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IMPRESA

di Giovanni Demaria - Enciclopedia Italiana (1933)
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IMPRESA (fr. entreprise; sp. empresa; ted. Unternehmung; ingl. enterprise)

Giovanni Demaria

La divisione del lavoro è stata oggi portata così innnanzi che solo poche persone producono da sé i beni di cui hanno bisogno. Persino nelle campagne, dove questo processo non è stato così accentuato, il contadino non è più il produttore esclusivo dei beni d'uso domestico, ma guarda al mercato come al luogo in cui venderà i beni che produce, per avere in cambio i beni di cui ha bisogno. Si è scoperto in sostanza che vale meglio essere specialisti e produrre per altri, dietro corrispettivo, che produrre esclusivamente per sé. Ma non sempre questa fu la regola della produzione, non sempre cioè esistettero imprese - ossia "serie di atti volti al soddisfacimento di bisogni altrui compiuti liberamente in attesa di un corrispettivo da parte di coloro che debbono essere soddisfatti" - le quali operassero in vista dello scambio. Nelle antiche civiltà di Grecia e di Roma, ad es., erano numerose le comunità in cui le varie produzioni erano intraprese a beneficio esclusivo dei loro membri. Così pure nella prima metà del Medioevo esistevano organizzazioni feudali in cui i servi avevano specializzate occupazioni e contribuivano tutti ai bisogni del signore e, in sottordine, a quelli proprî. Persino nei tempi moderni, non mancano esempî di società comunistiche in cui ciascun membro contribuisce la sua porzione di lavoro per la produzione del reddito ricevendone in cambio una parte. In tutti questi casi, in cui vi è produzione ma non scambî, né prezzi, né salarî per gli operai, né profitti per il capitale, non esiste impresa, ma solo un'organizzazione più o meno completa d'economia chiusa.

Per molti secoli, prima della rivoluzione industriale della fine del Settecento, la forma tipica dell'impresa fu quella delle imprese scambianti direttamente prodotti, derrate, manufatti tra la città e le regioni agricole immediatamente adiacenti. Nelle città il sistema delle corporazioni assicurò quella che fu chiamata l'organizzazione comunale della produzione (Stadtwirtschaft), la quale era in rapporti di scambio unicamente con il contado e occupava con questo un'area assai limitata. Con l'avvento della rivoluzione industriale, quest'area si allargò notevolmente. I primi passi furono naturalmente molto lenti; quasi dappertutto resistevano tipi d'organizzazione produttiva a base famigliare od organizzati corporativamente che s'opponevano alla generale introduzione delle intraprese. Ma alla fine anche questi ostacoli caddero e l'area d'operazione delle imprese divenne così vasta da abbracciare, soprattutto per le riduzioni notevolissime avvenute nel costo dei trasporti, l'intero territorio dello stato e, per alcune classi d'industrie, tutto il mondo. Questa forma odierna della produzione, la cui universalità trova riscontro solo nell'economia domestica dei popoli primitivi, può darsi che sia soltanto transitoria nello sviluppo della razza umana e che debba essere distrutta dallo sviluppo successivo di quella stessa libertà d'intrapresa da cui ebbe vita, oppure superata dall'attività statale tendente ad assicurare il pubblico benessere. È certo tuttavia che essa ora si presenta come la forma principale della civiltà moderna.

La più semplice forma d'impresa è quella individuale, in cui una sola persona controlla l'intera impresa. Essa provvede i capitali necessarî, togliendoli a prestito o con mezzi proprî. Essa impiega operai e impiegati. Essa decide cosa si deve produrre e come si dovrà fare questa produzione, si assume infine i rischi degli affari così intrapresi. Negli Stati Uniti d'America, dove pure il progresso dell'organizzazione degli affari è stato notevole, le imprese individuali permangono ancora oggi assai numerose e non vi sono ragioni gravi per arguire che esse debbano sparire tanto presto. Svantaggi certo esistono in questa forma d'organizzazione a base individuale, e tra gli altri sono da ricordare il fatto che un uomo solo non può sempre avere occhio per tutto e quello che in generale la potenza di credito degl'individui è molte volte assai limitata rispetto ai bisogni. Ciò tuttavia che le conserva vitali è la facilità grandissima che hanno tali imprese di adattarsi ai bisogni del pubblico minuto e di seguirli rapidamente quando essi cambiano. Gli svantaggi indicati e altre ragioni di per sé ovvie spiegano la fortuna avuta nel passato e conservata in parte nel presente dalle ditte sociali, in cui due o più persone uniscono le loro risorse per costituire un'impresa. In questi casi accade generalmente che una di queste persone si dedichi esclusivamente a una parte di lavoro di direzione, per es., alla direzione tecnica dell'officina, mentre le altre si dividono il lavoro restante: ad es., una sarà responsabile degli acquisti delle materie prime, l'altra delle vendite all'ingrosso, una terza delle vendite al minuto, e così via. Così si limitano in parte i difetti delle imprese singole. Accanto a questo secondo tipo d'impresa si è sviluppato negli ultimi due secoli, e con grandissimo vigore negli ultimi cinquanta anni, il tipo delle società per azioni, il quale è il più democratico fra i tipi d'intraprese. A suo favore stanno motivi d'indubbio peso (come la più grande possibilità di raccolta dei capitali, il vantaggio di poter continuare a esistere anche se i suoi promotori siano per una qualunque ragione venuti meno, la minore responsabilità dei dirigenti), i quali sembrano farlo preferire a ogni altro tipo. Ma comunque possa essere risolto questo problema dell'eccellenza del tipo d'organizzaziorie produttiva, non è esso però il tratto che rivela, dal lato economico, il momento caratteristico delle intraprese. Questo sta invece in due ordini di elementi: la figura del capo (imprenditore) e la dimensione assunta dall'impresa.

Sulle qualità che deve possedere un buon imprenditore si è insistito spesso e con ragione. La sua posizione nel mondo economico odierno è molto simile a quella del generale d'un esercito in guerra. Egli deve essere un buon giudice della situazione generale dell'economia e di quella del ramo d'attività dove intende operare, poiché dalla prima deve trarre i giudizî indispensabili per valutare la potenza economica dei suoi clienti e dalla seconda determinare l'estensione e la direzione più economica della produzione da intraprendere. Egli perciò dovrà conoscere le condizioni principali della produzione, valutare l'abilità delle manovalanze, i bisogni del momento, ecc., anche se gran parte di questo lavoro sia preparata dai tecnici e dai sorveglianti. Le invenzioni e le scoperte di nuovi mezzi di produzione o di materie prime più vantaggiose o l'apertura di nuovi mercati di sbocco costituiscono molto del segreto del successo di un'impresa, ma anche per questo non è detto che necessariamente le une e le altre debbano essere opera dell'imprenditore e non semplicemente quella d'uno dei suoi subordinati, giacché il fatto indispensabile è che esse siano applicate all'azienda: all'imprenditore andrà comunque il merito d'aver saputo trovare il suo uomo. Oltre a codeste qualità gli economisti classici vedono nell'imprenditore chi di regola provvede la maggior parte dei capitali, assume i rischi della produzione e sorveglia la mano d'opera. Certamente imprenditori di questo tipo si trovano ancora oggi, e numerosi. Ma lo sviluppo veramente straordinario delle grandi intraprese e delle società per azioni ha dato luogo a un tipo ben diverso da quello diventato tradizionale nella vita degli affari e nelle trattazioni degli economisti. Questo nuovo tipo è difficilmente capitalista nel senso che debba fornire, di suo, necessariamente la gran parte dei capitali occorrenti all'impresa. E nemmeno ha da essere in ogni caso un assuntore diretto di mano d'opera: quegl'imprenditori, ad es., i quali danno lavoro a domicilio o commerciano con l'estero, facendo fare i trasporti da altri, quasi mai impiegano, pur assumendosi certi rischi, lavoro diretto in misura notevole. E nemmeno infine ha questo nuovo tipo d'imprenditore da sopportare i rischi che potrebbero essere corsi dall'impresa, in quanto spesso una parte di questi è addossata a particolari assuntori di rischi (imprese di assicurazioni, speculatori, ecc.) e un'altra, di solito la maggiore, cade sui capitalisti che hanno fornito capitali all'impresa sotto forma di sottoscrizione di azioni e di obbligazioni e di prestiti privati, mentre la restante, che è trascurabile sotto l'aspetto sociale, si traduce nel fatto che il capo dell'impresa deve rinunziare alla direzione e spesso anche agli emolumenti concordati con i soci, quando l'impresa va male. Questo vale per quanto riguarda le funzioni adempiute. Ma v'è differenza anche sotto l'aspetto personale, in quanto spesso l'imprenditore è rappresentato da un consiglio d'amministrazione formato da direttori attivi, esperti tecnici, consiglieri legali e da alcuni grandi azionisti. È questo gruppo che decide le sorti dell'impresa e determina ciò che deve essere fatto e in che modo. Ma non sempre il suo potere è illimitato. Spesso per gli atti più importanti occorre l'assenso preventivo delle banche che hanno aperto credito all'impresa, o di quelle che s'impegnano ad aprirlo o semplicemente a curare la pubblica sottoscrizione di capitali che l'impresa ha in progetto di fare.

Tutto il lavoro dell'imprenditore, sia esso una persona fisica o un collegio di persone, si traduce in definitiva nella stima della domanda probabile del prodotto o del servizio da vendersi, e del costo probabile dei varî mezzi di produzione. Dal raffronto di queste due stime, e quando il risultato probabile dimostri un sufficiente margine, dipende l'esistenza dell'impresa. Questo miraggio di lucro non è con tutto ciò la ragione esclusiva di vita delle imprese. Anche nell'Europa occidentale e nell'America, dove la spinta edonistica è notevolissima, vi sono molte e in un certo senso lodevoli eccezioni. Accade spesso che l'imprenditore sia mosso ad agire da ideali di fratellanza e di giustizia i quali non sempre combaciano o s'accordano con lo scopo puramente utilitario proprio della maggior parte delle intraprese. Non è raro infatti vedere un industriale che, mosso dall'amore per il paese natio, v'impianti un'industria pur sapendo che altrove essa potrebbe trovarsi in condizioni più propizie di sviluppo. E neanche mancano esempî, senza far luogo a specifiche citazioni, di uomini d'affari, i quali, guidati dall'ambizione di farsi una posizione, continuino imprese non sempre in accordo con il vantaggio pecuniario. Né, infine, è innaturale il caso di forti personalità le quali, per il puro piacere del cambiamento e del rischio, per mutare l'economia nazionale, aprano industrie, dissodino terreni, stabiliscano comunicazioni senza che la legge economica del guadagno presieda a siffatte imprese. In tutti questi esempî l'impresa segue una strada che né l'economista, né il sociologo possono stabilire a priori e in via generale; né sempre si può affermare che sia quella conducente al massimo benessere sociale.

Una società che possegga abili imprenditori certamente gode, rispetto ad altre di diversa condizione, un benessere superiore. Le qualità necessarie a costituire un buon imprenditore sono tuttavia così elevate e numerose, che pochissime persone possono possederle tutte in grado apprezzabile. Ma non è detto che un grande numero d'imprenditori sia indispensabile perché la società raggiunga codesta privilegiata posizione: anche pochi spesso bastano ad assicurare buoni risultati, quando la loro influenza non si limiti solo alle loro intraprese, e alle persone che comunque possano essere legate con esse, ma serva a creare tipi d'organizzazione che altre persone meno abili potranno agevolmente copiare.

Il secondo tratto caratteristico delle imprese è costituito dalla dimensione: si distingue se l'impresa è esercitata su piccola o su larga scala. Ma la distinzione si può fare solo a grandi tratti e considerando ciascun paese separatamente.

Da diversi decennî esiste una tendenza assai accentuata a sostituire in alcune classi d'industrie grandi e grandissime imprese alle piccole. Vista storicamente questa evoluzione dell'impresa è spiegata dai seguenti fatti: anzitutto una concentrazione locale della domanda; poi la tendenza verso l'uniformità dei consumi che elimina differenze di abiti nei più varî strati sociali. Viene in seguito l'uso di macchine complicate e costose e di metodi di lavorazione moderni che permettono d'unire in un singolo stabilimento il lavoro di artigiani diversi. Infine lo spostamento della domanda dai beni prodotti dietro ordinazione ai beni già fatti, che consente d'esaminare gli oggetti prima di farne acquisto e di sceglierli. Questa tendenza non solo non è generale, ma varia a seconda delle industrie. Negli Stati Uniti d'America, ad es., la fattoria da venti a cinquanta acri di terreno sembra sostituirsi a quella da cinquecento acri in su. Ma nelle industrie dei trasporti, nelle manifatture tessili, nelle industrie lavoranti il ferro e l'acciaio, la produzione su larga scala è diventata sempre più la regola, specialmente in questi ultimi cinquant'anni. È facile notare che l'importanza di ciascuna impresa si accresce, mentre il loro numero diminuisce o resta stazionario, come, ad es., risulta dal seguente prospetto relativo alle imprese americane lavoranti il ferro e l'acciaio:

Tra i più importanti vantaggi della grande impresa, la quale non sempre significa produzione in regime di monopolio, sono quelli dati: 1. dalla possibilità d'acquistare le materie prime e i servizî di trasporto a condizioni generalmente più vantaggiose; 2. dall'uso di macchine specializzate; 3. dalla maggiore facilità d'applicazione della divisione scientifica del lavoro; 4. dall'impiego dei sottoprodotti; 5. dal mantenimento degli stabilimenti industriali nel più efficiente grado di lavorazione mediante continui esperimenti e ricerche e con l'aiuto spesso di appositi uffici di studio. Ciò che spiega la dimensione raggiunta è la ricerca del tipo avente la massima efficienza, con il quale sono possibili economie non realizzabili in altro modo. Le cosiddette combinazioni orizzontali, abbraccianti imprese dello stesso tipo, le quali vengono così a trovarsi sotto una medesima direzione, e le combinazioni verticali, unenti sotto la medesima direzione processi di produzione che prima erano condotti da imprese separate, debbono il loro sviluppo al fatto che in codesto modo si rispa mia sulle spese d'amministrazione e d'acquisto e vendita dei prodotti, e talvolta pure sui costi della lavorazione tecnica, sebbene queste ultime economie non siano di solito la causa della formazione delle combinazioni.

V'è un limite a codesta tendenza verso la concentrazione delle imprese. Limite che può dipendere dai più diversi motivi; per es., dalla densità della popolazione. In un piccolo villaggio con poche e costose relazioni con l'esterno le imprese debbono per necessità limitarsi a far fronte alla domanda locale. Lo stesso vale dove la natura della materia prima o il sistema di lavorazione rendono irregolare il processo produttivo: anche qui va meglio la piccola che la grande impresa. Parimenti si dica dove l'individualità dell'imprenditore s'imprime nel tipo del bene venduto o quando l'elasticità della domanda è limitata o anche quando è necessaria una stretta sorveglianza sulla lavorazione. In ognuno di questi casi il produttore in piccolo spesso si trova in vantaggio sui competitori lavoranti su grande scala. Egli può, ad es., risparmiare le ingenti somme spese dai grandi stabilimenti per controlli e verifiche; né gli sono con ciò preclusi molti vantaggi di questi ultimi. Ad es., egli potàb seguire gli sviluppi della tecnica industriale, adottata dalle grandi imprese, abbonandosi semplicemente alle pubblicazioni necessarie. Tutti questi limiti all'allargarsi delle imprese si traducono in ultima analisi nella legge dei compensi decrescenti, applicata nori alla parte per dir così meccanica della produzione, ma alla amministrazione degli affari: in condizioni perfette d'equilibrio la dimensione dell'impresa s'arresta a quel punto in cui un ulteriore aumento di capitale e di lavoro nell'impresa non è più compensato da un aumento proporzionale della quantità del prodotto ottenuto. La medesima legge spiega pure i limiti alla localizzazione delle imprese; le quali tendono a stabilirsi dove sono più vantaggiose le condizioni in cui l'impresa dovrà agire e più abbondanti i mezzi di produzione di cui dovrà servirsi. Quindi la natura del clima e del suolo, l'esistenza di miniere, di cave, di forze idrauliche e dì mano d'opera nelle vicinanze, la facilità ed economicità dell'accesso per via di terra e di mare e la vicinanza ai centri di consumo e ai mercati dove è facile ottenere capitali a prestito, sono tanti fattori importantissimi per stabilire e spiegare l'ubicazione delle imprese. Dalla combinazione di tutti questi varî elementi e dalla loro importanza singola risulta infatti quale sia, in un dato momento storico, il complesso economico più soddisfacente per un'impresa.

Bibl.: K. Buecher, Die Enstehung des Volkswirtschaft, Tubinga 1898; T. Veblen, The theory of business enterprise, New York 1904; A. Marshall, Principles of economics, trad. it. in Bibliot. dell'Econ., IV serie IX; M. Pantaleoni, Erotemi di Economia, Bari 1925.

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