INDUSTRIA
(XIX, p. 152; App. II, 11, p. 28).
L'industria italiana (XIX, p. 168; App. II, 11, p. 28).
1. - L'i. italiana è andata assumendo contemporaneamente, dall'unità politica in poi, una sempre maggiore importanza come strumento per la formazione del reddito nazionale oltre che come fattore di trasformazioni economiche e sociali. Ma il decennio 1950-1960 appare la fase di più intenso ritmo dello sviluppo industriale. L'Italia può considerarsi ormai nel novero dei paesi a struttura prevalentemente industriale. La proporzione delle attività produttive secondarie si è accresciuta notevolmente, infatti, nel processo di formazione del reddito in siffatta fase storica dell'economia italiana. Nel 1958 le attività industriali italiane originavano pressoché la metà (47,3%) del reddito lordo privato complessivo; mentre erano limitate al 39% nel 1948 e ne costituivano soltanto la fonte di un terzo alle soglie della seconda guerra mondiale e di un quinto nel primo ventennio dell'unità (1861-80).
Il censimento industriale 1951, seguito a quello del 1937-39 (cfr. App. II, 11, p. 28), aveva già mostrato qualche segno dell'evoluzione della struttura industriale italiana, sebbene lievi differenze si riscontrassero nel numero complessivo di addetti. Ma gli anni successivi al 1951 hanno continuato o determinato mutamenti strutturali più ampî e profondi. Il decennio bellico e immediatamente postbellico (1938-48) aveva subìto le alterne dure vicende del passaggio da produzioni di pace a quelle di guerra e viceversa, e dalla distruzione alla ricostruzione d'impianti; il decennio successivo è stato invece contrassegnato dallo sforzo dell'i. di rispondere a una domanda interna di beni in rapida evoluzione e d'inserirsi competitivamente nel mercato internazionale. Il censimento industriale del 5 novembre 1981 (difficilmente raffrontabile con quelli del 1937-39, del 1927 e del 1911, per le differenti caratteristiche di rilevazione) attribuiva all'i. 649.682 imprese industriali (con 4.256.506 addetti), di cui ben 537.910 ditte artigiane (con 863.542 addetti). Se ci limitiamo alle imprese industriali (escludendo l'artigianato), il 35% degli addetti era localizzato in Lombardia e il 14% in Piemonte. Solo 322 ditte avevano oltre 1000 addetti ciascuna, e di esse 160 erano in Lombardia. L'ampiezza media delle imprese industriali e il grado di utilizzazione di energie inanimate erano ancora molto limitati rispetto a quelli di altri paesi. Il 76,1% delle imprese occupava soltanto il 14,7% degli addetti all'industria. La media nazi0nale dava 6,5 addetti per ditta, 18,9 HP per ditta e 2,9 per addetto. La produzione vendibile attribuita ad attività industriali (al costo dei fattori) fu stimata poi, nel 1953, ad un valore netto di 8.500 miliardi di lire, contro gli 8,6 miliardi di lire del 1937-39 (in lire odierne circa 5.160 miliardi): di questi 8.500 miliardi, il 44% (3.716 miliardi di lire) rappresentavano valore aggiunto dalla trasformazione.
2. - Il numero di persone che trovano la loro occupazione nell'i. è andato progressivamente crescendo in Italia, dall'inizio del secolo, e con un ritmo superiore a quello della popolazione attiva totale. I censimenti demografici presentano il fenomeno in modo più evidente; quelli industriali sono più difficilmente raffrontabili e si riferiscono (nelle cifre della tab. 1) alle ditte che hanno struttura e dimensioni d'impresa modernamente intesa (per la distribuzione delle forze di lavoro nelle singole regioni v. tab. 2).
3. - Le attività industriali italiane assumono poi un'incidenza notevole e crescente negli scambî con l'estero. Hanno bisogno d'importare la quasi totalità delle materie prime e dei combustibili che servono alla trasformazione da esse operata, e pagano siffatti acquisti all'estero con un'esportazione prevalente di prodotti finiti o semilavorati. Nel 1958 l'importazione di materie prime o ausiliarie, oltre che di semilavorati, rappresentò il 74% delle importazioni totali, e precisamente 1.472,5 miliardi di lire. L'esportazione di soli prodotti finiti fu di 883,2 miliardi di lire (56% delle esportazioni); ma la complessiva esportazione industriale (i. manifatturiere ed estrattive) sommò a 1.372 miliardi di lire (pari cioè al 93% delle esportazioni totali), di cui 472 miliardi da attribuire alle i. meccaniche, 230 alle chimiche, 200 alle tessili, 136 alle alimentari, 111 alle metallurgiche. L'importazione di prodotti finiti in Italia rappresentò nel 1958 un valore di 474 miliardi di lire (meno del 24% dell'importazione totale), di cui 221 miliardi in macchine e apparecchi, prodotti meccanici di precisione e mezzi di trasporto.
L'incremento delle i. trasformatrici è anche nettamente visibile dalla lievitante importazione di alcune materie base in Italia (tab. 3).
4. - Gli indici della produzione industriale italiana, per il 1956-1958, appaiono più che sestupli di quelli dell'ultimo lustro del secolo scorso. Le fasi di più intenso sviluppo industriale, secondo tali indici, si sono avute nel primo e nel terzo decennio del secolo attuale, poi nel decennio 1950-60. Lievi regressi subì l'indice della produzione industriale italiana nei due periodi bellici e nel periodo immediatamente successivo alla crisi mondiale del 1929 (tab. 4).
Tra il 1948 e il 1958 gli indici della produzione industriale italiana segnano un saggio d'incremento superiore a quello delle industrie dell'area OECE e dell'indice mondiale della produzione industriale, più che raddoppiandosi nel decennio (tab. 5).
5. - Gli elementi essenziali di carattere generale che giustificano la recente espansione dell'i. italiana devono essere ricercati anzitutto in un più solido tessuto istituzionale internazionale. Con la raggiunta stabilità monetaria (1947) si è inaugurata una politica di scambî aperti con il resto del mondo (1948), e quindi l'i. ha potuto valersi della disponibilità di un maggior volume di materie-base a costi internazionali. Tappe fondamentali di questi mutamenti sono stati l'istituzione dell'OECE (1948) e dell'Unione europea dei pagamenti (1950; ora AME); la riattivazione degli organismi economici internazionali delle N.U.; il varo della nuova tariffa doganale (1951) e le liberalizzazioni concordate in sede OECE e GATT; la fondazione della CECA (Comunità europea carbone acciaio, 1951); il trattato di Roma istituente la Comunità economica europea (1957); l'entrata in funzione del sistema del Mercato comune europeo (1958). Altri fattori favorevoli sono stati il costante aumento interno di risparmî e investimenti, l'avvertibile miglioramento dei trasporti e delle comunicazioni, oltre che l'accrescersi generale delle "economie esterne)". Infine, l'applicazione coraggiosa dei progressi della tecnologia mondiale e la più vasta meccanizzazione, rivelata dalla crescente produzione e importazione di macchine e dal continuo aumento di utilizzazione di nuove risorse di energia (il solo consumo di energia elettrica nelle i. è aumentato da 10,3 miliardi di kWh nel 1938 a 12,6 nel 1948 e a 27,2 nel 1958), hanno impresso un ritmo nuovo all'i. italiana nell'ultimo decennio.
Gli effetti favorevoli del passaggio dalla fase autarchica del decennio 1930 e dalla fase bellica e immediatamente postbellica del decennio 1940 alla fase di più larga apertura degli scambî internazionali e di maggior mobilità di uomini e cose all'interno del paese (decennio 1950) sono visibili chiaramente attraverso l'aumentato ritmo di sviluppo industriale, e accentuano il grado d'interdipendenza tra il nostro e i paesi esteri e tra le varie regioni italiane. Nel 1958 gli scambî internazionali dell'Italia salirono a un valore pari a un quarto del reddito nazionale, mentre nel 1938 ne erano il 14,2% e nel 1948 il 21,3%. La maggior facilità di accesso ai prodotti base del mondo ha consentito larghe importazioni di combustibili, di materie prime e di macchinario moderno, pagate con cresceuti esportazioni di prodotti finiti (il 54,9% delle esportazioni italiane del 1958 era da attribuirsi a "prodotti non alimentari, di complessa lavorazione", contro il 41,5% nel 1938 e il 48,2% nel 1948). I miglioramenti continui, dal 1948 al 1959, verso l'equilibrio della bilancia dei pagamenti hanno giovato a consolidare, con il valore della moneta, le basi stesse di svolgimento dell'attività produttiva.
Il crescente risparmio disponibile, insieme col perfezionamento del sistema creditizio, ha consentito più larghi investimenti nell'i ad opera sia di privati sia degli enti pubblici: da 717 miliardi di lire d'investimenti industriali nel 1951 a 1027 miliardi nel 1958, pari a un terzo degli investimenti lordi totali del paese. Una vasta legislazione, dal 1950, ha consentito la costituzione di istituti regionali per il finanziamento delle medie e piccole imprese e ha facilitato il credito per acquisti di macchinarî e attrezzature e per l'esportazione. Il ricorso al mercato mobiliare, soprattutto con lo strumento obbligazionario, è stato più ampio che nel passato.
Nel decennio ha assunto particolare rilievo l'azione statale per migliorare la struttura creditizia a favore dell'industria. Dopo il flusso di finanziamenti consentito dalle disponibilità eccezionali derivanti dal Fondo lire ERP, utilizzato per parte rilevante in prestiti a lungo e medio termine, si sono impostati interventi soprattutto per adeguare la normale struttura del credito mobiliare alle esigenze di espansione delle regioni sottosviluppate e delle piccole e medie imprese. Nuovi istituti regionali, coordinati da un istituto centrale di risconto e di finanziamento, sono stati destinati ad integrare eventuali insufficienze creditizie locali e a consentire una razionale e ampia distribuzione del credito a medio e lungo termine; e nuove forme creditizie di sostegno delle iniziative industriali sono state adottate. Si ricordano, tra l'altro: a) l'autorizzazione all'IMI (cui è consentito con d. min. 31 marzo 1957 di elevare il proprio capitale a 20 miliardi di lire) di aumentare il limite massimo degli impegni contraibili da 15 a 20 volte l'importo del capitale sottoscritto e delle riserve (legge 8 aprile 1954, n. 102); b) l'autorizzazione alla costituzione di appositi istituti regionali con competenza locale specializzata per la concessione di finanziamenti a medio termine alle piccole e medie imprese e la fondazione (legge 25 luglio 1952, n. 949) dell'Istituto centrale per il credito a medio termine a favore delle medie e piccole industrie (Medio credito) per il risconto delle operazioni effettuate dagli istituti specializzati, con un fondo di dotazione iniziale di 60 miliardi; c) la trasformazione della Cassa per il credito alle industrie artigiane, con aumento del fondo di dotazione e con la facoltà di finanziare le imprese anche per una quota parte delle scorte; d) il riordinamento del credito mobiliare nel Mezzogiorno e nelle Isole (legge 11 aprile 1953,n. 298) con la fondazione di tre grandi istituti specializzati, a competenza regionale (ISVEIMER, operante nell'Italia meridionale, IRFIS operante per i finanziamenti industriali in Sicilia, CIS per il credito all'i. in Sardegna); e) l'adozione di nuovi incentivi creditizî per lo sviluppo industriale, con la corresponsione di un contributo dello stato agli interessi, graduato e differenziato per la realizzazione di nuove iniziative nei varî settori produttivi (legge 30 luglio 1959, n. 623), nell'intendimento di coordinare siffatte iniziative nel quadro di nuovi programmi regionali di sviluppo.
Dal 1948 al 1958 si è verificato d'altra parte un crescente afflusso di investimenti dall'estero (circa 340 miliardi di lire), dei quali la metà indirizzati alle imprese petrolifere, chimiche, elettriche e minerarie o metallurgiche. Il sistema di trasporti e di comunicazioni, coll'apporto crescente dei veicoli a motore, col miglioramento della rete stradale e ferroviaria, coll'aumento dei veicoli marittimi e aerei, ha reso possibile mezzi più celeri, più economici e più capillari per il movimento spaziale di uomini, cose, idee (il solo numero dei veicoli a motore terrestri è decuplicato in Italia dal 1938 al 1958, il tonnellaggio delle navi mercantili si è accresciuto a una volta e mezzo, il numero di apparecchi telefonici è sestuplicato). Anche il cronico largo margine di capacità produttiva inutilizzata degli impianti industriali italiani - che aveva caratterizzato il decennio prebellico e che ritroviamo nel 1949 - si è andato riducendo nel decennio successivo al 1949. Salvo qualche breve parentesi di recessione (alcuni mesi del 1951-52, del 1955-56, del 1958) e salvo per qualche industria il cui mercato ha manifestato scarsa dinamica (tessile, ad esempio), l'occupazione degli impianti è andata migliorando.
Accanto a questi fattori propulsivi dell'i., bisogna però tener conto di quelli limitativi dello sviluppo: la sempre rilevante (anche se attenuata negli ultimi anni) quota di disoccupazione, accompagnata dalla scarsità di mano d'opera qualificata; l'alto prezzo d'uso del capitale e la sua scarsa offerta rispetto alla domanda in quasi tutto il periodo 1948-58; la difficoltà di formare rapidamente i "quadri" dirigenti; l'arretratezza di gran parte del sistema di distribuzione mercantile; gli scarsi incentivi e la modesta propensione per l'avvio a dimensioni più ampie d'impresa. Nonostante siffatti elementi limitazionali, la produttività per addetto industriale ha subìto incrementi ragguardevoli nel decennio 1950-60 e l'espansione produttiva si è manifestata con un ritmo che non ha precedenti nell'ormai secolare storia dell'i. italiana.
Dopo aver affrontato le più urgenti esigenze di ricostruzione dell'immediato dopoguerra, la politica industriale è stata meglio inserita nel quadro più vasto della politica economica generale di sviluppo, di cui essa è elemento di crescente rilievo anche in vista dell'integrazione economica europea. L'azione statale si è manifestata non solo attraverso una politica di facilitazione dei finanziamenti e attraverso la politica commerciale internazionale, ma anche con interventi diretti nei casi in cui hanno operato le aziende a partecipazione statale. Obiettivi di siffatta azione sono stati principalmente: a) l'espansione della produzione di beni strumentali, al fine di sostenere la loro accresciuta domanda in funzione dei cospicui programmi di nuovi investimenti; b) l'adeguamento delle capacità produttive all'aumento quantitativo e alla differente composizione qualitativa della domanda di beni di consumo, domanda ravvivata dall'incremento del reddito e dai progressi nella sua redistribuzione; c) l'espansione di alcune particolari produzioni capaci di fronteggiare una crescente o nuova domanda esterna, talché in taluni rami e in un numero sempre maggiore di imprese diventano preminenti i rapporti con l'estero; d) l'intensificazione degli sforzi per assicurare una localizzazione reputata più armonica alle capacità produttive industriali; sforzi che si manifestano con interventi orientativi dell'iniziativa privata e interventi diretti dallo Stato per polarizzare centri industriali nuovi.
6. - Il più importante nucleo che caratterizza la struttura dell'industria italiana è quello manifatturiero. Esso contribuisce per i 3/4 alla formazione del prodotto netto industriale del paese. Scarsa importanza, per la natura del sottosuolo finora accertabile - sebbene migliorata con le recenti estrazioni d'idrocarburi gassosi - ha in Italia l'industria estrattiva (meno di 1/40 del prodotto netto industriale). Gli altri due gruppi, quello delle industrie elettriche, gas e acqua (meno di1/20) e quello delle industrie della costruzione (1/6 del prodotto netto industriale) assumono in Italia all'incirca l'importanza proporzionale che hanno in altri paesi sviluppati. Mentre nel gruppo manifatturiero il nostro paese si era, fino ai primi due decennî del secolo, affermato soprattutto nelle industrie agricolo-manifatturiere (tessili e alimentari in ispecie), successivamente hanno assunto sempre maggior rilievo le industrie estrattivo-manifatturiere e chimiche. L'attuale graduatoria d'importanza dei varî rami industriali a seconda del rispettivo prodotto netto (1958) attribuisce oltre la metà del valore complessivo (52,2%) a tre industrie (meccaniche 20,9%, edili 17,7%, alimentari 13,6%); da un quarto a un quinto (22,5%) del prodotto netto deriva da altre tre industrie (chimiche 8,5%, tessili 7,1%, metallurgiche 6,9%). Gli altri rami minori apportano complessivamente il 25,3%, cioè un quarto del prodotto netto industriale. Se si calcola il prodotto netto per addetto, pari a 1,3 milioni di lire nel 1958 per la media delle industrie italiane, si osservano notevoli divarî: in alcuni rami tale valore si eleva intorno al doppio (2,6 milioni nell'elettricità, gas e acqua, 2,5 nella metallurgia, 2,3 nella chimica), ma in altri appare assai più basso (tessili e vestiario, legno, minerali non metallici, industrie estrattive) della media industriale italiana.
La struttura della produzione manifatturiera dell'area OECE rivela (dati del 1955) la notevole importanza relativa delle industrie chimiche e tessili in Italia, rispetto agli altri principali paesi europei, mentre è minore l'importanza relativa dell'industria meccanica, la quale predomina generalmente in paesi di antico sviluppo (tab. 6):
7. - Tra il 1948 e il 1958 si assiste a notevoli modificazioni nell'importanza relativa delle varie industrie italiane. L'espansione maggiore si riscontra nella produzione di beni d'investimento. Progrediscono celermente, ad esempio, l'i. metallurgica, la chimica (particolarmente nelle industrie dei derivati del carbone e del petrolio), la produzione di mezzi di trasporto, la meccanica di precisione e le industrie estrattive (soprattutto a cagione dell'aumentata estrazione di combustibili gassosi come il metano). L'espansione minore si ritrova invece nelle industrie dei tradizionali beni di consumo (in particolare nei tessili). Questa evoluzione - caratteristica d'altronde del processo di trasformazione industriale di tutti i paesi ad alto sviluppo - è sollecitata da un rinnovamento della struttura della domanda del mercato italiano e internazionale di prodotti industriali; ma ne catalizzano il processo iniziative di notevole rilievo per la storia dell'industria in Italia. Nel campo siderurgico, ad es., è da ricordare la formulazione e attuazione del piano Sinigaglia (1948), che impostò in pochi grandi stabilimenti, di dimensione ottima e specializzati, la produzione dell'acciaio e dei laminati partendo dal minerale anziché dai rottami; nel campo degli idrocarburi, lo sviluppo fu connesso ad un'opera intensa dell'ENI e di imprese private per la sistematica ricerca di metano e di petrolio nel sottosuolo italiano, ricerca ormai regolata da apposita legislazione (361 permessi di ricerca per oltre 5 milioni di ettari erano stati rilasciati fino a metà 1959); nel campo dei derivati del petrolio, il dopoguerra vide un'ampia impostazione di impianti di raffineria (la capacità attuale è di 30 milioni di tonn. di greggio contro i 2,3 del 1938), avvantaggiati dalla posizione geografica dell'Italia, importatrice di grezzo dal vicino Oriente ed esportatrice di prodotti finiti in Europa; nel ramo chimico s'iniziò la produzione della gomma sintetica (22.000 tonn. nel 1958) e delle fibre artificiali poliamidiche, poliviniliche e poliestere, e si ampliò notevolmente la sintesi dell'azoto; nel campo dei mezzi terrestri di trasporto, il perfezionamento delle lavorazioni in serie e l'automazione aiutarono l'offerta di veicoli motorizzati, la cui richiesta è tra quelle che più rapidamente si sono incrementate; nel ramo alimentare si diffuse la tecnica del freddo e si generalizzò la consuetudine delle derrate iscatolate.
I progressi della tecnologia mondiale - la cui utilizzazione era stata limitata nel ventennio tra le due guerre dalla politica protezionistica o addirittura autarchica-si applicarono in Italia con relativa rapidità negli anni successivi al 1950. Particolarmente importanti i progressi relativi alla produzione di materiale sintetico (gomma, resine sintetiche e materie plastiche, fibre sintetiche, coloranti sintetici, ecc.), all'utilizzazione del freddo e allo stabilimento di catene frigorifere, alla produzione delle macchine nel campo agricolo ed estrattivo, alla diffusione di elettrodomestici, alla meccanizzazione spinta verso l'automazione in alcuni rami industriali, alla generalizzazione dell'uso delle macchine nei lavori d'ufficio (la produzione di macchine da scrivere, dalle 71.000 unità del 1948 passò a 400.000 nel 1958; e la produzione di macchine calcolatrici dalle 12.000 raggiunse le 231.000 annue nel 1958). L'incremento rapido dell'i. meccanica fu reso possibile da una crescente disponibilità di acciaio a prezzi europei: la produzione di ghisa quasi quintuplicò (dalle 449.000 tonn. del 1948 ai 2 milioni nel 1958); quella di acciaio triplicò (da 2,1 a 6,3 milioni di tonn.) di pari passo con la produzione di laminati a caldo (da 1,5 a 4,6 milioni di tonn.).
In un paese come l'Italia, in cui la quasi totale assenza di combustibili fossili e il progressivo esaurimento delle fonti idriche economicamente utilizzabili ponevano gravi problemi di risorse energetiche, l'attività industriale ha risentito positivamente gli effetti dell'evoluzione del livello assoluto dell'erogazione di altre fonti di energia e della nuova composizione qualitativa delle risorse utilizzabili. La disponibilità di risorse energetiche in Italia è passata, in complesso, come da 1 a 2,5 tra il 1938 e il 1959; ma alla prevalenza dei combustibili solidi utilizzati si è sostituita una crescente prevalenza di combustibili gassosi e liquidi. Nel solo ottennio 1950-58 i consumi di prodotti petroliferi (13 milioni di tonn. nel 1958) sono saliti dal 34 al 45% dei consumi totali di energia, e quelli di gas naturale dal 3 al 18% circa. Nel 1958 i consumi interni lordi di energia sono stati di 381 T/Cal; il contributo di risorse energetiche nazionali è pari a circa un terzo del fabbisogno, e il resto deve essere importato. I combustibili fossili importati, che avevano superato i 12 milioni di tonn. nel 1938, sono scesi a 9-10 milioni annui di tonn. nel dopoguerra, mentre l'importazione di olî minerali da 1,7 milioni di tonn. nel 1938 è salita ad annui 12,7 milioni nel 1951-55 e a 22,7 nel 1958, e la materia prima trattata dalle raffinerie ha superato i 24 milioni di tonn. La produzione di metano, dai 17 milioni di m3 del 1938 è passata a 117 milioni nel 1948 e balzata a ben 5,2 miliardi di m3 nel 1958, con 5000 km di metanodotti, e quella di petrolio grezzo da 13.000 tonn. nel 1938 a 1,5 milioni di tonn. nel 1958; la produzione di energia elettrica, da 13,1 miliardi di kWh nel 1938 a 22,7 miliardi nel 1948 e a 45,5 miliardi nel 1958, con un crescente concorso di fonti termiche (21%). Alla fine del 1958 si contavano in Italia 2666 centrali idroelettriche in funzione, con una potenza installata di 11,6 milioni di kW, e 755 centrali termiche con una potenza di 3,5 milioni di kW. Con la legge 23 marzo 1958 n. 357 è stato dato l'avvio al piano quinquennale per lo sviluppo delle ricerche nucleari in Italia: l'energia atomica consentirà di completare il lievitante fabbisogno di risorse energetiche che si prevede per lo sviluppo dell'industria e dei servizî in Italia nei prossimi decennî. Sono in via di costruzione (1960) tre grandi impianti per la produzione di energia elettronucleare (uno nel Settentrione, gli altri, per 350 MW di potenza, a Latina e alla foce del Garigliano). È in singolare crescendo anche la produzione di gas di petrolio liquefatti (da 35.000 tonn. nel 1951 a 500.000 nel 1958).
8. - La nuova struttura della domanda privata di beni all'interno del paese è stata dominata nel decennio non solo dall'aumento assoluto del complesso dei consumi individuali, ma da un aumento più rapido e intenso delle spese per articoli durevoli (autovetture e altri veicoli individuali, elettrodomestici, ecc.), oltre che delle spese per viaggi, spettacoli e alberghi. L'espansione di alcuni rami industriali è stata favorevolmente condizionata da questa nuova struttura della spesa privata del paese.
Le modificazioni della domanda pacifica di beni industriali furono particolarmente avvertite nel campo dell'edilizia, giacché, accanto al bisogno d'una maggior mobilità geografica favorito dalla motorizzazione il desiderio d'una casa decente o più comoda fu universale in Italia dopo le privazioni belliche. Ciò impegnò alte percentuali del risparmio e originò una multiforme domanda di beni industriali. Il numero di stanze, censito nel 1951 in 37,3 milioni, aumentò a 42,9 milioni a fine 1958. Nei soli quattro anni dal 1955 al 1958 si costruirono 6,5 milioni di vani (di cui 3,8 milioni di stanze), mentre nel quadriennio precedente la guerra se ne erano costruiti per un quarto di questa cifra. Gli investimenti in abitazioni, dal 1951 al 1958, ammontarono a 5.225 miliardi di lire, cioè oltre un quarto del totale degli investimenti lordi del paese; e altri 1.997 miliardi di lire andarono spesi in opere pubbliche (escluse le bonifiche, le telecomunicazioni e le opere fisse ferroviarie). La produzione di cemento, dai 4,6 milioni di tonnellate del 1938, scese a 3,1 milioni nel 1948 e balzò a 12,5 milioni nel 1958. Altre produzioni, connesse con quella edilizia, profittarono di una crescente domanda (ferro per costruzioni, serramenti, laterizî, mobilio, macchine domestiche e oggetti di arredamento, impianti sanitarî).
L'aumentato bisogno di mobilità spaziali offrì un campo eccezionalmente vasto di sviluppo per le industrie dei veicoli e dei carburanti e per tutti quei rami produttivi che in vario modo sono connessi alla motorizzazione. Particolare successo ebbero, nel decennio 1948-58, le autovetture utilitarie e le "motorette" (per cui l'Italia prese l'iniziativa nel 1946), mentre diminuì solo lievemente la domanda di biciclette. La produzione di benzina quasi si moltiplicò per otto, dal 1948 al 1958 (da 418.000 a 3,4 milioni di tonn.); la circolazione di autoveicoli si moltiplicò per nove (da 600.000 a 5,2 milioni); la produzione di autovetture da 41.000 nel 1948 passò a 248.000 nel 1958; la produzione di coperture in gomma raddoppiò, salendo a 75.000 tonn. nel 1957. Ciò comportò anche un maggior impegno per le i. che partecipano alla costruzione di strade o alla loro trasformazione per adattarle al traffico moderno, impegno che andrà verosimilmente crescendo nei prossimi decennî, quando lo sforzo per abilitare la strada al traffico di molti e rapidi veicoli dovrà essere aumentato in modo sensibile.
L'esigenza di affrontare una larga riconversione dell'agricoltura nell'economia italiana, realizzando anzitutto una crescente fertilità del terreno e la meccanizzazione degli strumenti, sollecitò da un lato l'i. chimica (la produzione di solfato ammonico salì da 210.000 tonn. nel 1938 a 776.000 nel 1957; quella di nitrato ammonico da 94.000 a 334.000 tonn.; quella di perfosfati da 1,4 a 2 milioni di tonn.) e dall'altro originò un'i. delle macchine agricole (dai 4.000 trattori prodotti nel 1948 si passò ai 26.000 del 1958): peraltro solo 276.000 macchine, con una potenza di 7253 HP, erano in esercizio nell'agricoltura italiana a fine 1958. I consumi italiani di fertilizzanti azotati crebbero, tra il 1948-51 e il 1955-1958, da 118.000 a 276.000 tonn. di azoto, cioè da 7 a 15 kg per ettaro.
Altra espansione notevole hanno accusato poi, nel decennio 1948-58, le i. connesse alla maggior ampiezza della domanda di servizî culturali e ricreativi; e così le industrie che soddisfano i fabbisogni dell'infrastruttura turistica e sportiva, campo nel quale la spesa del pubblico è andata rapidamente lievitando anche in relazione al maggior tempo libero oltre che al cresciuto reddito dei lavoratori dipendenti. La produzione di carta e cartoni, da 375.000 tonn. nel 1948, è passata a oltre un milione di tonn. nel 1958; quella di elettrodomestici e materiali elettrici da installazione da un valore di 23,2 miliardi di lire nel 1948 è salita a 93,7 miliardi di lire alla fine del 1958.
Meno rilevanti, seppure notevoli, i progressi delle i. alimentari, la cui produzione nel 1948 era ancor leggermente inferiore a quella del 1938 (−4%) e che aumentarono complessivamente i loro prodotti del 50% nel quinquennio 1948-53 e del 30% nel quinquennio successivo. Particolare incremento mostrarono l'i. dello zucchero, la cui produzione nell'ultimo decennio risulta pressoché raddoppiata, quella della lavorazione e conservazione delle carni, quella della produzione di olî di semi, quella di biscotti e caramelle, quella di alcole e di birra. Ciò in connessione soprattutto alle nuove esigenze qualitative della domanda di prodotti alimentari, la quale si dirige verso consumi più sostanziosi e raffinati, mentre non offre alle tradizionali industrie di lavorazione dei cereali un saggio apprezzabile di aumento. Una relativa stasi si rileva nell'i. tessile, e in particolare in quella cotoniera e lino-canapiera, oltre che nella trattura serica che è da decennî in fase di contrazione: la scarsa dinamica della produzione tessile è soprattutto da attribuirsi alla difficoltà di aumentare le esportazioni dei suoi manufatti. E altri ostacoli si oppongono allo sviluppo della nostra industria cantieristica che, dopo il notevole lavoro di ricostruzione della flotta mercantile e di allestimento d'una flotta cisterniera (138 unità esistenti per 2,3 milioni di tonn. di stazza nel 1958), subisce i contraccolpi della crisi internazionale dei noli.
9. - La localizzazione dell'i. non è molto variata nell'ultimo decennio, nonostante un innegabile sforzo d'industrializzazione dell'Italia meridionale: oltre 2/3 degli addetti industriali, i 3/4 della potenza dei motori utilizzati e oltre i 3/4 del capitale investito in società per azioni industriali permangono nel Settentrione. Nel 1957 l'81% del reddito industriale era da attribuirsi al Nord e al Centro, il 19% al Mezzogiorno: mentre nel Centro-Nord l'industria offriva il 45% del reddito, nel Mezzogiorno ne costituiva il 39%
I primi tentativi di correggere una localizzazione delle i., che si reputava geograficamente troppo accentrata, miravano a industrializzare zone fino a quel tempo agricole o inospitali. Si cominciò praticamente nel 1917 istituendo la zona industriale di Marghera; ma i tentativi vennero ripresi insistentemente nel secondo dopoguerra, anzitutto con il piano dodecennale del Mezzogiorno (1950), poi con la delimitazione di "zone industriali". Nel 1959 erano attive o in attivazione 25 siffatte zone (interessanti 76 comuni con 7,6 milioni di abitanti) e ne erano progettate altre 22. Una serie di facilitazioni e di incentivi (doganali, creditizî, tributarî) era affiancata a sempre meno empirici teutativi di pianificazione regionale e nazionale per le nuove localizzazioni industriali. La Cassa per il Mezzogiorno, istituita nel 1950 per coordinare opere straordinarie di pubblico interesse nel Meridione e nelle Isole, al 30 giugno 1958 aveva erogato 422,1 miliardi di lire, soprattutto attraverso bonifiche, strade, acquedotti e miglioramenti fondiarî: si stanno in tal modo ponendo le basi per una fase di pre-industrializzazione, fase di cui già si avvertono i primi risultati.
10. - Notevole importanza, nel processo d'industrializzazione, ha avuto in Italia, oltre che l'iniziativa privata, l'iniziativa pubblica. Pressoché 300.000 addetti industriali lavorano in imprese di proprietà totale o parziale degli enti pubblici. Oltre alle aziende autonome dello stato (monopolî del sale e del tabacco, ferrovie statali, poste e telecomunicazioni), alle aziende municipali, un apposito ministero coordina dal 1958 le partecipazioni statali in imprese industriali, raggruppate soprattutto nei due grandi organismi dell'IRI (Istituto ricostruzione industriale, istituito nel 1933), con sei società finanziarie di settore (e circa 1000 miliardi di lire di fatturato nel 1958), e dell'ENI (Ente nazionale idrocarburi, istituito nel 1953). Negli anni immediatamente precedenti il 1960 la politica industriale degli interventi statali diretti ha avuto per oggetto il riordinamento tecnico-economico delle partecipazioni statali; e si è svolta tendendo non solo a migliorare l'andamento delle gestioni aziendali nel quadro generale dell'incremento di produttività dell'intero settore industriale, ma anche a preordinare infrastrutture fondamentali ed attuare nuove iniziative (v. partecipazioni statali, in questa App.)
11. - Sebbene nel decennio 1948-58 abbia progredito con un ritmo assai più celere che in tutta la sua storia secolare, l'i. italiana costituisce però ancora un aggregato di modesta rilevanza rispetto a quello di altri stati economicamente sviluppati. Con più di un sesto della popolazione dell'area OECE, l'Italia si attribuisce solo il 9,3% della complessiva produzione industriale. Se si considera unicamente la produzione manifatturiera, l'Italia partecipa a quella mondiale col 2,8%, avendo una popolazione pari all'1,8%; ma tale produzione rimane notevolmente al disotto di quella dei grandi paesi occidentali (Germania, 13,3%; Regno Unito, 7,8%; Francia, 4,7% della produzione manifatturiera mondiale) e di quelli orientali recentemente sviluppatisi (URSS, 12%; Giappone, 4,2%), oltre ad essere lontanissima dalla proporzione-primato degli Stati Uniti (39,5% nel 1957). La Germania, a giudicare dai più recenti censimenti (1954), occupa 10,3 milioni di persone nell'i.; il Regno Unito 10,2 milioni; gli Stati Uniti 21,6 milioni; l'Italia e la Francia numerano ciascuna circa 7 milioni di unità umane nelle industrie. Ciò significa che circa metà della popolazione attiva nel Regno Unito (49,2%) e in Germania (45,8%) nel 1954 era addetta all'i.: la proporzione era molto minore negli Stati Uniti (37%), in Francia (36,8%), in Italia (33,3%) e nell'URSS (30,6%). Il grado d'industrializzazione d'un paese non può peraltro essere giudicato dalla sola proporzione di abitanti dediti alle attività industriali, né dal numero assoluto di essi. Nella composizione del reddito nazionale, le attività industriali (manifatture, produzione di energia, edilizia) partecipano con proporzione differente nei singoli paesi: rappresentavano il 50,2% nella formazione del reddito sociale germanico nel 1956; e in quell'anno erano il 46,3% di quello del Regno Unito, il 38,7% di quello degli Stati Uniti, il 40,6% di quello italiano. Altri indicatori che consentono meglio di raffigurarci comparativamente le dimensioni della potenza industriale di alcuni grandi paesi sono quelli relativi al consumo di acciaio e di risorse energetiche per abitante (tab. 8).
Sebbene nell'ultimo decennio il consumo pro-capite sia di energia sia di acciaio si siano raddoppiati in Italia, essi si collocano ancora a meno di un terzo di quelli dell'abitante germanico, a poco più di un terzo di quelli del francese e all'incirca a un quarto di quelli dell'inglese.
12. - Per quanto con ampiezza e intensità certo minori che nei paesi anglosassoni, la conoscenza dei fenomeni quantitativi nell'i. italiana si è andata assai estendendo e approfondendo negli anni del dopoguerra. Accanto a un sempre più perfezionato sistema di rilevazioni statistiche, numerose ricerche sono state compiute per studiare le relazioni interindustriali (in-output) con le cosiddette matrici indicate dallo statistico W. Leontief, e per affrontare il tema delle relazioni interregionali dei principali fenomeni economici (1953). Soprattutto l'esigenza di presentare il piano quadriennale per gli aiuti ERP (1948-52) e di redigere annualmente la Relazione economica generale al parlamento (che viene pubblicata dal 1950, ai sensi della legge 21 agosto 1949, n. 639), le ricerche compiute dalla commissione parlamentare d'inchiesta sulla disoccupazione (1953) e la formulazione dello Schema Vanoni (1955-64) hanno originato rilevazioni ed elaborazioni di dati sull'attività industriale, la cui conoscenza attraverso i censimenti decennali era necessariamente imperfetta. La pubblicità consentita dalle rilevazioni di grandi organismi pubblici, come l'IRI e l'ENI, ha contribuito a questo miglior patrimonio informativo, cui si sono aggiunti ravvivati sforzi di ricerca storica (Archivio economico dell'Unificazione italiana e Istituto centrale di statistica) e tempestive rilevazioni di fenomeni di movimento ad opera dell'Istituto di statistica e delle associazioni professionali. Particolarmente efficaci i primi tentativi di raffronti internazionali delle i. nei paesi europei condotti dall'OECE e dalla Commissione economica europea.
Bibl.: Sui problemi generali dell'industria italiana: C.I.R., Lo sviluppo dell'economia italiana nel quadro della ricostruzione e della cooperazione europea, Roma 1952; C.G.I.I., L'industria italiana alla metà del secolo XX, Roma 1953; Mutual Security Agency, The structure and growth of the italian industry, Roma 1953; Atti della Commissione parlamentare d'inchiesta sulla disoccupazione, Roma 1953; C.I.R., Lineamenti del programma di sviluppo dell'occupazione e del reddito in Italia, Roma 1956; Banco di Roma, Ten years of italian economy 1947-1956, Review of econ. conditions in Italy, Roma 1956; Relazioni della Commissione industria, alla Camera dei deputati e al Senato, sui bilanci del ministero dell'Industria e del Commercio.
Sui principali rami industriali nell'Europa OECE si vedano le seguenti pubblicazioni dell'OECE, tutte edite a Parigi: L'industrie chimique en Europe, 1955; L'industrie du charbon en Europe, 1956; L'industrie sidérurgique en Europe, 1956; L'industrie des métaux non ferreux en Europe, 1956; Les industries mécaniques et électriques en Europe, 1956; L'industrie des cuirs et peaux en Europe, 1956; L'industrie du bois en Europe, 1956; Le pétrole, perspectives européennes, 1956; L'industrie de l'électricité en Europe, 1960. E inoltre: I. Svennilson, Growth and stagnation in the european economy, Ginevra 1954; V. Paretti e G. Bloch, Volume, structure, évolution de la production industrielle en Europe occidentale et aux États Unis entre 1901 et 1955, Parigi 1956; A. Maddison, Economic growth in western Europe 1870-1957, in Quarterly Review della Banca Nazionale del Lavoro, marzo 1959.
Su alcuni principali rami d'industria in Italia: G. Corbellini, Rilievi e proposte sulla industria meccanica italiana. L'industria meccanica italiana alla fine dell'anno 1951; Problemi economici e industriali delle industrie meccaniche italiane, Roma 1952; S. Sales, Il gas in Italia, Torino 1954; A. Pellegrini, L'industria della carta in Italia, Roma 1954; S. Leonardi, L'industria siderurgica italiana, Milano 1956; C.N.P., Il problema tessile italiano, relazione del Gruppo di lavoro industrie tessili, 5 voll., Roma 1957-1959; Comitato italiano per lo sviluppo dell'occupazione e del reddito, Sviluppo del settore siderurgico, Roma 1958; M. Talamona, Fluttuazioni edilizie e cicli economici, Roma 1958; G. Demaria, Alcune leggi quasi naturali per l'industria automobilistica italiana, Padova 1958; F. Squarzina, Le ricerche di petrolio in Italia, Roma 1958; A. Renzi, Ricerche sul mercato siderurgico italiano, Roma 1959; S. Piccardi, Le risorse energetiche italiane e il loro grado di sfruttamento, in L'Universo, nov.-dic. 1959; V. Paretti, V. Cao Pinna, L. Cugia, C. Righi, Struttura e prospettive dell'econ. energetica italiana, Torino, 1960; cfr. inoltre le Relazioni annuali dell'ANIDEL sull'industria elettrica italiana, i volumi giubilari del cinquantenario FIAT, del centenario della Burgo, del cinquantenario della Falck, e, per il periodo 1850-1890, i contributi storici dell'Archivio economico dell'Unificazione italiana (Roma 1959).
Cifre e notizie sull'attività industriale italiana si possono ritrovare anche nelle pubblicazioni dell'Istituto centrale di statistica: Indagine statistica sullo sviluppo del reddito nazionale dell'Italia dal 1861 al 1956, Roma 1957; Sommario di statistiche storiche italiane 1961-1955, Roma 1958; Annuario di statistiche industriali e Annuario statistico dell'attività edilizia e delle opere pubbliche (1956-1959); nonché nelle Relazioni economiche generali del ministero del Tesoro (1950-1960), nelle Relazioni annuali della Banca d'Italia, dell'IRI e dell'ENI, nell'Annuario della Confederazione Generale Industria Italiana e relazioni annuali delle associazioni industriali di categoria; nella Relazione programmatica del ministero Partecipazioni Statali (1960), nelle relazioni annuali dell'OECE, della CECA, della CEE, del GATT, della Banca Regolamenti Internazionali di Basilea; nei Surveys annuali della Commissione economica europea delle N.U.; nelle Statistiche generali di dodici Paesi europei della CECA (1958).