Intifada
intifāḍa <...fàaḍa>. – Nome di due rivolte popolari palestinesi: la prima, iniziata a Gaza nel 1987 e conclusasi, dopo alterne vicende, nel 1993; la seconda, scoppiata a Gerusalemme nel 2000 e della quale è più controverso stabilire l’epilogo, nonostante molti analisti concordino nel datare la conclusione al febbraio 2005, quando nel summit di Sharm el-Sheikh israeliani e palestinesi si impegnarono a cessare le ostilità.
La seconda intifāḍa. – La rivolta popolare palestinese, detta anche i. di al-Aqsa, dal nome della moschea che sorge a Gerusalemme, nel terzo luogo santo dell’islam (al-Haram ash-Sharif, «il nobile santuario») dopo La Mecca e Medina, ha avuto inizio alla fine di settembre 2000. In un clima di forte tensione in cui andava crescendo la frustrazione del popolo palestinese per il mancato adempimento israeliano degli accordi di pace siglati a Oslo nel 1993, l’evento scatenante è stata la visita, il 28 settembre, del leader del Likud A. Sharon al sito religioso venerato da entrambe le religioni (per gli ebrei l’al-Haram ash-Sharif è il monte del Tempio). Il giorno successivo, dopo la preghiera del venerdì, migliaia di fedeli musulmani affollavano la Spianata delle moschee dove si verificarono i primi scontri con le forze di polizia israeliane (6 morti e oltre 200 feriti tra i palestinesi). La protesta palestinese è dilagata rapidamente a Gaza e in Cisgiordania, trasformandosi in una rivolta contro l’occupazione israeliana e per l’indipendenza della Palestina. La durezza della repressione messa in atto dal governo israeliano, condannata dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite il 7 ottobre, è stata più volte denunciata nelle sedi internazionali nei mesi successivi. A differenza della prima i., caratterizzata da scontri di piazza, manifestazioni popolari e azioni non violente di disobbedienza civile, l’i. di al-Aqsa ha visto una progressiva militarizzazione della rivolta con un largo uso di armi da fuoco da parte dei palestinesi e soprattutto il ricorso ad attentati suicidi contro obiettivi civili e militari. Soltanto nel marzo 2002 vi sono stati circa 80 morti tra gli israeliani, vittime civili e inermi di ripetuti attentati suicidi contro alberghi, autobus, bar e centri commerciali. Il conteggio delle vittime, tuttavia, ha evidenziato sin dalle prime battute una sproporzione, andata via via crescendo, tra il numero dei morti palestinesi e quello degli israeliani: alla fine di marzo 2002, secondo l’organizzazione umanitaria israeliana B’Tselem, erano 1094 le vittime civili o militari palestinesi e 386 quelle israeliane. Ad alimentare la rivolta, insieme alla sfiducia verso il processo di pace avviato a Oslo, sono state le misere condizioni di vita dei palestinesi: costruzione della barriera di separazione in Cisgiordania (con distruzione parziale o totale di case, villaggi e terreni agricoli palestinesi lungo il tracciato), chiusura improvvisa dei varchi di passaggio per i palestinesi con conseguente impedimento a muoversi liberamente, espansione degli insediamenti israeliani in Cisgiordania. Il clima di sfiducia e di protesta non ha risparmiato nemmeno Y. ῾Arafāt, accusato di poca democrazia interna e di arrendevolezza verso gli israeliani. Dopo sei mesi di rivolta, nei primi giorni di aprile 2002, con l’assedio al campo profughi palestinese di Jenin, in Cisgiordania, l’escalation delle operazioni militari israeliane nei territori palestinesi ha subito una drammatica intensificazione rendendo sempre più difficile accertare il numero delle vittime. In seguito, a mutare profondamente il quadro degli avvenimenti, sono intervenuti la morte di ῾Arafāt nel novembre 2004, lo smantellamento di tutti gli insediamenti ebraici e il ritiro delle truppe israeliane da Gaza nell’agosto 2005, e soprattutto lo scoppio di nuove ostilità nell’estate 2006 dopo l’offensiva lanciata contro Israele dall’organizzazione palestinese Ḥamās (v.). Se la seconda i. poteva dirsi conclusa, cresceva comunque d’intensità, tra il 2006 e il 2008 (v. ), il conflitto israelo-palestinese. Secondo i dati rilasciati da B’Tselem nel settembre 2010, le vittime palestinesi nel decennio, conteggiate dall’inizio della seconda i., sono 6371 (2996 delle quali non coinvolte in attività violente al momento della morte); gli israeliani morti risultano invece 1083, 741 dei quali civili uccisi in Israele, in Cisgiordania o a Gaza.