Vedi Iran dell'anno: 2012 - 2013 - 2014 - 2015 - 2016
La Repubblica Islamica d’Iran è nata nel 1979 a seguito di un rapido processo rivoluzionario. Quest’ultimo, dopo aver sovvertito il sistema istituzionale allora vigente – secolare e guidato dallo shāh Muhammad Reza Pahlavi –, ha instaurato il modello di repubblica islamica che resiste nel presente. Il paese, che fin dal 1953 era un alleato fondamentale degli Stati Uniti nella regione mediorientale, ha rapidamente adottato una posizione di critica radicale nei confronti di Washington, venendo nel frattempo coinvolto in una lunga e sanguinosa guerra contro l’Iraq (1980-88).
Dopo che alla guerra ha fatto seguito quasi un ventennio di stabilizzazione e crescita economica, negli ultimi anni la Repubblica Islamica d’Iran è stata testimone di numerosi mutamenti interni e internazionali. Tra il 2001 e il 2003 il contesto regionale è stato stravolto dall’invasione dell’Afghanistan, che ha provocato un flusso di più di due milioni di rifugiati verso il territorio iraniano, e dall’intervento militare statunitense contro l’Iraq, paese ancora oggi caratterizzato da un’incerta evoluzione politica e da numerosi vuoti di potere che permettono alla vicina Repubblica Islamica di intervenire a sostegno delle forze sciite irachene. A livello internazionale, dal 2003 si è assistito a fasi alterne nei negoziati internazionali aventi per tema l’arresto del processo di arricchimento dell’uranio del programma nucleare iraniano. Infine, dall’estate 2009 il paese è stato teatro di un’importante serie di proteste popolari (organizzate da un eterogeneo insieme di gruppi raggruppati sotto l’etichetta di ‘Movimento verde’), che hanno fatto seguito alle contestate elezioni presidenziali di giugno e che si sono susseguite nei mesi successivi. Le critiche erano in particolare dirette verso il presidente Mahmoud Ahmadinejad e la Guida Suprema Ali Hoseini-Khamenei. In quel momento e per la prima volta si è parlato di manifestazioni di massa paragonabili a quelle che portarono alla deposizione dello shāh, e nonostante la repressione governativa alcune saltuarie manifestazioni sono continuate nel 2011 (in corrispondenza dei moti rivoluzionari in Tunisia e in Egitto).
In ambito regionale e internazionale è da sottolineare come i negoziati sul nucleare siano ancora aperti e, nonostante l’adozione di misure coercitive, Teheran conti sull’appoggio di Cina e Russia, refrattarie a inasprire ulteriormente le sanzioni e contrarie ad opzioni militari. A livello regionale, la principale ragione di popolarità del regime di Teheran è stato il sostegno indiscusso alla causa palestinese e alla forza politica che combatte in suo nome, Hamas. Da questo punto di vista, però, l’approccio del regime iraniano, basato principalmente su una forte propaganda anti-israeliana e un sostegno finanziario e militare alle forze ostili allo stato ebraico (Hamas e Hezbollah), è stato in parte offuscato dalla politica estera turca, condotta efficacemente dal premier Recep Tayyip Erdoğan. Quest’ultimo ha anche tentato una mediazione, poi fallita, proprio sulla questione del nucleare iraniano.
In seguito alla Rivoluzione del 1979 l’Iran è diventato una repubblica islamica. Secondo la Costituzione iraniana, il sistema del Velāyat-e faqīh (‘governo del giurisperito’) è basato sull’attribuzione della leadership politica al faqīh, incaricato di tutelare il rispetto dell’Islam da parte del popolo in qualità di vicario dell’imam (secondo lo sciismo, quest’ultimo sarebbe entrato in occultamento nel 9° secolo a.C. e se ne attenderebbe il suo ritorno). L’Islam è declinato sia come una religione ‘politica’, sia come filosofia di governo. L’ordinamento istituzionale creato dall’Ayatollah Khomeini prevede organi eletti direttamente dal popolo e altri nominati dall’autorità religiosa, ponendo in essere una separazione dei poteri interni estremamente complessa.
La Guida Suprema è la carica più importante dello stato e vi rimane a vita; a sceglierlo è un apposito organo, l’Assemblea di esperti dell’orientamento. Di seguito viene il presidente: quest’ultimo è eletto ogni quattro anni – per un massimo di due volte consecutive – con suffragio universale, ed è il detentore del potere esecutivo. Il presidente sceglie i ministri del governo, il Parlamento (Majlis) li conferma e ne può anche chiedere la rimozione. Il Majlis è la sede del potere legislativo, ha struttura unicamerale ed è composto da 290 membri eletti ogni quattro anni. Per potersi candidare alle elezioni parlamentari e presidenziali è indispensabile ricevere il beneplacito del Consiglio dei Guardiani, formato da sei ulamā (‘studiosi’) nominati dalla Guida Suprema e da sei giuristi, nominati dal Majlis dietro indicazione del Capo della giustizia, anch’egli nominato dalla Guida. Oltre alla succitata funzione di preselezione dei candidati, il Consiglio è uno degli organi più potenti del sistema politico per due diversi motivi: può bloccare l’iter legislativo delle proposte parlamentari e giudica la conformità della legge alla Costituzione e ai precetti islamici. Data la complessità dell’assetto istituzionale, risulta evidente il ruolo prioritario del Consiglio, che agisce sotto lo stretto controllo della Guida Suprema.
La popolazione iraniana si compone di più di 70 milioni di abitanti ed è caratterizzata dalla presenza di importanti minoranze religiose, etniche e linguistiche. La lingua ufficiale è il farsi (persiano) e la religione maggioritaria è l’Islam sciita, credo ufficiale del paese dal 16° secolo. Sotto il profilo religioso, l’87% della popolazione è musulmano sciita, l’11% è sunnita e vi sono minoranze di religione cristiana, oltre che di altre confessioni. Nonostante la Costituzione iraniana riconosca le religioni cristiana ed ebraica, la minoranza sunnita è vittima di una discriminazione di fatto che si manifesta con la totale assenza di moschee sunnite a Teheran, mentre i seguaci del bahāismo hanno subito numerose persecuzioni e tentativi di conversione forzata.
Tra le minoranze etniche molti sono gli Azeri (circa il 24% della popolazione): in prevalenza sciiti, sono turcofoni e vivono nell’Iran nordoccidentale. La seconda comunità numericamente più rilevante è quella curda, pari a circa il 7% della popolazione, concentrata nella parte occidentale e settentrionale dell’Iran, al confine con Turchia e Armenia. I Curdi parlano numerosi dialetti, sono in prevalenza sunniti e hanno tuttora forti legami tribali. La terza comunità è quella dei Luri, quattro milioni di abitanti che vivono nella parte settentrionale e meridionale del paese. Inoltre, vi sono le minoranze araba (3%), beluci (2%), turkmena (1%) e gruppi tribali turchi quali i Qashqai (1%). E’ inoltre da sottolineare che l’Iran accoglie una della più ampie comunità di rifugiati dall’estero, divenuta col tempo stanziale: quella degli Afghani (oggi quasi due milioni).
Alcune minoranze etniche iraniane sono discriminate, e le misure del governo a favore delle minoranze etnico-linguistiche sono considerate sotto molti aspetti insufficienti dal Comitato per l’eliminazione delle discriminazioni razziali delle Nazioni Unite; per esempio, nonostante la previsione di sanzioni per i giornali che pubblichino discorsi razzisti, è piuttosto frequente la presenza di espressioni discriminatorie, soprattutto nei confronti degli Azeri. Inoltre, la diseguale distribuzione del potere, delle risorse socioeconomiche e dello status socioculturale tra centro e periferia contribuisce a rendere più aspre le istanze di autonomia rivendicate da alcune minoranze etniche.
La popolazione iraniana è mediamente molto giovane: l’età mediana è di soli 26 anni e nella fascia che va dai 15 ai 24 anni è compreso il 22% della popolazione. Tuttavia il tasso di crescita della popolazione (1,18%) è oggi il più basso tra quelli di Arabia Saudita, Egitto e Turchia, mentre nell’epoca pre-rivoluzionaria sfiorava il 3%.
Questa contrazione è dovuta a diversi fattori, tra i quali l’innalzamento del livello di istruzione delle donne. Il tasso di alfabetizzazione supera l’80% per gli adulti e raggiunge il 97% per i giovani (15-24 anni), maschi e femmine. La percentuale di ragazze che frequentano la scuola primaria è quasi pari a quella dei ragazzi e le donne rappresentano circa il 50% dei laureati nel paese. Ciononostante le donne hanno più difficoltà a trovare un impiego (la disoccupazione femminile, al 16%, è più alta di quella maschile, ufficialmente al 9%), i loro stipendi sono più bassi di quelli dei loro colleghi uomini e sono sottorappresentate nelle posizioni dirigenziali.
La situazione dei diritti umani in Iran è stata oggetto di aspre critiche da parte di numerosi paesi occidentali e nel 2009 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato una risoluzione sui diritti umani in Iran, nella quale ha espresso preoccupazione per gravi violazioni quali tortura, esecuzioni arbitrarie, esecuzioni per mezzo di lapidazione, discriminazione contro le donne e contro le minoranze etniche e religiose del paese, gravi restrizioni della libertà di opinione e di assemblea. Inoltre, la pena di morte nel paese è legale e nel 2009 sono stati giustiziati almeno 388 detenuti.
Secondo la Commissione per i diritti umani delle Nazioni Unite (ora Consiglio per i diritti umani) la violenza contro le donne è dovuta principalmente a due fattori: i valori tradizionali patriarcali e le istituzioni. Queste ultime prediligono infatti un’interpretazione dei principi religiosi rigida e discriminatoria nei confronti delle donne. Nonostante il principio di uguaglianza tra uomini e donne sia formalmente presente nella Costituzione iraniana e il paese abbia firmato i principali accordi internazionali in materia di diritti umani, nel Codice civile e penale permangono misure discriminatorie.
Per quanto concerne la possibilità delle donne di accedere a posizioni governative, l’art. 155 della Costituzione prevede che le donne non possano diventare Guida Suprema o essere elette alla presidenza (tuttavia il paese ha visto l’avvicendamento di alcune vice-presidenti donna); nessuna donna è stata nominata membro del Consiglio dei Guardiani e solo il 2,8% dei seggi in Parlamento è oggi occupato da deputati di sesso femminile.
La libertà di espressione in Iran è limitata. Gli studenti universitari, tradizionalmente all’origine del dissenso, sono spesso arrestati e minacciati nel caso di esternazione di opinioni politiche critiche nei confronti del governo. In momenti politici delicati, il governo controlla capillarmente gli strumenti di comunicazione.
Il caso delle elezioni presidenziali del giugno 2009 è esemplare: la libertà di stampa ha registrato un brusco peggioramento, molte pagine internet sono state oscurate, i servizi di telefonia mobile sono stati interrotti e gli arresti in occasione di manifestazioni pacifiche sono stati massicci: secondo le dichiarazioni ufficiali solo il 13 giugno 2009, il giorno dopo le elezioni, circa 5000 persone sono state arrestate e non vi sono dati certi relativamente alla successiva durata delle detenzioni.
In paesi come l’Iran i media sono al tempo stesso parte integrante della struttura di potere e strumento di resistenza. All’inizio del Novecento sul giornale «Mulla Nasr al-Din» in lingua azerì comparvero diversi attacchi agli ulamā, considerati i più feroci oppositori ai diritti delle donne. Adducendo il pretesto di una sua presunta empietà, il clero sciita in Iran e nella città irachena di Najaf ne vietò la diffusione. Anche il sovrano Muhammad Ali Shah si sentì minacciato da questa satira pungente e cercò di bloccare la distribuzione della rivista. A salvare editore e redattori furono la fedeltà dei lettori e il fatto che il giornale era pubblicato a Tbilisi (Georgia), fuori della giurisdizione del clero sciita e dello stesso shāh.
Anche l’ideologia della rivoluzione costituzionale del 1906 trovò nella satira un valido mezzo per attaccare gli ulamā e la monarchia, colpevoli di reprimere le donne e gli abitanti delle aree rurali. Il 30 maggio 1907, mentre a Teheran e Tabriz si discuteva delle leggi supplementari alla Costituzione, fu dato alle stampe il primo numero del giornale «Sur-e Esrafil», la più radicale tra le riviste dell’epoca. Tanta fama era legata agli articoli satirici del noto Ali Akbar Dehkhoda (1879-1956), abile nel raccontare storie e nell’interpretare vecchi proverbi alla luce degli eventi contemporanei. Con toni rivoluzionari, Dehkhoda si faceva gioco dei mullah e dei superstiziosi.
Al tempo dello shāh Muhammad Reza Pahlavi (1941-79), gli oppositori protestarono contro lo scarso sviluppo politico in un contesto di rapida urbanizzazione attraverso le lettere inviate al sovrano, ai ministri e ai mezzi di comunicazione. La censura impediva però ai giornali di pubblicarle e queste venivano fatte circolare in modo clandestino.
Nella rivoluzione del 1979 fu decisivo l’utilizzo dei media da parte dell’Ayatollah Khomeini: intervistato dai media occidentali, riuscì a trasmettere un’immagine di sé ascetica, in grado di sedurre le masse degli iraniani del ceto basso. Veniva fotografato e ripreso mentre si nutriva di cibo semplice, seduto su un tappeto mentre offriva il tè ai suoi ospiti. Un’immagine ben diversa rispetto a quella dello shah, le cui abitudini erano sfarzose.
Nella Repubblica Islamica i media sono una delle arene in cui si scatena la lotta tra le diverse fazioni. Durante la presidenza di Muhammad Khatami (1997-2005) la stampa aveva vissuto una fase di liberalizzazione, ma era stata presa di mira dai conservatori: molte testate riformiste erano state chiuse, i loro direttori e giornalisti incarcerati. Oggi in Iran vi sono una ventina di quotidiani nazionali: «Tehran Times» (pubblicato dalle autorità), «Iran Daily» (dell’agenzia di stampa ufficiale Irna) e «Iran News» sono in inglese; «Aftab-e Yazd» è un quotidiano riformista; «Kayhan», «Resalat» e «Jomhuri-ye-Eslami» sono conservatori. Il quotidiano «Jaam-e Jam» è dell’Irib (Islamic Republic of Iran Broadcasting), ovvero dell’organismo che controlla la radio e la televisione di stato. Tra i quotidiani, quelli che vendono il maggior numero di copie sono le testate sportive.
L’Irib vanta otto canali radiofonici: per le attività parlamentari, il Corano, e The Voice of the Islamic Republic of Iran, che trasmette in onde corte e su internet. L’Irib ha quattro canali tv nazionali e il terzo è seguito dai giovani in Iran. Oltre a questi, vi sono i tre canali satellitari Jaam-e Jam, con programmi per gli iraniani in Europa, nelle Americhe, in Asia e Oceania. Per controbilanciare la pressione mediatica statunitense, nel 2007 le autorità iraniane hanno lanciato il canale satellitare di notizie Press TV, in inglese. Rispetto alla carta stampata, in televisione la censura è ancora più severa. Di conseguenza, sebbene sia vietato possedere un’antenna parabolica, molti accedono alle trasmissioni di emittenti straniere, alcune delle quali in persiano (BBC Persian TV e diverse emittenti con sede in California). Tra le agenzie, la Fars New Agency (in inglese) è legata ai pasdaran e la Mehr News Agency (con pagine in inglese) all’Organizzazione per la propaganda islamica.
Non irrilevante la dimensione mediatica di internet, sebbene le autorità esercitino un controllo tecnico sulla rete attraverso filtri e limitazioni alla velocità di connessione. Gli utenti sono 32,2 milioni, pari a quasi la metà della popolazione. Il web è un mezzo di comunicazione importante sia per il dissenso sia per la politica ufficiale, tant’è che diversi ayatollah e persino il presidente Ahmadinejad hanno un loro blog. Durante le proteste successive alle contestate elezioni del 12 giugno 2009, Facebook, Twitter e gli altri social network hanno permesso la diffusione di notizie per far conoscere il movimento verde di Mir Hossein Mussavi e la repressione in atto nel paese.
Negli ultimi anni l’economia iraniana ha trascorso una fase di rallentamento della crescita: da tassi di crescita annua del pil pari al 6% nel 2006 e all’8% nel 2007, il 2009 ha registrato un tasso di crescita del 2%, e il 2010 ha fatto segnare un +1,6%.
Il paese dipende in buona misura dagli introiti derivanti dalle esportazioni di idrocarburi – l’80% delle esportazioni è rappresentato da petrolio e gas, e questi forniscono il 60% delle entrate fiscali – con cui lo stato finanzia il sistema di welfare del paese.
Al tempo stesso il sistema economico iraniano è oggi in transizione e si sta gradualmente aprendo al settore privato, sebbene ancora oggi lo stato controlli la produzione di circa il 50% del pil del paese. Quanto alla composizione dell’economia, al di là dell’ovvia preponderanza del settore dell’estrazione degli idrocarburi quello agricolo rappresenta da solo più del 10% del pil e dà lavoro a più del 20% degli occupati totali. Il tasso di ; disoccupazione è strutturalmente alto – il 20% secondo stime ufficiali – a causa di insufficienti riforme del settore economico, di una ancora scarsa apertura e modernizzazione dell’economia e del crescente impatto delle sanzioni internazionali.
Le prime sanzioni in cui il paese è incorso risalgono infatti al periodo immediatamente post-rivoluzionario, e fecero seguito alla crisi politica e a quella internazionale che la seguì immediatamente dopo (la cosiddetta ‘crisi degli ostaggi’, che provocò l’interruzione delle relazioni diplomatiche tra Teheran e gli Stati Uniti). Legate alla questione del programma nucleare sviluppato autonomamente da Teheran sono invece le sanzioni adottate dal 2006 e inasprite di anno in anno dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, che mirano a colpire i settori tecnologici e le infrastrutture energetiche.
Tali provvedimenti sono diretti a colpire l’economia e la finanza del paese, con l’obiettivo di spingere Teheran a congelare il proprio programma nucleare in attesa di ulteriori verifiche internazionali. Nonostante il governo iraniano abbia minimizzato l’impatto delle sanzioni sull’economia, le difficoltà ad attrarre investimenti diretti esteri e ad accedere agli istituti della finanza globale hanno ulteriormente messo in difficoltà l’apparato industriale e creato serie difficoltà al settore petrolifero. Secondo alcune stime l’Iran avrebbe infatti bisogno di circa 200 miliardi di dollari di investimenti per far fronte alle carenze strutturali del suo sistema economico, soprattutto nel settore della raffinazione degli idrocarburi; d’altro canto, il paese trova difficoltà nel fornire servizi di assicurazione alle proprie petroliere, dal momento che molte compagnie si sono ritirate dal mercato iraniano. Il divieto posto dagli Stati Uniti di Obama di esportare benzina verso il paese ha inoltre costretto il presidente Ahmadinejad a convertire decine di industrie petrolchimiche in raffinerie, con costi di conversione alti e benefici discutibili. In questo contesto è divenuto sempre più difficile per il governo mantenere il precedente sistema di sussidi, usato storicamente per compensare la popolazione per gli alti tassi di disoccupazione e inflazione. A dicembre 2010 Ahmadinejad ha deciso di abolirlo, sostituendolo con erogazioni di denaro soltanto alle famiglie più colpite dalla misura. Per far fronte a una situazione tanto allarmante, il governo ha tentato di aggirare il sistema di sanzioni tramite rapporti con stati terzi (come gli Emirati Arabi Uniti); tuttavia, molti analisti sostengono che le conseguenze di medio-lungo periodo delle sanzioni internazionali potrebbero divenire ancora più pesanti.
Una delle caratteristiche più originali del sistema economico iraniano è quella delle bonyad. Queste fondazioni caritatevoli, nazionalizzate dopo la rivoluzione del 1979, dominano l’80% dell’economia e hanno come scopo quello di ridistribuire le risorse a vantaggio delle fasce più deboli. Il centinaio di bonyad esistenti ha facile accesso alle risorse statali, è favorito dall’esenzione fiscale e deve rispondere del suo operato unicamente alla Guida Suprema, Ali Khamenei, bypassando il Parlamento. Insieme all’esistenza di queste fondazioni, un’altra caratteristica del sistema iraniano è stata fino a dicembre 2010 quella dei sussidi. Istituiti nell’ottica di un sistema di welfare in grado di sostenere le famiglie più bisognose, i sussidi sui beni primari come il cibo e la benzina si sono sempre rivelati molto dispendiosi per il governo (arrivando a costare fino a un quarto del pil del paese, cioè quasi 100 miliardi di dollari). L’eliminazione dei sussidi governativi a dicembre 2010 ha provocato tuttavia reazioni contrastanti: se da una parte l’economia sul lungo periodo non potrà che beneficiarne, nel breve periodo le possibili ripercussioni sulle fasce di popolazione più povere potrebbero aumentare l’impopolarità del provvedimento.
Passando ora all’analisi degli scambi, il settore del commercio interno è in gran parte controllato dai cosiddetti bazarī, la classe mercantile iraniana, persone spesso legate alla parte più conservatrice del clero e in grado di esercitare una forte influenza sul sistema politico. Basti pensare agli scioperi dell’estate del 2010 che hanno bloccato il paese, provocati dalla proposta del presidente Ahmadinejad di alzare l’iva e le tasse del 15% (la proposta iniziale parlava tuttavia di un aumento del 70%).
Dal punto di vista degli scambi internazionali, invece, il commercio è in crescita con i paesi asiatici come Cina, Giappone, India e Corea del Sud, ma anche con la Russia e, per ciò che concerne le transazioni finanziarie, con gli Emirati Arabi Uniti. Per quanto riguarda questi ultimi, oltre 7000 imprese iraniane sono registrate a Dubai, divenuta la cassaforte off-shore degli ayatollah e dei pasdaran (i Guardiani della Rivoluzione islamica), oggi sempre più protagonisti nei diversi settori economici accanto al loro tradizionale ruolo di forze paramilitari. I maggiori prodotti esportati dall’Iran, oltre al petrolio greggio, sono quelli agricoli, mentre nel settore industriale è in crescita il mercato automobilistico (il paese è tra i primi 15 produttori mondiali di autovetture).
La questione delle risorse energetiche iraniane è complessa e sfaccettata. Esse sono la prima fonte di reddito del paese, e restano un punto nodale di alcune tra le più importanti controversie con i vicini regionali e con attori internazionali, tra cui gli Stati Uniti.
L’Iran è il quarto paese al mondo per riserve petrolifere stimate (138 miliardi di barili, dietro all’Arabia Saudita, al Venezuela e all’Iraq) e nella produzione giornaliera (4,2 milioni di barili, dopo Russia, Arabia Saudita e Stati Uniti). Del pari, si stima che il sottosuolo iraniano contenga ingenti riserve di gas naturale (seconde solo a quelle russe): nella produzione di questa materia prima il paese è nuovamente al quarto posto mondiale, davanti alla Norvegia e dietro al Canada. A causa delle rigidità strutturali del mercato del gas, dovute alla convenienza di trasportarlo attraverso condutture piuttosto che liquefarlo e imbarcarlo via nave, le riserve gasifere iraniane hanno un ruolo potenzialmente fondamentale nelle aree caucasica, centroasiatica e mediorientale. Tuttavia, ad oggi il paese resta importatore netto di gas dall’estero (in prevalenza dal Turkmenistan), a causa dei grandi consumi interni di metano, e neppure il recente ampliamento della produzione è riuscito a colmare il gap generato dal progressivo aumento della domanda interna.
Nonostante la sua posizione di importante esportatore petrolifero (Teheran vende all’estero circa il 60% della sua produzione), l’Iran dipende dagli approvvigionamenti esteri anche per quanto riguarda i prodotti derivati dal petrolio. Il suo potenziale di raffinazione è infatti modesto, e di poco superiore alla domanda interna: il paese è perciò costretto a esportare greggio all’estero – soprattutto verso Russia e Turchia – e a importare raffinati i suoi derivati più leggeri, come la benzina.
Da una prospettiva regionale, la disponibilità di idrocarburi ha generato in passato e genera tuttora tensioni con alcuni paesi confinanti. Da un lato, parte del giacimento di South Pars – al largo delle coste del Golfo Persico – è conteso tra l’Iran e il Bahrain; dall’altro, Teheran rivendica da decenni la revisione degli accordi internazionali di sfruttamento del bacino del Caspio, in una vertenza che coinvolge l’Azerbaigian e il Turkmenistan, anche se di recente i rapporti con quest’ultimo stato sembrano meno tesi.
Dal 2001, e con più decisione dal 2004, Teheran ha infine avviato un programma di ricerca sullo sfruttamento civile dell’energia atomica. Il governo sostiene che tale programma sia in linea con le necessità di diversificazione imposte dal forte aumento della domanda energetica interna (+25% negli ultimi cinque anni).
La questione della sicurezza per l’Iran è al centro del dibattito internazionale, dal momento che il programma nucleare avviato da Teheran fa insorgere seri problemi sia internazionali, sia più specifici alla regione mediorientale.
Sotto il profilo strategico l’Iran si percepisce vittima di una sorta di accerchiamento, dovuto alla presenza diretta o indiretta degli Stati Uniti ai suoi confini orientale e occidentale, rispettivamente in Afghanistan e in Iraq. D’altronde l’Iran è da sempre l’unica potenza a maggioranza sciita in una regione a netta preminenza sunnita. L’unicità e il generale isolamento di Teheran hanno contribuito a far sì che negli anni, al di là dell’attuale retorica governativa, l’Iran abbia sviluppato una politica di sicurezza sostanzialmente difensiva, spesso rivolta contro l’Arabia Saudita, considerata un paese ostile. L’attenzione all’Arabia Saudita ha condotto a un particolare sviluppo della marina, considerata l’arma più importante dell’esercito iraniano, vista anche l’importanza vitale della sicurezza delle coste che si affacciano sul Golfo Persico per garantire le rotte commerciali e petrolifere. D’altro canto l’Iran intrattiene relazioni molto tese anche con Israele, e ciò gli impone di adottare una seconda strategia basata principalmente sulla componente aerea: grazie anche ai contatti con Russia, Cina e Corea del Nord, negli anni il paese ha sviluppato un notevole arsenale missilistico di breve e media e gittata e sta compiendo progressi nella costruzione di missili di lunga gittata.
Le principali fonti di instabilità a livello interno sono rappresentate dalla minoranza beluci (sunnita) nel sud-est e da quella curda nel nord-ovest. Per tramite dell’organizzazione Jundullah (‘l’esercito di Dio’), i Beluci hanno perpetrato diversi attacchi terroristici interni contro obiettivi governativi, e diretti in particolar modo verso i pasdaran (i Guardiani della Rivoluzione islamica), una forza militare indipendente dall’esercito che si occupa in prevalenza della sicurezza interna. In funzione anti-curda l’Iran coopera con la Turchia nella lotta al Pjak, organizzazione ritenuta il braccio iraniano del Pkk, il Partito dei lavoratori del Kurdistan. Un altro fronte di lotta è quello contro il narcotraffico proveniente dall’Afghanistan, per combattere il quale negli ultimi vent’anni sono morti circa 3000 tra forze di polizia e soldati iraniani.
In una tale cornice l’intenso rapporto economico e militare tra l’Iran e la Turchia, fondamentale per Teheran al fine di evitare il totale isolamento internazionale, si è consolidato nel corso del 2010: assieme al Brasile, i due paesi hanno firmato nel maggio 2010 una dichiarazione in favore della cooperazione nucleare a scopi pacifici, nel tentativo di sbloccare i negoziati tra la Repubblica Islamica e la comunità internazionale ed evitare un nuovo round di sanzioni (poi abbattutesi comunque sul governo di Teheran). E se proprio con Ankara l’Iran ha intenzione di triplicare i propri scambi commerciali nei prossimi cinque anni, desta tuttavia preoccupazione a Teheran l’intensificarsi dei rapporti commerciali tra la Turchia e la Siria e la crescente popolarità del paese nell’opinione pubblica araba in generale.