Tecnica e tecnologia
Storicamente, 'tecnica' e 'tecnologia' sono concetti piuttosto recenti. Nel Medioevo e nel Rinascimento si parlava piuttosto di arti pratiche o utili; in seguito, a partire dal XVII secolo, 'meccanica' e 'macchina' divennero i nuovi concetti dominanti. Attualmente 'tecnica' e 'tecnologia' sono entrati anche nel linguaggio comune, e non danno adito ad alcun fraintendimento. Tuttavia, sebbene il loro significato appaia chiaro, una precisa delimitazione dell'ambito semantico dei due termini è estremamente difficile. Sarebbe senza dubbio legittimo - in analogia con altre coppie di concetti come ad esempio psiche/psicologia - designare con 'tecnica' un fenomeno reale e con 'tecnologia' il sapere o la scienza relativa a tale ambito di realtà, ma di fatto una distinzione di questo tipo non è attuata in modo sistematico in nessuna lingua. In inglese perlopiù si usa in entrambi i casi 'tecnologia' (technology), mentre in tedesco si preferisce parlare di 'tecnica' (Technik). In inglese, invece, technique ha un significato assai più ristretto, e designa specifiche abilità pratiche - ad esempio la tecnica del tiro con l'arco, una particolare tecnica di respirazione, tecniche di gestione del personale, ecc. In italiano i due termini sono spesso usati in modo intercambiabile.
Un concetto che abbraccia una tale varietà di ambiti comprende praticamente tutte le forme dell'agire orientato allo scopo che si servono di un qualche strumento o di un sapere specialistico, e si presta poco a delimitare un particolare campo di studio. Per questa ragione sarebbe opportuno utilizzare a fini analitici un concetto più ristretto di tecnica, che presuppone l'esistenza di artefatti creati dall'uomo e impiegati nell'ambito dell'agire orientato allo scopo. Tale concetto ristretto si riferisce non solo agli artefatti materiali, ma comprende anche metodi e processi: ad esempio la tecnica di produzione dell'industria chimica comprende sia dispositivi tecnici (artefatti), sia procedimenti speciali (anche il termine inglese technology si riferisce di norma tanto ad artefatti quanto a processi). Il concetto di 'tecnologia' è più generale e meno concreto di quello di 'tecnica', e dovrebbe riferirsi ad ambiti più estesi di conoscenze di rilevanza tecnica e di abilità basate su conoscenze scientifiche, dai quali si possono sviluppare applicazioni pratiche speciali.
La tecnica è oggetto di studio di una molteplicità di discipline. A parte le scienze tecniche (engineering sciences), che riguardano la costruzione di artefatti tecnici e lo sviluppo di nuovi procedimenti, esistono una filosofia, una storia e una sociologia della tecnica. Anche l'economia e la scienza politica si occupano di questa tematica, la prima con riguardo all'innovazione e alla crescita economica, la seconda in connessione con i problemi di politica tecnologica. Lo studio della tecnica nella prospettiva delle scienze sociali, sul quale concentreremo qui la nostra attenzione, abbraccia dunque una varietà di problematiche e di approcci.
Un impulso decisivo allo sviluppo della sociologia della tecnica, quale si è avuto soprattutto negli ultimi trent'anni, è stato dato dalla critica nei confronti del cosiddetto 'determinismo tecnologico'. Si intende con tale espressione una concezione secondo la quale sia lo sviluppo della tecnica, sia le sue conseguenze seguono una logica immanente o una propria dinamica, e sono quindi sottratti al controllo cosciente da parte dell'uomo. Lo sviluppo di una nuova tecnica di conseguenza dipenderebbe essenzialmente dal patrimonio di conoscenze e di capacità esistente in un dato momento storico; esso potrà essere accelerato o rallentato dall'esterno, ma non sarà possibile mutarne la direzione. Una volta introdotta una nuova tecnica, essa causerà necessariamente determinati cambiamenti sociali. A mettere in discussione questa tesi ha contribuito una serie di problemi di cui si è presa coscienza negli ultimi quarant'anni, e che concernono, tra le altre cose, l'influenza dello sviluppo tecnologico sulla quantità e sulla qualità dei posti di lavoro, sulla struttura occupazionale e sull'organizzazione aziendale; il potenziale di rischio della tecnica moderna, di cui si va acquistando crescente consapevolezza; l'importanza dello sviluppo tecnologico per la crescita economica, che viene considerata oggi sempre più dipendente dalla capacità di competizione internazionale (anch'essa determinata dal livello di sviluppo tecnologico) di una economia nazionale.
Tecnica e tecnologia sono dunque diventate tematiche rilevanti per le scienze sociali quando hanno cominciato ad essere percepite come un problema. Lo studio sociologico della tecnica, una consapevole politica tecnologica e il tentativo sistematico di sviluppare e istituzionalizzare una valutazione delle conseguenze della tecnologia (technology assessment) rappresentano tre risposte parallele e reciprocamente correlate ad un medesimo problema.
Come dimostra uno studio relativo all'Unione Europea (v. Cronberg e Søprensen, 1995), lo studio della tecnica nella prospettiva delle scienze sociali presenta alcune differenze di sviluppo e di impostazione nei diversi paesi (mancano purtroppo nel lavoro di Cronberg e Søprensen informazioni relative all'Italia). Mentre negli Stati Uniti è particolarmente sviluppata la storia della tecnologia, in Europa la sociologia industriale e la sociologia della conoscenza hanno avuto un ruolo decisivo per lo sviluppo di questo particolare campo di studi. La relativa importanza delle due ultime discipline varia tra i diversi paesi: in Germania, Belgio e Scandinavia ha avuto maggiore influenza la sociologia industriale, mentre in Inghilterra, Francia e Paesi Bassi sono state più importanti la sociologia della scienza e la sociologia della conoscenza. In molti altri paesi - e ciò vale in particolare per il Belgio, ma anche per la Svizzera e la Finlandia - l'impulso decisivo allo studio della tecnica è stato dato non tanto da un orientamento specifico delle scienze sociali, quanto piuttosto dal tentativo di sviluppare una politica tecnologica e una valutazione tecnologica sistematiche. Sia in Francia che in Gran Bretagna, per contro, queste problematiche di ordine eminentemente pratico hanno avuto un'importanza relativamente marginale.I diversi approcci teorici della sociologia della tecnica si differenziano da un lato a seconda che questa venga assunta come variabile dipendente oppure indipendente, e dall'altro a seconda del livello d'indagine (micro o macro) prescelto. Le teorie che assegnano alla tecnica lo status di variabile indipendente focalizzano l'attenzione sulle conseguenze economiche, sociali, ecc. dello sviluppo tecnologico. Questo approccio è risultato dominante per lungo tempo, ma negli anni ottanta si sono andati affermando orientamenti teorici che considerano la tecnica come variabile dipendente, e che quindi privilegiano i fattori sociali dello sviluppo tecnologico. La nascita di una nuova tecnica, secondo queste teorie, non è determinata né da fattori puramente cognitivi (lo stato delle conoscenze in un dato periodo storico), né da fattori puramente economici; in questo campo esistono piuttosto margini d'azione che non solo consentono, ma anzi richiedono scelte e decisioni da parte dell'uomo. Si tratta di un approccio che si ritrova già in alcuni indirizzi della sociologia industriale, che ancora prima della nascita della sociologia della tecnica non solo si era posta il problema delle conseguenze delle tecniche produttive sul lavoro industriale, ma considerava altresì l'introduzione di determinate tecniche di produzione nelle fabbriche (ad esempio la catena di montaggio) come frutto di decisioni sociali.
Lo studio delle conseguenze della tecnica, così come quello dello sviluppo tecnologico, inoltre, può essere condotto a livello sia micro che macroanalitico. Gli approcci microanalitici privilegiano gli individui e i loro comportamenti - siano essi inventori e costruttori di nuove tecniche, oppure quanti le applicano e le utilizzano. Nell'ambito di questi approcci microanalitici, attualmente assai diffusi, si colloca anche il costruttivismo sociale (v. Pinch e Bijker, 1984; v. Callon e altri, 1986), che sottolinea il primato dei fattori culturali e specificamente simbolici contro la tesi di una dinamica autonoma dello sviluppo tecnologico, ma anche contro l'idea di un processo decisionale puramente razionale. Secondo l'orientamento costruttivista, la tecnica, in quanto costrutto sociale, nasce nella mente degli individui che interagiscono, ed è determinata più dai loro valori, illusioni e concezioni della realtà che da condizioni tecnico-materiali e da considerazioni di ordine economico.
Gli approcci macroanalitici considerano invece i processi che si svolgono al livello di interi settori sociali, talvolta al livello della società globale (è questo il caso, ad esempio, degli studi sugli effetti della politica tecnologica). Gli attori in questo tipo di analisi non sono più gli individui ma le organizzazioni, i cosiddetti 'attori corporati'. Negli studi macroanalitici sullo sviluppo tecnologico che si collocano nell'ambito dell'approccio istituzionalista, ad esempio, lo sviluppo tecnologico appare come il risultato dell'agire strategico di attori corporati e collettivi (imprese, associazioni, autorità, gruppi di intenti) in un contesto istituzionale che influenza l'agire strategico definendo le alternative d'azione, ma ponendo anche determinate restrizioni all'agire (v. Schneider e Mayntz, 1995).
La tecnica - intesa in senso ampio come agire guidato da regole e orientato verso determinati scopi pratici attraverso l'uso di strumenti - è altrettanto antica quanto l'Homo sapiens. La fabbricazione e l'impiego di strumenti, al pari del linguaggio, sono tra le caratteristiche essenziali che distinguono l'uomo dall'animale - sebbene alla luce delle più recenti scoperte sul comportamento animale questa linea di discrimine non sembra oggi più così netta come in passato. Già nell'antichità esistevano numerose invenzioni mirate a sostituire la forza muscolare con mezzi meccanici - carrucole, spirali di Archimede, ruote idrauliche, ingranaggi e pompe (v. Giedion, 1948). La meccanizzazione nell'antichità non aveva solo scopi pratici (in particolare attinenti alla conduzione della guerra), ma era legata anche, e forse in misura ancora maggiore, ad un acuto interesse per il sorprendente e il meraviglioso - giocattoli meccanici, apparecchi magici, automi. In questo campo non vi furono cambiamenti di rilievo sino alla fine del Medioevo. I progressi pratici nella meccanizzazione, nella lavorazione del metallo e nella scoperta di nuove fonti di energia, come ha messo in luce Braudel (v., 1979), furono estremamente lenti e sempre interrotti da periodi di stagnazione. In particolare, sino alla fine del XVI secolo non vi fu alcuna tecnicizzazione della produzione degna di rilievo, e anche il sistema dei trasporti, che riveste una tale importanza per lo sviluppo economico, rimase assai inefficiente. La forza muscolare animale e successivamente il carbone furono e rimasero sino alla fine del XVIII secolo le più importanti fonti energetiche. Le grandi rivoluzioni tecnologiche che si ebbero tra il XV e il XVIII secolo riguardarono sostanzialmente la tecnica bellica (artiglieria), la stampa e la navigazione d'alto mare (v. Braudel, 1979, pp. 325 e 337).
L'epoca della tecnica moderna comincia con la rivoluzione industriale. Le sue caratteristiche fondamentali furono la meccanizzazione e la produzione in serie (dapprima principalmente nel campo dell'industria tessile), la scoperta di una nuova fonte di energia (il vapore), l'introduzione di nuovi processi per la produzione e la lavorazione delle materie prime (in particolare ferro e acciaio), e infine, ad una certa distanza temporale, lo sviluppo di un sistema di trasporti efficiente (navigazione a vapore, ferrovia; v. Landes, 1968).
La rivoluzione industriale si affermò verso la fine del XVIII secolo con la diffusione di alcune invenzioni precedenti (la macchina a vapore di James Watt del 1765, la filatrice meccanica di Richard Arkwright del 1768). Essa era stata preceduta tuttavia da una 'prerivoluzione industriale' verificatasi già nella prima metà del XVIII secolo: "un'accumulazione di scoperte, di progressi tecnici, alcuni spettacolari, altri quasi microscopici [...] ingranaggi disparati, martinetti, catene articolate di trasmissione [...] macchinari dall'aspetto sempre più complicato. E tante altre innovazioni: telai per la maglieria, per la fabbricazione di nastri [...]" (v. Braudel, 1979, pp. 325-326). Mentre il carbone, il ferro, l'acciaio e le macchine azionate a vapore sono il tratto distintivo della prima rivoluzione industriale, il petrolio, l'elettrotecnica, l'industria chimica e il motore a quattro tempi messo a punto da Nikolaus Otto nel 1876 rappresentano le pietre miliari della seconda rivoluzione industriale, che iniziò alla fine del XIX secolo ed ebbe il suo massimo sviluppo nel secolo successivo. Sfruttando gli effetti elettromagnetici scoperti nella prima metà dell'Ottocento, nacquero le apparecchiature telegrafiche e vennero costruiti motori elettrici più potenti. Nel 1879 Werner von Siemens costruì la prima locomotiva elettrica.
L'energia nucleare, l'elettronica e le moderne tecniche di informazione e comunicazione, infine, contrassegnano l'ondata più recente di innovazione tecnologica, che ha avuto inizio nel secondo dopoguerra. Sebbene si parli talvolta a questo riguardo di una terza rivoluzione industriale, non si tratta a rigore di una rivoluzione industriale, poiché nel frattempo, con l'avvento della società del terziario, la forza dell'industria come settore trainante dell'economia è andata progressivamente declinando. Come dimostra già l'accenno alle numerose 'rivoluzioni' (industriali) connesse allo sviluppo di nuove tecniche, lo sviluppo tecnologico non è affatto un processo semplice e lineare, che nell'epoca contemporanea ha conosciuto semplicemente un'accelerazione. Per quanto è possibile ricostruire dai dati storici in nostro possesso, lo sviluppo della tecnica mostra piuttosto un andamento ad ondate. Se si opera una distinzione tra scoperte scientifiche e innovazioni tecniche, si può vedere che entrambe hanno avuto delle fluttuazioni parallele, sebbene con un certo sfasamento temporale. Tra il 1770 e il 1950 si possono identificare sei grandi ondate di importanti scoperte scientifiche, ognuna delle quali fu seguita, a distanza di 20-30 anni, da un'ondata di innovazioni tecniche altrettanto importanti. Fluttuazioni analoghe si possono osservare persino prima della rivoluzione industriale del XIX secolo, ossia in un'epoca in cui l'agricoltura costituiva ancora il settore dominante dell'economia nazionale (v. Wagner-Döbler, 1997, pp. 78-83 e 104).
Il tratto distintivo del processo di tecnicizzazione che ebbe inizio con la (prima) rivoluzione industriale fu un enorme incremento della produttività - in termini di quantità di energia prodotta e consumata, di produzione di beni di consumo, di volume dei trasporti e di potenza distruttiva delle armi. La tecnicizzazione però non comporta solo diffusione e sfruttamento di singoli artefatti tecnici come le macchine a vapore, gli altiforni, le automobili o i ferri da stiro elettrici, ma anche la nascita di sistemi tecnologici sempre più grandi e reciprocamente interconnessi. La storia e la sociologia della tecnica per lungo tempo hanno focalizzato l'attenzione sulla creazione di singoli artefatti tecnici e sulle conseguenze sociali del loro sfruttamento. Solo relativamente tardi, grazie al lavoro dello storico americano Thomas P. Hughes, l'attenzione si è spostata verso i grandi sistemi tecnologici sviluppatisi nell'ambito delle infrastrutture. A Hughes (v., 1983) si deve anche uno studio sullo sviluppo delle moderne reti di energia elettrica in Germania, Inghilterra e Stati Uniti. Altri autori hanno posto al centro delle loro ricerche le reti ferroviarie e telefoniche (v. Mayntz e Hughes, 1988). La nascita di sistemi tecnologici estesi a tutto il territorio nazionale e talvolta interconnessi a livello internazionale costituisce un importante aspetto dello sviluppo tecnologico moderno. La tecnica moderna non può dunque essere concepita semplicemente come diffusione di singoli artefatti; si rende necessario piuttosto considerare sistemi complessi reciprocamente interrelati e artefatti funzionalmente interconnessi (v. Rammert, 1982, p. 34).
I grandi sistemi tecnologici si presentano in tre forme distinte: come grandi impianti (ad esempio le centrali nucleari), come grandi progetti (ad esempio il progetto di Manhattan per lo sviluppo della bomba atomica americana), e come grandi sistemi infrastrutturali. Dal punto di vista delle scienze sociali questi ultimi rivestono una particolare importanza, in quanto si tratta di nuovi sistemi funzionali che si aggiungono ad altri sottosistemi differenziatisi in precedenza nel corso dello sviluppo sociale, come il sistema educativo, il sistema sanitario, il sistema politico e il sistema economico. Senza dubbio il rifornimento di energia, i trasporti e le comunicazioni si svilupparono prima dei processi di meccanizzazione del XIX secolo, perlomeno per quanto riguarda la comparsa di ruoli professionali specializzati (carbonai, cocchieri, ecc.), ed esistevano già piccole organizzazioni (ad esempio la posta dei Thurn e Taxis). Ma solo con la ferrovia e con l'aeroplano, con il telefono e con la produzione industriale di energia elettrica questi servizi si sono trasformati in sistemi funzionali di grandi dimensioni e dotati di una complessa struttura organizzativa. Lo stesso vale per i moderni mezzi di comunicazione di massa: anche in questo caso vi fu un precursore, la figura del cantastorie che informava sulle novità e sui cambiamenti, che esisteva già prima di Gutenberg, ma anche in questo caso l'espansione sociale e la differenziazione organizzativo-istituzionale si ebbero solo con lo sviluppo della stampa, della radio e della televisione.
Lo sviluppo dei moderni sistemi infrastrutturali va distinto dai processi di innovazione tecnologica che - con crescente intensità a partire dal XIX secolo - sono intervenuti in ambiti sociali differenziatisi già in passato. La tecnica di produzione moderna ha inciso profondamente soprattutto sulle strutture e sui processi dell'economia. Notevole è stato altresì l'impatto della moderna tecnica militare sull'esercito e sulla conduzione della guerra. Infine, anche il sistema della scienza si è trasformato in modo decisivo sotto l'influsso delle moderne tecniche di misurazione, di osservazione e di calcolo, tanto che si potrebbe affermare che le scienze naturali e l'ingegneria moderne non si sarebbero potute sviluppare senza questi presupposti tecnici. Il sistema sanitario per contro è stato modificato più tardi e in misura meno incisiva dalla moderna tecnologia medica. A risentire nel modo più marginale dell'impatto delle innovazioni tecnologiche sono stati il sottosistema religioso, quello educativo e quello politico-amministrativo. In tutti questi casi i processi di innovazione tecnologica hanno influenzato singoli processi in sottosistemi sociali preesistenti. I grandi sistemi infrastrutturali per contro sono nati solo a partire da tecniche specifiche. La tecnologia in questi casi ha contribuito concretamente alla formazione di sistemi.
In ragione della costante dinamica dello sviluppo tecnologico, la formazione di sistemi tecnici non è affatto un processo concluso. Un elemento relativamente nuovo è rappresentato dal sistema del traffico aereo civile. Le componenti più importanti di tale sistema sono gli aeroporti, le compagnie aeree con le loro flotte, il controllo internazionale sulla sicurezza del traffico aereo, un complesso di norme giuridiche che regolamentano la materia, nonché varie autorità e professioni specializzate. In alcuni paesi si va sviluppando un sistema nucleare - un insieme sincronizzato di produttori di combustibile, centrali atomiche, autorità di controllo, impianti di depurazione e un complesso di disposizioni per lo smaltimento e il deposito di scorie nucleari. Solo oggi anche il traffico automobilistico va assumendo le caratteristiche di un grande sistema infrastrutturale con un codice stradale, vie di grande comunicazione, catene di stazioni di rifornimento, motel e punti di ristoro, un corpo di polizia stradale e sistemi elettronici di direzione e smistamento del traffico.I sistemi infrastrutturali sono in parte interconnessi. Ciò vale in particolare, a partire dallo sviluppo della ferrovia, per il sistema dei trasporti e delle telecomunicazioni. Quando più sistemi infrastrutturali vengono utilizzati contemporaneamente per uno stesso scopo, possono nascere sistemi tecnologici secondari (v. Braun e Joerges, 1994). Così, ad esempio, verso la fine degli anni settanta l'uso sistematico e organizzato del trasporto aereo, delle telecomunicazioni e del sistema di elaborazione dati ha dato luogo ad un nuovo sistema funzionale per il trapianto di organi che associa centri per il trapianto, ospedali, servizi d'emergenza medici, banche di organi e di tessuti, centri di dialisi e banche dati speciali.
Lo sviluppo e lo sfruttamento dei grandi sistemi infrastrutturali hanno influenzato i sottosistemi della politica, dell'economia, della scienza, ecc. perlomeno in modo altrettanto profondo, se non più profondo, dei processi di tecnicizzazione all'interno di tali sottosistemi stessi. Le moderne telecomunicazioni e i mass media, ad esempio, hanno avuto un profondo impatto sui processi decisionali nella sfera politica. Un ruolo altrettanto importante è stato svolto dal telefono e dalla ferrovia per l'esercito e per le tecniche militari della nostra epoca. Senza i moderni sistemi di erogazione dell'energia, dei trasporti e delle telecomunicazioni la crescita economica dell'ultimo secolo non sarebbe stata possibile. Secondo James Beniger (v., 1986), non fu l'invenzione della macchina a vapore che portò alla rivoluzione industriale; il fattore decisivo sarebbe stato piuttosto il miglioramento dei trasporti attraverso la navigazione a vapore e le linee ferroviarie. Senza le moderne telecomunicazioni, inoltre, non sarebbe stato possibile far fronte ai problemi di coordinazione che nascono dall'accresciuto volume e dall'espansione a livello mondiale dei flussi di materie prime, di merci e di capitali. Le telecomunicazioni hanno oggi un ruolo altrettanto decisivo nella globalizzazione dell'economia.
L'intenso processo di tecnicizzazione che si ebbe nel XIX secolo attirò per la prima volta l'attenzione non solo degli studiosi, ma anche di più ampi strati dell'opinione pubblica sul fenomeno della tecnica. Lo sviluppo tecnologico è sempre stato oggetto di valutazioni contrastanti: motivo per alcuni di una fiducia illimitata nel progresso, è stato visto da altri come una minaccia per la cultura europea. La fede nel progresso tecnologico era diffusa soprattutto nell'America dell'Ottocento (v. Smith, 1994). Anche il secolo successivo ha conosciuto periodi di fede illimitata nel progresso, ad esempio nell'immediato dopoguerra, allorché lo sfruttamento per usi pacifici dell'energia nucleare sembrava aprire la strada ad una nuova età dell'oro. Già negli anni cinquanta, però, cominciarono a farsi sentire le voci dei primi critici del progresso, come ad esempio Jacques Ellul e Lewis Mumford. Nel suo studio del 1954 intitolato La technique, Ellul affermò che la tecnologia basata sul pensiero meccanicistico si era trasformata in una forza autonoma al cui influsso nessuna attività umana era ormai in grado di sottrarsi. Un giudizio altrettanto critico sullo sviluppo tecnologico fu espresso da Lewis Mumford, il quale scriveva nel suo Art and technics: "come un guidatore di locomotiva ubriaco su un treno a vapore lanciato nell'oscurità a cento miglia all'ora, abbiamo oltrepassato i segnali di pericolo senza renderci conto che la nostra velocità, frutto della nostra abilità meccanica, non fa che accrescere il pericolo e renderà più fatale lo schianto" (citato in Smith, 1994, p. 29). Per Mumford lo sviluppo tecnologico è destinato a sfociare nella costruzione di strutture totalitarie. Attualmente a suscitare critiche e preoccupazioni sono soprattutto i pericoli dell'energia atomica e i rischi comportati dalla chimica per l'ambiente e per la salute dell'uomo.
Autori come Ellul e Mumford sono da annoverarsi tra gli esponenti del determinismo tecnologico, secondo il quale lo sviluppo della tecnica segue una propria logica immanente e può essere tutt'al più rallentato o accelerato dall'esterno, ma non incanalato in una direzione diversa. In anni più recenti l'idea di una dinamica immanente allo sviluppo tecnologico è stata sostenuta da Langdon Winner. Nella sua opera intitolata significativamente Autonomous technology (v. Winner, 1977), egli afferma che lo sviluppo tecnologico è sfuggito al controllo umano e segue solo i propri impulsi. Il fatto che il modello deterministico abbia potuto diffondersi e persista con tale tenacia potrebbe essere ricollegato al mito della razionalità, che ha le sue radici nell'illuminismo. Alla base di tale mito vi è l'assunto che per ogni domanda vi è un'unica risposta giusta, per ogni problema un'unica soluzione ottimale. Il mito dell'one best way ha influenzato anche la concezione della tecnica: ad esempio, il prototipo messo a punto dal singolo ricercatore o ingegnere viene considerato la migliore (per il momento) soluzione possibile di un problema di costruzione concreto, e il perfezionamento di un nuovo artefatto come l'automobile o il computer appare come un semplice processo di maturazione nel corso del quale gli artefatti diventano sempre più efficaci, sicuri e a buon mercato.
A questa concezione deterministica di uno sviluppo tecnologico guidato da forze endogene si contrappone la tesi secondo cui esso sarebbe determinato esclusivamente da forze economiche, ossia da fattori esogeni. È questa la concezione sostenuta dagli economisti sia marxisti che neoclassici. Nella versione marxista di tale determinismo economico la tecnologia è vista come forza produttiva che viene richiesta e utilizzata dagli imprenditori per ragioni di profitto. Alla motivazione della massimizzazione del profitto viene attribuito un ruolo centrale anche da Robert Heilbroner (v., 1994), che identifica la principale forza propulsiva del progresso tecnologico in una propensione generale al guadagno (acquisitive mind-set). Nella teoria del controllo sulla forza lavoro formulata da Braverman (v., 1974) e da Edwards (v., 1979), lo sviluppo della tecnica produttiva è visto come un processo di costante espansione del controllo (capitalistico) sulla forza lavoro. Nella versione neoclassica del determinismo economico il progresso tecnologico sarebbe innescato dai bisogni che si esprimono di volta in volta sul mercato sotto forma di domanda di particolari beni e servizi.
La spiegazione dello sviluppo tecnologico in termini di trazione della domanda possiede una certa plausibilità se si considera che le innovazioni tecniche nascono prevalentemente nei laboratori industriali, e tuttavia il modello della trazione della domanda è altrettanto deterministico quanto il modello di uno sviluppo tecnologico puramente endogeno. Le teorie più recenti tendono a rifiutare tutti gli approcci di tipo deterministico, sia quelli che considerano lo sviluppo tecnologico come un semplice riflesso di forze economiche, sia quelli che lo riconducono a fattori endogeni di ordine esclusivamente cognitivo. Secondo i nuovi modelli esplicativi, per contro, nello sviluppo tecnologico entrano in gioco fattori sia endogeni che esogeni, sia di ordine intellettuale-cognitivo sia di tipo socio-economico. Una volta abbandonato il semplice modello deterministico, si amplia enormemente il numero dei possibili fattori causali. Di fatto, gli storici della tecnologia hanno dato una varietà di risposte, tutte ben fondate, al problema di individuare il fattore decisivo dello sviluppo tecnologico: "Alcuni focalizzano l'attenzione sulla particolare efficacia di determinate precondizioni materiali, geografiche, demografiche e socioeconomiche: l'accesso alle materie prime o ai mercati; l'esistenza di una economia mercantile capitalistica; la ricerca del profitto; l'accumulazione di capitale; la disponibilità di una forza lavoro indigente, suscettibile di essere addestrata e sfruttata. Altri attribuiscono il primato causale a fattori intellettuali, culturali o ideologici: l'espansione della cultura laica; l'esistenza di una riserva di abilità imprenditoriali o finanziarie; l'affermarsi del razionalismo scientifico, del cristianesimo, dell'etica del lavoro protestante o di un ethos artigianale. Di fatto, quasi ogni attributo identificabile delle moderne società occidentali è stato proposto come presunto fattore cruciale" (v. Smith e Marx, 1994, p. XIII). David Landes (v., 1968) ha cercato di ridurre i molteplici fattori esogeni a due soli elementi, da lui ritenuti decisivi per lo sviluppo della tecnologia moderna, che egli definisce "la liberazione di Prometeo".
Il primo fattore è rappresentato dal complesso di sviluppi politici, giuridici ed istituzionali che si verificarono in Europa tra il XVIII e il XIX secolo: l'affermarsi dello Stato di diritto costituzionale, che costituì il presupposto giuridico per lo sviluppo dell'iniziativa privata e della generale razionalizzazione della politica e dell'economia (si tratta di un fattore che già Max Weber aveva individuato).
Il secondo fattore essenziale è, a parere di Landes, la ricerca del profitto da parte del moderno imprenditore capitalistico, che può svilupparsi all'interno di questo quadro istituzionale. Secondo MacKenzie, tuttavia, sarebbe sbagliato dare un peso eccessivo alla motivazione della massimizzazione del profitto per lo sviluppo tecnologico; le conseguenze economiche di una innovazione tecnica, sostiene MacKenzie, difficilmente possono essere previste ex ante: "ogni mutamento tecnologico significativo [...] comporta una profonda incertezza relativamente ai costi e quindi anche ai profitti" (v. MacKenzie, 1992, p. 29). Di fatto le innovazioni tecniche più fruttuose sul piano economico scaturiscono in buona parte da una ricerca che non ha affatto motivazioni economiche (v. Krohn e Rammert, 1985, p. 426). Ciò tuttavia non esclude che il perseguimento del profitto possa essere un'importante forza propulsiva del mutamento tecnologico, anche se in merito all'andamento futuro della domanda, alla disponibilità dei clienti a pagare il prezzo richiesto, e al comportamento dei potenziali concorrenti dell'inventore di un nuovo artefatto tecnico si possono formulare solo congetture, che spesso si rivelano erronee.
Lo sviluppo tecnologico però non è influenzato solo da interessi economici. Alcuni autori, come ad esempio David Noble (v., 1984), hanno cercato di spiegare lo sviluppo della tecnica - sin nei dettagli della costruzione di macchine utensili - facendo riferimento agli interessi, senza limitarsi però esclusivamente a quelli economici, ma prendendo in considerazione anche gli interessi politici (come gli sforzi bellici nella seconda guerra mondiale, che contribuirono ad accelerare lo sviluppo dell'elettronica) e quelli delle organizzazioni scientifiche (che mirano ad acquisire ricchezza, prestigio e influenza). Anche Hughes (v., 1983) ha attribuito un ruolo centrale ai vested interests nel perfezionamento di grandi sistemi tecnologici preesistenti, prendendo in considerazione accanto agli interessi dei produttori, dei finanziatori e degli imprenditori anche quelli degli attori politici e delle nuove categorie professionali.
Una spiegazione valida e completa dello sviluppo tecnologico deve senza dubbio tener conto non solo dei vari fattori esogeni, ma anche di quelli endogeni di ordine cognitivo. L'importanza di questi ultimi viene sottolineata, non del tutto a torto, sebbene con una indubbia esagerazione, dalle teorie che postulano uno sviluppo autonomo della tecnologia. Il progresso tecnologico in effetti segue un'evoluzione lineare, perlomeno nella misura in cui ogni nuova invenzione si fonda sulla padronanza di tecniche precedenti - la macchina a vapore, ad esempio, presuppone la capacità di fabbricare con sufficiente precisione cilindri di ghisa di notevole grandezza. Di conseguenza nello sviluppo tecnologico non esistono salti (ad esempio dal mulino a vento alle centrali nucleari), poiché lo stato delle conoscenze e delle capacità tecniche determina di volta in volta ciò che in un dato momento storico può essere inventato e costruito (v. Heilbroner, 1967). Come scrive Noble in proposito: "ogni conquista tecnica si basa sulle acquisizioni cumulative del passato [...] non vi sono salti, niente di assolutamente imprevisto. Nuove sintesi, sebbene appaiano come significative rotture rispetto alla tradizione, hanno in realtà le loro radici in essa, in quanto seguono fili della storia che si intrecciano nel tempo lungo sentieri apparentemente non correlati" (v. Noble, 1984, p. 46). Senza nulla togliere all'importanza degli influssi esogeni, ogni concreto progresso tecnologico è inevitabilmente legato all'esistenza di un determinato patrimonio di conoscenze, al technology pool di un dato momento storico, che a sua volta dipende, sebbene non interamente, dallo stato della ricerca di base. Tuttavia nel passaggio dalla ricerca di base a quella applicata, così come nel passaggio dall'innovazione tecnica alla produzione e allo sfruttamento commerciale, vi è sempre un certo margine di scelta e di decisione. Nella trasformazione delle conoscenze scientifiche in applicazioni tecniche concrete i costruttori di regola hanno diverse possibilità; un determinato ramo della ricerca di base, ad esempio la fisica nucleare, può fondare più di una tecnologia, e una determinata tecnologia dal canto suo consente più di una applicazione tecnica. Di queste possibilità ne vengono realizzate di volta in volta solo alcune. L'ambito di scelta tuttavia è sempre limitato: una determinata tecnologia di base consente varie applicazioni, ma non qualsivoglia applicazione. Analogamente una data applicazione tecnica, ad esempio un artefatto come l'automobile o il telefono, talvolta può essere adibita ad usi che l'inventore non aveva progettato: l'automobile può servire non solo come mezzo di trasporto, ma anche come rifugio per gli innamorati e come succedaneo di una camera d'albergo. Tuttavia la gamma dei possibili usi non è illimitata: un'automobile normale non può né volare né navigare. Lo sviluppo tecnologico dalla ricerca pura sino allo sfruttamento di un artefatto tecnico costituisce dunque un processo di selezione articolato in diverse fasi - un processo in cui in diversi punti, per così dire, si presentano delle ramificazioni. È in corrispondenza di queste ramificazioni che intervengono decisioni di tipo politico, economico e culturale, determinando in quale delle direzioni possibili lo sviluppo proseguirà effettivamente. Questo modello dello sviluppo tecnologico viene ripreso da Dosi nella sua teoria delle 'traiettorie tecnologiche'. Le traiettorie tecnologiche sono modelli specifici di soluzioni tecniche di problemi, che si fondano di volta in volta su un determinato 'paradigma tecnologico', ossia su "uno 'schema' di soluzione di una determinata selezione di problemi tecnologici, basati su una determinata selezione di principî derivati dalle scienze naturali e su una determinata selezione di tecnologie materiali" (v. Dosi, 1982, p. 152).
La controversia sulla natura esogena o endogena dei fattori che determinano lo sviluppo tecnologico oggi può dunque considerarsi superata. Ma il fatto che intervengano sia fattori endogeni (di ordine cognitivo) sia fattori esogeni non significa che essi abbiano sempre eguale peso. L'importanza dei fattori economici in particolare sembra variare in modo tipico. Riassumendo a grandi linee i risultati ottenuti sinora dalla ricerca, si può affermare che l'influenza della domanda nelle fasi iniziali dell'innovazione tecnologica è minima, ma tende ad aumentare nelle fasi successive. Quando viene messa a punto una nuova tecnica la domanda di mercato spesso esiste solo nella mente degli inventori e dei costruttori sotto forma di anticipazioni in merito ai possibili usi. Queste anticipazioni spesso hanno un carattere utopistico, e non di rado le applicazioni che in seguito risulteranno di fatto predominanti non vengono affatto previste. Così, ad esempio, il telefono all'inizio era considerato una sorta di giocattolo tecnologico e venne usato per trasmettere musica, prima che se ne riconoscesse l'importanza come mezzo di comunicazione. All'origine dell'invenzione del telefono non vi fu tanto la prospettiva di un suo qualsivoglia sfruttamento commerciale, quanto piuttosto l'interesse degli scienziati, che verso la metà dell'Ottocento cercavano di costruire organi artificiali attraverso cui dimostrare la validità delle loro teorie fisiologiche sull'udito e sulla fonazione (v. Rammert, 1989). Nella nascita di una invenzione, infine, accanto a tali interessi scientifici (cognitivi), entrano in gioco anche fattori culturali, nella fattispecie le tradizioni costruttive dell'ingegneria, le 'regole dell'arte' tramandate e spesso difese contro ogni deviazione.
Quando lo sviluppo tecnologico raggiunge una fase in cui il futuro fruitore può esprimersi come tale, il fattore della domanda assume una nuova importanza. Tuttavia occorre abbandonare ogni immagine idealizzata del mercato, nonché l'idea di un'azione quasi meccanica della trazione della domanda. A seconda del tipo di domanda che domina nell'interazione tra inventori di nuove tecniche e futuri fruitori, i risultati degli artefatti tecnici appariranno completamente diversi. Un esempio particolarmente appropriato a questo riguardo è dato dallo sviluppo delle macchine utensili a controllo numerico, che è stato analizzato da sociologi sia americani che tedeschi (v. Noble, 1984; v. Hirsch-Kreinsen, 1993). Negli Stati Uniti gli interessi militari ebbero un ruolo importante, talvolta addirittura dominante, nella costellazione di inventori e fruitori; ciò portò ad una configurazione complessa e tecnicamente assai ambiziosa dell'automazione, mentre in Europa, dove negli sviluppi paralleli ebbero un ruolo più importante gli interessi dei piccoli e medi imprenditori, nacque una variante di questo tipo di macchine utensili tecnicamente meno ambiziosa, ma più flessibile.
Le stesse considerazioni relative al ruolo del fattore della domanda sullo sviluppo di singoli artefatti come il telefono e le macchine utensili valgono anche per quanto riguarda la fornitura dell'energia elettrica, la rete ferroviaria e le telecomunicazioni (v. Mayntz e Hughes, 1988; v. Mayntz e Schneider, 1995). Nella fase iniziale di creazione di questi sistemi la domanda del mercato ebbe perlopiù un ruolo del tutto marginale. Nuovi sistemi tecnologici nascono di regola da una combinazione di diverse innovazioni tecniche, effettuata da individui creativi e spesso guidati da una visione, ma a orientare i loro sforzi è tutt'al più la prefigurazione delle possibili applicazioni, non certo una precisa domanda del mercato. Infatti, la domanda di determinati servizi infrastrutturali - luce, trasporti o telecomunicazioni - nella fase iniziale della messa a punto di una nuova tecnica di solito risulta già soddisfatta dai sistemi esistenti. Il ben sviluppato sistema di illuminazione a gas, ad esempio, in un primo tempo fece sì che non si sentisse alcun bisogno pressante della luce elettrica; lo stesso accadde per il telefono, di cui inizialmente non si sentì la necessità data l'esistenza di una efficiente rete telegrafica. I sistemi infrastrutturali preesistenti in un primo tempo possono addirittura garantire i relativi servizi a un prezzo minore e con maggior efficienza rispetto alle nuove tecniche, che nella fase iniziale presentano inevitabilmente difetti e rischi.
Nella prima fase dello sviluppo dei sistemi infrastrutturali, inoltre, non è affatto certo che tali debolezze saranno superate in un lasso di tempo prevedibile. Spesso, di conseguenza, una nuova tecnica viene considerata solo come un mezzo per sviluppare e perfezionare sistemi tecnologici preesistenti. Dapprima, ad esempio, la ferrovia fu considerata un mezzo per ovviare alla mancanza di collegamenti tra canali, e il telefono venne utilizzato per ampliare i punti terminali della rete telegrafica. Solo nella fase di espansione di una nuova tecnica l'esistenza di una domanda sufficientemente forte diventa decisiva. Anche in questa fase, tuttavia, un buon mercato per i nuovi servizi è una condizione necessaria ma niente affatto sufficiente; date le ingenti spese comportate dalla costruzione di un grande sistema infrastrutturale, occorre che vi siano istituzioni in grado di reperire e anticipare i capitali necessari. Per questo motivo, ad esempio, nello sviluppo della ferrovia i capitali delle banche private, la nuova forma giuridica della società per azioni e (soprattutto in Europa) l'intervento dello Stato ebbero un ruolo decisivo.L'influenza dello Stato sullo sviluppo tecnologico, perlomeno nelle società in cui domina l'economia privata, sembra essere meno rilevante di quella dei fattori economici, ma attualmente si è notevolmente accresciuta. La domanda dello Stato ha sempre avuto un ruolo significativo soprattutto nel campo della tecnica militare; anche se si è trattato di una domanda orientata a fini politici, ci si potrebbe chiedere se in questo caso la domanda non debba essere classificata tra i fattori di ordine economico che hanno influenzato lo sviluppo della tecnica. Diversa è la situazione quando lo Stato promuove lo sviluppo di sistemi infrastrutturali o assume in prima persona il compito di fornire i relativi servizi, ossia riveste il ruolo di imprenditore, al fine di stimolare la crescita economica e di migliorare la qualità della vita dei cittadini. È in questo modo, ad esempio, che sono nati in Europa i servizi ferroviari e telefonici statali.
Lo Stato influenza inoltre la politica della ricerca attraverso una promozione selettiva. Il fatto che esso programmaticamente e con l'impiego di ingenti mezzi finanziari si preoccupi di promuovere determinate linee di sviluppo tecnologico costituisce un fenomeno relativamente nuovo. È stata la competizione tecnologica internazionale che ha avuto inizio negli anni sessanta a determinare le politiche tecnologiche della maggior parte dei moderni Stati industrializzati (v. Braun, 1997). Politica tecnologica però significava e significa tuttora soprattutto il finanziamento selettivo delle attività di ricerca (applicata) e sviluppo. Nei paesi industriali sviluppati (a differenza di quanto accade in alcuni paesi in via di sviluppo), la politica tecnologica raramente è finalizzata a promuovere l'immagine nazionale, ma è intesa principalmente come strumento della politica economica e in particolare della politica industriale. Per questo motivo la politica tecnologica viene analizzata e trattata soprattutto in connessione ai problemi della politica economica ed industriale. Lo Stato cerca di promuovere in particolare quelle tecnologie che si ritiene favoriscano la crescita economica, ma che le industrie non si preoccupano di sviluppare di propria iniziativa e con i propri mezzi. Accanto agli incentivi finanziari alle attività di ricerca sia delle industrie che degli enti governativi e di istituzioni pubbliche, viene utilizzato anche lo strumento della domanda statale di determinati artefatti tecnici - in ultimo nell'interesse della politica economica e industriale. Ne sono esempi i programmi statali di acquisto di grandi calcolatori, in cui vengono favoriti i produttori nazionali, oppure le grosse ordinazioni di apparecchi telefonici o di sistemi di videotex (minitel in Francia).
Un altro importante strumento della politica tecnologica è la regolamentazione normativa. Suo scopo principale è quello di evitare gli effetti negativi delle nuove tecnologie. La storia della regolamentazione statale in questo campo - associata in Germania all'introduzione dell'ispettorato delle industrie (Gewerbeaufsicht) - risale all'inizio del XIX secolo ed è strettamente legata all'avvento della macchina a vapore (v. Weber, 1986). Il compito principale del controllo statale non era quello di garantire l'efficienza tecnica, ma di salvaguardare la salute e la vita dei cittadini. Con l'introduzione della macchina a vapore anche le ferrovie divennero oggetto di controlli tecnici. In seguito la regolamentazione statale si è estesa anche all'industria chimica e, in tempi ancora più recenti, alla tecnologia nucleare e alle biotecnologie. La tutela dell'ambiente, oltre che quella della salute dei cittadini, ha acquistato un ruolo di crescente importanza nelle regolamentazioni statali, che agiscono in prima linea in senso restrittivo ma, indirettamente, possono anche favorire lo sviluppo tecnologico. Le tecnologie ambientali, ad esempio, difficilmente avrebbero potuto raggiungere l'attuale livello di sviluppo se le condizioni imposte alle famiglie e alle imprese dalla politica ambientale non avessero creato una forte domanda di dispositivi per la depurazione delle acque di scolo e dei gas di scarico.
Il rapido sviluppo tecnologico nell'età moderna viene spesso messo in relazione con il processo di scientificizzazione della tecnica. Il semplice modello lineare che sta alla base di questa interpretazione non solo imputa lo sviluppo tecnologico a fattori puramente endogeni, trascurando il ruolo dei fattori economici e politici, ma presuppone anche, del tutto infondatamente, un rapporto di dipendenza unilaterale tra tecnica e scienza. Di fatto scienza e tecnica per lungo tempo hanno seguito percorsi di sviluppo relativamente indipendenti. La scienza, coltivata nelle università, ebbe sino a buona parte del Medioevo un'impronta scolastica e si basava su un sapere puramente libresco. Lo stesso ritorno ai classici dell'antichità nel Rinascimento al principio cambiò poco questo stato di cose. Gli umanisti in generale non erano affatto degli empiristi. I 'fatti' per essi erano quelli narrati dai 'litterati', e la ragione (ratio, via rationis), non già l'esperienza (experientia), era considerata la strada maestra della conoscenza. Si riteneva che solo il pensiero logico fosse in grado di cogliere la natura, e la dimostrazione logica era considerata il più importante metodo conoscitivo.
Le conoscenze e le capacità tecniche, al contrario, vennero per secoli tramandate oralmente e apprese attraverso l'addestramento pratico. Le corporazioni, ma anche i conventi, furono i principali luoghi in cui si sviluppò la tecnica nel Medioevo. A partire dall'invenzione della stampa, però, il sapere tecnico cominciò a diffondersi anche in forma scritta. Un genere assai in voga di ricettari tecnici era rappresentato dai libri sui segreti della natura (secreta, arcana naturae), particolarmente in auge nel XV e nel XVI secolo, il cui oggetto non era più costituito dalle pratiche magiche e occulte, quanto piuttosto da istruzioni pratiche di vario genere: le tecniche per forgiare il ferro, per conciare il cuoio, per la vinificazione e per la cura delle malattie (v. Eamon, 1994).
Un legame più stretto tra scienza e tecnica poté crearsi solo a seguito di una profonda rivoluzione del pensiero scientifico, che si verificò nel XVII secolo ed ebbe uno dei suoi principali centri in Inghilterra (v. Merton, 1970²). Ad aprire la strada al pensiero scientifico moderno fu Francis Bacon, il cui capolavoro, Novum organum scientiarum, apparve nel 1620. Partendo dalle categorie del progresso, della legge di natura e dell'esperimento (v. Böhme e altri, 1977), che già nel Rinascimento avevano acquistato una importanza crescente, Bacon propugnava l'empirismo, e in particolare l'esperimento sistematico, come nuovo metodo di acquisizione delle conoscenze. Il metodo sperimentale venne applicato all'epoca soprattutto nello studio del magnetismo, nella chimica, nella metallurgia e nella tecnica militare (v. Eamon, 1994, p. 7), ma ben presto venne esteso anche alla filosofia della natura, che all'epoca costituiva il fondamento della fisica. Una figura importante a questo riguardo fu quella del fisico inglese Robert Boyle, nato a un anno di distanza dalla morte di Bacon, che con i suoi esperimenti con la pompa da vuoto o pneumatica da lui progettata scoprì il rapporto tra pressione e volume nei gas. Cofondatore della Royal Society di Londra, Boyle trasferì l'empirismo teorico di Bacon sul terreno pratico dell'esperimento sistematico. Il suo contrasto con Thomas Hobbes, che sulla base di una concezione della scienza di stampo aristotelico criticò il metodo sperimentale come strumento di conoscenza, attesta il profondo mutamento che si andava compiendo all'epoca nel pensiero scientifico (v. Shapin e Schaffer, 1985). Gli eruditi umanisti esponenti delle arti liberali, attivi nelle università, si erano sì ribellati alla Scolastica invocando il ritorno ai classici, ma continuavano a sostenere la superiorità della dimostrazione logica sull'esperimento. Solo l'empirismo teorizzato da Bacon e messo in pratica da scienziati come Boyle segnò una svolta decisiva.
Il nuovo orientamento empirista della scienza determinò un intensificarsi dei contatti tra due gruppi sociali in passato nettamente divisi, quello degli artigiani-tecnici e quello degli scienziati puri o teorici, e questi ultimi all'inizio spesso impararono più dai primi che non viceversa. Come osserva in proposito Eamon: "Non-accademici, amatori e artigiani diedero importanti contributi allo sviluppo delle scienze baconiane. Gli studi sperimentali di William Gilbert nel campo del magnetismo, ad esempio, dovettero assai più ai navigatori e ai costruttori di strumenti che non alla filosofia naturale del Medioevo" (v. Eamon, 1994, p. 8). Anche Boyle nel costruire la sua pompa pneumatica si servì del contributo di abili artigiani. Gradatamente, dunque, le divisioni sociali tra scienziati teorici e tecnici divennero flessibili, e i loro diversi modi di pensare cominciarono a compenetrarsi reciprocamente. Questo avvicinamento tra le due categorie segnò da un lato la nascita della scienza moderna, dall'altro la progressiva scientificizzazione della tecnica. Non va dimenticato peraltro che tale processo era stato preparato da una serie di sviluppi verificatisi già nel Rinascimento se non addirittura nel tardo Medioevo (v. Böhme e altri, 1977). Si pensi solo, a questo proposito, all'importante ruolo di mediatori svolto dai principi del Rinascimento - in particolare, in Italia, dai Medici (v. Eamon, 1994, pp. 270-271). La svolta empirista della scienza sin dall'inizio si compì anche, sebbene non esclusivamente, all'insegna del dominio sulla natura e delle applicazioni pratiche. Già Francis Bacon, il quale sottolineava la potenziale utilità pratica del sapere scientifico, distingueva tra una ricerca del sapere orientata alle applicazioni pratiche e una finalizzata alla conoscenza in sé (experimenta fructifera ed experimenta lucifera; v. Eamon, 1994, p. 289). Il puritanesimo, che fu una delle forze propulsive della rivoluzione scientifica del XVII secolo (v. Merton, 1970²), sottolineò questo duplice orientamento: la nuova scienza era per i puritani tanto una strada per la conoscenza dell'ordine del mondo creato razionalmente da Dio, quanto il fondamento delle applicazioni pratiche del sapere. Tuttavia alla metà del XVII secolo le applicazioni tecniche fondate sulla scienza erano ancora alquanto limitate, e riguardavano soprattutto l'industria estrattiva, la navigazione e la tecnica militare. Ma anche se le applicazioni restavano circoscritte, le aspettative relative ad una potenziale utilità pratica della scienza costituirono un importante presupposto per l'istituzionalizzazione della ricerca scientifica. Con la fondazione di accademie e società scientifiche e con la creazione dei corpi tecnici in Francia, la ricerca scientifica non acquistò lo status di una vera e propria professione, ma gli scienziati vennero riconosciuti come tali e poterono godere di prerogative quali la libertà di comunicazione e il privilegio di stampa, l'autorizzazione a sezionare i cadaveri per scopi medici e infine il diritto di tutelare le proprie invenzioni con un brevetto (v. Krohn e Rammert, 1985, p. 414).
I rapporti sempre più stretti che a partire dal XVII secolo si instaurarono tra ricerca scientifica, progresso tecnico e applicazioni pratiche hanno indotto a postulare un nesso lineare e in un'unica direzione tra scienza pura, scienza applicata e prassi. In questo modello la tecnica viene considerata, erroneamente, solo come scienza applicata. Ciò significa però ignorare sia che la ricerca scientifica non si sviluppa in modo autonomo (molti problemi scientifici nascono nel campo della prassi tecnica), sia che non tutti gli sviluppi tecnici si basano sulla scienza. Ancora oggi, come accadeva molti secoli fa, è possibile manipolare con successo nuove scoperte (come ad esempio il superconduttore per l'alta temperatura), prima che esse trovino una sistematizzazione sul piano teorico. L'immagine di un nesso lineare tra ricerca scientifica e applicazione tecnica, dunque, viene progressivamente abbandonata in favore dell'idea di una loro interdipendenza reciproca.La ricerca scientifica è particolarmente importante in determinati campi come la chimica e l'elettronica, l'energia nucleare, la navigazione aerea e spaziale; sono queste le autentiche science based industries. In altri casi invece - ad esempio in numerose industrie di beni di consumo - la scienza pura ha un ruolo assai più marginale. Proprio nei settori ad alta intensità di capitale l'innovazione tecnica è in prima linea frutto delle attività di ricerca delle aziende stesse (corporate R&D; v. Freeman, 1974). Mentre in passato la figura principale del progresso tecnologico era quella dell'inventore-imprenditore, nelle science based industries (in particolare nell'elettrotecnica e nelle industrie chimica e farmaceutica) predominano i grandi laboratori di ricerca e sviluppo delle aziende stesse. La base scientifica dello sviluppo tecnico si trasferisce dunque in misura crescente dalle istituzioni scientifiche all'economia. Poiché tuttavia le attività di ricerca e sviluppo condotte nei laboratori delle industrie sono orientate principalmente alle attività produttive, la ricerca pura condotta da enti e istituzioni statali (università, grandi centri di ricerca, ecc.) costituisce oggi come in passato un importante elemento dei sistemi di innovazione nazionali. L'innovazione tecnica non è più dunque legata ad un unico tipo di istituzioni specializzate, ma è il prodotto di una rete eterogenea di organizzazioni diverse.
Quando si definisce l'epoca contemporanea come età della civiltà tecnico-scientifica, si fa riferimento al fatto che la tecnica impronta ormai in modo pervasivo il nostro modo di vita, l'economia e la forma dei rapporti sociali. Non sorprende, pertanto, che le conseguenze sociali, economiche e culturali della tecnica siano al centro dell'attenzione anche tra gli studiosi. Si possono distinguere a questo riguardo due approcci teorici: il primo parte da una determinata tecnica e ne analizza gli effetti. Un lavoro classico nell'ambito di questo filone di ricerca è lo studio di Ithiel de Sola Pool (v., 1977) sugli effetti del telefono. Il secondo approccio parte da un determinato settore della vita, ad esempio l'economia, il lavoro, la vita quotidiana, e si interroga sugli effetti che su di esso esercita la tecnica.
Lo studio sociologico delle conseguenze della tecnica analizza in generale le conseguenze economiche, sociali e culturali di un determinato artefatto come l'auto, la luce elettrica o il telefono. In tempi più recenti l'attenzione degli studiosi si è incentrata in particolare sulle conseguenze delle moderne tecniche di informazione e comunicazione - ad esempio gli effetti sulle procedure amministrative e burocratiche, sui processi decisionali nelle imprese o sui rapporti tra produttori, fornitori e clienti. In questa sede non possiamo trattare più dettagliatamente questo campo di studi assai ricco ma piuttosto specialistico.
Una particolare variante della ricerca sulle conseguenze della tecnica è la 'valutazione tecnologica' (technology assessment, TA), che venne sviluppata soprattutto come strumento di consulenza politica. Gli effetti delle innovazioni tecniche non sempre sono prevedibili, e tuttavia le decisioni economiche e politiche dipendono in larga misura dalla valutazione delle conseguenze, soprattutto di ordine economico, ma anche sanitario, ecc., della loro adozione. Gli studi di questo tipo cercano di valutare quantitativamente gli effetti di determinate innovazioni tecniche - ad esempio nella produzione di energia, nel sistema dei trasporti, nella microelettronica, ecc. (v. Cetron e Bartocha, 1973). Nella maggior parte dei casi non si tratta di studi di sociologia empirica, ma di calcoli e di proiezioni sulla base dei dati disponibili, in prevalenza di tipo economico. Un potente impulso a questo indirizzo di ricerca è stato dato dalle decisioni relative alla politica energetica, che hanno acquistato un'importanza di primo piano con la messa a punto delle tecniche nucleari e che in paesi come la Germania hanno suscitato aspri contrasti nell'opinione pubblica.
La valutazione quantitativa degli effetti della tecnica si è incentrata in un primo tempo sulle conseguenze economiche (crescita economica, andamento dei prezzi, occupazione, ecc.), ma in seguito, in connessione con le preoccupazioni per uno sviluppo tecnologico socialmente accettabile, sono state prese in considerazione anche le ripercussioni sociali (v. OECD, 1975). Poiché una data innovazione tecnica di solito ha effetti sia positivi che negativi, la sua valutazione dipende ovviamente dal tipo di conseguenze che viene analizzato. Tuttavia quando si prendono in considerazione le conseguenze sociali, oltre che quelle economiche (ad esempio gli effetti sulla qualità della vita), aumentano le incertezze metodologiche della valutazione.
Gli istituti di technology assessment spesso erano legati alla sfera politica, in quanto le ricerche venivano condotte per il parlamento, il governo o la burocrazia ministeriale (v. Böhret e Franz, 1982). L'influenza di questi istituti dipende dalla loro base organizzativa, dai loro incarichi ufficiali, dalla composizione del personale e dai metodi adottati. Tuttavia la capacità degli studi di technology assessment di influire sulle decisioni politiche concrete è rimasta sempre scarsa, e alcuni istituti di technology assessment vicini all'ambito politico attualmente sono stati sciolti.
La rivoluzione industriale e le sue conseguenze per il benessere nazionale dimostrano in che misura le innovazioni tecniche siano un importante fattore di crescita economica. Esistono peraltro opinioni contrastanti in merito all'esatta configurazione del rapporto tra sviluppo della tecnica e sviluppo economico. Gli economisti hanno fornito a questo riguardo due spiegazioni diverse. Secondo la prima, nota come teoria della 'trazione della domanda' (demand pull), l'intensificarsi delle attività inventive e innovative è una conseguenza dei processi di espansione industriale, che vengono innescati da un aumento della domanda. In base alla seconda teoria invece, quella della 'spinta tecnologica' (technology pull), sarebbero le invenzioni e le innovazioni che ne derivano a dare impulso all'espansione economica. Molti economisti attribuiscono alla dinamica tecnologica un ruolo decisivo nella crescita economica, distinguendo tra innovazioni tecniche (invenzioni) e prototipi pronti per la produzione commerciale (e spesso considerano solo questi ultimi come autentiche innovazioni). Solo le innovazioni che giungono sul mercato, secondo questa teoria, possono influire sulla crescita economica.
La teoria secondo la quale le innovazioni (nel senso di invenzioni pronte per la produzione commerciale) sono il motore della crescita economica è legata principalmente al nome di Schumpeter (v., 1912 e 1939). Secondo questa teoria, sostenuta in tempi recenti soprattutto da Gerhard Mensch (v., 1975), le innovazioni, che provocano quella che Schumpeter definì "ondata di distruzione creatrice" di processi e prodotti tradizionali, danno nuovo impulso alla crescita economica nelle fasi di stagnazione. Poiché l'attività economica, come oggi si riconosce, ha un andamento fluttuante e procede per ondate, ciò significherebbe che una fase di intense invenzioni tecnico-scientifiche di norma inizia in un periodo di stagnazione economica - il che dopo un certo tempo stimola una ripresa dell'attività - e si attenua nella fase di crescita economica. Questa tesi è stata confermata da Wagner-Döbler, il quale sulla base di numerosi dati ha constatato l'esistenza nel corso dei secoli di una correlazione inversa tra fluttuazioni tecnologiche e scientifiche da un lato e fluttuazioni economiche dall'altro: "di fatto le cose vanno esattamente come Kondrat´ev, Schumpeter e Mensch [...] avevano ipotizzato o asserito [...]. Risulta del tutto evidente che a partire dall'età moderna la creatività scientifica e tecnica si rafforza sempre in periodi di crisi, per declinare nelle fasi di crescita economica" (v. Wagner-Döbler, 1997, p. 178). Tuttavia questa osservazione è valida per l'Europa, ma non si applica agli Stati Uniti. Qui infatti l'attività tecnico-scientifica ha un andamento non anticiclico ma prociclico, e ciò si spiega probabilmente con il fatto che negli Stati Uniti, a differenza di quanto avviene nei principali paesi europei, domina una politica educativa prociclica, ossia le spese per l'istruzione aumentano nelle fasi di crescita economica. Questa constatazione sembra mettere nuovamente in discussione la validità delle interpretazioni neoschumpeteriane del rapporto tra sviluppo economico e sviluppo tecnico-scientifico, perlomeno nella loro forma generale. È indiscutibile, inoltre, che le innovazioni tecniche prima dell'affermarsi dell'industrializzazione ebbero un ruolo del tutto marginale per lo sviluppo economico, e di conseguenza la correlazione inversa tra l'andamento dei due ordini di fenomeni per quest'arco di tempo deve essere spiegata diversamente. Delle due teorie contrapposte appena illustrate, la variante legata al nome di Schumpeter sembra applicarsi solo all'Europa dell'età moderna.
La connessione tra progresso tecnologico e crescita economica è stata analizzata approfonditamente, tra gli altri, da Christopher Freeman (v., 1974) dal punto di vista delle imprese. Tre importanti risultati di questo studio meritano di essere qui ricordati. In primo luogo, non tutti i settori dell'economia dipendono in egual misura dalle innovazioni tecniche; nelle cosiddette science based industries esse hanno un ruolo assai più importante che nei settori tradizionali e ad alta intensità di lavoro, come è il caso della maggior parte dei servizi.
In secondo luogo, le innovazioni nei processi, nella produzione e nei materiali (invenzione/messa a punto di nuovi materiali) hanno effetti economici diversi. Le innovazioni nella produzione aprono nuovi mercati per i consumatori, quelle nei materiali creano nuove possibilità di vendita, soprattutto ai produttori, mentre le innovazioni nei processi provocano principalmente un abbassamento dei costi di produzione. In terzo luogo, la maggior parte della crescita della produttività non deriva da innovazioni radicali nei processi, ma è frutto di un flusso costante di piccoli perfezionamenti. Come afferma Nelson (v., 1993, p. 9) le attività di ricerca nelle industrie sono finalizzate in larga misura al miglioramento di prodotti da lungo tempo presenti sul mercato. Un'innovazione in grado di entrare sul mercato, secondo Nelson, è il prodotto di un costante perfezionamento incrementale di una prima invenzione. Così è stato per l'aeroplano, per l'automobile, per la macchina a vapore, per la luce elettrica, e vale in generale per tutti i sistemi tecnologici complessi.
L'importante studio comparato sui sistemi di innovazione nazionali, i cui risultati sono presentati da Nelson (v., 1993), relativizza ulteriormente l'importanza economica delle innovazioni tecniche. Le condizioni per la competitività nei diversi contesti nazionali non sono affatto le stesse. L'innovazione, intesa come costante immissione di nuovi prototipi nella produzione, costituisce un presupposto essenziale della crescita economica solo quando la capacità concorrenziale dipende da questo fattore, ossia quando le imprese sono impegnate in una competizione tecnologica a livello internazionale. Talvolta però lo sviluppo dei mercati di vendita è più importante della innovazione dei prodotti, e in altri casi la pressione concorrenziale è del tutto trascurabile (ad esempio nelle situazioni di monopolio, di forte protezionismo, ecc.). Ciò significa che talvolta le condizioni di base create dalla politica finanziaria e commerciale dello Stato sono più importanti della capacità di innovazione delle imprese. Ne consegue che spesso l'assenza di innovazioni in grado di determinare una crescita economica non deriva da una carenza di offerta di questo tipo di risorse, bensì dal fatto che le imprese, per ragioni puramente economiche, sono poco inclini ad accogliere l'offerta esistente di innovazioni tecniche per sfruttarle commercialmente. Soprattutto le innovazioni radicali e di base sono enormemente rischiose; le spese per svilupparle aumentano in misura crescente, e cicli produttivi sempre più brevi determinano una diminuzione dei profitti attesi. L'economia si comporta dunque in modo del tutto razionale quando tra le innovazioni tecniche disponibili accoglie solo quelle il cui rapporto costi/benefici risulta vantaggioso.Tutte queste considerazioni contribuiscono a relativizzare il semplice modello della 'spinta tecnologica' come spiegazione del rapporto tra sviluppo tecnologico e sviluppo economico.
Tra le conseguenze del progresso tecnologico maggiormente studiate dalle scienze sociali vi sono gli effetti delle tecniche produttive sul lavoro industriale e sull'organizzazione del lavoro. In un primo tempo l'attenzione si è incentrata sugli effetti del taylorismo (o fordismo), caratterizzato dalla tecnica della catena di montaggio e da una parcellizzazione del lavoro portata all'estremo e rigidamente regolamentata. Conseguenze di questa forma di organizzazione del lavoro furono una perdita di importanza delle abilità artigianali e una dequalificazione del lavoro umano. L'addetto alla catena di montaggio di norma era un lavoratore non qualificato o addestrato, mentre le macchine diventavano sempre più 'intelligenti' e le mansioni più impegnative di preparazione del lavoro e di gestione della produzione venivano svolte dai colletti bianchi. Secondo l'interpretazione marxista, questa forma di organizzazione del lavoro manifesta e riproduce la struttura di classe della società (v. Braverman, 1974). La catena di montaggio e l'organizzazione taylorista del lavoro tuttavia non furono mai adottate in egual misura in tutti i settori industriali, ma contraddistinguevano in particolare la produzione di serie. La tecnica produttiva tipica delle process industries nonché quella della produzione di piccole serie o del singolo prodotto finito (tipica ad esempio della fabbricazione di impianti e macchine utensili), in cui un gruppo di operatori esegue il montaggio di un prodotto sino alla sua forma finale, sono sempre state e sono tuttora legate ad un altro tipo di organizzazione del lavoro non basata sui principî del taylorismo (v. Woodward, 1965). Inoltre all'interno della stessa impresa le varie mansioni possono differire notevolmente per quanto attiene al grado di meccanizzazione e di specializzazione richiesto. Se da un lato numerose attività possono essere svolte come in passato da lavoratori addestrati o non qualificati, dall'altro lato si è andato creando un gruppo (peraltro esiguo) di mansioni altamente specializzate. Ciò ha portato ad una crescente polarizzazione della struttura occupazionale (v. Kern e Schumann, 1977).
In molti studi di sociologia industriale si assume implicitamente che la struttura e l'organizzazione del lavoro dipendano dalla tecnica produttiva adottata. Questo modello deterministico delle conseguenze della tecnica era stato messo in discussione già nei lavori del Tavistock Institute di Londra, in cui si affermava che la tecnica di produzione adottata non determina necessariamente l'organizzazione del lavoro all'interno dell'azienda; le attività lavorative, nella maggior parte dei casi, possono essere organizzate in diversi modi (v. Trist e Bamforth, 1951; per una sintesi degli ulteriori sviluppi di questo indirizzo di ricerca v. Klein, 1975). Questa tesi ha trovato conferma nel frattempo in alcuni studi comparativi sui diversi modi in cui nei vari paesi vengono adottate determinate innovazioni tecniche. Il concetto di sistema sociotecnico sviluppato dai lavori del Tavistock Institute vuole mettere in rilievo il fatto che nei processi produttivi le componenti tecniche e quelle sociali costituiscono un'unità; le componenti tecniche limitano la scelta delle componenti sociali adeguate (mansioni, relazioni), e certe componenti sociali, come ad esempio determinate forme di organizzazione del lavoro, a loro volta influiscono sulla scelta e sulla strutturazione delle componenti tecniche. Nell'elaborare nuovi sistemi sociotecnici, dunque, si dovrebbero ottimizzare tanto i valori tecnici quanto i valori sociali (v. Herbst, 1974; v. Emery e Thorsrud, 1976). I metodi proposti nei lavori del Tavistock Institute si incentravano sulla partecipazione dei lavoratori all'introduzione delle innovazioni tecniche nelle imprese, tanto che il concetto di sistema sociotecnico ha finito per essere considerato sinonimo di gestione partecipativa.In contrasto con questi approcci fortemente orientati agli interessi dei lavoratori, un altro indirizzo della sociologia industriale sottolinea il fatto che anche l'introduzione dei gruppi di lavoro e altre forme nuove di organizzazione del lavoro non sono altro che strategie di razionalizzazione industriale. In tempi più recenti, tuttavia, la diversificazione dei mercati, la crescente pressione della concorrenza e lo sviluppo di nuove tecniche di produzione, legate soprattutto alla microelettronica, hanno portato alla nascita di nuovi modelli di produzione. Kern e Schumann (v., 1984) ritengono di aver individuato un nuovo trend di sviluppo destinato ad affermarsi nel prossimo futuro, le cui caratteristiche salienti sono la produzione flessibile e il ritrasferimento delle capacità intellettuali dagli uffici all'officina e dalle macchine a controllo numerico agli operatori specializzati o ai tecnici. Secondo altri autori, invece, attualmente ci troviamo di fronte a strategie di razionalizzazione opposte e tra loro in competizione che dipendono, tra le altre cose, dalla decisione da parte delle imprese di privilegiare la concorrenza dei prezzi oppure quella della qualità (v. Cohendet e altri, 1988). Anche in questo campo, quindi, il modello della 'spinta tecnologica' è stato relativizzato.
Molto si è scritto sulle trasformazioni del sistema di vita individuale determinate dal mutamento tecnologico. Interessanti contributi su questo tema si trovano nella rivista francese "Culture Technique". Particolare rilievo viene dato ai seguenti fattori: a) la disponibilità di nuove fonti di energia e le moderne tecniche produttive, che hanno innalzato lo standard di vita materiale; b) l'accresciuta mobilità di persone e cose consentita dalla moderna tecnica dei trasporti; c) lo sviluppo delle moderne tecniche informatiche, che hanno enormemente accresciuto le possibilità di informazione e di comunicazione.
Le conseguenze di questi sviluppi sulla vita degli individui sono state esplorate in particolare dalla filosofia e dalla sociologia della tecnica, ma anche da esponenti della Kulturkritik come ad esempio Alvin Toffler (v., 1970), che nel suo famoso libro Future shock tenta un'analisi globale delle conseguenze della tecnica. La tesi centrale di Toffler è che a creare i problemi di adattamento, sperimentati oggi sia dai singoli individui che dalla società, non è tanto la diffusione di singole innovazioni tecniche, quanto piuttosto il mutamento tecnologico nel suo complesso, che ha un ritmo sempre più accelerato e investe in pratica tutti gli ambiti della vita. La velocità del mutamento non solo entrerebbe in conflitto con le prospettive temporali naturali dell'uomo (durational expectancies), ma renderebbe altresì effimeri e caduchi tutti i rapporti sociali e la vita stessa. Ciò provoca nell'individuo un senso di sradicamento e una profonda insicurezza di fronte ad un eccesso di alternative. Sovraccarico di informazioni, sovrabbondanza di stimoli e 'stress decisionale' sono le conseguenze di questi sviluppi.
Focalizzando l'attenzione sulle conseguenze sociali delle innovazioni tecniche si corre il rischio di ricadere nel determinismo tecnologico, di assumere cioè che queste conseguenze siano inevitabili e sfuggano totalmente al controllo dell'uomo. Un esempio tipico di questa concezione è dato dall'analisi di Lynn White (v., 1962) sul ruolo dell'invenzione della staffa nella nascita del feudalesimo. In reazione critica a questo orientamento sono apparsi numerosi studi sulla tecnica nella vita quotidiana (v. ad esempio Joerges, 1988), in cui l'appropriazione di una nuova tecnica da parte del fruitore assume un ruolo centrale ed è vista come un processo creativo. Secondo Ropohl (v., 1985), ad esempio, ogni artefatto tecnico in sé è incompiuto; esso diventa uno strumento funzionante solo attraverso i modi in cui viene utilizzato dall'uomo, e queste modalità d'uso non dipendono interamente dall'artefatto stesso. Il telefono, l'automobile e, in tempi recenti, i media elettronici come il videotex, ad esempio, sono stati utilizzati principalmente o in parte per scopi diversi da quelli previsti dai loro inventori. Le ricerche sulla tecnica nella vita quotidiana restituiscono dunque all'individuo il ruolo di soggetto attivo che in alcuni studi sulle conseguenze della tecnica sembrava aver perso.
Oltre alle conseguenze economiche e socioculturali del moderno sviluppo tecnologico si è discusso molto in anni recenti sui suoi potenziali rischi, che sono cresciuti parallelamente all'efficienza tecnologica. Queste preoccupazioni trovano un riflesso nel concetto divenuto popolare di 'società a rischio' (v. Beck, 1986). La forza distruttiva della tecnica militare moderna, che in tempi di guerra diventa una reale minaccia, è prevista e voluta sia dai produttori che dai fruitori. Spesso tuttavia le conseguenze negative di una nuova tecnica produttiva o di un nuovo prodotto non sono né intenzionali né previste, come dimostra il caso dei clorofluorocarburi e dei danni che essi provocano allo strato d'ozono. Infine, con lo sviluppo tecnologico è aumentato anche il rischio di incidenti e/o di abusi, e ciò vale in particolare per lo sfruttamento dell'energia nucleare. Gli effetti negativi imprevisti sono associati soprattutto a nuovi materiali chimici, mentre il rischio di incidenti e di abusi è legato principalmente ai grandi sistemi tecnologici. Come ha dimostrato Charles Perrow (v., 1984) nel suo libro Normal accidents, è la complessità della struttura e dei processi dei grandi sistemi tecnologici a renderli particolarmente esposti al tipo di incidenti documentati e analizzati da Patrick Lagadec (v., 1981). All'origine di tali catastrofi o incidenti vi è in genere l'inaspettato cumularsi di diversi errori. Le misure di sicurezza esistenti falliscono di fronte ad una imprevista combinazione di circostanze che nel loro insieme causano l'incidente o la catastrofe. Tali circostanze possono essere viste come anelli di catene causali separate, che del tutto accidentalmente si intersecano in un determinato punto. Quando si verifica la costellazione sfavorevole di fattori, l'incidente (esplosione, collisione, ecc.) accade in modo troppo rapido per poter essere scongiurato da interventi esterni. Perrow fa riferimento a due caratteristiche dei grandi sistemi tecnologici che rendono probabile il verificarsi di catastrofi secondo lo schema sopra delineato: la prima è la stretta interconnessione tra le componenti del sistema e dei processi, la seconda è l'interazione causata dall'alto livello di complessità, ossia dall'influenza reciproca di processi separati che sfugge ad ogni previsione (v. Perrow, 1984, cap. 3).
Gli effetti sociali dei grandi sistemi tecnologici non sono limitati all'aumento dell'efficienza e del potenziale distruttivo. Per quanto questo aspetto sia investigato più raramente, lo sviluppo di tali sistemi interagisce anche con l'organizzazione del potere politico. Se è vero che il processo di tecnicizzazione ha investito in misura relativamente scarsa le attività costitutive del sistema politico-amministrativo (lo Stato), in particolare il processo decisionale, tuttavia lo Stato moderno e i moderni sistemi infrastrutturali hanno seguito un percorso evolutivo parallelo. Sia l'uno che gli altri sono caratterizzati da un'organizzazione formale e da una struttura gerarchica, cosa che richiede, soprattutto nel caso dei sistemi tecnologici in rete, come le ferrovie, il telefono e l'elettricità, coordinazione e controllo. L'espansione e la centralizzazione dello Stato moderno hanno favorito quelle dei grandi sistemi tecnologici e viceversa. In particolare il telegrafo e il telefono hanno favorito l'espansione dell'amministrazione centralizzata e quindi il processo di gerarchizzazione politico-amministrativa. A sua volta lo Stato ha reso possibile la formazione di grandi monopoli privati nel campo dei grandi sistemi infrastrutturali. In ragione della loro importanza pubblica, il telegrafo e il telefono, così come il sistema ferroviario, che riveste una particolare importanza per le operazioni militari, sono diventati parte dell'apparato statale in via di espansione, perlomeno in Europa. Nella misura in cui i grandi sistemi tecnologici - sia per la loro importanza che per il loro alto potenziale di rischio - richiedono una regolamentazione statale, favoriscono uno Stato forte e interventista. I grandi sistemi tecnologici non hanno solo favorito lo sviluppo dello Stato forte, ma hanno contribuito anche alla gerarchizzazione delle industrie, in quanto, tra l'altro, promuovono lo sviluppo di grandi imprese a integrazione verticale. Come passo successivo, la costituzione del complesso industriale-militare ha ulteriormente rafforzato la costellazione del potere sociale.
Attualmente, tuttavia, la simbiosi tra sistemi politici, industriali e tecnologici gerarchizzati, simbiosi basata su una sorta di affinità elettiva strutturale, mostra segni di crisi. Come il 'capitalismo che alleva il proprio becchino' del modello marxiano, sono gli effetti stessi di tali sistemi che ne minacciano la sopravvivenza: un'interazione positiva si trasforma in un'interazione negativa. Lo Stato forte e strutturato gerarchicamente viene attaccato in nome del federalismo, del regionalismo e del decentramento. Oltre all'esercito, anche le grandi imprese industriali vengono considerate antitetiche al principio democratico. Nel caso dei grandi sistemi tecnologici, infine, la tendenza all'espansione e all'autonomizzazione associata ad un alto potenziale distruttivo suscita reazioni fortemente negative. Il rapporto di dipendenza tra i grandi sistemi tecnologici e i loro fruitori si fa sempre più asimmetrico via via che i monopoli si estendono, le loro interconnessioni interne diventano più strette e la loro organizzazione acquista un carattere sempre più gerarchico. I grandi sistemi tecnologici e i loro effetti suscitano inquietudine e proteste legittime, che investono contemporaneamente un'industria e un sistema politico che appaiono strettamente legati ad essi. Questo legame emerge con particolare chiarezza nel caso delle centrali nucleari, che a causa degli alti rischi in caso di incidenti o di sabotaggi sembrano richiedere uno stretto controllo gerarchico e una rigida sorveglianza da parte dello Stato (tanto che si è parlato a questo proposito di 'Stato atomico'). La reazione contro la crescente potenza dei grandi sistemi tecnologici comporta un'erosione dell'accettazione sociale degli ordinamenti gerarchici. Nei tentativi di deregulation che oggi si osservano in tutto il mondo ciò si ripercuote ancora una volta sui sistemi tecnologici.
Concludendo, si può affermare che le innovazioni tecniche e i moderni sistemi infrastrutturali cui hanno dato luogo in un primo tempo hanno favorito il processo di centralizzazione e di gerarchizzazione sociale. Gli effetti negativi di questi sviluppi paralleli nello Stato, nelle industrie e nei sistemi infrastrutturali hanno suscitato successivamente una reazione di rifiuto contro tutte le espressioni sociali del principio della gerarchia, cui vengono oggi contrapposte in misura crescente varie forme di coordinazione orizzontale. Nel campo dell'economia questi sviluppi vengono favoriti dalle innovazioni tecniche, in particolare nel settore delle telecomunicazioni. I grandi sistemi infrastrutturali, dunque, hanno un ruolo importante anche nell'affermarsi di modelli di relazioni strutturate in reti, che vanno soppiantando le forme precedenti di ordine sociale di tipo gerarchico. In una prospettiva dinamica, questo mutamento potrebbe costituire la trasformazione strutturale più significativa delle società moderne. (V. anche Industrializzazione; Innovazioni tecnologiche e organizzative; Lavoro; Modernizzazione; Rivoluzione industriale; Società postindustriale; Sviluppo economico).
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