COSTANZA/ANNA, IMPERATRICE DI NICEA
Figlia dell'imperatore Federico II di Svevia e di Bianca Lancia, sorella dunque di Manfredi, futuro re di Sicilia, C. nacque intorno al 1231. Era ancora una bambina quando suo padre, nel 1241, la diede in moglie a Giovanni III duca di Vatatze (v.), imperatore di Nicea. Questo matrimonio rappresentava il coronamento della politica estera che Federico II perseguiva fin dal 1229 nell'Oriente bizantino. La quarta crociata, infatti, aveva avuto per risultato nel 1204 la distruzione dell'antico Impero di Bisanzio e la creazione di un Impero latino a Costantinopoli con minori entità politiche da esso formalmente dipendenti quali il Regno di Tessalonica ed il principato di Acaia (v. Impero bizantino). In Occidente, il pontefice romano era ufficialmente il protettore del nuovo sistema politico latino orientale, mentre Federico II lo avversava, tutto teso com'era al contenimento della crescente influenza papale. In questo contesto l'imperatore svevo, abbandonando la tradizionale politica aggressiva della Corona di Sicilia verso Bisanzio, aveva ben presto cercato l'alleanza delle residue forze bizantine che, concentrate nelle aree sottratte alla conquista crociata, avevano dato vita a formazioni statali indipendenti come il despotato di Epiro in Grecia e l'Impero di Nicea in Asia Minore. Quest'ultimo, soprattutto dopo il 1230, per le sue fortune crescenti si affermò come il più autorevole erede della tradizione politica dell'antica Bisanzio, giungendo successivamente alla riconquista della stessa Costantinopoli. Fu con Nicea dunque che Federico II scelse di avere relazioni diplomatiche più strette. Un'alleanza che gli valse il concreto sostegno dell'imperatore niceno anche nelle sue campagne militari in Italia, come accadde all'assedio posto da Federico II a Brescia nel 1238 con la partecipazione di truppe provenienti dall'Asia Minore.
Il matrimonio di C., forse negoziato da un confidente di suo padre, fra Elia da Cortona, ex ministro generale dell'Ordine francescano, fu poi duramente condannato da papa Innocenzo IV al concilio di Lione il 25 giugno 1245, allorché Federico II vide rinnovata la propria scomunica anche per quel suo nuovo legame familiare con l'eretico e scismatico Giovanni duca di Vatatze.
C. dal canto suo, una volta giunta con il seguito nella sua nuova patria, sposò l'imperatore niceno nella città di Bursa, cosicché poté entrare già come imperatrice a Nicea, la capitale, ricevendo l'omaggio che la complessa etichetta bizantina prevedeva per il suo nuovo rango. Ricevette allora probabilmente anche un nuovo nome, Anna, l'unico apparentemente noto, infatti, ai cronisti bizantini. È giunto fino a noi un epitalamio composto da Nicola Irenico, funzionario dell'amministrazione centrale a Nicea e poeta, che, con il suo tono più libero e spontaneo rispetto al rigido stile compositivo dell'epoca, sembrerebbe riflettere il favore popolare che accompagnò quelle nozze. C. e Giovanni III sono visti, rispettivamente, come un giovane cipresso e l'edera che lo stringe in un abbraccio. È noto tuttavia che l'imperatore di Nicea, probabilmente anche a causa della tenera età della sposa, lasciò costei in disparte per almeno i primi quattro o cinque anni di matrimonio, essendosi invaghito tra l'altro di una donna che faceva parte del seguito di C. e alla quale anzi era stato affidato, a quanto sembra, il compito di vegliare sulla fin troppo giovane imperatrice. Le fonti greche indicano questa persona come "Marchesina", forse confondendo il suo titolo con un nome, e solo Niceforo Blemmida, che più direttamente ebbe a che fare con lei, la chiama "Fricca" (un nome o un cognome?). La relazione tra Giovanni III e la "Marchesina", oggetto di pubblico scandalo cui C. sembrò reagire con grande rassegnazione, trovò invece in Blemmida, un dotto monaco, intellettuale di spicco della sua epoca, un aspro censore. Come egli stesso racconta nella sua autobiografia, la donna un giorno volle entrare con tutto il suo seguito durante le funzioni nella chiesa del monastero di S. Gregorio Taumaturgo presso Efeso, di cui Blemmida stesso era l'archimandrita. Questi le sbarrò la strada umiliandola pubblicamente. A nulla valsero le rimostranze della donna e del suo seguito presso l'imperatore, che non permise ritorsioni contro Blemmida. Dopo quell'episodio si perdono le tracce della "Marchesina" ed è possibile immaginare che la sua fortuna sia andata successivamente declinando, finché ella fu dimenticata. Quel che importa qui rilevare è che l'episodio non sembrò compromettere le buone relazioni diplomatiche tra Giovanni III ed il suocero Federico II. C. con il tempo vide poi rafforzata la sua posizione alla corte nicena e dopo la morte di suo padre nel 1250 accolse presso di sé lo zio Galvano Lancia e altri membri della sua famiglia materna banditi da Corrado IV, figlio e successore di Federico II. Ciò creò delle tensioni tra l'Impero tedesco e quello niceno che si allentarono solo con l'invio a Nicea da parte di Corrado IV di una speciale legazione guidata da Bertoldo di Hohenburg.
Morto Giovanni III nel 1254, C. a soli ventidue o ventitré anni iniziò una difficile vedovanza. Dapprima sotto il regno del figlio di primo letto di Giovanni, Teodoro II Lascari, che probabilmente non aveva particolare considerazione per la matrigna, ma soprattutto in seguito allorché nel 1259, morto a sua volta Teodoro II, il potere venne assunto da Michele Paleologo, che come tutore del giovane figlio di Teodoro ben presto riuscì ad usurparne il trono. Due fattori rendevano delicata la posizione di C. a Nicea: il suo essere legata alla dinastia appena spodestata, ma soprattutto il fatto che Manfredi, suo fratello, divenuto re di Sicilia nel 1258, aveva mutato la politica estera di suo padre assumendo un atteggiamento ostile e bellicoso contro l'Impero niceno d'intesa con il despotato d'Epiro, lo stato greco occidentale rivale di Nicea. Proprio nel 1259 ebbe luogo la battaglia di Pelagonia in cui Manfredi, i greci d'Epiro e il principe d'Acaia attaccarono l'Impero niceno, uscendone però sconfitti. In questo contesto, C. passò rapidamente dalla condizione di sovrana a quella di ostaggio, per quanto trattata con il riguardo dovutole.
Nel 1261 Michele VIII Paleologo, ponendo fine all'Impero latino d'Oriente, riconquistò Costantinopoli e la rese nuovamente capitale del suo Impero: l'epoca di Nicea era finita. La corte, con al seguito C., tornò a risiedere sul Bosforo.
Per distendere i rapporti con la Corona di Sicilia Michele VIII aveva accarezzato frattanto l'idea di un suo matrimonio proprio con la giovane vedova di Giovanni III, ma dovette poi rinunciarvi per l'opposizione della propria moglie Teodora Ducena, niente affatto disposta a farsi da parte, e dello stesso patriarca di Costantinopoli, che gli prospettò la scomunica. Michele VIII accettò anzi a quel punto di rimandare C. da suo fratello Manfredi in cambio del generale Alessio Strategopulo, che aveva guidato le truppe nicene alla riconquista di Costantinopoli, ma era successivamente caduto in mano nemica. Intorno al 1262 C. poté così tornare dalla sua famiglia d'origine. Un documento estratto dai registri angioini un tempo conservati presso l'Archivio di Stato di Napoli, attualmente non più consultabili perché andati distrutti, indicava alcune spese sostenute dalla regia corte ancora nel 1265 al tempo di re Manfredi per "Costanza detta Imperatrice dei Greci" (Registro nr. 6 1269 D, cc. 9-12, in Del Giudice, 1869, pp. 20-21).
Erano quelli, però, gli ultimi anni del dominio della dinastia sveva nell'Italia meridionale. Con la battaglia di Benevento del 1266, Carlo d'Angiò sconfisse e uccise Manfredi, conquistando la Corona di Sicilia. La famiglia stessa del re sconfitto, rifugiatasi a Lucera in Puglia, rimase alla mercé del vincitore: la moglie di Manfredi, la regina Elena, i loro figli e C., che forse aveva raggiunto gli altri a Lucera, furono tutti imprigionati da Carlo. Per sua fortuna, tuttavia, e a differenza degli altri parenti di Manfredi, a C. fu successivamente concesso di andarsene in esilio: probabilmente Carlo d'Angiò stimava meno pericolose le sue rivendicazioni sulla Corona di Sicilia finché egli aveva comunque in pugno la vedova e i figli di Manfredi. Intorno al 1269 C. giunse presso la corte di Aragona, dove fu accolta dalla nipote, anch'ella di nome Costanza, figlia di Manfredi e della sua prima moglie Beatrice di Savoia, sposata all'infante e futuro re Pietro III d'Aragona. A ben guardare, forse anche la liberazione di C. fu un atto, da parte di Carlo, tutt'altro che disinteressato, mentre l'ex imperatrice con il suo ingresso alla corte aragonese divenne, ancora una volta, lo strumento più o meno inconsapevole della politica altrui: l'Aragona, con la figlia di Manfredi come sua futura regina, aveva ragione di essere mal di-sposta nei confronti di Carlo d'Angiò, mentre questi invece si sforzava di tessere il maggior numero di alleanze a sostegno del suo progetto di invasione dell'Impero bizantino; se Carlo non poteva sperare nella collaborazione dell'Aragona, doveva almeno scongiurare il suo avvicinamento alle posizioni di Michele VIII Paleologo. Ecco infatti che nel 1269 un'ambasceria fu inviata da Michele VIII a Valencia proprio per caldeggiare un'alleanza con l'Aragona; sembra però che la missione fosse un fallimento. Può darsi che C., che da Michele VIII era stata tenuta in semicattività e quasi sposata a forza dopo la fine dei Lascari, giunta a Valencia proprio intorno al 1269, abbia speso qualche parola di fronte a Giacomo I d'Aragona contro l'imperatore bizantino, servendo così indirettamente i propositi di Carlo d'Angiò.
L'esilio aragonese fu comunque il periodo probabilmente più tranquillo della vita di C. e per noi il più oscuro: ritiratasi nel convento di S. Barbara a Valencia, visse in disparte, morendo in tarda età nel 1307 secondo alcuni, nel 1313 secondo altri. Fu sepolta a Valencia, nella cappella di S. Barbara della chiesa di S. Giovanni dell'Ordine degli Ospitalieri di Gerusalemme (denominato poi Ordine di Malta), dove ancora oggi si conservano le sue spoglie, sebbene racchiuse in una tomba molto più tarda.
Secondo lo storico cinquecentesco Zurita y Castro, fonte per gli anni dell'esilio aragonese, C. non rinunciò mai ai propri diritti di imperatrice vedova di Nicea, che consistevano, in base alle disposizioni lasciate dallo stesso Giovanni III, nell'usufrutto delle rendite di tre città e diversi castelli dell'Impero niceno per una somma annuale di oltre 30.000 iperperi d'oro; di tali diritti C. aveva poi lasciato erede la Corona d'Aragona. In effetti, presso l'Archivio della Corona d'Aragona a Barcellona furono rinvenuti, nei primi decenni del Novecento, oltre ad un estratto in copia del testamento di C., relativo ai lasciti per la celebrazione di messe di suffragio, due altri documenti: la copia più tarda di un diploma emanato da Michele VIII Paleologo con la riconferma dell'appannaggio vedovile (ossia il dovario) di C. solo nel caso però, piuttosto remoto invero, che l'imperatrice vedova tornasse a risiedere nei domini dell'imperatore bizantino, e un atto datato 13 agosto 1306, con il quale C. cedeva appunto al pronipote Giacomo II d'Aragona tutti i diritti da lei sempre vantati su quanto aveva costituito il suo dovario e sulla dote che lei stessa aveva portato a Nicea.
Altri documenti dello stesso Archivio di Barcellona e qualche fonte narrativa indicherebbero che la Corona d'Aragona tentò, effettivamente, di rivendicare quella eredità tanto lontana.
Fonti e Bibl.: O. Rinaldi, Annales Ecclesiastici ab anno quo desinit card. Caes. Baronius 1198 […], I-X, Romae 1646-1677: tomo XIII, anno 1245; Niccolò Jamsilla, Historia de rebus gestis Friderici II imperatoris, in R.I.S., VIII, 1726, col. 506; Bartolomeo di Neocastro, Historia Sicula, ibid., XIII, 3, 1728, col. 2; Niceforo Gregora, Historia byzantina, in Corpus Scriptorum Historiae Byzantinae, XXX, Bonnae 1829, l. II, cap. 7, pp. 45-47; l. IV, cap. 3, pp. 91-92; Giorgio Pachimere, De Michaelo et Andronico Palaeologis libri tredecim, ibid., XXXIV-XXXV, ivi 1835, l. III, cap. 7, pp. 181-185; Matteo Paris, Historia Anglorum, a cura di Fr. Madden, II, London 1866, p. 487; G. Del Giudice, Codice diplomatico del regno di Carlo I e II d'Angiò, ossia collezione di leggi, statuti e privilegi […] dal 1265 al 1309, II, 1, Napoli 1869, pp. 20-21; Matteo Paris, Chronica Maiora, a cura di H.R. Luard, IV, London 1877, pp. 299, 357; The Chronicle of James I King of Aragon, a cura di J. Forster, II, ivi 1883, pp. 599-600; Niceforo Blemmida, Curriculum vitae et carmina, a cura di A. Heisenberg, Lipsiae 1896, pp. XXI-XXII; l. I, cap. XLI, pp. 39-40; l. II, cap. XX, p. 74; Giorgio Acropolita, Historia, in Georgii Acropolitae Opera, a cura di A. Heisenberg, I, ivi 1903, cap. 52, p. 104; J. Miret y Sans, Tres princesas griegas en la corte de Jaime II de Aragón, New York-Paris 1906, pp. 17-19, 37-39, 54-56; Id., Nuevos documentos de las tres princesas griegas, ivi 1908, pp. 10-13; G. Zurita y Castro, Anales de la Corona de Aragón, a cura di A. Canellas López, Zaragoza 1977-1990, l. III, cap. 75, p. 678; l. V, cap. 105, pp. 785-786. G. Del Giudice, La famiglia di Re Manfredi, Napoli 1880, pp. 25-27, 32, 155-160; A. Meliarakes, Storia dell'Impero di Nicea e del Despotato d'Epiro (1204-1261), Atene 1898, pp. 357-364; Ch. Diehl, Constance de Hohenstaufen, impératrice de Nicée, in Id., Figures byzantines, II, Paris 1908, pp. 207-225; A. Gardner, The Lascarids of Nicaea. The Story of an Empire in Exile, London 1912, pp. 168-171; A. Heisenberg, Aus der Geschichte und Literatur der Palaiologenzeit, "Sitzungsberichte der Bayerischen Akademie der Wissenschaften, Philos.-Philol. und Hist. Klasse", 1920, pp. 97 e ss.; C. Marinesco, Du nouveau sur Constance de Hohenstaufen, impératrice de Nicée, in Byzantion, I, Bruxelles 1924, pp. 451-468; G. Schlumberger, Le tombeau d'une impératrice byzantine à Valence en Espagne, in Id., Byzance et croisades,pages médiévales […], Paris 1927, pp. 57 e ss.