ESTE, Ippolito d'
Nacque a Ferrara il 20 marzo (novembre?) 1479, terzogenito del duca Ercole I d'Este e di Eleonora d'Aragona. All'età di tre anni gli venne conferita in commendam l'abbazia di Casalnovo, e nel dicembre del 1485, ricevuta la prima tonsura, venne nominato abate commendatario dell'abbazia benedettina di S. Maria di Pomposa nella diocesi di Ferrara. Perfino in un'epoca in cui era abituale accumulare benefici ecclesiastici un inizio così precoce era affatto inusuale.
Grazie all'ascendente di Mattia Corvino, re d'Ungheria, e di sua moglie Beatrice d'Aragona, zia del giovanissimo prelato, nel 1486 gli venne assegnato il ricco arcivescovato di Esztergom in Ungheria, che si riteneva avesse un'entrata annua di 50.000 ducati; papa Innocenzo VIII si oppose alla nomina, ma l'alleanza fra Ferrara, Napoli e l'Ungheria lo costrinse a cedere. L'E. partì per l'Ungheria in lettiga, lasciando Ferrara il 18 giugno 1487; l'èntrata a Esztergom fu organizzata dall'ambasciatore ferrarese a Buda, Cesare Valentino, e la corte dei nuovo arcivescovo comprendeva circa 245 persone, fra italiani e ungheresi.
La morte di Mattia Corvino il 6 aprile 1490 segnò però l'inizio di un periodo di intrighi politici: indebolito dalla scomparsa del re, suo protettore, e dallo sfortunato matrimonio di sua zia con Ladislao jagellone re di Boemia, successore del Corvino, l'E. si trovò esposto agli ambiziosi progetti dei cancelliere, Tommaso Bakocz.
È forse a causa di questa instabile situazione politica che il duca Ercole decise di richiamare l'E. a Ferrara e di favorire la sua carriera all'interno della Chiesa. L'E. continuò così ad accumulare benefici e nel 1492 venne nominato abate commendatario di S. Genesio di Brescello, mentre per la promozione al cardinalato c'era un precedente in quella del quattordicenne Giovanni de' Medici nel 1489. Ludovico Sforza appoggiò la candidatura dell'E. e l'alleanza fra le due famiglie venne rafforzata dal matrimonio di Alfonso d'Este con Anna Sforza nel gennaio del 1491; in cambio del consenso papale sia Milano sia Ferrara promisero il loro appoggio per la lega di Venezia e il 20 sett. 1493 l'E. fu promosso cardinale in absentia e gli fu assegnato il titolo di S. Lucia in Silice, titolo che conservò fino alla morte.
Una lettera del padre, datata 23 settembre e spedita all'E. in Ungheria, insisteva sulla necessità di ringraziare il duca Ludovico il Moro e il cardinale Ascanio Sforza, "che ha procurato et sollicitato la cosa molto fidelmente" (Chiappini, Estensi, pp. 170 s.), mentre l'importante ruolo svolto da Eleonora d'Aragona per la promozione del figlio fu troncato dalla sua morte, avvenuta l'11 ottobre di quello stesso anno.
L'E. raggiunse Ferrara l'11 ag. 1494. Il sopraggiungere a Torino delle truppe francesi di Carlo VIII in settembre e la loro discesa verso Napoli passando per Roma furono con ogni probabilità osservati con attenzione dal giovane cardinale che, prima di tornare in Ungheria, il 13 febb. 1495, restò per un po' di tempo a Ferrara con il padre e successivamente visitò a Milano il cognato Ludovico il Moro, la cui influenza fu di grande importanza per i successivi sviluppi della sua carriera: alla morte di Guidantonio Arcimboldi, nell'ottobre 1497, egli fu infatti nominato arcivescovo di Milano, con entrate valutate sui 5.000 ducati.
Gli anni 1495-1496 furono gli ultimi passati in Ungheria: la situazione politica diveniva sempre più instabile e nel febbraio del 1496, in seguito al diffondersi della peste, l'E. riparti definitivamente per l'Italia; prima ottenne però da Alessandro VI il permesso di scambiare dei benefici con il Bakocz, che divenne primate e vescovo di Esztergom, mentre all'E. era assegnato il vescovato di Eger (Agria), senza obbligo di residenza.
Infatti dal 1501 al 1512 fu nominato suffraganeo della diocesi di Eger Taddeo Lardi; la rendita era trasferita a Roma tramite la banca dei Fugger. Sembra che il vescovato di Eger rendesse solo 32.000 ducati all'anno; ciononostante l'E. rimase uno dei più facoltosi cardinali dell'epoca, come dimostrano le imposte del 1500, in cui risulta quinto in ordine di ricchezza.
L'11 dic. 1497 l'E. si recò per la prima volta a Roma, e dimostrò ampiamente la ricchezza e l'ascendente degli Este e dei loro parenti, gli Aragona e gli Sforza, entrando in città dalla porta di S. Maria del Popolo accompagnato da una famiglia di circa 250 persone, dal fratellastro don Giulio d'Este e dai cardinali Ascanio Sforza e Federico Sanseverino.
Ricevuta l'8 genn. 1498 la bolla di nomina ad arcivescovo di Milano, l'E. tornò a Ferrara per preparare il suo ingresso nella città, che avvenne il 6 marzo. La sua giovinezza, e soprattuttto la sua reputazione di mondanità, non erano ben viste dai Milanesi e per rinforzare la sua posizione l'E. venne anche nominato governatore della città in assenza del duca, ma il peso degli incarichi amministrativi e ufficiali influì negativamente sulla sua salute, spingendolo a ritirarsi prima nel castello di Cusago, poi nel monastero di Baggio. Dovette comunque ristabilirsi rapidamente, come confermano le cronache delle cacce e delle feste cui prese parte, così che, nel maggio del 1498, per far fronte all'opinione pubblica, il duca Ludovico obbligò l'E. ad intraprendere un programma di riforme monastiche.
La morte di Carlo VIII nell'aprile del 1498 e l'ascesa al trono del cugino Luigi XII segnarono l'inizio di un nuovo periodo di ingerenza francese nella politica italiana. Ludovico il Moro, perso l'appoggio dell'imperatore, del papa e di Napoli, attaccato da Francesi e Veneziani, fu costretto a fuggire da Milano il 10 sett. 1499 e l'E. accompagnò il cognato prima ad Innsbruck poi a Trento; gli Este d'altra parte non potevano correre troppi rischi, dati gli stretti legami che li univano ad ambedue i partiti, tanto è vero che il duca Ercole era presente all'ingresso di Luigi XII a Milano il 6 ottobre e che l'E., tornato a Ferrara il 14 novembre, nel febbraio del 1500 si trovava a Milano insieme con i cardinali Sforza e Sanseverino.
Annullato finalmente il 3 aprile 1500 il matrimonio fra Ladislao di Boemia e Beatrice d'Aragona, è possibile che l'E. sia andato in Ungheria per riaccompagnare la zia prima a Ferrara (Sanuto, II, col. 862), poi a Capua. Fu concluso invece nell'autunno del 1501 il matrimonio fra Alfonso d'Este (la cui prima moglie, Anna Sforza, era morta nel 1497) e Lucrezia Borgia, avvenimento di notevole rilievo per gli Este, dal quale l'E. trasse subito alcuni vantaggi: il 17 settembre ricevette dalla famiglia Orsini la legazione di Bologna e subito dopo fu nominato arciprete di S. Pietro, cosa questa di grande importanza, non solo per il prestigio della carica, ma anche perché gli permise di avere un palazzo a Roma.
Il corteo nuziale, guidato dall'E., lasciò Ferrara il 23 dic. 1501 e venne accolto a Roma con gran pompa e cerimonie, anche se i festeggiamenti provocarono notevoli malumori, poiché la delegazione ferrarese era alloggiata e nutrita a spese della Curia: non meno di diciannove cardinali si riunirono per dargli il benvenuto al suo arrivo in S. Maria del Popolo il 23 dicembre. Il matrimonio fu celebrato il 29 dicembre, e il 5 genn. 1502 Lucrezia Borgia lasciò Roma per andare a Ferrara.
Nel luglio del 1502 l'E. fu nominato vescovo commendatario di Capua, ma il Sanuto riferisce che a partire dalla fine dell'estate i rapporti fra l'E. e Alessandro VI cominciarono a peggiorare, soprattutto a causa della linea politica adottata dal duca Ercole (Sanuto, IV, col. 444): il cardinale fu costretto ad entrare a Roma mascherato per non suscitare la collera del papa (ibid., col. 485), per allontanarsene di nuovo nella primavera del 1503. Si diceva che la causa della sua partenza affrettata fosse stata la sua imprudente ammirazione per l'amante di Cesare Borgia, la cortigiana Sancha.
L'E. non partecipò al conclave che seguì la morte di Alessandro VI e in cui, il 22 sett. 1503, venne eletto Pio III, a causa forse di un incidente, di cui esistono versioni contrastanti: sembra che al suo arrivo a Firenze fosse caduto da cavallo rompendosi una gamba e trovandosi così nell'impossibilità di continuare il viaggio. Il Sanuto data l'epìsodio al 1503, ma è ugualmente possibile collocarlo anche nel 1512 (Vita, p. 19) quando l'E., convocato a Roma per affrontare l'ira di Giulio II, si era creato un eccellente alibi con questo reale (o simulato) accidente.
Durante il breve pontificato di Pio III l'E. riuscì a procurarsi la nomina a vescovo di Ferrara, poi, informato della moìte del papa, lasciò Ferrara per recarsi a Roma ed assistere al conclave che elesse Giuliano Della Rovere, papa Giulio II.
Il Sanuto ricorda due fatti degni di nota accaduti nell'autunno del 1503: in primo luogo, il Bakocz; prese contatti con i Veneziani per indurli a convincere l'E. a rinunciare alla sede di Eger in cambio di non meglio specificati benefici nel Veneto (Sanuto, V, col. 375), tentativo fallito a causa della rivalità crescente fra Venezia e Ferrara. In secondo luogo, venne avanzata la proposta di un nuovo progetto matrimoniale, validamente appoggiato dall'E. e dal cardinale Ascanio Sforza, per legare gli Este alla famiglia del papa, cioè le nozze fra don Ferrante d'Este, fratellastro dell'E., e la figlia di Giulio II (ibid., col. 474); ma anche questo progetto non poté essere realizzato per il peggiorare delle relazioni politiche fra il Papato, Ferrara e Milano, tanto che il 10 dic. 1503 l'E. lasciò Roma per tornare a Ferrara.
Il carattere esuberante ed autoritario dell'E. non gli aveva mai permesso di intrattenere buone relazioni con gli altri membri della sua famiglia: spesso aveva contraddetto l'anziano padre ed era noto il rancore esistente fra lui ed Alfonso, che sovente portava alla formazione di partiti rivali e a scontri armati; la sorella Isabella più di una volta aveva fatto da paciere e la sua corte di Mantova offriva un rifugio ai contendenti. Al contrario, buoni erano i rapporti con don Giulio, priore dal 1505: quest'ultimo aveva spesso accompagnato a Roma il fratellastro, fungendo anche da suo conclavista nel 1503 e, come si evince dalla loro corrispondenza, condivideva con lui la passione per le feste e la dissolutezza. Questa situazione provocò più di una congettura sulla successione del duca Ercole, ma alla sua morte Ippolito e Alfonso si erano pubblicamente riconciliati, e l'esclusione dalla successione dei fratellastri, Giulio e Ferrante, provocò gelosie sempre crescenti.
Il coinvolgimento dell'E. negli affari di famiglia non lo spinse, ad ogni modo, a trascurare gli sviluppi della politica estera, e il Sanuto annota la sua presenza a Milano nel gennaio del 1504 per una serie di incontri con il governatore francese. Charles d'Amboise (ibid., col. 779). Nella primavera del 1505 il cardinale raggiunse Giulio II ad Imola, dove venne deriso da Alberto Pio da Carpi per il suo recitare "tanto la ninfa" e per il suo portare i capelli più lunghi di quanto non volesse la moda. Dopo il trattato di Blois tra Francia e Spagna, l'E. mandò a Blois il suo familiare Mario Equicola per assìstere al matrimonio di Ferdinando d'Aragona con Germaine de Foix, nipote di Luigi XII, missione che durò dal 6 ott. 1505 al 9 genn. 1506 (vedi la corrispondenza in Santoro, pp. 211-283).
Mentre l'Equicola era ancora a Blois, a Ferrara avvenne un episodio di grande perfidia: invidioso dell'infirnità tra don Giulio e Angela Borgia, dama d'onore della moglie di Alfonso, l'E. istruì i suoi servi perché accecassero il fratellastro; a questo venne teso un agguato mentre andava a cavallo fuori città e, benché il complotto non riuscisse pienamente, Giulio venne seriamente ferito. Rapida fu la reazione dell'E. che si rifugiò a Mantova, facendo ricadere la colpa del misfatto su alcuni servitori; in seguito, Giulio e Ferrante furono accusati di tradimento ed imprigionati a vita nel castello di Ferrara.
Sembra comunque che l'E. non avesse minimamente risentito di questo tragico episodio, il cui biasimo non può che ricadere interamente su di lui. Preoccupato per il mancato pagamento della rendita della sua sede ungherese, il 10 ott. 1506 raggiunse a Forfl Giulio II e lo persuase a chiedere il regolamento dei debiti in sospeso. L'astuto equilibrio politico mantenuto dell'E., in questo periodo che precede la formazione della Lega di Cambrai è dimostrato dalla sua presenza (o dalla presenza di suoi agenti) in occasione di due visite di Stato: l'Equicola infatti lo rappresentò nuovamente durante la visita a Napoli del re di Spagna, nel dicembre del 1506, e nel maggio successivo lo accompagno a Milano per quella di Luigi XII.
La presenza a Roma dell'E. durante il pontificato di Giulio II fu decisamente sporadica. Nel 1507 nacque un problema relativo al palazzo dell'arcipresbiterio, la cui ubicazione coincideva con i progetti del Bramante per S. Pietro: in maggio una parte del giardino e in giugno lo stesso palazzo furono espropriati e demoliti. L'agente dell'E. a Roma consigliò al suo signore di acquistare il palazzo appartenuto al cardinale di Portogallo, ma l'E. preferì andare ad abitare vicino a Campo de' Fiori, e nel 1514 ottenne il permesso di servirsi, per andare a caccia, del parco e del casino creati da Ascanio Sforza dentro le Terme di Diocleziano.
La politica italiana assorbì l'attenzione dell'E. per i due anni successivi. Nominato vescovo di Modena nel gennaio del 1507, pochi mesi più tardi dovette armare un esercito per difendere la città dai feudatari del papa, i Bentivoglio, i Rangoni, i Pio da Carpi. Nel frattempo, fra i firmatari della Lega di Cambraì (10 dic. 1508) vi fu anche il duca Alfonso, che desiderava ardentemente recuperare i territori, conosciuti come Polesine di Rovigo, concessi da suo padre ai Veneziani nel 1484. Nel maggio del 1509 l'E. occupò il Polesine, mentre in agosto l'esercito imperiale cinse d'assedio Padova, aiutato da un contingente di truppe agli ordini dell'Este.
La pratica che l'E. aveva fatto in precedenza in materia di questioni militari aveva ora la possibilità di estrinsecarsi e la sua guida fu di importanza vitale per il successo nel conflitto di Ferrara con Venezia; ma dopo aver concesso all'E. l'investitura di Este, Monselice, Polesine di Rovigo e Montagnana per la somma di 40.000 ducati, in settembre Massimiliano si ritirò da Padova lasciando sola Ferrara ad affrontare l'ira dei Veneziani, che il 25 novembre scatenarono un attacco punitivo comandato dall'ammiraglio Angelo Trevisan. Abbandonato dalla lega e sperando nell'aiuto dei papa, l'E. mandò a chiedere soccorsi Ludovico Ariosto che, lasciata Ferrara il 16 dicembre, a tempo di primato si recò a Roma, dove gli fu concessa un'udienza il 22 dicembre. Lo stesso giorno però le truppe ferraresi guidate dall'E. sconfissero i Veneziani nella battaglia di Polesella, e l'episodio fu commemorato da Celio Calcagnini nel Commentarius in Venetae classis expugnationem ad Hippolitum primum card. Estensem (Opera, pp. 484-490).
Nella primavera seguente Alfonso rinnovò l'alleanza con i Francesi contro i Veneziani, ignorando la richiesta del papa di abbandonare le ostilità, tanto che, quando l'Ariosto venne mandato nuovamente come ambasciatore alla corte di Giulio II, fu costretto a schivare con la fuga la collera papale.
Non solo Giulio II era contrario alla politica francofila degli Estensi, ma aveva anche altri motivi per disapprovare il loro operato, tanto è vero che, quando l'E. era stato eletto abate commendatario dell'abbazia di Nonantola dopo la morte del cardinale G.Cesarini (febbraio del 1510), il papa aveva invalidato l'elezione in favore di Giovanni Matteo Sertorio. Il 17 luglio poi Giulio II aveva ordinato a tutti i cardinali di rientrare a Roma e la prolungata assenza dell'E. aveva costretto il papa ad emanare una bolla (27 luglio) con l'ordine di tornare.
Tuttavia bisogna ricercare sia nei fattori politici sia nell'ostifità personale le ragioni che spinsero Giulio II ad applicare sanzioni contro gli Este: il 9 ag. 1510 il duca Alfonso fu scomunicato e gli venne tolta la carica di gonfaloniere della Chiesa; inoltre il Ducato correva il pericolo di venire in breve tempo spogliato di alcuni suoi territori: Modena fu concessa ai Rangoni, Carpi, Finale e Bondeno furono confiscate. Nel gennaio del 1511 il papa assistette personalmente all'assalto della fortezza di Mirandola, riconquistata in un secondo momento dagli Este, insieme a Bologna, con l'aiuto dei Francesi.
Il ruolo giocato dall'E. in questo scontro dimostra la sua conoscenza delle sottigliezze delle manovre politiche dell'epoca, e la sua visita alla corte francese nell'estate del 1511 aveva senza dubbio lo scopo di assicurarsi ancora una volta l'appoggio dei Francesi, sebbene la sua azione avesse provocato molto stupore. La politica francofila del cardinale è dimostrata anche dalla circostanza che il suo nome compare sul documento antipapale, datàto 16 maggio 1511, stilato per la convocazione del concilio di Pisa, ma i motivi puramente politici che lo avevano spinto ad aderire al progetto sono confermati dal fatto che, prudentemente, si tenne in disparte fino all'apertura del concilio, il 10 nov. 1511, e che non partecipò alla sessione successiva a Milano.
Non c'è traccia della presenza dell'E. alla battaglia di Ravenna (ii apr. 1512), nella quale le truppe francesi e ferraresi sbaragliarono gli Spagnoli e i soldati del papa, ma la sua attività diplomatica continuò ad essere di importanza considerevole, anche se un ulteriore deterioramento nei rapporti fra l'E. e il papa è evidenziato da un fatto accaduto nel maggio del 1512 e narrato dall'agente del cardinale a Roma: si credeva che l'E. avesse sputato sulla statua di Giulio II di Michelangelo, portata a Ferrara dopo la conquista di Bologna.
Nel giugno del 1512 Giulio Il emise un salvacondotto per il duca Alfonso, grazie alla mediazione di Fabrizio Colonna; l'E. rimase a Ferrara. In seguito alla decisione di Alfonso di respingere il perdono del papa e di rifugiarsi a Marino sotto la protezione dei Colonna, Giulio II convocò immediatamente a Roma l'E., che lasciò subito Ferrara, ma si dice che a Firenze cadesse da cavallo rompendosi una gamba e che dovesse essere riportato in lettiga nella sua residenza. Non è possibile verificare se l'incidente fosse realmente accaduto, ma era comunque un ottimo espediente politico. Da allora l'E. evitò attentamente ogni contatto con il papa o con i suoi fautori: non fu presente infatti al sacco di Prato del 30 ag. 1512, ma ne ricevette un rapporto dettagliato dall'agente degli Este, Bonaventura Pistofili.
I rapporti fra l'E. e Giulio II continuarono ad essere tesi e fu probabilmente per questa ragione che il cardinale decise di tornare in Ungheria. Lasciata la patria il 7 novembre 1512, raggiunse Eger il 21 febbr. 1513, ma, poco dopo il suo arrivo, ricevette la notizia della morte del papa, avvenuta il 21 febbr. 1513.
L'E. tornò a Ferrara il 9 (11) apr. 1513, ma non andò a Roma per assistere al conclave che elesse Leone X, forse per la presenza del suo antico rivale, Tommaso Bakocz, e vi arrivò Solo il 21 luglio. La salita al soglio pontificio di Leone X permetteva agli Este di recuperare i territori perduti e di ristabilire il loro dominio sul Ducato e l'E. si diede attivamente da fare per ottenere per Ferrara le condizioni migliori, compresa la conservazione dei diritti sulle preziose miniere di sale di Comacchio. In realtà il papa era notevolmente interessato alla creazione di un patrimonio destinato ai nipoti, comprendente il principato di Parma, Piacenza, Reggio, Modena e Ferrara.
Durante la visita della sorella a Roma, agli inizi del 1514, l'E. organizzò una lunga serie di banchetti e di cacce: si diceva anche che Isabella d'Este fosse stata fra i primì ad introdurre l'uso della carrozza nella società romana e che l'E. ne avesse fatto fare il disegno dagli abili artigiani di Cassovia, nella diocesi di Eger. 1 rapporti fra il cardinale e la sorella continuavano ad essere molto stretti e quest'ultima spesso gli domandava di assegnare benefici ai suoi letterati favoriti; oltre a ciò Isabella si interessava vivamente a molti membri della famiglia dell'E. e, ad esempio, quando il Tebaldeo lasciò il servizio dell'E. perché uno dei suoi servi era stato frustato, Isabella, in una lettera al fratello, espresse il suo interesse per l'accaduto (Cian, pp. 395 ss.).
Il pontificato di Leone X segnò un periodo di minore attività politica per l'E., anche se la divisione del Ducato costituiva una continua minaccia. La successione di Francesco 1 nel dicembre del 1514, seguita l'anno successivo dalla vittoria francese a Marignano, diede inizio ad un secondo periodo di dominazione francese su Milano, e gli Este furono costretti a rimanere alleati dei Francesi per controbilanciare le ambizioni del papa.
L'E. non partecipò al concilio laterano del 1514-1515: fu Ghillino Ghillini, vescovo di Comacchio e membro della sua famiglia, a rappresentarlo e a fungere da suffraganeo del cardinale a Milano e a Ferrara.
Non sono del tutto chiare le ragioni che spinsero l'E. a tornare in Ungheria nel 1517. Si può pensare che, dopo la morte di re Ladislao nel 1516 e la successione al trono del suo giovane figlio, l'E. si preoccupasse di conservare la sede di Eger di fronte alla potenza crescente dei magnati.
Lasciata Ferrara nell'ottobre del 1517, arrivò a Buda il 4 dicembre, dopo un viaggio durato più di quaranta giorni a causa delle cattive condizioni atmosferiche; era accompagnato da Celio Calcagnini, promosso recentemente alla carica di storiografo della corte ferrarese, da Ludovico da Bagno, Andrea Marone, Alessandro Ariosto (il cui fratello, Ludovico, aveva fermamente rifiutato di andare in Ungheria) e da altri membri del suo seguito che, a quanto pare, comprendeva ancora 250 cani da caccia, stalloni, falconi e due leopardi.
L'attività politica dell'E. durante questa visita fu di notevole importanza: nell'aprile del 1518 andò a Cracovia per assistere al matrimonio di Bona Sforza con Sigismondo I Jagellone di Polonia; qualche mese più tardi partecipò alla Dieta di Bacs; dopo la Dieta, andò a Belgrado per controllare i lavori di ricostruzione e l'erezione di nuove fortificazioni contro i Turchi.
Dopo la morte dell'imperatore Massimiliano (12 gennaio 1519), l'E. appoggiò la candidatura di Carlo d'Asburgo e giocò un ruolo importante nell'elezione del conte palatino di Ungheria, conte di Temisvar, il cui voto era ricercato da ambedue i candidati all'Impero. Il Calcagnini venne inviato a rappresentare il suo signore alla Dieta imperiale di Francoforte.
Tornato a Ferrara nella primavera del 1520, l'E. morì nell'agosto dello stesso anno.
Alla sua morte era vescovo di Eger, Ferrara e Modena, arcivescovo di Capua e possedeva numerose abbazie e benefici minori, mentre l'arcivescovato di Milano era stato ceduto all'omonimo nipote Ippolito d'Este nel maggio del 1519. Il Sanuto ricorda l'interesse suscitato in Curia dalla morte dell'E. e l'assalto ai benefici vacanti (XXIX, coll. 172, 180); il cardinale lasciò erede del suo patrimonio, stimato 200.000 ducati, suo fratello Alfonso (Arch. di Stato di Milano, Arch. segr. Estensi, Sez.
casa e Stato, s. Documenti spettanti ai principi Estensi (1204-1810), b. 387, fasc. 2037-VIII, f. 1) e lasciò anche disposizioni per lavori da compiersi nella cattedrale di Milano. Le orazioni funebri furono recitate dal Calcagnini, da Niccolò Maria Panizzato, da G. F. Vigilio e dal Guarino. L'E. fu sepolto nella sacrestia della cattedrale di Ferrara. Aveva avuto due figli naturali da Dalida de Putti: Ippolito ed Elisabetta, che andò sposa a Giberto Pio.
A differenza di suo nipote, sembra che l'interesse dell'E. per l'arte e le collezioni di antichità sia stato relativamente modesto: ad Antonio Elia era stata affidata la riproduzione del Laocoonte e secondo il Vasari numerose statue antiche erano state restaurate da L. Lotti (Lorenzetto); buoni erano anche i rapporti con Leonardo da Vinci. Benché l'E. non si fosse abbandonato ad ambiziosi progetti edilizi a Ferrara o a Roma, un piano edilizio su vasta scala venne realizzato a Esztergom, dove tutti gli edifici erano stati distrutti dalle invasioni turche. L'E. possedeva palazzi anche a Buda, Posonio e Vienna, e forse si era fatto costruire una villa a Aranyos-Maroth.
Nonostante il giudizio, in gran parte privo di fondamento, basato sul modo in cui si era comportato nei confronti di Ludovico Ariosto, anche da giovane l'E. era stato un buon lettore di testi classici, e si diceva che avesse letto Plauto e Virgilio durante il viaggio verso l'Ungheria, incoraggiato dal suo tutore Sebastiano da Lugo. Dopo la morte di Mattia Corvino, acquistò almeno un manoscritto raro; protesse un folto circolo di studiosi, e fra i membri della sua famiglia troviamo il Calcagnini, Annibale Collenuccio, Francesco Negri, Giovanni Mainardi e Guido Postumo Silvestri, che gli dedicò le sue Elegiae. Degni di nota sono anche i suoi rapporti con Mario Equicola, che dedicò al giovane E. il De religione libellus e l'Oratio dicta Papiae - discorso tenuto all'università di Pavia nel 1498 - e gli consegnò, nel 1503, ilmanoscritto con l'abbozzo di un altro suo lavoro, il Libro de natura de amore. L'elogio che l'Equicola tesse del suo signore, che chiamava "gloria de nostro seculo" (6 luglio 1513), insieme con le lodi del Castiglione (Il cortegiano, I, cap. VI), contribuiscono a formare un contrasto con i lati più oscuri e meno lodevoli del suo carattere.
Si ritiene che Ludovico Ariosto facesse parte della sua famiglia fin dal 1503, quando ilpoeta compose un epigramma a "Ippolitus castus" per l'elezione di lui a vescovo di Ferrara, ma la prima missione compiuta dall'Ariosto per conto dell'E. fu solo nella primavera del 1507, quando venne inviato a congratularsi con Isabella d'Este e con suo marito Francesco Gonzaga per la nascita del figlio Federico ed in questa occasione l'Ariosto offrì in dono ad Isabella una prima stesura dell'Orlando furioso.
L'amore dell'E. per la musica è confermato dalla presenza fra i suoi famigliari dei musicisti Giovanni Lourdel, Giovanni Jacopo, Giangiacomo Fogliani e Lorenzo da Bologna; al ritorno dall'Ungheria, nel 1496, l'E. fondò un laboratorio di flauti. Aveva anche un interesse del tutto particolare nel raccogliere e inventare emblemi e motti e particolarmente calzanti erano i suoi personali: "Nihil ultra vires", sostituito più tardi da "No sufro mas de lo que puedo".
La sua passione principale era tuttavia la caccia: raccoglieva falconi da ogni parte d'Europa (i più apprezzati erano quelli provenienti dajla Russia) ed ebbe anche dei leopardi. La sua destrezza in questo campo è testimoniata soprattutto dalle lettere che Ludovico da Bagno scrisse negli anni 1517-1519dall'Ungheriadove, in un famoso episodio, l'E. uccise senza aiuto alcuno una grande orsa (Ovary, 1889, pp. 399 ss.).
Fonti e Bibl.: Una gran quantità di documenti relativi all'E. si trova nell'Archivio Estense di Modena (Archivio di Stato di Modena, Archivio segreto Estense, Sez. "Casa e Stato", Inventario, Roma 1953, ad Ind.); per gli archivi di Firenze e Milano vedi M. Del Piazzo, IlcarteggioMedici-Este dal secolo XV al 1531. Regesti delle lettere conservate negli archivi di Stato di Firenze e Modena, Roma 1964, pp. 26-33; Archivio Falcò Pio di Savoia, a cura di U. Fiorina, Vicenza 1980, pp. 14, 31, 71, 98, 128; Milano, Bibl. Ambrosiana, cod. H 162 inf., ff. 90r-99v: Hippoliti Atestini cardinalis vita ad Hippolitum Atestinum cardinalem amplissimum Alexandro Sardo Ferrariensi auctore. Fra le fonti edite vedi C. Calcagnini, Opera aliquot, Basileae 1544, pp. 1-100; Vita del cardinaleI. I d'E., scritta da un anonimo con annotazioni, a cura di G. Antonelli, Milano 1843; Lettera delcardinale I. Estense ad Antonio cav. Costabili, giudice dei Savi in Ferrara, a cura di G. Antonelli, Ferrara 1846; Vetera monumenta historica Hungariam sacram illustrantia, II, a cura di A. Theiner, Romae 1860, pp. 506, 509, 572 s.; B. Pistofilo, Vita di Alfonso I d'Este..., in Atti e mem. delle Rr. Deput. di storia patria per le antiche provv. modenesi e parmensi, III (1866), pp. 555-559; B. Nyary Albert, A modenai Hippolyt-codexek (I codici Hippoliti di Modena), in Szåzadok, 1870, pp. 275-290, 355-370, 661-687; G. Vasari, Le vite, a cura di G. Milanesi, IV, Firenze 1879, p. 579; M. Sanuto, Diarii, I-XVII, Venezia 1879-1886, ad Ind.; I. Burchardi Diarium sive rerum urbanarum commentarii (1483-1506), a cura di L. Thuasne, I-III, Paris 1883-1885, ad Ind.; P. de' Grassi, Ildiario di Leone X, a cura di M. Armellini, Roma 1884, ad Ind.; Lettere di Ludovico Ariosto, a cura di A. Cappelli, Milano 1887, ad Ind.; N. Machiavelli, Opere, a cura di S. Bertelli, V, Verona 1969, pp. 40 ss.; VII, ibid. 1971, pp. 663 ss.; B. Castiglione, Ilcortegiano, a cura di V. Cian, Firenze 1929, pp. 40 s.; L. Ovâry, A Modenai és Mantuaì Levéltåri Kutatåsokroi (Delle ricerche negli Archivi di Modena e Mantova), in Szåzadok, XXIII (1889), pp. 392-402; Id., A Magyar Tudomånyos Akademia Törtenelmi Bizottsågånak Iklevél-Måsolatai (Copia dei documenti della commissione di storia della Accademia ungherese delle scienze); I, Budapest 1890, ad Ind.; B. Feliciangeli, Spigolatured'archivio: Ingresso del cardinal I. d'E. nel mondo cortigiano di Roma, Roma 1909; D. Santoro, Della vita e delle opere di Mario Equicola, Chieti 1906, pp. 211-283; A Venturi, Ilgruppo Laocoonte e Raffaello, in Arch. stor. dell'arte, II (1889), pp. 107 s.; G. Gruyer, L'art ferrarais à l'époque des princes d'Este, I-II, Paris 1897, ad Ind.; E. Rodocanachi, Rome au temps de jules II et de Léon X, Paris 1912, ad Ind.; G. Bertoni, L'Orlando furioso e la Rinascenza a Ferrara, Modena 1919, pp. 127-144; T. Gerevich, I. d'E., arcivescovo di Strigonia, in Corvina, I (1921), pp. 48-52; G. Huszti, Celio Calcagnini in Ungheria, ibid., II (1922), 3, pp. 57-71; III (1923), 6, pp. 60-69; A. Berzeviczy, Gli ultimi anni di Beatrice d'Aragona, regina d'Ungheria, ibid., IV (1924), 7, pp. 26-44; D. Fava, La Biblioteca Estense nel suo sviluppo storico, Modena 1925, pp. 98, 148, 155; M. Catalano, Vita di Ludovico Ariosto, I-II, Genève 1930-31, ad Ind.; R. Bacchelli, La congiura di don Giulio d'Este, Milano 1931, pp. 223 s., 226-229, 395-418; F. Banfi, Ilcardinale I. d'E. nella vita politica d'Ungheria, in L'Europa orientale, XVIII (1938), pp. 61-77; E. Bercovits, La pietra sepolcrale di un umanista ferrarese a Cassovia, in Corvina, n. s., IV (1941), pp. 850-853; L. Chiappini, Eleonora d'Aragona..., in Atti e mem d. Dep. prov. ferrarese storia patria, n. s., XVI (1956), pp. 91 s., 95 s.; C. Marcora, Il cardinale I. I d'E., in Mem. Storiche della diocesi di Milano, V, Milano 1958, pp. 325-520; L. von Pastor, Storia dei papi, III, Roma 1956, ad Ind.; IV, ibid. 1960, pp. 52, 87, 94, 358 s.; L. Chiappini, Gli Estensi, Varese 1967, ad Ind.; V. Cian, Una baruffa letteraria alla corte di Mantova (1513). L'Equicola e il Tebaldeo, s.n.t., pp. 395 ss.; G. Gulik-C. Eubel, Hierarchia catholica..., II, Monasterii 1914, pp. 23, 83, 118, 153, 188, 242; III, ibid. 1923, pp. 5, 98, 151, 196, 240, 252; P. O. Kristeller, Iter Halicum, I-II, ad Indices.