Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Nella vita musicale il Seicento segna un momento cruciale e apparentemente confuso che vede la crisi più o meno rapida di tradizioni ereditate dal Cinquecento e la formazione non soltanto di nuovi generi e quindi di nuovi stili e di nuove pratiche produttive, ma anche di un modo nuovo di concepire e “consumare” la musica, che in parte già si affermano nel corso del secolo e in parte si svilupperanno nel secolo successivo....
Nuovi stili e nuovi generi
Nella vita musicale il Seicento segna un momento cruciale e apparentemente confuso che vede la crisi più o meno rapida di tradizioni ereditate dal Cinquecento e la formazione non soltanto di nuovi generi e quindi di nuovi stili e di nuove pratiche produttive, ma anche di un modo nuovo di concepire e “consumare” la musica, che in parte già si affermano nel corso del secolo e in parte si svilupperanno nel secolo successivo.
In un gioco intricato di stili diversi, in rapporto ai mutamenti profondi che percorrono la vita civile, i musicisti del Seicento si muovono aprendo una nuova sensibilità musicale, trovando una diversa collocazione nella società e allargando l’orizzonte contrappuntistico ereditato dal Cinquecento nella ricerca di altri valori espressivi, che poi segneranno a lungo la musica colta dell’Occidente.
Basterebbe percorrere, nel lungo arco di vita del compositore, la vasta produzione di Claudio Monteverdi per cogliere le testimonianze di gran parte dello svolgersi di questa “rivoluzione” che investe la musica e la vita musicale: il clamoroso “successo” del madrigale polifonico e il suo rapido declino, il formarsi del melodramma fondato sul canto monodico e il configurarsi dell’opera in musica verso le forme dell’impresa, infine il primo proporsi della cantata da camera.
I musicisti del Seicento si trovano nella necessità di non accettare più la sovrapposizione concettuale (e pratica) fra contrappunto e musica che aveva segnato e guidato la pratica cinquecentesca, e sono spinti a cercare nella costruzione musicale, per via di speculazione come di empirica sperimentazione, differenziati sviluppi di nuovi generi e, quindi, differenti specificità stilistiche che conducono, per la prima volta, a elaborare, con i letterati, il concetto stesso di stile.
Pietro Della Valle, nel suo Discorso della musica dell’età nostra, che non è punto inferiore, anzi è migliore di quella dell’età passata, esprime in modo molto chiaro il nuovo “sentimento” musicale che appunto supera la vecchia sovrapposizione di musica e contrappunto.
Questo “sentimento” riconosce e separa tre componenti della musica: “contrappunto”, “suono” e “canto”. Tre componenti che impongono tre modi diversi, pur entro lo schema del contrappunto, di far musica, di cantare e di suonare. Tre modi di comporre, di eseguire e, quindi, da parte del nuovo pubblico, di “ricevere” la musica.
Parola e “colore”
In questo contesto concettuale, la musica affronta in modo nuovo e diverso il testo letterario, cercando di restituire nel canto, in modo direttamente espressivo, anche i moti “segreti” della parola poetica e del suo dispiegarsi significativo ed emotivo nel verso. Nella struttura contrappuntistica, il “canto” non cerca più la sofisticata ramificazione per strati sonori di valore e significato quasi equivalenti, il gioco astratto di “voci” o “parti” che si rapportano in regole (apparentemente) geometriche, ma insegue l’ambizione di far emergere, nel tessuto sonoro, una manifestazione “principale” dell’espressione comunicativa, sostenuta da successioni armoniche delle voci “minori” che, se ancora non l’“accompagnano”, di certo sono già sottomesse alla voce principale.
In questa “liberazione” della parola emerge in musica, consapevole o inconsapevole, un nuovo interiore “colore” sentimentale che è conseguenza di quella ricerca di una via naturale (e non più artificiosa) all’imitazione che impegna i musicisti più sensibili. Questo nuovo “colore naturale” raggiunge e impregna non soltanto la struggente evocazione erotica dei testi amorosi (e magari licenziosi) del Marino e del Tasso, ma coinvolge anche i testi sacri.
Dal modalismo al tonalismo
Connesso alla nuova sensibilità per i valori poetici della parola e dei testi è la crisi progressiva del modalismo che aveva dominato fino ad allora la musica europea. L’esplorazione del sistema tonale fa cogliere al compositore le possibilità espressive che l’allontanamento emozionante da quel centro di gravità che la tonica rappresenta e il rassicurante ritorno ad esso possono comporsi, giocando espressivamente sull’animo dell’ascoltatore in un distendersi di evocazioni emotive (ma anche razionali) molteplici e in parte almeno non prevedibili e sconosciute all’ascoltatore (ma anche all’esecutore) del passato.
Il trepido evolversi da una pratica modale a una pratica tonale (e, quindi, da una sensibilità modale a una sensibilità tonale) non ha le sue ragioni soltanto nel bisogno di animare lo svolgersi della parola in musica secondo percorsi emotivamente nuovi, più ricchi e profondi.
Opera anche nello sviluppo di un diverso rapporto tra le parti che incominciano a potersi rapportare armonicamente. Questo processo si completerà poi, necessariamente, con il temperamento equabile della scala musicale(nel Settecento), con il fissarsi di due soli modi, il modo maggiore e il modo minore, con l’imporsi dell’armonia.
L’allontanarsi dalla sensibilità modale determina la perdita delle sottili(ma statiche) possibilità melodiche a quel sistema connesse, ma apre la via, in accordo con i tempi nuovi, a possibilità espressive forse più grossolane, ma capaci non soltanto di continui sviluppi, ma anche di generare il proprio contrario (come la musica del Novecento dimostra). La transizione dal modalismo al tonalismo avviene naturalmente attraverso passaggi appena percettibili. Nelle composizioni di Girolamo Frescobaldi, per esempio, nella struttura ancora sostanzialmente modale si inseriscono “trasgressioni” che già esprimono il movimento della musica verso l’affermazione del sistema tonale e le concezioni armoniche.
L’Europa e i nuovi generi
Lungo questa via di intrecciate trasformazioni, il Seicento porta all’affermazione della cantata, dell’aria, dell’oratorio e, sintesi definitiva, alla nascita del melodramma italiano che contribuisce in modo determinante ad aprire l’età moderna della musica colta.
Il madrigale raggiunge con Claudio Monteverdi la sua estrema sofisticatezza e conclude il suo ciclo.
La musica religiosa e liturgica è percorsa dalle imposizioni precettistiche e dai fervori devozionali della Controriforma e dalla “rivoluzione” della Riforma protestante nelle sue diverse manifestazioni (soprattutto pratica luterana, pratica calvinista, pratica anglicana).
Emergono il virtuosismo improvvisativo al cembalo (che si resenta nella letteratura musicale come diretto successore del liuto) e all’organo, in Italia con Girolamo Frescobaldi e nei Paesi Bassi con Jan Pieterszoon Sweelinck. Assume una destinazione da intrattenimento più precisa la musica strumentale, con lo sviluppo della musica per il ballo.
Nei Paesi tedeschi si sviluppa con Heinrich Schütz e poi con Dietrich Buxtehude la nuova tradizione musicale luterana, avviata già dallo stesso Lutero, che era stato assai più un adattatore che non un compositore, e dai primi musicisti della Riforma, da Johannes Walter, amico e collaboratore musicale di Lutero, a Johannes Eccart, Michael Praetorius, a Melchior Vulpius, tutti scomparsi nei primi vent’anni del Seicento. Soltanto alla fine del secolo con Reinhard Keiser, ad Amburgo, si avrà la nascita di un melodramma tedesco.
In Francia, nel clima politico e culturale creato dal cardinal Mazzarino, la musica trova in Giovanni Battista Lully il musicista capace di trapiantare a Parigi il melodramma italiano, fondando una tradizione francese con caratteri originali.
In Gran Bretagna, la crisi dell’ideale polifonico spinge alla formazione di monodie con forti caratteri nazionali (Ayres) e, poi, a un tipo di melodramma che soltanto in parte è debitore verso quello italiano, attingendo in gran parte alla pratica inglese dei masque. Con Henry Purcell, infine, abbiamo l’affermazione di una tradizione musicale propriamente britannica.
L’Italia tra crisi e primato
Rimane all’Italia il primato della liuteria, con centro prima a Brescia (Gasparo da Salò e Maggini), poi a Cremona (la famiglia Amati, la famiglia Guarnieri e, alla fine del secolo, Antonio Stradivari). Il primo eminente liutaio non italiano è il tirolese Jacob Stainer, al quale s’affiancano, sempre in area austro-tedesca, Biber e Walter. Nessun liutaio in Francia, nei Paesi Bassi e in Gran Bretagna raggiunge l’eccellenza dei liutai italiani e austro-tedeschi.
La crisi generale che investe nel Seicento l’Italia, produce, per l’oppressione dell’Inquisizione, la chiusura intellettuale e l’impoverimento di molti centri di potere politico e anche per la crescente depressione economica legata alla fine della centralità mediterranea, una progressiva emarginazione anche della produzione culturale. Certo l’Italia conserva ancora una posizione di rilievo in vari campi della vita artistica e culturale, ma già si risentono le conseguenze dello spostamento verso l’Europa continentale dell’attività più viva e moderna del pensiero e della elaborazione culturale: alla vecchia e ormai cristallizzata erudita pratica italiana del commento e della glossa si sostituisce la nuova pratica (soprattutto francese) dell’elaborazione razionale dei documenti.
Anche la musica risente di questo processo che dal versante italiano progressivamente inaridisce il suo spazio, sia creativo che economico, indirizzandola verso i Paesi del Nord. Il nuovo clima culturale e la condizione sociale ed economica favoriscono anche una nuova e moderna pratica di speculazione teorica e scientifica sulla musica. L’impegno dei filosofi (come Cartesio) di ricondurre entro un sistema razionale la teoria degli affetti, che discende dalla magia naturale del Cinquecento, si riflette anche nella speculazione musicale (Marin Mersenne, Athanasius Kircher).
Nel nuovo quadro produttivo europeo della musica è il melodramma a conservare una posizione di rilievo con al centro l’Italia. Dominante nella musica italiana del Seicento, esso conquista rapidamente l’Europa, affermando non soltanto un nuovo “genere” musicale, ma anche un nuovo modo di produrre e consumare la musica che sarà determinante alla costruzione di un “sistema” musicale non più aristocratico o ecclesiastico, ma borghese.
E’ anche sotto lo stimolo del “successo” del melodramma che una parte almeno della pratica e del consumo musicale cercherà una nuova sede fuori dei palazzi, in quei teatri pubblici (dove si entra pagando un biglietto e non per il nome che si porta) che per primi s’apriranno nella “borghese” Venezia e che troveranno poi la loro sanzione esplicita nei principi della Rivoluzione francese.
Nel corso del Cinquecento l’Italia era stata il luogo d’attrazione inevitabile dei musicisti di altri paesi europei. Questi musicisti scendevano in Italia perché vi trovavano non soltanto un vivissimo riferimento culturale, ma anche occasioni di lavoro.
Con il Seicento si avvia un processo contrario e il fenomeno non è dovuto soltanto al crearsi di nuove occasioni creative e di lavoro altrove, ma anche a una vera e propria superproduzione, in Italia, di musicisti. Così l’Italia diviene, per la prima volta, paese esportatore di musicisti.
L’imprenditoria musicale
Il Seicento, nel definirsi del sistema capitalistico, vede svilupparsi nuovi e attivi centri di stampa musicale nell’Europa continentale e soprattutto nei paesi tedeschi, in Francia e in Gran Bretagna, mentre entra in crisi la produzione editoriale musicale italiana, che aveva dominato nel Cinquecento i mercati europei. Strettamente legata all’imprenditorialità, l’editoria musicale trova nuovi stampatori e mercato là dove le condizioni, non soltanto culturali, ma soprattutto sociali, economiche e produttive, sono rese più favorevoli e in crescita dall’apertura delle frontiere oceaniche e dallo stimolo di una coscienza imprenditoriale moderna, offerto dalla Riforma.