INCISIONE (XVIII, p. 970)
A simiglianza di quel che avvenne in Francia nella seconda metà dell'800, la recente rinascita della grafica originale. in Italia e altrove, è opera, più che degli incisori veri e proprî, dei cosiddetti pittori-incisori, il cui contributo è strettamente legato alle esperienze contemporanee nel campo delle arti maggiori. D'altra parte, il fatto che quasi tutte le personalità più notevoli nella pittura e nella scultura degli ultimi anni si sono dedicate, in modo saltuario o, più spesso invece, con costante attenzione, all'incisione originale è la prova più evidente dell'importanza di codesto recente movimento di rinascita. La fioritura del libro figurato, dovuta soprattutto all'impulso datole fin dal principio del secolo dal mercante d'arte ed editore francese Ambroise Vollard, ha favorito molto tale ripresa (si ricordano, del Vollard, gli interessanti Souvenirs d'un marchand de tableaux, Parigi 1937).
Beninteso le incisioni che accompagnano via via le pagine, mentre si legano alle sobrie architetture dei caratteri tipografici, serbano una loro impronta schiettamente allusiva senza mai cadere nell'illustrazione vera e propria e rendono l'essenza del testo letterario per analogia e quindi in una maniera ben altrimenti precisa ed efficace.
ln Italia (cfr. L. Vitali, L'incisione italiana moderna, Milano 1934) fra i pittori nuovi che hanno contribuito, sia pure in modo diverso, alla rinascita dell'incisione originale, Giorgio Morandi sta decisamente in prima linea con il gruppo delle sue acqueforti, datate dal 1912 ad oggi ed assommanti ormai ad oltre una ottantina di lastre (cfr. Catalogo della mostra allestita dalla Calcografia nazionale, a cura e con introduzione di C. A. Petrucci). Esse traducono, talvolta in modo addirittura testuale, i motivi dei dipinti, paesaggi e nature morte di bottiglie, di fiori, di frutti; e li traducono con una grafia che si allontana dalla tradizionale dell'acquaforte a segno autonomo e sciolto per avvicinarsi invece a quella del bulino. In altri termini, anziché del segno, si può parlare di famiglie di segni sottili e rettilinei nei loro incroci regolari, con una perfezione d'effetti tonali e un'estrema delicatezza di grigi argentei e di bianchi modulati in modo veramente mirabile. In quest'ordine metodico, dove nulla appare affidato al caso e alla fortuna della morsura, ma tutto è lucidamente pensato e previsto, il mondo di Morandi, ristretto in apparenza, si traduce con espressioni veramente poetiche di una pudica intimità.
Piuttosto duro è il linguaggio grafico di Carlo Carrà quale appare specie nel gruppo delle acqueforti incise fra il 1922 e il 1923, e quindi da riallacciare alle pitture neorealistiche che seguirono da presso le ermetiche figurazioni del periodo metafisico. Tale crudezza di mestiere riesce tuttavia a rendere con schematiche indicazioni la serie dei paesaggi marini o, con maggiore elaborazione, le figure stupefatte o espressionisticamente grottesche di quel medesimo periodo. Nelle litografie, e soprattutto in quelle del 1927, Carrà, pur non abbandonando le sue composizioni architettonicamente studiate, rientra nella tradizione tonale lombarda. Le acqueforti e le puntesecche di Achille Lega (morto nel 1934) e di Ottone Rosai risentono dell'arte di Carrà e non solamente per i modi grafici, che hanno influenzato, seppure in minor misura, anche le gentili acqueforti di Alberto Vitali.
Al gruppo del "Selvaggio" appartenne insieme a tutti i pittori già nominati Mino Maccari, artista dalle espressioni composite, ora schiettamente realistiche, ora fantastiche e satiriche, a proposito delle quali si potrebbero ricordare i nomi di James Ensor e di Giorgio Grosz. Il Maccari ha una produzione abbondante nelle tecniche più diverse, bulino, acquaforte, xilografia, incisione su linoleum; la sua opera grafica, dal sapore insolito nella tradizione italiana, fustiga mediocrità, ipocrisie, vizî della società attuale, ma supera tuttavia il pretesto moralistico dal quale prende lo spunto.
Al medesimo gruppo del "Selvaggio", oltre ad A. Soffici e Pio Semeghini, incisori aristocratici nei pochi fogli che ripetono le loro composizioni pittoriche, appartenne per breve tempo anche Luigi Bartolini, acquafortista che ha preso l'avvio dagli esempî seicenteschi (specie di Rembrandt e di Benedetto Castiglione); artista fecondo, talvolta disuguale, vissuto appartato, egli ha alternato espressioni minuziosamente ed amorosamente obiettive, specie nel primo tempo, ad altre dal segno rapido, largo, nervoso, nelle quali prevalgono un impeto sensuale e un sentimento lirico del dato naturale. Alcune delle acqueforti del Bartolini, tecnicamente impeccabili, rimangono ancora oggi fra le più compiute espressioni della grafica italiana contemporanea.
L'acquaforte e la puntasecca hanno attratto anche altri pittori e scultori delle nuove tendenze: Umberto Boccioni (m. 1916) nel suo periodo prefuturista, e poi Felice Casorati, Achille Funi, Giacomo Manzù, illustratore delle Georgiche (Milano 1948), Arnoldo Ciarrocchi, Alberto Viviani. La produzione molto abbondante di Anselmo Bucci è invece legata nel suo complesso ai modi dei primi anni del secolo, mentre le lastre di Cino Bozzetti rivelano un gusto amorosamente descrittivo del paesaggio piemontese.
La litografia, negletta durante l'Ottocento, ha conosciuto in Italia una recente fortuna, dovuta probabilmente alle apparenti minori difficoltà tecniche, ma non è detto che questi ultimi suoi cultori abbiano sempre intuito tutta la varietà del linguaggio grafico che essa offriva: per esempio i paesaggi di Arturo Tosi, oltre una cinquantina, serbano un carattere di schizzo improvviso e non meditato e la grafia dei fogli di Filippo de Pisis, specie nelle Sei litografie (Venezia 1943) e nelle diciassette tavole per i Carmi di Catullo (Milano 1945), ha il medesimo andamento sciolto ed elegante della pennellata nei dipinti. Anche le litografie di Massimo Campigli, ben studiate nelle loro architetture di figure di un sapore archeologicamente raffinato - trenta lastre per Il Milione di Marco Polo (Milano 1942) e dodici per le Liriche di Saffo (Venezia 1945) - sono tenute in gamme chiare ed argentee, senza toccare neri profondi e vellutati; una maggiore elaborazione della lastra si nota semmai in alcuni fogli recenti di Marino Marini, mentre la serie di Arturo Martini (m. 1947) per Il viaggio d'Europa 1942) ha una concisione addirittura emblematica, che vale soprattutto per il perfetto legame con la tipografia che essa accompagna. Giorgio de Chirico, oltre ad alcune acqueforti, ha inciso durante il suo soggiorno parigino il meglio delle sue litografie, le cinquanta tavole ricche di fantasia decorativa ispirate dai Calligrammes di Apollinaire (Parigi 1930) e sei fogli a colori di archeologi e gladiatori (Parigi 1930): le lastre più recenti - la serie per l'Apocalisse (Milano 1941) e quella di dieci Cavalli (Roma 1948) - coincidono con il ritorno ad espressioni non soltanto ortodosse, ma mediocremente accademiche. Si sono dedicati alla litografia in modo occasionale anche Tullio Garbari (m. 1931), Gino Severini, Mario Sironi, Adolfo Wildt (m. 1931) e, fra gli artisti dell'ultima generazione, Fabrizio Clerici.
La rinascita recente dell'acquaforte e della litografia contrasta con le sorti della xilografia; l'esserle mancato il contributo rinnovatore dei pittori-incisori ha fatto sì che anche la produzione ultima non si staccasse dalla mediocrità del mestiere.
In Francia, dopo Gauguin, Odilon Redon, Toulouse-Lautrec, quasi tutti gli artisti della scuola di Parigi si sono dedicati all'incisione, dai Nabis e dai fauves ai cubisti ed ai surrealisti; ma, come s'è detto, è probabile che senza l'intelligente incitamento di Vollard i risultati non sarebbero stati così eccellenti per qualità e così notevoli per mole. Basti dire che per quest'editore lavorarono dall'inizio del secolo al 1939, anno della sua morte, scultori come August Rodin (che ha lasciato peraltro tutta una serie di acqueforti e puntesecche isolate) e Aristide Maillol, via via acquafortista, litografo e xilografo, pittori come Pierre Bonnard (le squisite litografie per Parallèlement di Verlaine, Parigi 1900, e per Daphnis et Chloé, Parigi 1902, rimangono il suo capolavoro grafico), Maurice Denis, Pierre Laprade, Émile Bernard, Raoul Dufy, tutto brio nel rapido segno elegante, e soprattutto Pablo Picasso, Georges Rouault e Marc Chagall.
L'opera grafica di Picasso era costituita nel 1931 da 257 numeri, eseguiti in tutte le tecniche, ma specie all'acquaforte e alla puntasecca; da allora ad oggi essa si è grandemente arricchita ed è destinata certo ad accrescersi ancora. Ma le serie, sulle quali fin d'ora riposa la fama del maestro, sono le acqueforti dei Saltimbanchi (1904-5, contemporanee dei dipinti del periodo rosa), del Saint-Matorel (Parigi 1910) e Le Siège de Jérusalem (Parigi 1914) del periodo cubista per i testi di Max Jacob, del Chefd'oeuvre inconnu (Parigi 1931), delle Métamorphoses (Losanna 1931) e di Lysistrata (New York 1934), condotte a solo contorno con il segno puro tipico del periodo neoclassico, ed infine le acquetinte della Histoire naturelle (Parigi 1942). La grande, elaboratissima lastra della Minotauromachia (1935) e soprattutto le due intitolate Sogni e Menzogne di Franco (1937) si riallacciano strettamente al dipinto di Guernica, mentre altre del medesimo tempo, destinate ad accompagnare testi poetici di Paul Éluard, preannunziano, per la caratteristica fusione di calligrafia e di segno, la estrema fase surrealista. Di non minore importanza è il contributo di Georges Rouault; egli ha ritrovato nelle litografie i tragici passaggi dai neri più intensi ai bianchi assoluti cari a Daumier ed a Odilon Redon, mentre nelle acqueforti e nelle acquetinte, chiuse entro grossi contorni come vetrate nei piombi e spesso stampate a colori (Miserere et guerre, del 1916-27; Les Réincarnations du Père Ubu, Parigi 1932; Le Cirque de l'Étoile filante, Parigi 1938; Passion, Parigi 1939), egli si è valso di un nutivo processo, partendo dalla fotoincisione meccanica da dipinti o da tempere e rielaborandola poi con il mezzo tradizionale. Ultimo degl'incisori di Vollard, Marc Chagall, suscitatore di favolose immagini, ha inciso all'acquaforte centinaia di lastre, ma soltanto quando saranno pubblicate le serie finora inedite delle Anime morte di Gogol′ (1923-27), delle Favole di La Fontaine (1927-31) e soprattutto della Bibbia (1931-39), alle quali per intensità di pathos non disdice il ricordo di Rembrandt, si potrà intendere la sua importanza nella storia della grafica contemporanea.
Henri Matisse è passato dalle acqueforti e litografie con nudi femminili e figure di ballerine, incise nel periodo di mezzo, ad espressioni sempre più abbreviate, ridotte a puro arabesco decorativo, come risulta dalle lastre per le Poésies di Mallarmé (Losanna 1932), in perfetta concordanza con l'evoluzione dell'opera pittorica. E ancora avrebbero diritto ad un cenno non affrettato le incisioni dei cubisti Georges Braque anzitutto e Jacques Villon, Albert Gleizes, Juan Gris, Robert Delaunay, Roger de la Fresnaye; dei fauves André Derain, Maurice de Vlaminck, Kees van Dongen; dei postcubisti come Fernand Léger; degli astrattisti Hans Arp, Vasilij Kandinskij russo, Juan Miró spagnolo, Paul Klee e Alberto Giacometti svizzeri; dei surrealisti come Salvador Dalí, André Masson, Yves Tanguy, Pierre Roy; dei postpicassiani André Fougeron, Léon Gischia, Édouard Pignon; dei pittori Édouard Vuillard, litografo nei Paysages et intérieurs dal gusto tipicamente nabi, Jules Pascin, Maurice Utrillo e André Dunoyer de Segonzac, acquafortista elegante e raffinato, fedele alla grande tradizione, Luc-Albert Moreau; degli scultori Charles Despiau ed infine degli illustratori J.-G. Daragnès, Dignimont, Louise Hervieu, Touchagues, Émile Laboureur e D. Galanis; i due ultimi hanno cercato di rinnovare rispettivamente le tecniche del bulino e del legno.
Fuori di Francia, le esperienze più vive e più valide esteticamente, sono venute, in mezzo a una produzione abbondantissima e in apparenza tecnicamente impeccabile, ancora da pittori, come l'austriaco Oskar Kokoschka, dedicatosi soprattutto alla litografia, o gli americani John Marin, Marsden Harley e S. W. Hayter, che ha avuto un'influenza notevole con l'insegnamento del suo Studio 17 di New York.