cui permesso di soggiorno (concesso ex novo o rinnovato) non è stato ancora registrato per ritardi burocratici; per arrivare a una stima complessiva di tutti gli stranieri soggiornanti in Italia bisogna maggiorare questo numero di almeno il 19%, giungendo così a un ammontare complessivo di 1.490.000 persone, con un'incidenza del 2,5% sulla popolazione totale.
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Armonizzazione con il contesto europeo
La nuova legislazione italiana sull'immigrazione mira ad armonizzarsi alle direttive europee che sono scaturite dai successivi accordi tra i capi di Stato dell'Unione Europea.
Il Consiglio europeo straordinario, tenutosi a Tampere, in Finlandia, il 15-16 ottobre 1999, rappresenta il primo vertice dei capi di Stato e di governo dell'Unione Europea per la creazione di uno spazio di libertà, giustizia e sicurezza comune tra gli Stati membri dell'Unione Europea. Esso segna l'inizio di un percorso che porterà entro l'anno 2004 a una legislazione comune europea in materia di asilo e immigrazione, come previsto dal Trattato di Amsterdam (firmato il 2 ottobre 1997 ed entrato in vigore il 1° maggio 1999). La politica migratoria europea viene, per la prima volta, separata da quella criminale, passando dal terzo pilastro comunitario (creato a Maastricht nel 1992 e riguardante giustizia e affari interni) al primo. Naturalmente, la comunitarizzazione delle norme comporterà una graduale armonizzazione delle legislazioni nazionali. Le misure considerate più urgenti nonché attuabili più facilmente, in quanto avviate col cosiddetto 'sistema Schengen' (cioè la cooperazione intergovernativa nata nel 1985 tra cinque Stati europei ed estesa poi a tutti gli Stati dell'UE, tranne Gran Bretagna e Irlanda, per la soppressione delle frontiere interne e il rafforzamento dei controlli alle frontiere esterne), riguardano in tutti gli Stati il controllo degli ingressi dei cittadini non comunitari e la lotta all'immigrazione illegale nello "spazio di libertà, giustizia e sicurezza comune".
Le regolarizzazioni
Nella tabella sono schematizzati i risultati del provvedimento di regolarizzazione riguardante gli stranieri entrati in Italia prima del 27 marzo 1998 e registrati entro il termine del 15 dicembre dello stesso anno, come previsto dalla legge. A quella data infatti è scaduto il termine di prenotazione per gli stranieri che intendevano regolarizzare la propria situazione ed è iniziato un processo di esame delle domande che ha interessato tutto il 1999 e parte dell'anno 2000. Più di un terzo delle domande presentate (e ben metà di quelle relative al lavoro dipendente) doveva ancora essere definito dopo più di un anno di attesa. Nelle domande di regolarizzazione per lavoro (243.452) prevalgono quelle per lavoro dipendente (84,5%) ma sono ben rappresentate anche quelle per lavoro autonomo (14,9%), mentre sono pochi i casi di lavoro stagionale e lavoro atipico. Le persone che hanno ottenuto il permesso di soggiorno per ricongiungimento familiare (5559 su 7340) sono così ripartite: 424 genitori (7,6%), 3115 coniugi (56%), 2016 figli (36,2%), 9 'altri parenti' (0,2%).
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Il 'policentrismo'
La percentuale di incidenza della popolazione straniera residente in Italia sulla popolazione totale (2,2%) è inferiore alla media dell'Unione Europea (5,1%) e a quella di alcuni paesi europei: Austria (9%), Belgio (9%), Francia (9%), Germania (8,9%), Gran Bretagna (3,4%), Irlanda (3%); risulta invece superiore al dato registrato in Grecia e Finlandia (1,6%). Rispetto ai paesi europei, il fenomeno migratorio in Italia si distingue per quello che è stato definito 'policentrismo', ovvero per la natura variegata della provenienza degli immigrati: mentre a livello di Unione Europea il 40% della presenza straniera è composto dai primi cinque gruppi nazionali di immigrati (turchi, iugoslavi, italiani, portoghesi e marocchini), nel nostro paese la presenza straniera risulta alquanto composita e differenziata. Rispetto agli anni precedenti, si registra un aumento della presenza di immigrati provenienti dai paesi dell'Est: subito dopo la triade costituita da Marocco, Albania e Filippine, si collocano, attualmente, la Iugoslavia e la Romania; è cresciuto anche il numero di immigrati dalla Cina e dal Senegal.
Il quadro delle religioni degli immigrati è altrettanto variegato. La stima dell'appartenenza religiosa degli immigrati soggiornanti in Italia, regolarmente effettuata dalla Caritas di Roma e dalla Fondazione Migrantes, viene calcolata in base alle percentuali di appartenenza religiosa riscontrate nei paesi di origine degli immigrati.
Per quanto riguarda i paesi di provenienza dei vari gruppi religiosi, i musulmani provengono per i due terzi dalla fascia del Nord Africa e per le successive quote da alcuni paesi del subcontinente indiano e dall'Est europeo. I cattolici rivelano una provenienza più diversificata: dall'Estremo Oriente (le Filippine sono infatti la prima comunità cattolica con circa il 15% del totale), all'Europa dell'Est e dell'Ovest all'America Latina. I protestanti provengono perlopiù dai paesi dell'Europa occidentale e dall'America del Nord (così anche gli ebrei), mentre gli ortodossi sono originari dei paesi balcanici e dell'Est europeo.
Tabella
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La ripartizione territoriale e il lavoro
Considerando la distribuzione sul territorio, l'ISTAT ha rilevato che la popolazione straniera risiede soprattutto nelle regioni nordoccidentali (33,1%) e centrali (28,6%), seguite dal Nord-Est (22%) e dal Sud (16,35%). Il Dossier Caritas conferma questi dati (con percentuali leggermente diverse) e illustra in dettaglio la presenza straniera in ciascuna regione.
Per quanto riguarda l'occupazione, il Primo rapporto sull'integrazione degli immigrati in Italia (Commissione 2000) osserva come il numero di immigrati provenienti da paesi non membri dell'Unione Europea regolarmente occupati sia cresciuto in misura cospicua nel periodo 1991-98. Secondo una ricerca di Unioncamere, il 24,5% (200.589) dei nuovi assunti nel biennio 1999-2000 è cittadino straniero. Tra i settori produttivi, quello edilizio assorbe il maggior numero di immigrati, con 40.000 nuove assunzioni; seguono il commercio e i servizi con 20.000, il settore turistico-alberghiero e l'industria dei metalli con 15.000, la sanità con 7000.
Tabella A
Tabella B
Gli strumenti dell'integrazione
La carta di soggiorno
Uno spazio particolare è riservato dalla nuova normativa sull'immigrazione ai cittadini residenti da più di cinque anni, per i quali si prevede la possibilità di un nuovo documento sostitutivo del 'permesso di soggiorno', la carta di soggiorno, le cui caratteristiche essenziali sono: durata illimitata; divieto di espulsione; diritto al voto amministrativo. La carta di soggiorno è l'equivalente della carta di residenza in Francia (dieci anni di durata), del periodo di soggiorno a tempo indeterminato in Germania e del leave stay in Gran Bretagna.
La cittadinanza
Nel corso degli anni Novanta del 20° secolo hanno acquisito la cittadinanza italiana più di 50.000 cittadini stranieri. In Italia la legge sulla cittadinanza è ancora legata allo ius sanguinis (discendenza), a discapito dello ius soli (essere nati nel paese) e dello ius domicili (aver vissuto nel paese). La legge attuale consente di diventare cittadini italiani soltanto attraverso il matrimonio con un cittadino o una cittadina italiana o per residenza per oltre 12 anni. Il tasso di naturalizzazione (0,8%) è tra i più bassi in Europa (in media 3%): su 1.116.394 immigrati residenti al 31 dicembre 1998, soltanto 9176 hanno acquisito la cittadinanza italiana nel corso del 1999.
Tabella
Il diritto di voto
La possibilità di elettorato passivo e attivo per gli immigrati era contemplata nel disegno originario della legge nr. 40. Il testo è stato poi stralciato per essere sottoposto separatamente all'esame del Parlamento. Nelle tabelle è riportato in quali casi il voto agli stranieri sia concesso in altri paesi europei.
Tabella A
Tabella B
fonti bibliografiche
G. Bolaffi, La guerra dei poveri, in Tuttolibri, supplemento a "La Stampa", 29 aprile 2000, p. 12; F. Carchedi, La condizione degli immigrati in Italia, in Migrazioni. Scenari per il XXI secolo. Dossier di Ricerca, 2° vol., Roma, Agenzia Romana per il Giubileo, 2000, pp. 985-1062; CENSIS, Le paure degli italiani, Roma, 20 luglio 2000 (www.censis.it); Commissione per le politiche di integrazione degli immigrati, Primo rapporto sull'integrazione degli immigrati in Italia, a cura di G. Zincone, Roma, Il Mulino, 2000; M.G. Giammarinaro, Il permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale previsto dall'articolo 18 del T.U. sull'immigrazione, "Diritto, Immigrazione e Cittadinanza", 1999, 4, pp. 34-52; Immigrazione. Dossier statistico 2000, a cura della Caritas di Roma, Roma, Anterem, 2000; L'immigrazione straniera in Italia, a cura di Nino Sergi, Roma, EL, 1987; ISMU, Quinto rapporto sulle migrazioni 1999, Milano, Franco Angeli, 2000; Istituto psicoanalitico per le ricerche sociali, Integrazione e identità dei minori immigrati, in Migrazioni. Scenari per il XXI secolo. Dossier di Ricerca, 2° vol., Roma, Agenzia Romana per il Giubileo, 2000, pp. 1383-1423; A. Lostia, Uniti e divisi. Le condizioni per il ricongiungimento familiare. Rapporto intermedio, Roma, Commissione per le politiche di integrazione, Dipartimento Affari sociali, Presidenza del Consiglio dei Ministri, 1999; R. Miele, La nuova legislazione sugli stranieri, Viterbo, Union Printing Edizioni, 1999; Piano d'azione nazionale sull'occupazione per il 2000 (PAN), a cura del Ministero del Lavoro, 2000 (www.minlavoro.it); Piano d'azione e di interventi per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei soggetti in età evolutiva, a cura dell'Osservatorio nazionale per l'infanzia e l'adolescenza, Roma, Presidenza del Consiglio dei Ministri, 2000; Replacement migration: is it a solution to declining and ageing populations?, a cura delle Nazioni Unite, Dipartimento di Affari Sociali ed Economici, 2000 (www.un.org/esa/population/migration.htm).