Irlanda
Una delle grandi isole costituenti l’arcipelago britannico; politicamente è divisa nella Repubblica d’I. e nell’I. del Nord.
L’I. fu abitata, prima dell’immigrazione dei celti (o gaeli), da popolazioni di ceppo iberico; di questa fase, neolitica, della sua preistoria rimangono importanti testimonianze, numerose soprattutto nelle contee di Kerry e di Sligo, quali le costruzioni megalitiche del tipo cromlech e dolmen. La successiva colonizzazione gaelica, tra il 600 e il 500 a.C., diffuse la civiltà del Bronzo e lasciò impronte decisive nella struttura etnica e linguistica dell’isola, dove il regime tribale introdotto dai celti perdurò anche in età storica (che si fa iniziare con la prima conversione al cristianesimo nel sec. 5°) entro le più ampie circoscrizioni politiche costituite dalle province o fifth di Ulster, Leinster, Connacht, Desmond (Munster settentrionale) e Thomond (Munster meridionale), i cui sovrani rendevano omaggio al re supremo (ard righ, o ardrì), residente a Tara. Le istituzioni economico-sociali dei gaeli nelle loro strutture fondamentali erano antitetiche a quelle del sistema feudale, che fu introdotto più tardi dall’Inghilterra: la terra, salvo quanto costituiva di diritto il contrassegno del potere politico dei capi, apparteneva in comune alla tribù e la proprietà familiare veniva ripartita egualmente tra i figli. La forza del vincolo tribale operava in maniera decisiva contro ogni tendenza socialmente individualistica, come mostra il basilare istituto dell’altrum, per il quale i figli erano tolti dalla casa paterna e affidati per l’educazione ad altre famiglie dello stesso gruppo gentilizio. Mai sottoposta alla dominazione romana, l’isola fu conquistata al cristianesimo da una feconda opera di evangelizzazione, iniziata nel 432 da s. Patrizio. Nell’isolamento da influenze che potevano provenirle dai coevi regni romano-barbarici dell’Occidente mediterraneo, l’I. cristiana sviluppò una sua autonoma cultura, mentre la Chiesa celtica, durante tutto l’Alto Medioevo, fu costretta ad adattare alla struttura sociale esistente la sua organizzazione, essenzialmente monastica, che, invece che sugli organi tradizionali della diocesi e della parrocchia, si basò ovunque sull’istituto del vescovo-abate, divenuto ormai il capo effettivo delle strutture tribali. Sulle vicende delle lotte intestine fra i re provinciali influì l’invasione, dall’807 circa, dei popoli nordici (chiamati danesi nelle fonti locali), che per oltre due secoli saccheggiarono l’isola pur contribuendo alla formazione dei futuri massimi centri urbani. La battaglia di Clontarf, in cui re Brian del Thomond sconfisse gli invasori nordici e i re provinciali, segnò la fine del predominio danese nell’isola. Seguirono guerre intestine fra i re celti e fu uno di loro, Dermot Mac Murrough, a sollecitare l’intervento inglese.
Arruolati in Inghilterra da Dermot, cavalieri e arcieri normanni nel 1170 distrussero, sotto le mura di Dublino, l’esercito nazionale gaelico. Enrico II, temendo le aspirazioni di potenza dei cavalieri normanni, assunse personalmente la direzione dell’impresa, al termine della quale distribuì parte del suolo irlandese ai baroni vittoriosi e istituì il lord justiciar d’I., rappresentante della sua autorità. Fattore essenziale di stabilizzazione politica rimase la Chiesa; tuttavia la differenza della lingua (il francese per gli invasori e il gaelico per i vinti) e delle istituzioni rese problematica l’integrazione tra inglesi e irlandesi. Mentre il re d’Inghilterra controllava da lontano il Paese, tre grandi casate feudali dominarono per tutto il Medioevo la scena irlandese: i Fitzgerald, i Butler e i de Burgh. All’aggressione straniera il Paese reagì intanto con l’aperta ribellione; un graduale processo di assorbimento dell’invasore si scontrò con la promulgazione da parte di Edoardo III degli statuti di Kilkenny (1367), che nel legittimare la separazione degli abitanti dell’isola in tre gruppi (gli inglesi puri; gli inglesi «degeneri», in quanto accusati di infedeltà verso il re, e i «nemici irlandesi», esclusi dalla protezione della legge) resero impossibile qualsiasi intesa fra il re d’Inghilterra e il popolo irlandese. Con il Poynings’ law, Enrico VII pose il Parlamento d’I. alle dirette dipendenze del lord justiciar di Dublino e, per esso, del sovrano inglese (1495). Il re estese inoltre al Paese l’Act of supremacy, mentre assumeva il nuovo titolo di re d’I. (1541): terminò così la finzione giuridica che faceva del papa il sovrano irlandese e del re d’Inghilterra solo il suo rappresentante. Sotto Elisabetta I l’I., ribelle per la difesa delle tradizioni cattoliche contro le innovazioni culturali del Common prayer book, fu teatro di repressioni sanguinose.
L’avvento al trono inglese di Giacomo I (1603) vide l’instaurazione di un centralismo amministrativo più accentuato, mentre un’Alta corte sedeva in permanenza comminando severe sanzioni agli irlandesi cattolici che rifiutavano il giuramento prescritto dall’Act of supremacy; intorno al 1610 iniziò la colonizzazione (le cosiddette plantation) del Paese con elementi scozzesi e presbiteriani. La ribellione cattolica del 1641 (gli inglesi furono massacrati) dimostrò l’inefficacia della politica di espropriazione parziale: il Parlamento procedette all’esproprio totale delle terre (Adventurers’ act, 1642). La guerra civile inglese vide il clero diviso a favore del re o dei parlamentari; Dublino cadde in mano dei secondi e l’I. fu aperta alla conquista di O. Cromwell. Con l’Act of settlement (1652) furono confiscati circa 11 milioni di acri; una nuova classe di proprietari, protestanti, si stabilì pertanto sulle terre, ormai solo per un terzo in mano ai cattolici. Durante i regni di Carlo II e di Giacomo II la politica del Parlamento di Londra, che sacrificava gli interessi degli allevatori irlandesi all’economia inglese, provocò di riflesso l’unione di protestanti e cattolici. Nel 1690, il tentativo di restaurazione di Giacomo II polarizzò tuttavia ancora attorno alle forze alleate giacobite e francesi l’opposizione cattolica e gaelica contro i protestanti, la cui vittoria (1690) liberò l’Inghilterra dalla minaccia giacobita e assicurò il possesso dell’I. a Guglielmo III d’Orange. La Pace di Limerick, firmata da Guglielmo, che assicurava ai cattolici libertà religiosa e ai ribelli le loro proprietà, non fu rispettata dal Parlamento, che sottopose con speciali «leggi penali» i cattolici a gravi restrizioni religiose, economiche e politiche: molti preferirono l’esilio (Test act, 1692). Con Giorgio III (re d’Inghilterra dal 1761) diminuì il rigore delle sanzioni: l’I. ottenne l’attenuazione delle leggi penali e il riconoscimento a Dublino del rango di capitale, sede di un viceré (1767). Le aspirazioni a normali rapporti con l’Inghilterra furono deluse dalle ripercussioni della Rivoluzione francese: gli irlandesi uniti si allearono con il Direttorio francese che tentò più volte l’invasione dell’isola. W. Pitt, convinto che un’unione parlamentare tra Inghilterra e I. potesse evitare in avvenire la collusione con i francesi di Bonaparte, fece votare al parlamento inglese l’Act of union (1800), con il quale veniva soppresso il Parlamento di Dublino e l’I. inviava una rappresentanza di 100 deputati ai Comuni e 28 pari ai lord, mentre giurava fedeltà alla Corona inglese «nella successione protestante».
Nel 1829, con l’abrogazione del Test act del 1692, che discriminava i cattolici impedendo loro di sedere in parlamento, finì la minorità politica della maggior parte degli irlandesi. Rimase in primo piano il problema confessionale, strettamente legato a quello sociale dato che la soppressione di una Chiesa di Stato in I. era connessa al miglioramento economico della classe contadina, oppressa dagli obblighi della decima, la tassa destinata al mantenimento della Chiesa anglicana. Contro il regime oppressivo della proprietà terriera la Repeal association chiese la revoca dell’Act of union e l’indipendenza, mentre il movimento politico della Giovane I. (1842) si pose sul piano dell’azione diretta. Questa fu però interrotta dalla carestia che nel 1845-47 decimò la popolazione. Nel 1848 la Giovane I. tentò l’avventura rivoluzionaria, ma fu battuta e i suoi capi condannati a morte o deportati; la situazione interna si aggravò poi per la comparsa, dal 1858, del movimento terrorista dei feniani (➔ Fenian brotherhood). Sotto il primo ministero Gladstone fu tolto (1869) alla Chiesa episcopale irlandese il riconoscimento di confessione ufficiale e fu promulgata la prima legge (Land act) protettiva dei fittavoli. La decisione di concedere all’I. la Home rule determinò la caduta del secondo governo Gladstone (1886). La Home rule fu approvata, infine, nel 1910, ma lo scoppio della Prima guerra mondiale ne sospese l’applicazione e pose le premesse di un nuovo ciclo di violenze antibritanniche; vi ebbero un ruolo cruciale il Sinn féin, il movimento nazionale irlandese promotore dalla nascita (1905) della causa di una repubblica indipendente, e l’organizzazione militare clandestina dell’IRA. Nel 1916, la rivoluzione scoppiata a Dublino nella settimana di Pasqua e la sua spietata repressione da parte degli inglesi portarono alla guerra anglo-irlandese, aggravata da lotte civili all’interno dell’isola. Nel genn. 1919, i 73 deputati appartenenti al movimento indipendentista Sinn féin si riunirono nel Dáil Éireann («Assemblea d’I.») e proclamarono la Repubblica, designandone presidente E. De Valera allora detenuto nelle prigioni inglesi. Il trattato che istituiva lo Stato libero d’I., che concedeva all’I. lo status di dominion nell’ambito del Commonwealth, e dal quale, per volontà della maggioranza protestante, restava escluso l’Ulster, cui era già stata riconosciuta (1920) una limitata autonomia, fu sottoscritto il 6 dic. 1921. Da allora l’I. fu divisa in due parti: sei delle nove contee dell’Ulster, situate nel Nord e in prevalenza protestanti (ma con una consistente minoranza cattolica), continuarono a far parte del Regno Unito (➔ Irlanda del Nord); il resto del Paese, prevalentemente cattolico, ottenne l’indipendenza nell’ambito del Commonwealth (➔ Irlanda, Repubblica d’).