intensificatori
Sotto il nome di intensificatori sono riunite tutte quelle espressioni (nomi, avverbi, aggettivi, sintagmi) che contribuiscono all’amplificazione di un aggettivo, di un nome, di un verbo, di un avverbio, di un pronome, ecc. L’intensificazione, frequente specialmente nelle varietà giovanili o popolari (un caldo bestiale; un freddo boia; un male cane), è un fenomeno che investe non soltanto il livello morfologico ma anche il livello semantico e pragmatico:
Semanticamente, corrisponde all’aumento di quantità (A è molto / A è più x) o di precisione (A è proprio / veramente / assolutamente x); morfologicamente rientra nella categoria dell’alterazione, comprendendo – all’interno di questa – gli accrescitivi e i diminutivi; dal punto di vista della tipologia testuale (o stilistica) rientra nell’uso del discorso brillante (Sobrero 1993: 437).
Tuttavia, la funzione più importante dell’intensificazione è pragmatica: nella conversazione ha funzione rielaborativa, cioè
caratterizza spesso il secondo elemento di una coppia di battute (domanda-risposta, affermazione-negazione, affermazione-adesione, ecc.). Il parlante B riprende l’asserzione (o risponde alla domanda) del parlante A e la rielabora in vario modo: condivide, afferma, nega, rafforza, attacca, modifica (Sobrero 1993: 437-438)
Si considerino queste battute di dialogo:
(1) A. vuoi una fetta di torta?
B. sì, una fettona!
(2) A. Maria è carina ...
B. carinissima!
(3) A. vedi qualche volta Marco?
B. non lo vedo mai
In (1), per mezzo dell’alterato fettona, B rielabora, affermando, la battuta di A; in (2) l’uso del superlativo carinissima accresce la convergenza di B con A; in (3) la particella avverbiale mai rafforza la risposta negativa di B alla domanda di A.
Qui ci limiteremo agli intensificatori di natura strettamente linguistica, ma va segnalato che l’intensificazione si realizza anche a livello di ➔ intonazione.
Per esprimere la massima gradazione intensiva dell’aggettivo, l’italiano si serve innanzitutto del grado ➔ superlativo, ottenuto dall’unione dell’aggettivo con un suffisso elativo (-issimo: buono → buonissimo; -errimo: celebre → celeberrimo; -entissimo: benevolo → benevolentissimo). Tuttavia, oltre a questo, la nostra lingua dispone di un’ampia gamma di procedimenti (Serianni 1988: 184-185):
(a) l’anteposizione di un avverbio di quantità (molto, assai, tanto), o di un avverbio qualificativo (notevolmente, particolarmente, ecc.) all’aggettivo di grado positivo: «mio zio, oltre che piccolo, è un uomo molto magro» (Elio Vittorini); «certo doveva essere assai pericoloso» (Italo Calvino); «in conseguenza di ciò alcuni di essi sono notevolmente disturbati» (Giuseppe Arbasino); «non mi pare di essere particolarmente austero» (Alberto Moravia);
(b) tutto + aggettivo al grado positivo: «era bionda, aveva un golf d’angora tutto bianco indosso» (Vittorini); questo libro è tutt’altro rispetto a quello;
(c) la reduplicazione dell’aggettivo: «col cuore che mi batteva forte forte, varcai l’ingresso di Sant’Anna» (Achille Campanile);
(d) aggettivi e locuzioni apposti a taluni specifici aggettivi, coi quali formano collocativi: «bisognava essere innamorato cotto, di lei» (Michele Prisco); «una volta il marito era venuto ubriaco fradicio» (Moravia); «un povero ragazzino, buono come il pane, a cui bisogna fare del bene» (Moravia); «lei, ch’era sorda come una campana» (Campanile); è bravo una cifra;
(e) avverbi e locuzioni con valore asseverativo, uniti all’aggettivo (davvero, veramente, proprio, sul serio, per davvero): «adesso Ginia era davvero felice» (Cesare Pavese); «il Vittoni che, senza essere veramente intelligente, non mancava tuttavia di una grossolana e sarcastica penetrazione» (Moravia); «bisognava essere proprio sciocchi per aver paura» (Giuseppe Berto); «a forza di rodermi diventavo brutta sul serio» (Moravia); è senz’altro opportuno precisare che, in questi casi solamente dal contesto può essere ricavato se la funzione dell’avverbio sia asseverativa (col significato di «realmente», «effettivamente») o piuttosto intensificatrice: Mario è davvero bravo? (asseverativo), ma Mario è davvero bravo e Mario è bravo davvero! (superlativo).
(f) prefissi con valore accrescitivo: arci-, bis-, iper-, per-, stra-, ultra-: arcicontento, arcibello, arcistufo, (unto e) bisunto, iperattivo, pervigile, straricco, stravecchio, ultrarapido (Dardano & Trifone 1997: 543; ➔ accrescitivo).
L’intensificazione di un nome si attua anteponendo a questo un aggettivo qualificativo (Serianni 1988: 172-173; ➔ aggettivi). Gli aggettivi adoperati come intensificatori del nome sono soprattutto bello e buono: «raccolsi la mia roba e le feci un bel saluto» (Ennio Flaiano); «ha pettinato una buona parte delle signore» (Aldo Palazzeschi).
L’aggettivo bello svolge una funzione particolare nelle narrazioni:
(a) può indicare un mutamento di situazione: «trovatasi, un bel giorno, col suo signore nel mezzo di una strada» (Palazzeschi);
(b) in unione col nome mezzo, segnala il momento centrale o culminante di un’azione: «poi nel bel mezzo dell’interessante discussione entra qualcuno» (Moravia).
Possono anche trovarsi altri aggettivi: alto, forte, piccolo, grande, discreto, vero, ecc.: «il Generale Cork era un vero gentleman, voglio dire un vero gentleman americano» (Curzio Malaparte); «a perpendicolo sul tabernacolo dipinse una discreta colomba» (Fulvio Tomizza). Questi aggettivi, se adoperati con funzione intensiva, sono anteposti al nome (ma buono può anche essere posposto): una buona ventina di chili e una ventina di chili buoni.
Molte volte è proprio l’opposizione anteposizione / posposizione dell’aggettivo a indicare se la funzione sia intensificatrice o qualificativa, come può facilmente essere compreso analizzando le espressioni: una vera notizia! (l’aggettivo vera è un intensificatore e la frase vale «questa sì che è una notizia») e una notizia vera (ove l’aggettivo vale per «non falsa» e, pertanto, ha funzione qualificativa).
L’intensificazione del nome può anche essere realizzata mediante la reduplicazione: un caffè caffè (Serianni 1988: 184; ➔ raddoppiamento espressivo); sono nato a Roma Roma; con l’➔accrescitivo -one: leprone, donnone (come si vede, nell’➔alterazione può verificarsi un mutamento di genere del nome: lepre f. → leprone m., donna f. → donnone m., caserma f. → casermone m.).
Un altro suffisso che, per l’influsso della lingua della pubblicità, si estende anche ai nomi è l’elativo -issimo: poltronissima, offertissima, finalissima, amicissimi. Lo stesso accade anche ai pronomi (nessunissimo) e agli avverbi (subitissimo, tardissimo, nientissimo). In espansione nell’italiano contemporaneo sono i prefissi mega-, super-, maxi-: megafesta, supercampione, maxiscelta (D’Achille 2003: 106).
Il verbo può essere intensificato attraverso vari procedimenti:
(a) la ripetizione: «sempre si sentiva quell’aspo che girava, girava, girava» (Alessandro Manzoni); «lenta la neve fiocca, fiocca, fiocca» (Giovanni Pascoli);
(b) il raddoppiamento d’una forma imperativa, alla II persona sing.: e continua, continua; aspetta e aspetta;
(c) l’➔epanalessi, cioè la ripetizione alla fine della frase del verbo (Rohlfs 1966-1969: §§ 412-413): «dapprima Turiddu come lo seppe, santo diavolone! voleva trargli fuori le budella dalla pancia, voleva trargli a quel di Licodia!» (Giovanni Verga).
Per ciò che concerne il verbo, è interessante osservare che l’intensificazione del ➔ participio passato può realizzarsi sia con i mezzi visti a proposito dell’aggettivo sia con altri due procedimenti:
(a) da un lato, con l’anteposizione del nesso bell’e, che esprime il fatto che la condizione cui il rafforzamento si riferisce è completa (in altri termini, attribuisce al participio l’aspetto perfettivo): «ho bell’e visto che te ne torni a San Benedetto» (Edmo Fenoglio);
(b) dall’altro con l’elativo -issimo, per la tendenza, già vista nel § 3, di espansione di questo suffisso oltre i limiti del superlativo: è stato applauditissimo; sono sposatissimo).
Al pari degli aggettivi, anche gli avverbi possono essere intensificati attraverso il superlativo: prestissimo, lontanissimo, tardissimo, benissimo (bene può anche prendere il suffisso accrescitivo colloquiale -one: benone), fortissimamente; mediante reduplicazione: ancora ancora (per indicare insofferenza), ora ora, adesso adesso; con l’anteposizione degli avverbi di quantità (molto, assai, tanto, ecc.): è molto / assai tardi; con l’anteposizione di così: ha lavorato così scrupolosamente.
Intensificatori dei pronomi personali sono proprio (che viene anteposto) stesso, che viene posposto e che è da accordarsi in genere e numero) e il nesso in persona: ho visto proprio lui; loro stesse hanno parlato con Alberto; io in persona mi sono presentato da lei.
Come si è accennato sopra (§ 1) anche la ➔ negazione può essere intensificata mediante l’uso di particelle avverbiali, dette anche particelle completive della negazione (Serianni 1988: 428). Le più comuni sono mica, mai, affatto, punto (quest’ultima di uso letterario): «non era mica così» (Vasco Pratolini); «lui, che non riuscì mai ad entrare in Parlamento» (Vincenzo Cardarelli); «non mi vergogno affatto di appartenere a una generazione vinta» (Malaparte); «Esse ne vanno / ritte negli alti occhi alteramente; / e la turba volgare che si prostra / non badan punto» (Manzoni).
Riguardo a mica e a punto si deve sottolineare l’affinità semantica: entrambe esprimono il significato di «quantità piccolissima, infinitesima» (lat. pŭnctum «punto», mīca «briciola»), proprio come la particella della negazione francese pas «passo» (il ne vient pas «non viene»). A rigore, tutte queste particelle, se posposte, richiedono la compresenza dell’avverbio negativo non. Tipico dell’italiano settentrionale è però l’uso di mica posposto da solo: «peso mica tanto – disse il curato ridendo» (Antonio Fogazzaro).
Nella lingua antica troviamo anche la particella fiore: «uom che non ha vita fiore» (Guittone) e, nel lucchese, goccia, cui corrispondono nutta (piemontese), nagott (milanese), negota (Bergamo) < lat. nē gŭtta «neppure una goccia», gozo (antico veneziano). Nel Settentrione abbiamo brisa, brica «briciola», nel Salento si trova filu «neanche un filo» (Rohlfs 1966-1969, §§ 967-968).
D’Achille, Paolo (2003), L’italiano contemporaneo, Bologna, il Mulino.
Dardano, Maurizio & Trifone, Pietro (1997), La nuova grammatica della lingua italiana, Bologna, Zanichelli.
De Mauro, Tullio (a cura di) (2007), Primo Tesoro della lingua letteraria italiana del Novecento, Torino, UTET.
Rohlfs, Gerhard (1966-1969), Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti, Torino, Einaudi, 3 voll., vol. 2° (Morfologia); vol. 3° (Sintassi e formazione delle parole) (1a ed. Historische Grammatik der Italienischen Sprache und ihrer Mundarten, Bern, A. Francke, 1949-1954, 3 voll., vol. 2º, Formenlehre und Syntax; vol. 3º, Syntax und Wortbildung).
Serianni, Luca (1988), Grammatica italiana. Italiano comune e lingua letteraria. Suoni, forme, costrutti, con la collaborazione di A. Castelvecchi, Torino, UTET.
Sobrero, Alberto A. (a cura di) (1993), Introduzione all’italiano contemporaneo, Roma - Bari, Laterza, 2 voll., vol. 1° (Le strutture).