L’India, grande potenza in the making, guarda con attenzione diffidente alla Cina, cerca un’intesa con gli Usa purché questa non la condizioni troppo, rivisita i suoi vicini in chiave di rinnovata proiezione di potenza, riserva all’Europa uno spazio residuale, in cui la nostalgia dei sentimenti cede il passo alla percezione dell’irrilevanza. Per l’India la Cina rappresenta una sorta di vera ossessione. Due guerre perdute, problemi di frontiera irrisolti, uno sviluppo che tradisce ritardi cui l’attrattiva del ‘dividendo democratico’ pone solo in parte rimedio: tutto ciò aumenta la percezione in una parte significativa della dirigenza indiana che prima o poi la competizione dovrà cedere il passo a una nuova fase di scontro, per definire una volta per tutte le aree di rispettiva influenza. A tale atteggiamento corrisponde da parte cinese una forma di benevola indifferenza, quasi che l’altro gigante asiatico fosse sì un interlocutore necessario ma, tutto sommato, controllabile senza troppe difficoltà. Un mix del genere potrebbe apparire una ricetta sicura di instabilità, cui gli altri attori attuali e potenziali della regione – dal Giappone all’Australia, passando naturalmente per Mosca e Washington – avrebbero difficoltà a opporre alternative efficaci. Se non fosse per il fatto che ambedue sembrano avere deciso che – in questa fase almeno – la via della stabilità passi attraverso l’interrelazione economica. L’interscambio indo-cinese è passato in poco meno di un decennio da uno a 60 miliardi di dollari: si tratta di una relazione che – ancorché per ora squilibrata sul versante cinese – potrebbe mutare radicalmente qualità e termini del confronto e dare al concetto di stabilità un significato diverso. L’eredità della Conferenza di Bandung, il terzomondismo militante di Nehru, errori ed incomprensioni da ambo le parti hanno a lungo marcato i rapporti con gli Stati Uniti. Tuttavia, l’India ha ben presente che il suo sdoganamento definitivo come potenza di primo rango sulla scena mondiale non potrà avvenire che con il benestare di Washington e si è andata orientando di conseguenza. Gli Stati Uniti dal canto loro hanno corrisposto ritenendo – con un pizzico di ottimismo di troppo – che l’India possa diventare il perno di un diverso assetto multipolare nella regione in chiave di containment anti-cinese. Da qui prima la riammissione ad opera di Bush dell’India nel club dei paesi nucleari ‘responsabili’, togliendo gran parte del suo valore a quel Npt che era stato immaginato proprio come contromisura allo ‘strappo’ operato da Indira Gandhi con la scelta di dotarsi di un arsenale nucleare indipendente. Quindi l’impegno di Obama di appoggiare la candidatura indiana al posto di membro permanente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite: un impegno che fa compiere un salto di qualità a quella che rimane da sempre la stella polare della politica estera indiana, e la riprova della sua raggiunta grandezza (e che crea problemi seri ad alleati quali il Pakistan, così come al Coffee Club promosso dall’Italia). Gi Usa guardano all’India come a un nuovo importante alleato, cui proprio per questa ragione hanno fatto offerte importanti. L’India guarda agli Usa come a un partner, che con le sue aperture ha corretto delle ingiustizie prima perpetrate nei suoi confronti. È su questa ambiguità che il rapporto fra i due paesi continuerà a giocarsi nei prossimi anni, e non è detto che lo sarà con piena soddisfazione di Washington. L’India ha tradizionalmente rapporti problematici con tutti i suoi vicini. Non solo – certo – con il Pakistan, nei cui confronti la ferita richiederà almeno un’altra generazione perché possa rimarginarsi. Negli ultimi anni, la linea che aveva portato Nuova Delhi a trascurare i suoi interessi nell’area circostante è andata progressivamente mutando: si è avvicinata alle varie organizzazioni regionali esistenti ed avviato un negoziato con l’Asean. La ‘look East policy’ continua, con un vigore nuovo: la sua motivazione profonda è probabilmente sempre la Cina, ma le ricadute per il paese sono potenzialmente positive. L’Europa, infine. L’India ha difficoltà a capire, alla luce dei suoi condizionamenti storici, come un gruppo di paesi possa volontariamente rinunciare a quote crescenti della propria sovranità, in nome di un obiettivo comune diverso; soprattutto quando uno di questi sia l’antica potenza coloniale, che sotto molti aspetti esercita ancora un forte impatto psicologico sugli atteggiamenti del paese. L’Unione Europea appare quindi come un ircocervo incomprensibile, con il quale si deve convivere, ma che forse non deve essere preso troppo sul serio: l’India ha creato una ‘relazione strategica’ con l’Eu, ma preferisce di gran lunga trattare bilateralmente con i suoi membri. O almeno con quelli che ritiene utili ai suoi interessi. Un paese in forte crescita e convinto dei suoi mezzi. Un protagonista attivo della nuova trasversalità sud-sud del Bric. Un protagonista che si vuole porre sullo stesso piano delle grandi potenze esistenti, dando al termine ‘emergente’ la forza di obiettivo realizzato, e che vede nel seggio permanente delle Nazioni Unite la consacrazione di tale obiettivo raggiunto. Un paese che ha mezzi e, soprattutto, la forza trainante dell’ottimismo e della fiducia in sé stesso. Un limite? L’arroganza, che tante volte lo ha portato a sopravvalutare le proprie mosse e che potrebbe colpire ancora.