Invenzione
In passato il termine 'invenzione' era usato genericamente come sinonimo di 'originalità' o di 'inventiva' (si diceva ad esempio che un poeta o un musicista dimostravano nelle loro opere molta 'invenzione'). In tempi recenti però l'uso del termine è stato per lo più ristretto al campo della tecnica e dell'industria, ed è a questa accezione che intendiamo qui riferirci.In quanto intuizione di una possibilità di innovare, l'invenzione è simile ma non identica alla scoperta. Nel suo significato principale la scoperta è la prima intuizione di qualcosa che già esiste, mentre l'invenzione riguarda qualcosa che potrebbe esistere: si scopre una nuova cometa, ma si inventa un nuovo materiale plastico; si scopre una verità, ma si inventa un'argomentazione. Tuttavia nel linguaggio corrente i due termini possono essere usati con una certa elasticità senza ingenerare ambiguità: si può dire ad esempio che è stato 'scoperto' un nuovo composto chimico, anche se esso non esiste in natura. L'invenzione è strettamente connessa col progresso delle tecniche artigianali e manifatturiere. Fin dai tempi più remoti la storia delle invenzioni è stata considerata il nucleo principale della storia della tecnologia, ma oggi questa branca della storia ha un'importante componente sociale, e si riconosce che l'evoluzione della tecnica va molto al di là della semplice sostituzione di un dato congegno con un altro più efficiente. Analogamente, al vecchio modo di concepire l'inventività come una dote strettamente individuale è subentrata una visione più complessa, in cui viene considerato anche il contesto socioeconomico di un'invenzione, oltre che le caratteristiche personali e la mentalità del suo autore.
Può forse apparire una forzatura usare uno stesso termine per indicare i cambiamenti nella lavorazione della pietra durante il Paleolitico e il passaggio dal motore a pistoni a quello a turbina; anche se in entrambi i casi i mutamenti tecnici hanno determinato profondi mutamenti sociali, le differenze tra di essi sono tali da far dubitare della legittimità di un confronto. Se per gli studiosi è già tanto difficile penetrare la mente di un inventore contemporaneo, sembra quasi impossibile dire qualcosa sui processi mentali di un ignoto vissuto nel Paleolitico. Si possono istituire solo incerte analogie tra la natura dell'invenzione degli ultimi cinque secoli, su cui si sa qualcosa, e il carattere che essa ebbe nelle età più remote. Le considerazioni che seguono si riferiscono quindi solo all'età moderna. Un'invenzione è un importante mutamento tecnico che cambia i nostri modi di produrre e di agire. Essa può anche essere di modesta portata. Circa un secolo e mezzo fa la penna d'oca fu sostituita dal pennino d'acciaio, e di recente questo ha lasciato il posto alla punta a sfera e ai suoi derivati; né l'uno né l'altra sono oggetti costosi, ma i cambiamenti che hanno introdotto nel modo di scrivere sono stati rilevanti. Ancora più decisiva è stata l'invenzione della macchina da scrivere, che ha influito sull'occupazione e ha largamente modificato le procedure gestionali. Nella maggior parte delle tecniche e delle industrie si verificano quotidianamente delle innovazioni, ma solo alcune di esse possono essere definite invenzioni.
La fabbricazione di un qualsiasi prodotto - da una tazza a un grattacielo - ha come punto di partenza l'attività di uno o più progettisti; ogni volta questi e i loro collaboratori si trovano di fronte a nuovi problemi, la cui soluzione può richiedere che ci si discosti in certa misura dalla prassi precedente. D'altro canto la realizzazione di un prodotto o di una macchina - spesso a partire da una prima idea inattuabile - richiede frequenti innovazioni, che possono essere considerate frutto di un'intuizione originale; esse migliorano il progetto iniziale, senza peraltro cambiarne il carattere, e lo rendono realizzabile.Se durante l'elaborazione di un'invenzione vengono introdotte nuove idee di notevole originalità e importanza, anch'esse sono classificabili come invenzioni. Un esempio è dato dalla macchina a vapore di James Watt, che perfezionò sostanzialmente la macchina 'atmosferica' di Thomas Newcomen - pur senza alterarne la struttura - introducendo in essa il condensatore separato; la sostituzione di una parte in legno con una in ghisa rappresentò invece una semplice innovazione del modello originario.In una tecnologia in sviluppo si può avere quindi un succedersi sia di invenzioni che di innovazioni (v. Staudenmaier, 1985, p. 44). In linea di principio non si può tracciare un confine netto tra le une e le altre, ma si può dire che un'invenzione secondaria, come quella di Watt, è sostanzialmente più originale di una semplice innovazione del modello iniziale (v. French, 1988, p. 275). Un'invenzione rappresenta una maggiore discontinuità, ha in sé maggiori possibilità di sviluppo ed è meno specifica di un'innovazione.
Gli autori delle prime, fondamentali invenzioni sono ignoti. Greci e Cinesi hanno tramandato i nomi degli eroi mitici che insegnarono agli uomini le varie tecniche, ma il controllo del fuoco è di centinaia di migliaia di anni più antico del mito di Prometeo. Probabilmente le invenzioni fecero seguito alle prime scoperte che consentirono agli uomini di differenziarsi dagli animali. Essi probabilmente si resero conto dell'utilità del fuoco e della possibilità di nutrirsi delle carni di animali prima di inventare sistemi per accendere il fuoco e strumenti (trappole, armi, ami) per uccidere gli animali. Nel remoto passato la produzione di ogni nuovo manufatto, l'adozione di ogni nuovo procedimento hanno sempre comportato un'invenzione. La domesticazione degli animali e gli inizi dell'agricoltura presuppongono l'invenzione di utensili e di tecniche; e anche se comunemente si ritiene che l'invenzione delle tecniche di utilizzazione del fuoco (fusione dei metalli, fabbricazione delle ceramiche) sia stata casuale, il loro sviluppo richiese l'invenzione di procedimenti che non possono essere stati trovati per caso (colata dei metalli negli stampi, modellatura di grandi vasi da blocchi di argilla). A seguito di una serie di invenzioni fondamentali - le barche e i veicoli, la ruota, l'architettura formale - si ebbero le prime invenzioni 'sociali' come la città-Stato fortificata, la scrittura e i sistemi di computo. Appare evidente l'esistenza di almeno tre centri d'origine delle invenzioni (la Cina, il Vicino Oriente e l'America), ma è difficile stabilire se le varie invenzioni siano avvenute per 'generazione spontanea' in luoghi diversi, oppure si siano diffuse da un unico centro. Sicuramente nei tempi più antichi alcune di esse, come la ruota, non erano universalmente diffuse.
Dopo molti millenni durante i quali le civiltà non lasciarono alcuna testimonianza scritta delle loro invenzioni, intorno al 500 a.C. compaiono le prime notizie su alcuni mutamenti tecnici. Ad esempio nei Mechanica pseudoaristotelici (300 circa a.C.) si parla delle macchine pneumatiche di Ctesibio, e Plutarco nella Vita di Archimede dedica ampio spazio alle sue invenzioni militari. Anche i Romani, al pari dei Greci, ammiravano le capacità tecniche e si rendevano conto che il progresso tecnologico migliorava la condizione umana. Nelle società classiche tuttavia ingegneri e fabbricanti non furono mai tenuti in grande considerazione, e i processi del mutamento tecnologico non vennero mai trattati in termini generali. La vita economica dell'Impero romano fu poi lentamente modificata da innovazioni tecniche di cui i Romani stessi furono scarsamente consapevoli, in quanto provenivano dall'esterno dei loro domini. L'arciere a cavallo parto può essere considerato un esempio tipico di queste innovazioni (molte delle quali legate al cavallo), che dall'Asia centrale si diffusero nell'Europa barbarica e quindi nell'Impero romano. Tale processo di diffusione proseguì con ripercussioni ancora maggiori nell'alto Medioevo. Anche in Cina penetrarono nuove tecniche provenienti dalle steppe o dall'Asia sudorientale, sicché tanto in Cina quanto in Europa e nel bacino del Mediterraneo continuarono a diffondersi una serie di invenzioni anonime anche molto tempo dopo la comparsa delle documentazioni scritte.Una prima svolta importante nella storia delle invenzioni si ebbe quando le nuove tecniche da esse derivate non furono più destinate a tutti, ma solo ad alcuni artigiani specializzati. Nell'antichità classica questa specializzazione si manifestò soprattutto in due modi: nell'invenzione sociale della 'fabbrica' e nell'invenzione di macchine azionate da forza motrice idraulica. Esempi di produzione su larga scala caratterizzata da un impiego massiccio di manodopera e da metodi semplici sono la costruzione di navi, la fabbricazione di laterizi e ceramiche, l'estrazione mineraria, la fusione del ferro. A cominciare dal I secolo a.C. l'introduzione di macchine idrauliche relativamente costose permise la produzione su vasta scala con manodopera ridotta. Anche nell'età imperiale tuttavia l'uso dell'energia idraulica rimase un'eccezione e limitato per lo più alla molitura. L'idea che l'istituto della schiavitù abbia scoraggiato gli inventori e ostacolato la diffusione di nuove invenzioni è oggi respinta dagli studiosi, i quali ritengono che l'impedimento più grave fosse costituito dalla scarsa considerazione in cui i tecnici erano tenuti dai Greci e dai Romani.
Mentre la ruota idraulica rimase sempre in uso dopo la caduta dell'Impero romano, l'invenzione sociale della 'fabbrica' fu abbandonata per lungo tempo, anche se in seguito alcune comunità religiose possono aver avuto un'organizzazione di questo tipo. Per molti secoli non si hanno notizie di invenzioni tecniche, sebbene l'agricoltura e la prassi militare siano state modificate da innovazioni provenienti dall'Oriente, come l'aratro pesante, la bardatura dei cavalli e le staffe. Tuttavia l'attività inventiva non s'interruppe, come attesta il passaggio dall'architettura romana a quella romanica e da questa all'architettura gotica - non senza l'influsso, in quest'ultimo caso, del precedente modello islamico - nonché l'introduzione di un nuovo tipo di nave a vele latine. Nelle prime testimonianze letterarie sulle innovazioni emerge il nesso che è sempre esistito, da Archimede fino a von Braun, tra le invenzioni e la guerra: tale nesso è evidente nell'opera tardo romana De rebus bellicis, negli scritti di Ruggero Bacone, nel Texaurus di Guido da Vigevano (1335), e nel De re militari di Roberto Valturio (1472). Tuttavia nell'Occidente medievale la diffusione fu più significativa delle invenzioni originali. Nessuna società tecnicamente arretrata è mai progredita senza mutuare dalle civiltà vicine più avanzate. Dalla Cina arrivarono le grandi invenzioni che in seguito sarebbero state addotte come prova della superiorità dei moderni sugli antichi: la bussola magnetica, la carta, la stampa, la polvere pirica. Accanto a queste Joseph Needham (v., 1954-1986, vol. I, p. 242) elenca altre ventidue importanti invenzioni cinesi di cui si appropriò l'Occidente, per lo più nel corso del Medioevo; tra esse figurano la carriola, la tessitura della seta, la balestra, la fusione del ferro. L'adozione di queste tecniche straniere in Europa comportò un processo di adattamento e una serie di invenzioni secondarie: le armi da fuoco e i libri a stampa europei furono infatti diversi dai loro precedenti cinesi. Si resero quindi necessari processi equivalenti allo sviluppo tecnologico nel mondo moderno.
Lo sviluppo tecnico in Cina - che prima della caduta dell'Impero romano era paragonabile a quello nel bacino mediterraneo - nel corso del millennio successivo procedette a ritmo assai più rapido che non in Europa e nell'Islam. Più o meno nello stesso periodo in cui gli autori greci cominciarono a interessarsi alle invenzioni, fu composto in Cina il Kao Kung Chi ('Registro degli inventori'), in cui gli 'uomini ingegnosi', ossia i primi ideatori di strumenti e di macchine, vengono distinti dagli artigiani che si limitano a perpetuare i propri metodi (v. Needham, 1954-1986, vol. IV, t. 2, p. 12). Il raggiungimento della perfezione nelle varie arti era attribuito miticamente ad alcune antiche dinastie; nonostante le numerose e continue innovazioni tecniche (ad esempio nella stampa dei libri o nella fabbricazione di ceramiche), ai Cinesi - al pari degli occidentali loro contemporanei - era estranea l'idea di un progresso continuo nelle invenzioni. Come è stato messo in luce da Needham, anche se le attività inventive in Oriente e in Occidente possono essere paragonate, e anche se le invenzioni cinesi risultarono adattabili al contesto europeo, le notevoli differenze tra le due civiltà influirono sui processi inventivi e sulla diffusione delle invenzioni. Gli studiosi italiani potevano essere attratti dalle librerie girevoli cinesi, ma non dalla ruota di preghiera. Le diversità di lingua e di scrittura fecero sì che nelle due aree culturali l'arte della stampa seguisse strade differenti. Il tempo non aveva lo stesso valore in Oriente e in Occidente, e quindi i Cinesi, pur costruendo orologi meccanici, non fabbricarono mai orologi portatili. Già sul finire del Medioevo in Occidente si costruivano grandi altiforni, si fondevano grossi cannoni e cominciava a diffondersi il libro a stampa, sempre nella prospettiva di una produzione di massa che rimase invece estranea ai Cinesi. Alla fine del XV secolo le navi europee munite di cannoni e adatte alla navigazione oceanica invasero irresistibilmente l'Oriente (v. Cipolla, 1965).
Needham e altri hanno messo in luce alcune differenze sistematiche tra i metodi seguiti dai Cinesi e quelli adottati dagli occidentali per ottenere uno stesso risultato tecnico: ad esempio i Cinesi preferiscono i pedali alle manovelle e la rotazione intorno a un asse verticale (si pensi ai loro mulini a vento e alle loro ruote idrauliche) alla rotazione intorno a un asse orizzontale. Non è facile spiegare i motivi di queste differenze. In generale, esse possono essere imputate in parte alla diversità dei sistemi religiosi e filosofici dell'Oriente e dell'Occidente, al particolare carattere dello Stato cinese e al diverso modo di concepire l'attività economica nelle due civiltà.
Sebbene l'Islam abbia avuto un ruolo importante soprattutto come tramite per la diffusione delle invenzioni cinesi in Europa, a esso si devono alcune invenzioni originali che vennero esportate in Occidente, soprattutto in Spagna. Si tratta di invenzioni che si collocano sostanzialmente nella tradizione meccanica dei Greci, con l'eccezione dell'architettura. L'Islam però dimostrò anche notevoli capacità nella chimica e nelle tecniche di utilizzazione del fuoco, come attestano i numerosi vocaboli tecnici di origine araba presenti in molte lingue europee. La manifestazione più vistosa in questo campo fu l'invenzione della brillante ceramica policroma, da cui derivò in Occidente, attraverso una serie di invenzioni secondarie, il vasellame di maiolica portato a tanta perfezione nell'Italia centrale.
Verso il 1500 le conoscenze e le capacità tecniche delle varie civiltà del Vecchio Mondo erano più o meno allo stesso livello, anche se ognuna di tali civiltà eccelleva in un campo particolare.
Due secoli dopo l'Occidente confidava giustamente nella propria supremazia, raggiunta attraverso una serie continua di invenzioni tecniche. Su questo cambiamento avevano influito naturalmente anche fattori economici e sociali. Gli Europei erano avidi di merci esotiche, attribuivano uno status elevato ai mercanti e ai fabbricanti, lasciando loro molta libertà, e vedevano con favore il mutamento. Gli artigiani avevano una mentalità flessibile, aperta all'imitazione e alla sperimentazione, erano ambiziosi, spinti da un forte spirito di emulazione e godevano del sostegno della classe dirigente. Ma il fattore più importante era forse l'idea di progresso. Il diverso atteggiamento in proposito è ben esemplificato da due opere pubblicate verso la fine del Cinquecento, la Rerum memorabilium sive deperditarum pars prior di Guido Panciroli e i Nova reperta di Stradano (Jan van der Straet): mentre nella prima si deplora la perdita del sapere antico, la seconda loda le invenzioni tecniche dell'età 'moderna' (ossia del nostro Medioevo). Poco dopo Francesco Bacone espresse la convinzione che il miglioramento della condizione umana era possibile, che esso rientrava nel disegno divino e che sarebbe stato attuato mediante la vera conoscenza e l'incessante attività inventiva.
Le origini della moderna civiltà industriale vanno cercate nel tardo Medioevo. Alcuni perfezionamenti di precedenti invenzioni permisero di utilizzare il carbone di legna nel processo di fusione del ferro e di adoperare il carbon fossile come combustibile per usi domestici e industriali; inoltre nella siderurgia si affermò l'impiego della forza motrice idraulica. Queste due linee di sviluppo separate si fusero allorché Abraham Darby, nel 1709, produsse per la prima volta in un altoforno di Coalbrookdale della ghisa di buona qualità utilizzando il carbone. Le invenzioni e i perfezionamenti che misero a disposizione dell'uomo questa nuova fonte di calore, a basso costo e apparentemente inesauribile, ebbero conseguenze incalcolabili. Molte industrie dell'Europa settentrionale adottarono via via il carbone, senza il quale l'invenzione della macchina a vapore (1700-1712) non avrebbe trovato applicazione pratica. Come ha dimostrato J.U. Nef, il lento progresso iniziale delle industrie minerarie e metallurgiche tra il 1400 e il 1500 circa fu seguito da un secolo di mutamenti più rapidi, ma quasi altrettanto anonimi, nell'industria manifatturiera. Questi mutamenti riguardarono tra l'altro l'introduzione nelle lavorazioni meccaniche e metallurgiche di nuove tecniche, applicate ad esempio alla fabbricazione degli orologi, delle armi da fuoco e degli strumenti scientifici (e con William Lee, nel 1580 circa, anche alle macchine per confezionare calze). Le invenzioni di questo secolo (1550-1660 circa) - tra cui figurano il microscopio, il telescopio, il barometro e i primi tentativi di realizzare macchine a vapore, apparecchi volanti e sottomarini - costituirono il preludio delle invenzioni ben più importanti e universalmente note del XVIII secolo, che furono profondamente originali e aprirono la strada alla rivoluzione industriale.
Verso la fine del Settecento le conseguenze delle invenzioni nell'industria manifatturiera avevano modificato profondamente l'esistenza di centinaia di migliaia di persone nell'Europa nordoccidentale. Le cattive condizioni di vita che per lungo tempo avevano caratterizzato alcuni quartieri delle grandi città e alcune regioni minerarie si riprodussero nelle nuove metropoli industriali. Le malattie professionali erano state da tempo riconosciute (la prima opera importante sull'argomento fu pubblicata da Bernardino Ramazzini nel 1713); la concentrazione geografica di certe attività (come la tessitura della lana a Gand o della seta a Bologna) risaliva al tardo Medioevo. La breve durata e l'infima qualità della vita non erano una novità per i poveri, ma con la nuova urbanizzazione il pauperismo divenne un fenomeno di massa.Ogni migrazione su larga scala dei contadini verso la città, qualunque ne sia la causa, provoca conseguenze egualmente nefaste. I danni sociali della rivoluzione industriale, specialmente ai suoi albori in Gran Bretagna, furono causati non tanto dalle innovazioni tecniche in sé, quanto piuttosto dalle dimensioni e dalla rapidità del mutamento economico e dalla mancanza di strutture amministrative capaci di far fronte ai nuovi problemi sociali.
Mentre fino al 1600 circa gli inventori poterono valersi poco delle scienze della natura, nel XVII secolo la situazione cambiò e le scienze naturali fecero rapidi progressi in direzione di una spiegazione matematica e sperimentale di fenomeni che fino ad allora erano apparsi avvolti nel mistero. Ciò ha indotto alcuni storici (v. Musson e Robinson, 1969) a sostenere che la nascita dell'industria moderna nel Settecento dipese dal precedente progresso scientifico, che aveva reso possibili invenzioni di importanza decisiva. Come esempio tipico di collaborazione tra inventori-imprenditori - come James Watt - e scienziati - come Joseph Priestley o Erasmus Darwin - viene spesso citata la Lunar Society di Birmingham, una delle città manifatturiere emergenti. A un esame più approfondito questa tesi si dimostra meno plausibile di quanto non appaia a prima vista. È difficile stabilire connessioni dirette tra invenzioni e attività scientifica recente (v. Flinn, 1966, p. 76), né la sola conoscenza scientifica sarebbe stata sufficiente a suggerire a Newcomen o a Watt il progetto di una macchina a vapore funzionante (v. Kerker, 1961, pp. 384-386). Secondo un famoso detto di L.J. Henderson, la scienza - nel caso specifico la termodinamica - dovette più alla macchina a vapore che non questa alla scienza. Fino ad allora la meccanica teorica non aveva avuto quasi nessuna rilevanza per le applicazioni pratiche - certamente non ne ebbe alcuna per le innovazioni meccaniche che trasformarono le industrie tessili. Tuttavia nel Settecento i chimici furono largamente impegnati nella ricerca di nuovi metodi per candeggiare i tessuti, così come due generazioni più tardi avrebbero prodotto nuovi coloranti. Dopo il 1850 le scienze fornirono le basi per le invenzioni non solo nel campo della chimica, ma anche in quelli dell'elettricità (telegrafo, dinamo, illuminazione elettrica), della metallurgia, della meccanica, ecc. Non solo gli inventori furono stimolati dalle scoperte scientifiche, ma, cosa non meno importante, i metodi scientifici cominciarono a far parte della prassi quotidiana dei tecnici e degli industriali.
La distinzione tra scienziato e inventore appare però evidente nel caso di Guglielmo Marconi: James Clerk Maxwell aveva postulato l'esistenza delle onde magnetiche e Heinrich Hertz l'aveva dimostrata, ma fu Marconi, nel 1895, a utilizzarle per la comunicazione a distanza. Le prime modifiche da lui apportate al generatore di onde (che all'epoca era già un apparecchio scientifico di uso corrente) per trasformarlo in un telegrafo senza fili furono banali; ma gli scienziati non avevano pensato affatto a sfruttare in quel modo la loro scoperta, e anzi alcuni di essi avevano negato che fosse possibile.
Oggi molti sono disposti ad accettare l'idea, considerata un tempo assurda, che lo scopo primario della scienza sia quello di rendere possibile il progresso tecnologico, e sostengono di conseguenza che qualsiasi problema tecnico si possa risolvere con un adeguato sforzo di ricerca. Vannevar Bush, promotore della ricerca di base e dell'educazione scientifica negli Stati Uniti, ha affermato che prodotti e procedimenti nuovi nascono da "principî e concetti nuovi, che a loro volta vengono accuratamente elaborati nell'ambito della ricerca scientifica pura" (v. Layton, 1974, p. 34).
A sostegno di questa tesi vengono addotti, ad esempio, i successi ottenuti dal centro per l'utilizzazione dell'energia nucleare di Los Alamos, che rappresenta un caso estremo di gigantesco gruppo di lavoro costituito per produrre un'invenzione. I primi laboratori di ricerca specialistica per la realizzazione di invenzioni o prodotti utili si ebbero in Germania (nell'industria chimica, nel 1870 circa) e negli Stati Uniti (laboratori di Thomas Alva Edison a Menlo Park); il loro esempio fu seguito da alcune grandi industrie manifatturiere. Ciò ha indotto alcuni studiosi a formulare l'ipotesi che la funzione del singolo inventore stia per esaurirsi e che le invenzioni utili non siano più realizzabili da un solo individuo, a causa dell'enorme quantità di conoscenze e di risorse necessarie per sviluppare un'idea iniziale. Altri studiosi hanno invece negato questa tesi, sostenendo che l'individualità dell'autentico inventore non può esplicarsi nel quadro di simili istituzioni, in quanto le grandi invenzioni hanno essenzialmente un carattere di imprevedibilità e addirittura di paradossalità. Vengono citate spesso in proposito alcune invenzioni individuali della metà del nostro secolo (tipica quella della penna a sfera). Quando un nuovo prodotto può essere ideato e progettato da un singolo individuo l'invenzione in effetti è ancora possibile, e tuttavia non sempre il nuovo prodotto viene realizzato secondo tale progetto individuale. Inoltre è difficile credere che invenzioni complesse come il transistor o il vetro float possano essere concepite ed elaborate da un singolo individuo (v. Jewkes e altri, 1969²).
Un'invenzione utile può essere solo opera di un individuo competente in un ambiente adatto. Nel tentativo di spiegare come nascono le invenzioni, può essere data la preminenza ora all'uno ora all'altro di questi due elementi - ossia l'uomo e la società (v. Flinn, 1966, pp. 72-74). Secondo uno studioso "l'innovazione è dovuta a uomini di rare capacità innate che di tanto in tanto colgono direttamente l'essenza della verità" per intuizione (v. Usher, 1954, p. 90): in base a questa concezione mistica, l'invenzione sfuggirebbe a qualsiasi analisi. Alla tipica personalità dell'inventore vengono attribuite inoltre tendenze monomaniacali, eccentricità, mancanza di senso degli affari (v. Hatfield, 1948). Altri autori invece mettono in risalto l'importanza del contesto sociotecnologico. Quando si verificano delle invenzioni multiple (tre o quattro nel caso del motore a reazione), ciò avviene perché il nuovo prodotto risponde a un bisogno evidente e pressante e perché esistono potenzialmente i mezzi per realizzarlo (v. Ashton, 1948, pp. 88-89; v. Gilfillan, 1970, p. 72). L'inventore deve padroneggiare pienamente le scienze e le tecniche relative al campo di cui si occupa: esse parlano linguaggi differenti, perché le prime si servono di numeri, le seconde di immagini mentali e concrete (v. Ferguson, 1977; v. Layton, 1974). Il nuovo progetto che prende forma nella mente dell'inventore dev'essere in stretta relazione col contesto della prassi tecnologica (v. Staudenmaier, 1985, p. 170). Le grandi invenzioni realizzate nei laboratori delle industrie confermano l'importanza delle forze socioeconomiche nel determinare il momento e le modalità in cui vengono effettuate le invenzioni. Tuttavia la necessità riconosciuta di adeguare la conoscenza scientifica al conseguimento di uno scopo pratico sembra ancor oggi lasciare spazio all'ingegnosità individuale, come già nel caso di Marconi, che un secolo fa adattò il suo apparecchio alla più ampia gamma delle onde lunghe da lui scoperte. Nessuno, del resto, ha finora avanzato l'ipotesi che si possa inventare qualcosa seguendo determinate regole.
Prima dell'Ottocento le invenzioni compiute individualmente e in modo indipendente costituivano la norma; già nel Settecento tuttavia si erano costituite in Gran Bretagna società di capitali per lo sviluppo commerciale delle invenzioni, ed erano state impiegate risorse industriali per il loro sfruttamento (come nel caso dell'associazione tra Watt e l'imprenditore Matthew Boulton per la produzione di macchine a vapore). Dopo l'invenzione del primo colorante sintetico ad opera di W.H. Perkin (1856) i fabbricanti della generazione successiva ricorsero in misura sconosciuta fino ad allora all'ausilio dei chimici per cercare sistematicamente nuovi prodotti. In seguito un metodo analogo fu seguito nell'industria farmaceutica. Dopo il 1870, nell'ambito dell'industria elettrica in rapida evoluzione negli Stati Uniti, T.A. Edison riunì un gruppo di cinquanta specialisti per trovare nuove idee e renderle attuabili. Queste due industrie, quella elettrica e quella farmaceutica, si sono particolarmente distinte per i progetti di ricerca e sviluppo finanziati dalle imprese produttrici all'interno delle proprie organizzazioni, che lasciavano ampia libertà ai responsabili della ricerca nella scelta dei problemi da affrontare. Un caso tipico di attività scientifica pura svolta in un contesto industriale è stato quello di I. Langmuir, che operò dal 1909 al 1950 nei laboratori americani della General Electric. Nei paesi industrializzati anche gli organi governativi istituirono laboratori destinati a produrre invenzioni: ad esempio nel campo dell'aeronautica sono stati notevoli, a cominciare dal 1890 circa, i risultati ottenuti negli Stati Uniti dalla Smithsonian Institution, in Gran Bretagna dal Royal Aeronautical Establishment e dal National Physical Laboratory, in Italia dal Centro sperimentale per ricerche aeronautiche di Guidonia, in Germania dalla Deutsche Versuchanstalt für Luftfahrt. Verso la metà del nostro secolo centinaia di migliaia di scienziati e di tecnici erano al lavoro in tutto il mondo per elaborare 'invenzioni' in ogni settore della tecnologia.È stato affermato e negato con eguale vigore che oggi possano esistere inventori indipendenti del calibro, ad esempio, dei grandi pionieri delle comunicazioni radio come Guglielmo Marconi, John A. Fleming, Lee De Forest ed Edwin H. Armstrong. Proprio in questo campo incontriamo l'esempio più noto di successo ottenuto con la moderna ricerca di gruppo, l'invenzione del transistor (1956) nei laboratori Bell ad opera di W.H. Brattain, J. Bardeen e W. Shockley; ma anche nel campo assai diverso della medicina non mancano esempi di invenzioni altrettanto importanti scaturite dalla ricerca di équipe. Gli ovvi vantaggi di questo tipo di ricerca sono le notevoli risorse finanziarie, le sofisticate attrezzature e il numeroso personale sistematicamente addestrato su cui essa può contare. I suoi critici tuttavia sostengono che le invenzioni originali richiedono una mentalità eccentrica e 'dissidente', spesso indisciplinata, incompatibile quindi con il lavoro di gruppo. Tra gli esempi di invenzioni individuali vengono indicati alcuni oggetti di larghissimo uso come la penna a sfera degli ungheresi emigrati in Argentina L.J. e G. Biro, o gli occhiali da sole e la macchina fotografica polaroid dell'americano E.H. Land; anche in tempi più recenti, lo sviluppo del software deve molto a singoli ricercatori.
Sarebbe assurdo voler determinare l'importanza relativa, nelle rispettive epoche, di invenzioni disparate quali il pneumatico Dunlop e la pillola anticoncezionale. È anche evidente che la soluzione di un problema ad opera di un gruppo di ricercatori è qualcosa di radicalmente diverso dall'improvvisa intuizione di una nuova possibilità tecnica da parte di un individuo (come quella che, secondo l'aneddotica classica, ebbe Watt osservando un bollitore per l'acqua). In quest'ultimo caso è senz'altro giusto parlare di 'invenzione', anche se il suo sfruttamento può richiedere l'intervento successivo di numerosi specialisti; ma quando un'innovazione tecnologica è frutto di milioni di ore di ricerca e degli sforzi intellettuali congiunti di un gruppo di persone, è ancora possibile parlare di 'invenzione' nel senso tradizionale? Questo vocabolo infatti, usato correttamente in un contesto tecnico, sembra denotare alla radice lo stesso elemento di inattesa ispirazione e di visione individuale che gli pertiene nei contesti artistici o letterari. (V. anche Innovazioni tecnologiche e organizzative; Macchine; Tecnica e tecnologia).
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