imperialismo
La politica di espansioni e di dominio delle grandi potenze
Per imperialismo si intende in generale l'orientamento di uno Stato a estendere il proprio dominio su Stati più deboli o su territori coloniali. Dal punto di vista dottrinale l'imperialismo poggia sull'idea che i popoli più forti abbiano il diritto di imporsi su quelli più deboli. In particolare, il termine imperialismo è divenuto corrente a partire dagli ultimi decenni del 19° secolo per indicare ‒ nel corso di quella che è stata indicata come età dell'imperialismo ‒ la tendenza delle grandi potenze a costruirsi aree di dominio inglobate nel loro sistema di potere
L'imperialismo dell'età contemporanea, che per alcuni aspetti si collega al colonialismo messo in atto dalle potenze europee fin dal 15° secolo, ha avuto come protagonisti la Gran Bretagna, la Francia, la Russia, gli Stati Uniti, la Germania, i Paesi Bassi, il Giappone, il Belgio, il Portogallo e l'Italia. La sua prima fase di sviluppo è riconducibile al periodo che si colloca tra la seconda metà dell'Ottocento e la Prima guerra mondiale e si è espressa principalmente nella politica imperialista delle potenze diretta verso paesi arretrati dell'Africa, dell'Asia e dell'America Latina. Grandi regioni di questi continenti furono colonizzate con la forza per rispondere alle esigenze strategiche e agli interessi dell'industria e della finanza di questo o quel paese europeo.
Nella seconda fase l'imperialismo ha assunto un nuovo indirizzo, che tra il 1914 e il 1945 ha visto alcuni Stati scatenare una serie di conflitti aventi lo scopo di alterare radicalmente i rapporti di forza e di creare nuove aree di dominio all'interno della stessa Europa. Ad assumere l'iniziativa negli anni Trenta del 20° secolo furono la Germania nazista, l'Impero nipponico e l'Italia fascista, che rivendicarono il diritto all'espansione dei popoli 'giovani'. Con la Seconda guerra mondiale e l'inizio della decolonizzazione si è chiusa questa fase.
Dopo di allora si è continuato a parlare di neoimperialismo e neocolonialismo per indicare genericamente e con significato polemico i rapporti per un verso tra i paesi ricchi e i paesi poveri del mondo e per l'altro il dominio o controllo stabilito da Unione Sovietica e Stati Uniti sulle loro rispettive sfere di influenza.
Tra coloro che hanno elaborato significative teorie volte a spiegare le cause e la natura dell'imperialismo contemporaneo si possono citare in particolare l'economista inglese John A. Hobson, il leader marxista russo Vladimir I. Lenin e l'economista austriaco Joseph A. Schumpeter. Nella sua opera del 1902, L'imperialismo, Hobson sostenne che il fenomeno aveva le sue prime radici nell'interesse dei paesi più sviluppati a soggiogare zone sottosviluppate, ricche di materie prime necessarie alle loro industrie, e a farvi vantaggiosi investimenti.
Questa interpretazione influenzò Lenin, il quale nel 1916 pubblicò L'imperialismo, fase suprema del capitalismo. Secondo Lenin l'imperialismo era il prodotto necessario della marcia internazionale del capitalismo; questa marcia avrebbe inevitabilmente portato alla guerra tra le potenze rivali, alla rovina della società capitalistica e infine alla rivoluzione socialista internazionale e a un mondo nuovo pacificato in quanto non più capitalistico.
Un'interpretazione opposta venne data da Schumpeter nel suo saggio del 1919 Sociologia dell'imperialismo. Secondo il grande economista austriaco, l'imperialismo non era affatto una manifestazione necessaria del capitalismo contemporaneo, bensì l'espressione di un residuo 'atavico', di una mentalità irrazionale, di un'inclinazione all'uso della violenza nei rapporti internazionali tipica delle aristocrazie tradizionali di matrice feudale permeate da un obsoleto spirito bellicistico. L'imperialismo perciò contrastava con le esigenze dell'economia moderna ed era destinato a essere superato.