Praterie, indiani delle
Con tale denominazione sono genericamente indicate le popolazioni di diversa origine che fin da epoche remote si sono avvicendate nell’area delle Grandi Praterie dell’America Settentrionale comprese tra i versanti orientali delle Montagne Rocciose e la valle del fiume Mississippi, e tra il Saskatchewan, in Canada, e il Golfo del Messico. Le più antiche culture locali (Clovis e Folsom) risalgono a circa 11.000 anni fa; tra i 7000 e i 2000 anni fa si assiste alla comparsa di forme di agricoltura accanto alla caccia e alla raccolta. Forme di sedentarizzazione sono invece presenti dal 7° sec. della nostra era, quando gruppi umani (pawnee, wichita, aricara, della famiglia linguistica caddo) praticavano insieme un’orticoltura fluviale e la caccia. A partire dal 10° sec. compaiono nell’area gruppi nomadi: mandan e hidatsa lungo il medio Missouri; athabaschi più a sud. Proprio nell’area tra il Texas e il Nuovo Messico la presenza spagnola rese possibile la graduale diffusione del cavallo, che fu ben presto razziato e, a partire dal sec. 18°, allevato dagli indiani. Alla presenza del cavallo e, in seguito, a quella delle armi da fuoco si deve la comparsa, nell’area delle P., di altri gruppi: apache (metà del 17° sec.), crow, kiowa, piedi neri, gros ventre, arapaho, cheyenne (di lingua algonchina), che resero possibile la diffusione del cavallo verso nord. Nell’area entrarono anche gruppi di lingua uto-azteca (shoshoni, comanche, ute), mentre il gruppo destinato a divenire dominante, quello dakota-sioux, costituisce solo l’ultima delle diverse ondate migratorie che portarono al costituirsi di una specifica cultura delle P., che appare nelle sue forme ormai considerate «classiche» tra la fine del sec. 18° e i primi anni del 20°: nomadismo legato alla caccia al bisonte e commercio (a nord i mandan, che cedevano i prodotti dell’area ai francesi in cambio di fucili, rivenduti a sud per avere cavalli; a sud i pueblos, gli apache e i comanche, che commerciavano, invece, con gli spagnoli e, in seguito, con i messicani). Organizzazione sociale caratterizzata da gruppi di discendenza (fratrie, clan, lignaggi) patrilinei o matrilinei, ma anche dalla presenza di organizzazioni militari, raggruppamenti volontari maschili che sovrintendevano agli spostamenti del gruppo e organizzavano importanti momenti festivi. La religione era basata principalmente sulla ricerca di «visioni», che procuravano a chi le otteneva la protezione di uno spirito-guida. Sul piano politico, tra la fine del 18° e la seconda metà del 20° sec., si assiste alla nascita di forme di aggregazione («nazioni») tra vari gruppi «tribali» parlanti lingue vicine, spesso legate a importanti momenti rituali (per es. la danza del sole). Con queste «nazioni», sorte proprio come forma di difesa militare, entrarono in conflitto i bianchi, la cui penetrazione, sempre più pressante e violenta, condusse, dopo un lungo periodo di tensioni e conflitti, alla definitiva distruzione dell’area culturale delle Praterie. A partire dal 1880 iniziò un sistematico massacro degli indiani, deportati in riserve lontane dai territori di origine ed espropriati delle terre; le loro «nazioni» tentarono anche forme di resistenza e ribellione «mistiche» come la danza degli spettri, ma ricevettero un ultimo e definitivo colpo nel 1890, quando a Wounded Knee Creek, nel Dakota, furono trucidate alcune centinaia di sioux, per la maggior parte donne e bambini.