Incesto
L'Oxford English dictionary definisce l'incesto come "rapporto carnale tra congiunti prossimi". Tale definizione, al pari di molte altre analoghe, lascia aperta la questione di quanto debbano essere prossimi i congiunti in questione perché si possa parlare di incesto. Sebbene il tabù dell'incesto ricorra in una qualche forma in tutte le società conosciute, esistono notevoli differenze per quanto riguarda le categorie di consanguinei tra i quali il matrimonio o il rapporto sessuale è classificato come incesto e soggetto a sanzioni. È noto ad esempio che i matrimoni tra fratello e sorella erano tollerati e persino incoraggiati in alcune culture come quelle dell'Egitto tolemaico e della Persia (v. Hopkins, 1980; v. De Heusch, 1958; v. Goggin e Sturtevant, 1964), e lo stesso vale per il rapporto padre-figlia in molte altre culture (v. Middleton, 1962). I rapporti sessuali tra madre e figlio, per contro, a quanto risulta non sono mai stati prescritti in nessuna società, sebbene non sempre siano stati puniti. Al di fuori di queste categorie di consanguinei, le restrizioni variano notevolmente da cultura a cultura: alcune ad esempio prescrivono il matrimonio tra cugini primi, mentre altre vietano il matrimonio tra cugini di qualunque grado (v. Huth, 1875). Nell'ambito delle scienze sociali l'interesse si è incentrato di solito sulla presunta universalità del tabù dell'incesto e sulla sua spiegazione. Questo tabù, per quanto non universale, è ampiamente diffuso, e anche in assenza di un tabù specifico le unioni incestuose sembrano costituire una percentuale minima della totalità dei rapporti sessuali. Di conseguenza sarebbe forse più corretto affermare che l'incesto è universalmente evitato, sebbene talvolta venga praticato (v. Murdock, 1949).
Come abbiamo accennato, il matrimonio tra fratello e sorella a volte è consentito, e ciò significa ovviamente che i rapporti sessuali tra di essi non sono vietati. È necessario tuttavia operare una netta distinzione tra il rapporto sessuale tra congiunti prossimi (incesto) e il matrimonio tra di essi. Quando quest'ultimo è consentito si parla di endogamia, quando è vietato di esogamia. Naturalmente può sussistere un isomorfismo tra l'esogamia - il divieto di matrimonio tra congiunti (comunque definiti) - e il tabù dell'incesto, ma ciò non è sempre vero. In molte società la proibizione riguarda solo il matrimonio tra determinate categorie di persone, non i rapporti sessuali tra di esse. Occorre tener presente inoltre che le spiegazioni dell'esogamia non valgono necessariamente per l'incesto: non sempre le ragioni del divieto di matrimonio tra congiunti prossimi costituiscono una spiegazione valida della proibizione dei rapporti sessuali tra di essi (v. Fox, 1980, cap. 1).
Uno degli argomenti addotti per spiegare il divieto relativo sia al matrimonio che ai rapporti sessuali tra consanguinei è che l'incesto è biologicamente pericoloso in quanto aumenta le probabilità di una deleteria omozigosi nella popolazione (v. Livingstone, 1969). Di conseguenza sarebbe opportuno evitare sia i rapporti sessuali sia il matrimonio tra individui strettamente imparentati sul piano genetico, in quanto entrambi darebbero luogo a una progenie con scarse probabilità di sopravvivenza e metterebbero in ultimo in pericolo la sopravvivenza dell'intera popolazione (v. Lindzey, 1967). Sebbene gli effetti negativi dell'inincrocio siano stati stabiliti con certezza (v. Seemanova, 1971; v. Gowen, 1964), questo argomento non fornisce una spiegazione valida del tabù dell'incesto in quanto non istituisce un collegamento convincente tra il possibile risultato e la motivazione umana. Non tutte le culture fondano il divieto relativo ai rapporti sessuali tra congiunti prossimi sul rischio di generare mostri che questi comportano; spesso le ragioni addotte sono di altro tipo. A ciò si può obiettare che le motivazioni non hanno importanza, dato che la selezione naturale avrà favorito quei gruppi o quegli individui che hanno escluso i rapporti incestuosi a prescindere dalle razionalizzazioni esplicite. In molti gruppi umani, inoltre, l'esempio dell'accoppiamento degli animali avrebbe dovuto condurre a conclusioni opposte, ossia che l'inincrocio dà risultati positivi. Ad ogni modo non si può affermare con certezza che la prevenzione delle conseguenze dell'incesto dannose sul piano genetico costituisca la base biologica - comunque questa venga poi tradotta nel comportamento umano - del relativo tabù.Un'altra spiegazione riguarda la base biologica della stessa riproduzione sessuata. Le origini di quest'ultima nel processo dell'evoluzione andrebbero ricercate in un qualche vantaggio adattativo che essa presenta rispetto alla riproduzione asessuata, la quale in apparenza preserva in modo più efficace le mutazioni favorevoli (v. Williams, 1975). L'unico vantaggio certo della riproduzione sessuata è che essa produce un più alto livello di variazione genetica, la quale può risultare vantaggiosa in un ambiente mutevole. Se lo scopo principale della riproduzione sessuata è la variazione, dovremmo supporre una tendenza evoluzionistica all'esoincrocio, dato che l'inincrocio riduce sistematicamente tale variazione (v. Bischof, 1975). Solo nei casi in cui l'ambiente resta stabile sarebbe logico aspettarsi un inincrocio sistematico tra gli organismi che si riproducono sessualmente (v. Hamilton, 1967). Ciò non significa peraltro che tutte le specie evitino in assoluto l'accoppiamento incestuoso, ma solo che l'incidenza di quest'ultimo resta al di sotto della soglia che determinerebbe un pericoloso livello di inincrocio e una conseguente riduzione della variazione genetica.
Il sensibile calo del coefficiente di correlazione genetica man mano che diminuisce il grado di consanguineità (0,50 per i fratelli germani, 0,25 per zii e nipoti, 0,125 per i cugini di primo grado e 0,0625 per i cugini di secondo grado) significa che nonostante un lieve aumento della probabilità di omozigosi, l'incrocio tra cugini può essere praticato senza esiti deleteri e senza aumentare l'incidenza dell'inincrocio oltre il livello di tollerabilità (v. Bodmer e Cavalli-Sforza, 1976). Alcuni studi su popolazioni animali e vegetali hanno dimostrato che viene evitato l'incrocio su vasta scala tra individui strettamente imparentati, mentre spesso viene preferito quello tra cugini. Quest'ultimo in effetti massimizza i benefici derivanti da una concentrazione di geni correlati e riduce nel contempo i pericoli dell'incrocio tra individui con un coefficiente troppo elevato di correlazione genetica, risolvendo quindi perfettamente il problema posto in prima istanza dalla riproduzione sessuata (v. Bateson, 1983).
In base alla spiegazione presentata alla fine del capitolo precedente sarebbe logico aspettarsi di riscontrare negli esseri umani la tendenza a evitare l'incesto su vasta scala e a preferire in generale il matrimonio tra cugini. Considerando la storia umana nel suo complesso, prima dell'esplosione demografica dell'età moderna questo è stato invero il modello dominante. Nelle comunità di dimensioni ridotte non vi sarebbero state alternative al matrimonio tra cugini, anche se le regole matrimoniali non lo prescrivevano esplicitamente. Nelle società europee in effetti la Chiesa proibiva i matrimoni tra cugini di primo e di secondo grado, e i divieti spesso erano ulteriormente estesi. Nelle piccole comunità però ciò avrebbe significato che gli unici partners disponibili rientravano in ogni caso nell'ambito dei cugini di terzo grado. Il fenomeno del cosiddetto 'collasso dell'albero genealogico' è dato dal fatto che nel corso della storia ha prevalso e continua a prevalere l'unione tra individui legati da un qualche grado di parentela (v. Shoumatoff, 1985). A questo punto sembrerebbe che non resti altro da dire sul tabù dell'incesto tra gli esseri umani: essi evitano l'incesto e si accoppiano tra cugini come la maggior parte degli altri organismi che si riproducono sessualmente. Questa tesi tuttavia non spiega gli specifici meccanismi immediati in virtù dei quali viene evitato l'incrocio tra congiunti prossimi. Se è vero che tutte le specie evitano in generale questo tipo di inincrocio, ognuna di esse si differenzia per quanto riguarda le motivazioni che determinano tale comportamento.
Uno dei meccanismi di evitazione più semplici è la dispersione, per cui i giovani individui giunti alla maturità sessuale o ancora prima vengono espulsi dal gruppo d'origine o lo abbandonano spontaneamente. Ciò non richiede una motivazione specifica per l'evitazione, poiché in questo caso è improbabile che gli individui geneticamente imparentati abbiano occasione di incontrarsi e di accoppiarsi tra loro. Un effetto analogo ha la competizione dei maschi associata agli harem, frequente tra gli ungulati e i mammiferi marini. In questo caso infatti solo il maschio vincente può accoppiarsi, e ciò riduce le probabilità di inincrocio (v. Bischof, 1975). I problemi sorgono allorché, come accade per gli esseri umani, gli individui sessualmente maturi restano nel gruppo, perché ciò aumenta le possibilità di accoppiamento tra consanguinei. Per lungo tempo, tuttavia, nella storia dell'uomo l'incidenza dell'incesto rimase con tutta probabilità assai bassa a causa della pubertà ritardata, della breve durata della vita, dell'alta mortalità infantile, del notevole intervallo tra le nascite e della rilevante differenza dell'età al matrimonio tra uomini e donne (queste di solito si sposavano in età puberale: v. Slater, 1959). Con le trasformazioni determinate dalla rivoluzione neolitica aumentarono le opportunità di unioni incestuose, ma ben poche comunità scelsero di istituzionalizzarle nella forma di matrimoni incestuosi.
Sino a tempi recenti la sociologia, la scienza del comportamento e la filosofia partivano dal presupposto che il tabù pressoché universale dell'incesto costituisse un intervento specificamente umano in uno stato naturale caratterizzato altrimenti dalla promiscuità e dall'incesto (v. tra gli altri Lévi-Strauss, 1949). Come abbiamo visto però la situazione in natura è esattamente l'opposto di quella che si pensava: l'accoppiamento incestuoso viene generalmente evitato. Nel caso degli esseri umani allora non è l'incesto, bensì il relativo tabù a costituire un'intrusione della cultura nella natura, e ciò semplicemente perché solo l'uomo possiede il linguaggio e l'autocoscienza, e di conseguenza è in grado di imporre sanzioni esplicite contro determinati comportamenti. Analogamente, il tabù universale dell'omicidio è diverso dalla ritualizzazione dell'aggressione contro i conspecifici che si riscontra negli altri animali. Resta da spiegare perché, anche quando le opportunità e la situazione demografica lo consentono, gli esseri umani continuano a evitare l'incesto salvo rare eccezioni. Una tesi plausibile al riguardo è che siano proprio i casi sporadici in cui i matrimoni incestuosi sono prescritti a costituire un'intrusione della cultura nella natura, la quale altrimenti avversa l'incrocio tra individui strettamente imparentati (v. Arens, 1986).
Il fatto che spesso si sia partiti dal presupposto che l'essenza del problema sia il divieto di contrarre matrimoni incestuosi ha creato una notevole confusione. Le spiegazioni dell'incesto basate sui vantaggi derivanti dal divieto di contrarre matrimonio tra consanguinei stretti non ci dicono necessariamente quali sono le motivazioni che spingono gli individui a comportarsi in questo modo. Tali spiegazioni, per quanto numerose e diversificate, si basano tutte sui vantaggi comportati dall'esogamia per i gruppi umani (riduzione del conflitto all'interno della famiglia, istituzione di più ampi legami sociali, promozione di una solidarietà organica), oppure sugli effetti negativi dell'endogamia (confusione dei rapporti familiari, mancata riuscita del processo di socializzazione, ecc.). Tutti questi argomenti possono essere validi (sebbene alcuni risultino contraddittori), ma non sono sufficienti a chiarire perché gli esseri umani evitino le unioni incestuose senza l'ausilio di ulteriori argomenti (v. Fox, 1967, cap. 2). Si potrebbe sostenere ad esempio che gli esseri umani sono consapevoli dei vantaggi dell'esogamia (o delle conseguenze negative dell'endogamia) e per questo motivo proibiscono le unioni incestuose. Molti soggetti in effetti adducono spiegazioni analoghe a quelle proposte dagli osservatori, sostenendo ad esempio che nessuno vorrebbe sposare la propria sorella in quanto ciò lo priverebbe di un cognato, e così via. Ciò però non escluderebbe necessariamente i rapporti sessuali tra fratelli e sorelle. Il caso rappresentativo sarebbe quello in cui tali rapporti fossero ammessi, perché ciò consentirebbe di verificare se gli individui sceglierebbero volontariamente i propri fratelli o sorelle come partners sessuali. Ma anche nei casi in cui i rapporti sessuali con la propria sorella (o madre o figlia) non infrangerebbero le regole esogamiche (come ad esempio nelle società in cui vige il prestito delle mogli) ciò non sembra verificarsi. Appare quindi legittimo postulare un meccanismo o una motivazione più immediati di evitazione dell'incesto, indipendentemente dai vantaggi sociali derivanti dai matrimoni esogamici.
Due teorie sull'incesto hanno dominato le scienze sociali occidentali. Una terza teoria, secondo la quale esisterebbe un'avversione innata, un vero e proprio istinto anti-incesto, è stata abbandonata in quanto presuppone un sistema di identificazione sicura della correlazione genetica che a quanto risulta la specie umana non possiede. Molte specie in effetti agiscono non in base a un riconoscimento certo, ma seguendo regole empiriche del tipo 'gli individui con i quali sono cresciuto sono probabilmente imparentati', oppure 'individui che hanno lo stesso odore hanno un qualche legame di parentela', ecc. Se si abbandona la teoria dell'istinto, restano le ipotesi basate sulle interazioni nel corso della socializzazione. Le due principali teorie sugli effetti di tali interazioni appaiono diametralmente opposte. Sigmund Freud sostenne che i genitori e in seconda istanza i fratelli costituiscono i primi 'oggetti d'amore' e suscitano un forte desiderio sessuale che verrebbe però 'represso' quando si raggiunge la fase genitale e si sviluppa il Super-Io (v. Freud, 1916-1917). Per spiegare come mai, se si nutrono tali potenti desideri, non ci si limita ad assecondarli, Freud formulò un'ipotesi filogenetica secondo la quale un gruppo di fratelli parricidi avrebbe 'rinunziato' alle madri e alle sorelle per il senso di colpa sorto dopo l'uccisione del padre (v. Freud, 1912-1913). Questa ipotesi filogenetica di Freud è stata accantonata, mentre viene generalmente accettata la tesi secondo la quale se non esistesse un potente desiderio di commettere incesto, non si spiegherebbero le severe sanzioni contro di esso.
Opposta a questa tesi è quella di Edward Westermarck, il quale osservò che gli individui allevati in stretto contatto non sviluppano un forte desiderio sessuale reciproco (v. Westermarck, 1926). Per scoraggiare negli altri un comportamento che disapprovano, essi avrebbero stabilito delle sanzioni contro l'incesto. Freud, James Frazer e Claude Lévi-Strauss, tra gli altri, insistevano sul fatto che le rigide proibizioni relative all'incesto indicano un intenso desiderio nei confronti di esso: non avremmo motivo di proibire un comportamento al quale saremmo in ogni caso alieni, limitandoci a non praticarlo. È difficile risolvere la questione in termini di sanzioni, in quanto non sempre abbiamo un'idea precisa di ciò che induce l'uomo a imporle. Entrambe le teorie menzionate sono plausibili, ma sarebbe meglio considerare le conferme empiriche dell'esistenza di meccanismi di evitazione.
Una serie di osservazioni e di esperimenti condotti sugli animali, in particolare sulle grandi scimmie strettamente imparentate con l'uomo, indicano che tali meccanismi possono effettivamente esistere. In particolare i fratelli che sono stati allevati in stretto contatto sembra siano restii ad accoppiarsi tra di loro. L'accoppiamento madre-figlio sembra essere molto raro tra gli animali, in particolar modo tra i primati, mentre l'accoppiamento padre-figlia ricorre con una certa frequenza (v. Pusey, 1980; v. Sade, 1968). Ciò è vero per molte specie, e come attestano i dati a nostra disposizione anche per quella umana. I fatti sono compatibili con entrambe le teorie. Freud sosterrebbe che i tabù sono indirizzati principalmente al giovane maschio, il quale per effetto del potere paterno e del senso di colpa ereditario eviterebbe il rapporto sessuale con la madre e con le sorelle, mentre in veste di 'padre' avrebbe meno scrupoli (Freud comunque minimizzava l'incidenza dell'incesto tra padre e figlia, considerandolo frutto delle fantasie dei pazienti). I fatti confermerebbero anche l'ipotesi di Westermarck: madre e figlio sono sempre in stretto contatto attraverso l'allattamento; fratelli e sorelle vengono socializzati insieme, ma con un grado di vicinanza variabile; i membri della famiglia che hanno meno contatti tra loro sono il padre e le figlie.Nel tentativo di conciliare le due teorie, Fox (v., 1962 e 1980) ha proposto di riferirle a due processi di socializzazione differenti. Fratelli e sorelle, ad esempio, possono crescere con gradi diversi di intimità, a volte in stretto contatto fisico, a volte molto vicini ma senza contatti intimi. Se si assume che il contatto fisico sia un elemento essenziale perché si sviluppi l'avversione al rapporto sessuale, nel primo caso tale avversione si manifesterà. Nel secondo caso invece (il modello freudiano) i fratelli dell'altro sesso nel periodo della pubertà diventeranno oggetto di desiderio sessuale. Almeno per quanto riguarda fratelli e sorelle, quindi, le due teorie sembrano conciliabili. Come dimostrano gli studi etnografici, vi è una sorta di continuum che va da una interazione totale nell'infanzia, la quale in età puberale ingenera un'avversione al rapporto sessuale tra individui cosocializzati, a una situazione di completa separazione che determina invece lo sviluppo di un intenso desiderio sessuale, come attestano sogni, miti, comportamenti proiettivi, ecc.
Due casi particolarmente significativi sono quello dei kibbutzim israeliani (v. Shepher, 1983), in cui i bambini cresciuti in stretto contatto fisico prima dei sei anni rifiutano di sposarsi tra loro anche quando i genitori incoraggiano l'unione, e quello di Taiwan, dove le fanciulle vengono adottate dalle famiglie come future spose per i figli e allevate assieme a essi: questi matrimoni in generale sono un fallimento, e vengono consumati con grande riluttanza (v. Wolf e Huang, 1980). (Nel caso del kibbutz non tutti i bambini sono fratelli, ma i fratelli biologici vengono allevati anch'essi in stretto contatto tra loro, e il risultato sarà l'evitazione dell'incesto. Si vedano comunque le critiche rivolte ai metodi di Shepher in Hartung, 1985)
La questione posta da Freud, Frazer e Lévi-Strauss - se gli individui di fatto non desiderano avere rapporti sessuali con i propri consanguinei, perché puniscono coloro che nutrono tale desiderio? - continua a essere sollevata. La soluzione di questa apparente incongruenza però è data dalla teoria di Westermarck: spesso imponiamo sanzioni contro comportamenti ai quali non desideriamo indulgere proprio per la ripugnanza che ci ispirano. Se un comportamento suscita realmente la nostra avversione, non simpatizziamo con chi, per qualunque ragione, desidera praticarlo e di conseguenza lo vietiamo. Vi sarà sempre una minoranza di 'diversi' che di solito viene perseguitata dalla maggioranza. Ciò vale anche per l'incesto: esso è tabù proprio perché la maggioranza di noi non desidera praticarlo. Questa sarebbe la risposta di Westermarck.
La versione moderna della teoria di Westermarck elaborata da Fox può essere sintetizzata enunciando la seguente legge generale: l'intensità dell'attrazione eterosessuale tra bambini co-socializzati dopo la pubertà è inversamente proporzionale all'intensità dell'interazione fisica tra di essi in età prepuberale.Ancora non si sa che cosa produca l'effetto di avversione. Shepher parla di un 'imprinting negativo', Fox di 'condizionamento all'avversione', ma nessuna di queste proposte risulta del tutto soddisfacente, né spiega l'evitazione dell'incesto tra genitori e figli.
L'incesto tra madre e figlio e quello tra padre e figlia sono profondamente diversi. Il primo è estremamente raro, mentre il secondo sembra ricorrere con una certa frequenza nella maggior parte delle società. Facendo riferimento ancora una volta alla situazione demografica prevalente prima dello sviluppo della medicina e dell'igiene, quando la speranza di vita era breve e la pubertà ritardata, si può vedere come le possibilità per ognuno dei due tipi di incesto siano abbastanza diversificate da determinare tendenze distinte. Quando i figli raggiungono la maturità sessuale, le madri sono prossime alla morte, mentre i padri avrebbero almeno un'opportunità di commettere incesto con le figlie maggiori. Non avrebbe senso dal punto di vista riproduttivo che i figli si accoppino con femmine al termine dell'età feconda, mentre ovviamente ciò non vale per i maschi che conservano la capacità riproduttiva per tutta la vita.
A parte le opportunità, occorre considerare l'ulteriore elemento del potere. Come ha messo in evidenza Freud, le femmine in genere subiscono il dominio dei maschi più anziani, in particolare le madri e le sorelle quello del padre. Il giovane maschio di conseguenza si trova in una posizione sfavorevole per realizzare i propri eventuali desideri incestuosi. Si tratta probabilmente di una situazione di antica data nell'evoluzione dell'uomo, in quanto la specie umana è caratterizzata da un modello di accoppiamento competitivo, in cui è necessario che i due partners restino assieme per un tempo piuttosto lungo per mettere la prole in condizione di sopravvivere autonomamente. Si tratta di un modello diffuso tra i primati più affini alla nostra specie, e probabilmente caratterizzava i nostri antenati ominidi. Si è sostenuto in effetti che la rapida evoluzione degli Ominidi, e in particolar modo della loro neocorteccia, non avrebbe potuto verificarsi senza un sistema gerarchico di accoppiamento (v. Chance, 1962).
Tale sistema richiedeva non solo che il potere riproduttivo fosse monopolio dei maschi più anziani, ma anche che quelli più giovani sviluppassero dei metodi di inibizione delle pulsioni sessuali e aggressive. In particolare, con l'acquisizione della locomozione bipede e con l'uso delle prime armi, la lotta indiscriminata per le femmine avrebbe avuto esiti disastrosi per la specie. Lo sviluppo della neocorteccia fornì proprio questo meccanismo, in quanto essa è in grado sia di inibire le funzioni controllate dal sistema limbico (sesso, fame, aggressività, rabbia), sia di selezionare il comportamento più appropriato (pianificazione e previsione). Se tale ipotesi è corretta, frutto di questi sviluppi fu un essere fortemente motivato dalle pulsioni arcaiche, ma provvisto di un meccanismo in grado di inibirle e di incanalarle in comportamenti socialmente appropriati, ossia non letali (v. Fox, 1980, capp. 5 e 6).
Applicando questo discorso all'incesto, si avrebbe una situazione in cui i maschi più anziani (i 'padri') sono motivati a monopolizzare le femmine ai fini riproduttivi, mentre quelli più giovani (i 'figli'), analogamente motivati, inibiscono e reindirizzano le loro pulsioni. Così quando un 'figlio' giunge alla pubertà, ha alle spalle una lunga storia di inibizione della pulsione sessuale nei confronti della 'madre' e della 'sorella', e di conseguenza è improbabile che cerchi di avere rapporti sessuali con esse. Nel caso del rapporto padre-figlia non esistono analoghe inibizioni dirette, quantunque il padre sia soggetto a forti restrizioni inibitorie del proprio comportamento poiché la figlia è destinata a diventare moglie di un altro uomo, un potenziale alleato.
Ci si è chiesti spesso perché in queste circostanze le donne non prendano l'iniziativa di un rapporto incestuoso - in particolare la madre con i figli. Una risposta, contenuta in quanto detto in precedenza, è che esse di solito sono soggette al dominio e al controllo da parte dei maschi più potenti. Occorre tener presente inoltre che attraverso l'allattamento e il processo di socializzazione le madri hanno un rapporto particolare con i figli. Per quanto i meccanismi restino sconosciuti, ciò potrebbe senza dubbio condizionare le loro motivazioni rispetto al rapporto sessuale con i figli adulti e viceversa (v. Count, 1967). Quel che è certo è che anche in situazioni in cui esse potrebbero realizzare i propri desideri incestuosi, non sembra lo facciano se non in casi sporadici.
Nessuno dei meccanismi di evitazione dell'incesto menzionati in precedenza è sicuro al cento per cento. Come accade nel mondo animale, anche nel caso dell'uomo essi possono non funzionare. Solo recentemente si è cominciato ad avere un'idea della reale incidenza dei rapporti incestuosi, e ancora adesso è difficile avere dati precisi in quanto la maggior parte dei casi probabilmente sfugge alle rilevazioni. Tuttavia, conformemente alle conclusioni cui giungerebbe la teoria discussa in precedenza, l'incesto tra padre e figlia risulta essere il più frequente, e stando ai dati raggiunge livelli piuttosto elevati (v. Hermann, 1981). Si tratta della diade più vulnerabile in quanto i meccanismi di evitazione automatica o di inibizione innata in questo caso sono assai deboli. In molti dei casi documentati, la madre è assente o inadeguata, e la figlia prende il suo posto, a volte senza provare alcun senso di colpa se non quello successivamente indotto dalla scoperta del suo comportamento da parte degli altri e dal conseguente ostracismo sociale (v. Weinberg, 1955). In altri casi il padre approfitta apertamente della figlia e la madre ha paura di intervenire. Come qualunque altro meccanismo, anche quelli di evitazione dell'incesto sono soggetti a variazioni. La maggioranza degli uomini possiede meccanismi inibitori intatti e funzionanti, ed è quindi in grado di apprezzare gli aspetti positivi di un rapporto d'amore non sessuale. Altri invece - e si tratta di una minoranza piuttosto cospicua - sono privi di forti meccanismi di controllo, e ciò vale in particolar modo per le persone affette da alcolismo. L'alcolismo in effetti può essere ricondotto a cause genetiche e potrebbe comportare una specifica debolezza della capacità inibitoria nella neocorteccia. I maschi affetti da alcolismo avranno una ridotta capacità di controllare i propri impulsi se eccitati sessualmente dai propri figli, o da altri bambini. In ogni caso l'incesto resta un fenomeno ristretto a una minoranza, mentre la maggioranza degli individui di entrambi i sessi continua, in assenza di una coercizione diretta, a evitare i rapporti sessuali con i propri stretti consanguinei.
L'evitazione dell'incesto nella specie umana trova una rispondenza diretta nel mondo animale e rientra in uno schema generale di evitazione comune ai mammiferi e agli organismi che si riproducono sessualmente. I suoi meccanismi specifici tuttavia possono essere ricondotti alle peculiarità dell'evoluzione degli Ominidi, in particolare allo sviluppo delle capacità inibitorie della neocorteccia, evoluzione derivata a sua volta dalla necessità di controllare la sessualità e l'aggressività. L'attuale Homo sapiens, quindi, è dotato in modo innato non già di un 'istinto anti-incesto', bensì dei mezzi necessari a sviluppare mediante la socializzazione un insieme di comportamenti inibitori. Tali mezzi non sono infallibili e non escludono il verificarsi di unioni incestuose, soprattutto tra padre e figlia; queste rappresentano comunque una esigua minoranza nella totalità dei rapporti. Va infine detto che mentre in alcuni paesi (ad esempio la Svezia) si registra la tendenza ad assumere un atteggiamento più tollerante nei confronti di eventuali unioni incestuose (perlomeno tra fratello e sorella), la maggior parte del mondo moderno continua a rispettare gli espliciti tabù giuridici e sociali di cui si serve la coscienza umana per rafforzare le tendenze naturali.
(V. anche Matrimonio; Parentela; Struttura sociale; Tabù).
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