INTERROGATORIO (fr. interrogatoire; sp. interrogatorio; ted. Verhör; ingl. examination)
Questo termine, nel suo senso giuridico-penale, serve a designare quel particolare rapporto che si istituisce tra il giudice e l'imputato nel momento in cui all'imputato stesso vengono resi noti (contestati) i fatti dei quali deve rispondere, con invito a esporre le sue discolpe. L'interrogatorio non va dunque confuso con le dichiarazioni o con le deposizioni processuali di persone diverse dall'imputato. Nell'antica terminologia, e ancora per qualche legislazione straniera, l'interrogatorio è detto costituto, per designare l'atto con cui si costituisce in modo definitivo il rapporto processuale.
Nel diritto romano l'interrogatorio dell'imputato avveniva nei processi di cognitio, ma non in quelli di accusatio. Sostituita poi, nell'epoca imperiale, la procedura extraordinaria alle antiche forme processuali, l'interrogatorio fu norma costante del processo penale. Per lungo tempo la tortura fu estranea al processo romano, mentre era in uso anche nei più civili stati della Grecia. Introdotta dapprima in rapporto agli schiavi, cominciò ad applicarsi anche ai cittadini e ai liberi d'ogni nazione sotto il principato; a essa potevano sottoporsi in origine i soli imputati, per costringerli a rilevare il vero; poi venne estesa anche ai testimonî.
Nel processo accusatorio dei tempi di mezzo, costruito con le forme che sono proprie soltanto del processo civile, con l'interrogatorio avveniva la contestazione della lite, documentata nel processo verbale. Nel processo inquisitorio (che storicamente succede al primo, come più adeguato ai nuovi bisogni sociali) l'interrogatorio naturalmente fu mantenuto (constitutus coram iudice), e per renderlo più efficace (secondo i pregiudizî del tempo) lo si faceva precedere o seguire dalla tortura. Fu merito dei giureconsulti e dei filosofi degli ultimi tempi l'aver dimostrato l'insidiosità di questi mezzi, diretti a strappare quella confessione che, per il diritto dell'epoca, era necessaria per l'applicazione delle pene ordinarie. Ma, abolita la tortura, ci volle del tempo prima che le leggi e i giudici si astenessero dall'adoperare altri mezzi analoghi; cosicché, p. es., nel codice di Giuseppe II gli antichi tormenti vennero sostituiti dalla fustigazione e dal digiuno, diretti a vincere le resistenze dell'imputato. In qualche paese dell'età contemporanea, la tortura è ancora praticamente in uso specialmente negl'interrogatorî di polizia giudiziaria; in qualche altro vi sono sostitutivi dell'antica tortura; a es., nelle prigioni nordamericane, nel 1923, fu sperimentato l'uso della scopolamina (droga della verità), la quale ricorda l'erba achemenide del nostro Medioevo. Un magistrato di Seattle (Washington) nel 1929 spiegò come si possa ottenere la confessione dei colpevoli mediante combinate iniezioni ipodermiche d'una certa sostanza, e il sistema fu sperimentato, nel 1930, nelle carceri.
Come suole accadere, da un eccesso si passò all'altro, riconoscendo non solo all'imputato il diritto di tacere (nemo tenetur se detegere) e di mentire, ma obbligando altresì il giudice ad avvertire l'imputato di questo suo diritto. Così in sostanza disponeva l'art. 261 capoverso (v. anche art. 388) del codice di procedura penale del 1913: esagerazione che il nuovo codice 1930 ha tolto di mezzo.
L'interrogatorio penale, per il diritto moderno, non è un mezzo di prova, ma di difesa. La confessione (elemento di prova indiziaria) può essere il risultato dell'interrogatorio, ma non ne costituisce lo scopo. Questi principî venivano più o meno esplicitamente riconosciuti anche dalla dottrina dei tempi di mezzo, nonostante le contraddizioni di essa e il disconoscimento pratico. L'interrogatorio, dicevano infatti gli antichi giureconsulti, non respicit ad probationem, sed ad veritatem sciendam. Si può notare che è proprio compito della prova quello di scoprire la verità, ma non conviene sottilizzare troppo nella critica di questa dottrina, mentre quella distinzione rivela che la natura propria dell'interrogatorio era intuita, sia pure in forma confusa, sino nell'epoca intermedia.
Nel leggere le regole dei giureconsulti di quel tempo, se non si sapesse che esisteva la tortura e che la giustizia era amministrata da magistrati spesso ignoranti e feroci, parrebbe che nulla di più giusto, di più equo, di più civile e moderno si potesse desiderare delle regole ch'essi davano per gl'interrogatorî degl'imputati. Vietavano persino le domande suggestive, cosa alla quale non arriva neppure il codice di procedura penale vigente. Ma accanto alle regole i predetti giureconsulti collocavano l'insidia delle eccezioni, talvolta tanto numerose da rendere praticamente vane le regole stesse.
Data la natura dell'interrogatorio, ben si comprende come il diritto moderno, a differenza del diritto antico, vieti in modo assoluto il giuramento dell'imputato, anche su ciò che concerne il fatto altrui. Il giuramento purgatorio, deferito o riferito (diretto a distruggere una prova insufficiente), non era ammesso dal diritto romano. Nel diritto intermedio, invece, questo giuramento, già accolto nelle leggi barbariche, durò a lungo, quale surrogato della prova vera e propria, ancorché non fosse in uso dovunque in Italia. Il giuramento stesso (assurdità psicologica e giuridica) andò scomparendo nei secoli XVII e XVIlI; quello di veridicità fu conservato più a lungo. La nuova legislazione criminale toscana (art. 6) non solo confermò una legge del 1679, che vietava il giuramento dell'imputato sul fatto proprio, ma vietò altresì quello sul fatto altrui.
Nel vigente diritto le regole generali sull'interrogatorio sono date negli art. 365-368 cod. proc. pen. del 1930, regole naturalmente assai sommarie, perché il modo di condurre l'interrogatorio non può che essere lasciato all'intelligenza, alla probità e alla discrezione del magistrato che vi procede.
L'interrogatorio può avvenire in tre momenti. Negli atti di polizia giudiziaria, in caso di flagranza o quando ci sia urgenza, gli ufficiali di polizia giudiziaria possono procedere a "interrogatorio sommario" dell'imputato (art. 225 cod. proc. pen.), ma questo interrogatorio non può mai sostituire quello giudiziale, che è sempre obbligatorio, quando sia possibile. L'istruzione è il momento più importante dell'interrogatorio, e la legge vigente vuole che a esso proceda il giudice, salvo quando si tratti d'istruzione sommaria, compiuta dal pubblico ministero (art. 391 cod. proc. penale). Nel dibattimento in contraddittorio è anche obbligatorio l'interrogatorio; l'imputato può bensì esimersi dal rispondere, confermando o no quello reso nell'istruzione; ma questo non rende superfluo l'altro.
L'interrogatorio consta di due parti. La prima è per così dire introduttiva, e riguarda le generalità dell'imputato; la seconda concerne il merito, ed è quella nella quale avviene la contestazione dell'accusa perché l'imputato, se lo crede opportuno, si difenda.
Come si è detto, l'imputato (a differenza dei testimoni) non è obbligato a rispondere, e tanto meno a dire la verità, in base al principio che non è umano esigere che alcuno accusi sé stesso. Se peraltro l'imputato non si limita a tacere, o a mentire nel merito, ma dà false generalità o accusa persone innocenti, risponde di falsità o di calunnia.
L'interrogatorio di polizia giudiziaria e quello reso nell'istruzione debbono essere raccolti esattamente e dettagliatamente in apposito processo verbale, che viene unito agli atti del procedimento. È questa una delle ragioni per cui l'istruzione comunemente si designa come "processo scritto", in quanto gli atti (orali) in essa compiuti vengono presentati nel dibattimento in forma scritta. Nei dibattimenti davanti ai tribunali e ai pretori le risposte date dall'imputato nell'interrogatorio sono "riassunte", il che non avviene nei dibattimenti in corte d'assise, perché nessuna impugnazione di merito (ma soltanto il ricorso per cassazione, che può riguardare esclusivamente questioni di mero diritto) è data contro le decisioni di quella corte.
Un istituto del tutto diverso è l'interrogatorio civile, che il codice italiano di procedura civile disciplina tra le prove (v. Prova). La parte che vuole interrogare l'avversario su fatti concernenti la causa deve dedurli specificamente in articoli separati, e la ordinanza o la sentenza che ammette tale interrogatorio delega un giudice a ricevere le risposte, salvo che ordini che queste siano date all'udienza. Quando la parte non comparisca o ricusi di rispondere, si considerano come ammessi i fatti dedotti, salvo impedimento legittimo (articoli 216, 219 cod. proc. civ.). Una certa affinità formale con l'interrogatorio penale (istruttorio) ha invece l'interrogatorio civile nel giudizio d'interdizione o d'inabilitazione (articoli 327 cod. civ.; 838, 839 cod. proc. civ.).