Innocenzo VI
Di origine limosina come il suo predecessore Clemente VI, Étienne Aubert, futuro papa Innocenzo VI, era nato nel villaggio di Monts, parrocchia di Beyssac (Corrèze), negli ultimi decenni del XIII secolo, forse nel 1282. Figlio di Adhémar Aubert, di Pompadour, appartenente ad una famiglia della piccola nobiltà locale, compì i suoi studi di diritto civile a Tolosa ottenendo la licenza in legge nel 1321 e il dottorato, probabilmente, nel 1329 o 1330. Dopo il suo ingresso nell'amministrazione reale fu nominato giudice ordinario nel 1321, luogotenente del siniscalco di Tolosa e guardasigilli del siniscalcato, percependone emolumenti. Nel 1328-1329 esercitò nuovamente questa funzione e nel 1330 divenne senz'altro giudice del siniscalcato: in questa veste è menzionato nel 1334. Nel 1335 re Filippo VI lo chiamò a corte e lo coinvolse in numerose ambascerie reali presso Benedetto XII (nel 1337, 1338 e 1341). Deteneva già numerosi benefici minori, canonicati e arcidiaconati, quando il 13 gennaio 1338 fu eletto vescovo di Noyon e l'11 ottobre 1340 venne trasferito alla sede di Clermont. Clemente VI, appena eletto, lo chiamò ad Avignone e lo nominò cardinale titolare dei SS. Giovanni e Paolo il 20 settembre 1342, in occasione della sua prima promozione di cardinali. Alla fine del novembre 1345 Étienne Aubert lasciò Avignone, insieme al cardinale Annibale da Ceccano, con la missione di salvaguardare la tregua fra i sovrani di Francia e di Inghilterra al fine di approdare ad un accordo di pace. Malgrado gli sforzi congiunti, i due cardinali non riuscirono ad impedire la ripresa delle ostilità, scandite dalla battaglia di Crécy (26 agosto 1346) e dalla presa di Calais (4 agosto 1347). Dopo l'armistizio concluso tra i due paesi il 28 settembre 1347, i cardinali rientrarono infine ad Avignone. Clemente VI nominò Aubert gran penitenziere nel 1348 e cardinale vescovo di Ostia il 13 febbraio 1352. Dopo la morte di Clemente VI, avvenuta il 6 dicembre 1352, Étienne Aubert fu eletto papa il 18 dicembre, dopo un conclave durato due giorni e segnato da due incidenti: la candidatura di Jean Birel, priore della Grande Certosa, sostenuta da molti cardinali e caduta in seguito alla richiesta del cardinale Talleyrand di Périgord, e l'accordo concluso fra i cardinali, con riserve più o meno forti, allo scopo di limitare a loro vantaggio i poteri del pontefice. L'eletto, che assunse il nome di Innocenzo VI e venne incoronato il 30 dicembre, il 6 luglio 1353 annullò quest'accordo contrario alle decretali di Gregorio X e di Clemente V, che proibivano ai cardinali in conclave di occuparsi di questioni non attinenti all'elezione pontificia. Nondimeno il papa governò la Chiesa cercando il consiglio dei cardinali che facevano parte della sua cerchia: già anziano e di salute cagionevole, non fu sempre in condizione di imporre le proprie opinioni alle diverse fazioni che coesistevano nella Corte e talvolta mancò di lungimiranza nella scelta dei suoi emissari. Tuttavia, a sua discolpa, è opportuno precisare che troppo spesso si scontrò con la palese cattiva volontà dei suoi interlocutori e corrispondenti, in un'epoca in cui le sanzioni spirituali inflitte dalla Chiesa avevano ormai perso di efficacia. Agli occhi dei suoi contemporanei I. fu un papa riformatore, che ridimensionò il tenore di vita del papato e pose un freno all'eccessiva liberalità dimostrata da Clemente VI in materia di benefici. Il nuovo pontefice richiese ai postulanti garanzie di istruzione e di merito, e in più li obbligò alla residenza nella sede del loro titolo. Inoltre, si preoccupò di assicurare ai chierici una formazione adeguata: in questa prospettiva, il 1° settembre 1359, fondò nell'ambito dell'Università di Tolosa, nella dimora che possedeva in questa città, il collegio di St-Martial per venti chierici poveri, dieci studenti di diritto civile e dieci di diritto canonico, a condizione che dieci di loro fossero originari delle diocesi di Limoges e di Tolosa. Dopo la sua scomparsa, i libri di diritto che appartenevano al papa già prima dell'elezione al soglio - il cui elenco è stato conservato - furono donati al collegio da Urbano V. Il 1° luglio 1360, allorché Bologna passò di nuovo sotto il controllo del papato, I. creò una facoltà di teologia all'interno dell'Università cittadina, da tempo rinomata per l'insegnamento del diritto e delle arti liberali. Il papa appoggiò progetti di riforma in numerosi Ordini, in particolare quelli del grande maestro dei Fratelli Predicatori Simone di Langres, che intendeva in tal modo contrastare l'insubordinazione di certi suoi religiosi. Egli represse gli eccessi dei Fraticelli con la prigione, dove rinchiuse il visionario Giovanni di Roccatagliata, e ricorse anche al rogo. Se pure riuscì a far accettare riforme disciplinari giustificate e moderate agli Ospedalieri, fallì nel tentativo di trasferire l'Ordine di Rodi in Asia Minore o in Acaia, e soprattutto, nell'opposizione ai grandi maestri, commise l'errore di appoggiarsi all'ambizioso Juan Fernández de Heredia, castellano di Emposte, il quale si dimostrò assai più attento agli interessi del suo sovrano, il re d'Aragona, che a quelli della congregazione. I. si pose come obiettivo politico prioritario il ristabilimento dell'autorità pontificia su Roma e sui possedimenti della Chiesa in Italia. Al fine di conseguire lo scopo, si rivelò felice la scelta del cardinale castigliano Gil Albornoz, forse conosciuto all'epoca in cui il papa studiava diritto a Tolosa e che in seguito si era distinto nella lotta contro i Saraceni d'Andalusia. Nel giugno 1353 Albornoz fu nominato legato in Italia con ampi poteri. Grazie alle armi e ai negoziati l'incaricato del pontefice ottenne rapidamente dei successi e a Roma subentrò alla morte di Cola di Rienzo (8 ottobre 1354) un'era di relativa pace. Dopo una difficile campagna militare Albornoz costrinse Giovanni di Vico a sottoscrivere il trattato di Montefiascone, il 5 giugno 1354, con il quale veniva ristabilita la sovranità della Chiesa sul Patrimonio di S. Pietro, lasciando a Giovanni unicamente il vicariato di Corneto, dietro pagamento di un censo annuale. Seguì la pacificazione del Ducato di Spoleto ottenuta senza particolare sforzo. Nel 1355 fu la volta della Marca Anconetana: con il trattato del 7 giugno, Galeotto Malatesta, fatto prigioniero a Paderno, restituiva alla Chiesa i territori da lui usurpati. In compenso, gli fu revocata la scomunica che l'aveva colpito e ricevette il vicariato di Rimini, Pesaro, Urbino e Fossombrone, con l'obbligo di pagare un censo e fornire un contingente armato. La lotta contro Francesco Ordelaffi, signore di Cesena e Forlì, fu più lunga: le truppe pontificie entrarono a Cesena il 23 giugno 1357, dopo un difficile assedio, ma l'Ordelaffi continuò a resistere a Forlì, mentre Albornoz fu costretto ad accettare il ritiro delle truppe mercenarie del conte di Landau che devastavano le Marche. Il cardinale fu comunque vittima degli intrighi orditi presso I. da Bernabò, signore di Milano, con la speranza di essere reintegrato nel vicariato di Bologna, ottenuto da suo zio Giovanni Visconti nel 1352 grazie a Clemente VI e all'epoca detenuto da Giovanni di Oleggio. Il papa si lasciò ingannare e nell'autunno 1357, dopo aver cambiato più volte opinione, richiamò Albornoz ad Avignone e lo sostituì con Androin de la Roche, abate di Cluny. Questi, impreparato ad un simile compito, non seppe fronteggiare la complessa situazione e nell'arco di pochi mesi le conquiste che Albornoz si era aggiudicato apparvero gravemente compromesse. Allo scadere di un anno I. decise saggiamente di affidare nuovamente al Castigliano l'incarico di legato in Italia. Nel luglio 1359 il cardinale ottenne la capitolazione di Forlì e la sottomissione di Ordelaffi, al quale venne concesso il vicariato di Forlimpopoli e di Castrocaro. Abili manovre gli permisero di entrare a Bologna nel marzo 1360, dove riuscì a tenere saldamente le sue posizioni, a dispetto delle minacce militari e diplomatiche che Bernabò moltiplicava, grazie ad una coalizione dei principali signori della regione contro il Visconti. Albornoz ebbe l'abilità di nominare uomini competenti e fidati perché amministrassero i territori riconquistati e pacificati; inoltre, nel 1357, promulgò nel parlamento di Fano un codice legislativo, noto con il nome di Costituzioni egidiane, che rimase in vigore negli Stati della Chiesa fino al 1816. Alla morte di I. la sua missione era stata compiuta nella sostanza e si poteva prospettare un ritorno del papato a Roma. Il pontificato di I. coincide, con uno scarto di alcuni mesi, con il regno di Luigi di Taranto, secondo marito della regina Giovanna di Napoli. Il papa mostrò, il più delle volte, un atteggiamento critico nei suoi confronti, schierandosi contro di lui con i cugini del re, i Durazzo, appoggiati alla Corte pontificia dallo zio cardinale Talleyrand di Périgord. Inoltre, pronunciò a varie riprese severe sentenze canoniche nei riguardi dei sovrani napoletani a causa del mancato pagamento del censo dovuto per il Regno alla Santa Sede, a seguito delle quali essi dovettero rassegnarsi a versare cospicui acconti. Nondimeno il papa espresse soddisfazione dopo aver appreso dei successi ottenuti da Luigi nella riconquista parziale della Sicilia, e ne prese le difese allorché la Contea di Provenza, che apparteneva ai sovrani, fu invasa e saccheggiata nel 1357 da bande di mercenari al soldo di Arnaud de Cervole. Il conflitto secolare fra il papato e l'Impero, sotto il pontificato di I., poté ricomporsi pacificamente senza vincitori né vinti. Alla fine del 1354 il papa autorizzò il re dei Romani, Carlo IV di Lussemburgo, a scendere nella penisola per farsi incoronare re d'Italia a Milano e imperatore a Roma, ricordandogli il giuramento prestato nel giorno della sua elezione a re dei Romani, nel 1346: in particolare, l'impegno di annullare le sentenze pronunciate da suo nonno Enrico VII contro re Roberto d'Angiò e i suoi sostenitori. Il 5 aprile 1355 il cardinale Pierre Bertrand de Colombiers, delegato dal papa, procedette all'incoronazione imperiale nella basilica di S. Pietro. Quando, con la Bolla d'oro del 1356, promulgata alle Diete di Norimberga, Carlo IV definì le regole relative alla designazione imperiale da parte di sette grandi elettori e all'istituzione di vicari imperiali durante la vacanza dell'Impero, omettendo il potere d'approvazione e di conferma dell'elezione, esercitato fino a quel momento dal papato, I., che all'epoca auspicava l'appoggio e l'intervento di Carlo IV contro le grandi compagnie e nella regolazione del conflitto franco-inglese, subì queste decisioni senza opporsi. Tuttavia, nel 1359, l'imperatore ricevette dal papa una risposta dilatoria alla sua richiesta di modifica delle costituzioni Romani principi e Pastoralis cura di Clemente V, in cui si affermava la superiorità della Chiesa sull'Impero. Comunque I., nel 1361, acconsentì a riconoscere che Enrico VII, pur avendo agito sconsideratamente nei confronti di Roberto d'Angiò, era stato un suddito obbediente della Chiesa. Il papa si adoperò costantemente per ristabilire il diritto e la giustizia ovunque fossero minacciati: così, prese le difese di Bianca di Borbone, abbandonata e addirittura imprigionata subito dopo le nozze dal marito, il re di Castiglia Pietro il Crudele, su istigazione dell'amante Maria de Padilla. Il re non esitò a far annullare il matrimonio da due vescovi compiacenti per sposare un'altra donna, Juana de Castro. Malgrado le numerose lettere del papa e i passi intrapresi in successione da tre emissari pontifici, il vescovo di Senez Bertrand nel 1354-1355, i cardinali Guillaume de la Jugie nel 1355-1356 e Guy de Boulogne nel 1358-1361, e a dispetto delle sentenze di scomunica e di interdetto pronunciate contro Pietro, I. non riuscì ad avere ragione dell'ostinazione del re castigliano. Bianca di Borbone morì nel 1361 senza poter essere reintegrata nei suoi diritti di moglie legittima e di regina. Guy de Boulogne, nel 1361, ottenne comunque che fosse sottoscritto un trattato di pace fra la Castiglia e l'Aragona in guerra da molti anni. Come già Clemente VI, anche I. propose la sua mediazione nel conflitto armato che opponeva il re d'Aragona e Venezia a Genova. Nel 1355 Venezia concluse una pace separata con Genova. Il re d'Aragona Pietro IV il Cerimonioso si recò ad Avignone nel Natale 1355 e prestò giuramento alla Santa Sede per la Sardegna, ma le trattative di pace con Genova si trascinavano: agli sforzi del pontefice si aggiunse l'arbitrato di Giovanni Paleologo, marchese di Monferrato. Ma le sentenze emesse, che avvantaggiavano i Genovesi, scontentarono Pietro IV e alla morte di I. le ostilità erano sul punto di riaccendersi. Il ristabilimento della pace tra Francia e Inghilterra, per il quale I. si era adoperato in prima persona già in qualità di vescovo e di cardinale, avendo anche una conoscenza diretta dei protagonisti del conflitto, era uno dei desideri prioritari del papa. Alla guerra franco-inglese si aggiungeva la discordia, sempre rinnovata, tra i re di Francia e di Navarra, e la perdurante prigionia del duca di Bretagna ostaggio degli Inglesi. Al momento dell'elezione di I. fra i due paesi era in corso una tregua. Grazie agli sforzi dispiegati dall'inviato pontificio, il cardinale Guy de Boulogne, tra grandi difficoltà e numerose lettere del papa destinate ai due sovrani e ai loro principali consiglieri, si ottenne un prolungamento della tregua e infine si giunse ai preliminari di pace firmati a Guines il 6 aprile 1354. Ma i plenipotenziari dei due paesi, dopo un incontro ad Avignone alla fine dello stesso anno, si separarono senza aver ratificato il trattato. E le ostilità ripresero nell'autunno del 1355, con una spedizione militare in Linguadoca guidata dal figlio maggiore di Edoardo III, il principe di Galles detto il "principe nero", che gli emissari papali, l'arcivescovo di Capua e il vescovo di Tarazona, non riuscirono a fermare. Le iniziative, talvolta contraddittorie, intraprese dai cardinali Talleyrand di Périgord e Nicola Capucci, inviati presso i belligeranti nella primavera del 1356, non riuscirono ad impedire una nuova campagna del "principe nero" nelle province dell'Ovest della Francia, che si concluse il 16 settembre con la disfatta e la cattura di re Giovanni il Buono nella battaglia di Poitiers. Questi eventi gettarono nello sconforto I.: in numerose lettere il papa rinnovò le esortazioni alla pace ai due avversari, invitando al tempo stesso i suoi inviati a coordinare la loro azione in modo più efficace. Sollecitò invano anche la mediazione dell'imperatore Carlo IV. Le trattative di pace avviate a Bordeaux, dove si trovavano Giovanni il Buono e il "principe nero", nell'aprile 1357 approdarono alla firma di una tregua di due anni. Proseguirono poi in Inghilterra, dove era stato trasferito il re di Francia; ai primi due cardinali il papa aggiunse Pierre de la Forêt, arcivescovo di Rouen e cancelliere di Giovanni il Buono promosso di recente alla dignità cardinalizia. Un progetto di pace concluso a Londra fra Edoardo III e Giovanni il Buono il 24 marzo 1359 fu respinto dal principe Carlo, futuro Carlo V, che deteneva la reggenza del Regno di Francia. Scaduti i termini della tregua sottoscritta a Bordeaux, le ostilità ripresero in Francia nell'autunno del 1359, ma senza risultati decisivi. Due nuovi emissari del papa, l'abate di Cluny Androin de la Roche e Ugo di Ginevra, persuasero i contendenti a riprendere i negoziati. Il trattato di pace firmato a Brétigny l'8 maggio 1360 fu rapidamente ratificato da Edoardo III e Giovanni il Buono. I. si rallegrò per la conclusione dell'accordo lungamente perseguito, tanto più che l'anno precedente era stato sottoscritto un altro trattato di pace fra il reggente e il re di Navarra e il duca di Bretagna era tornato libero, nel 1356, con l'obbligo di pagare un ingente riscatto che il papa l'aiutò a raccogliere. E fino alla morte I. moltiplicò i suoi sforzi per il mantenimento di questa fragile pace. Questi successi tuttavia avevano anche risvolti negativi: le truppe mercenarie, ridotte all'inazione e non più pagate, rifiutavano di disperdersi e continuavano a devastare il Regno di Francia e i suoi confini. Nel 1357, alcune bande ammassate nel Delfinato al comando di Arnaud de Cervole, detto l'Arciprete, erano in procinto di invadere la Provenza, possedimento del re e della regina di Napoli, con grave minaccia per Avignone e il Contado Venassino. Malgrado i reiterati appelli al reggente del Regno e ai sovrani vicini, il papa non ottenne alcun aiuto e non riuscì ad impedire il saccheggio della Provenza. Il Palazzo pontificio di Avignone, su disposizione del papa, fu munito di macchine da guerra e fu proseguita la costruzione dei bastioni cittadini, sotto la direzione di Pierre Sicard. I. fornì anche un sostegno finanziario alle città del Contado per provvedere alla loro difesa. In seguito a trattative, dietro pagamento di un'ingente indennità, Arnaud de Cervole acconsentì a ritirarsi. Ma alla fine del 1360 altre truppe mercenarie occuparono Pont-St-Esprit, impedendo che Avignone ricevesse gli approvvigionamenti dal Rodano. Il papa fece predicare la crociata contro gli invasori, ma i soccorsi giunti in quantità insufficiente non permisero la riconquista di Pont-St-Esprit e di nuovo fu necessario negoziare a peso d'oro l'evacuazione delle bande mercenarie. Se la cessazione dei conflitti armati fra i principi cristiani era in cima alle preoccupazioni di I., ciò andava imputato all'aspirazione del papa che i sovrani, finalmente riconciliati, attuassero il progetto di crociata in Terrasanta, periodicamente ventilato dall'inizio del secolo. Senza attendere la realizzazione, sempre rinviata, di questa speranza, I. non rimase comunque inattivo in Oriente, pur non ottenendo risultati di rilievo. L'abdicazione dell'imperatore bizantino Giovanni VI Cantacuzeno, alla fine del 1354, e la morte del re di Serbia Stefano DuŠsan, il 10 dicembre 1355, posero fine alle speranze suscitate dai loro progetti di avvicinamento, e addirittura di unione, con la Chiesa cattolica, coltivati dai due sovrani in reciproca autonomia. Il nuovo imperatore Giovanni V Paleologo tornò su questi progetti, esposti diffusamente nella sua crisobolla del 15 dicembre 1355, e il papa se ne rallegrò incoraggiandolo a perseverare in questa direzione. Ma pose come condizione alla concessione di un aiuto materiale contro i Turchi l'effettiva attuazione dei propositi dell'imperatore. Giovanni V si scontrò tuttavia con l'opposizione del clero ortodosso e la sua conversione alla fede cattolica, alcuni anni più tardi, rimase una decisione esclusivamente personale. Per difendere l'esigua cristianità latina di Smirne, I. esercitò costanti pressioni sul re di Cipro, Ugo di Lusignano, sugli Ospedalieri di Rodi e sulla Repubblica di Venezia, affinché rendessero operativa la lega che avevano costituito alcuni anni prima contro i Turchi, procurando le galere e le somme di denaro promesse. La piccola armata riunita dal suo legato, il carmelitano Pierre Thomas, dopo aver predicato la crociata, ottenne nel 1359 solo successi limitati e temporanei, mentre i Turchi, che occupavano Gallipoli, nello stesso anno assediavano Costantinopoli e si impadronivano di piazzeforti in Tracia; nel 1362 presero Adrianopoli. Le operazioni militari in Italia e in Francia erano molto dispendiose, mentre le imposte pontificie, a causa delle guerre, venivano riscosse in modo irregolare. A più riprese il papa fu costretto ad attingere alle riserve del Tesoro pontificio, dove in seguito all'esercizio del diritto di spoliazione sui beni mobili dei prelati deceduti si accumulavano oggetti di oreficeria e ornamenti liturgici, spesso arricchiti di perle e pietre preziose. E al ricavato della loro vendita si aggiungevano prestiti contratti con i cardinali. Nel 1361, ai disordini e alla carestia provocati dalla guerra si accompagnò, ad Avignone e nel Contado Venassino, un'epidemia di peste che in pochi mesi uccise nove cardinali, il cameriere e il tesoriere apostolici, privando in tal modo il papa dei suoi principali consiglieri. La salute di I., anziano e gravemente malato di gotta, declinò ulteriormente. Morì il 12 settembre 1362. Il papa trascorreva abitualmente i mesi estivi a Villeneuve-lès-Avignon, nella residenza che aveva fatto costruire quand'era cardinale: il 2 giugnò 1356 vi fondò una certosa dedicata a s. Giovanni Battista, che a partire dal 1362 divenne Notre-Dame du Val-de-Bénédiction. Fu sepolto qui, dopo esequie solenni celebrate nella cattedrale di Notre-Dame-des-Doms. La tomba monumentale con la sua figura giacente è attribuita allo scalpellino Thomas de Tournon e allo scultore Barthélémy Cavailler. Dopo essere stata spostata nell'ospizio di Villeneuve nell'Ottocento, è stata nuovamente montata nel 1960 nella cappella della S. Trinità nella chiesa della certosa. La testa della figura giacente è stata rifatta.
fonti e bibliografia
Una sottoscrizione autografa di I., all'epoca cardinale, accompagnata dalla firma di suo pugno è tracciata su una bolla di Clemente VI, del 2 dicembre 1344, a favore dell'abbazia di Jumièges (Archivi dipartimentali della Senna Marittima, 9h19); sei sermoni pronunciati da I. quand'era vescovo di Noyon sono stati pubblicati da D. Willman, Memoranda and Sermons of Etienne Aubert (Innocent VI) as Bishop (1338-1341), "Medieval Studies", 37, 1975, pp. 7-41.
Per quel che riguarda i registri delle lettere segrete relativi ai suoi dieci anni di pontificato, si noti che quelli relativi agli anni dal primo al quinto (1353-1357), nonché al settimo e all'ottavo (1359-1360), si trovano in A.S.V., Reg. Vat. 235-41. I registri relativi al sesto (1358) e al decimo (1362) non si sono conservati e non sono stati senz'altro allestiti. Il registro del nono anno (1361) di pontificato, anticamente sottratto agli Archivi pontifici, la cui presenza è attestata a Digione nel XVII e XVIII secolo e che in seguito fece parte della collezione di sir Thomas Phillipps, dal 1967 appartiene all'Archivio di Stato di Roma (Camerale I, nr. 2028).
È stato pubblicato a Parigi agli inizi del XVIII secolo da Edmond Martène e Ursin Durand da una copia in possesso di Jean Bouhier (Thesaurus novus anecdotorum, II, Paris 1717, coll. 843-1072). I registri delle lettere segrete e curiali sono in corso di pubblicazione a cura dell'École Française de Rome (Innocenzo VI, 1352-1362, Lettres secrètes et curiales, a cura di P. Gasnault-M.H. Laurent-N. Gotteri, I-IV, Paris 1959-76 [corrispondono ai primi quattro anni]). In attesa che questa edizione sia conclusa, si può fare riferimento alle seguenti edizioni parziali, in cui sono analizzate anche lettere ordinarie:
E. Werunsky, Excerpta e registris Clementis VI et Innocentii VI historiam S.R. imperii sub regimine Karoli IV illustrantia, Inspruck 1885.
G. Daumet, Innocent VI et Blanche de Bourbon. Lettres du pape d'après les registres du Vatican, Paris 1899.
F. Novak, Acta Innocentii VI, Prag 1907.
J.-M. Vidal, Bullaire de l'inquisition française au XIVe siècle, [...], Paris 1913, pp. 329-45.
G. Despy, Lettres d'Innocent VI (1352-1362), I, 1352-1355. Textes et analyses, Bruxelles-Rome 1953 (riguardante le diocesi del Belgio).
A.L. T×autu, Acta Innocentii VI (1352-1362), Roma 1961 (Pontificia commissio ad redigendum codicem juris canonici orientalis. Fontes).
Gli Archivi Vaticani conservano i registri delle suppliche presentate ad I. dal primo al terzo e dal quinto al nono anno di pontificato (Reg. Suppl. 23-7 e 29-35). Sono stati pubblicati, sotto forma di analisi, unicamente in rapporto alle diocesi del Belgio:
U. Berlière, Suppliques d'Innocent VI (1352-1362). Textes et analyses, Bruxelles-Paris 1911, da integrare con Id., Suppliques d'Innocent VI (1354, 28 août-12 octobre), "Bulletin de l'Institut Historique Belge de Rome", 5, 1925, pp. 249-62.
Un registro di suppliche originale firmato da I. è stato riprodotto da E.A. Van Moé, Suppliques originales adressées à Jean XXII, Clément VI et Innocent VI, "Bibliothèque de l'École des Chartes", 92, 1931, tav. III.
I conti della Camera apostolica relativi al pontificato di I. sono stati pubblicati dalla Görres-Gesellschaft (K.H. Schäfer, Die Ausgaben der apostolischen Kammer unter Benedikt XII., Klemens VI. und Innocenz VI., Paderborn 1914.
H. Hoberg, Die Einnahmen der apostolischen Kammer unter Innocenz VI., I-II, ivi 1955-72).
Quattro vite medievali di I. sono state pubblicate daÉ. Baluze (Vitae paparum Avenionensium, [...], a cura di G. Mollat, I, Paris 1914, pp. 309-48).
E. Müntz-M. Faucon, Inventaire des objets précieux vendus à Avignon en 1358 par le pape Innocent VI, "Revue Archéologique", 43, 1882, pp. 217-25;
L.H. Labande, L'occupation de Pont-Saint-Esprit par les Grandes compagnies (1360-1362), "Revue Historique de Provence", 1, 1901, pp. 79-95;
A. Clergeac, Jean Ier d'Armagnac et les papes d'Avignon Innocent VI et Urbain V, "Revue de Gascogne", 5, 1905, pp. 97-112;
G. Mollat, Innocent VI et les tentatives de paix entre la France et l'Angleterre (1353-1355), "Revue d'Histoire Ecclésiastique", 10, 1909, pp. 729-43;
P. Guidi, La coronazione d'Innocenzo VI, in Papsttum und Kaisertum. Festschrift für P. Kehr, München 1926, pp. 371-90;
E. Déprez, La querelle de Bretagne de la captivité de Charles de Blois à la majorité de Jean IV de Montfort (1347-1356), "Mémoires de la Société d'Histoire et d'Archéologie de Bretagne", 7, 1926, pp. 25-60;
M. Prinet, Quelques seings manuels de cardinaux (1344), "Bibliothèque de l'École des Chartes", 89, 1928, pp. 175-82;
O. Halecki, Un empereur de Byzance à Rome. Vingt ans de travail pour l'union des églises et pour la défense de l'Empire d'Orient, 1355-1375, Varsovie 1930; S. Duvergé, Le rôle de la papauté dans la guerre de l'Aragon contre Gênes (1351-1356), "Mélanges d'Archéologie et d'Histoire", 50, 1933, pp. 221-49;
Id., La solution du conflit entre l'Aragon et Gênes (1357-1378), ibid., 51, 1934, pp. 240-57;
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Traduzione
di Maria Paola Arena.