Irlanda
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(XIX, p. 544; App. I, p. 738; II, ii, p. 64; III, i, p. 894; IV, ii, p. 230; V, ii, p. 772)
Geografia umana ed economica
di Alberta Migliaccio
Popolazione
Al censimento del 1996 la popolazione ammontava a 3.554.000 abitanti; secondo stime ufficiali, nel 1998 la popolazione era salita a 3.681.000 abitanti. Il tasso d'incremento demografico, in linea con quello degli altri paesi a economia avanzata, nell'ultimo quinquennio ha subito una leggera variazione positiva. A modificare la dinamica demografica naturale intervengono ancora i movimenti migratori (ormai esclusivamente verso gli altri paesi dell'Unione Europea); questi sono in prevalenza in uscita anche se, nei periodi di bassa congiuntura, tornano a essere superiori i rimpatri. La capitale, Dublino, è anche la città più importante del paese e al censimento del 1996 la sua popolazione era di 480.996 ab. (952.692 nell'intera agglomerazione urbana). Fra le altre città, Cork sfiora i 200.000 abitanti.
Condizioni economiche
Da quando il paese è entrato a far parte della Comunità Europea (1° gennaio 1973) la sua economia è molto progredita e nell'intervallo 1990-97 il reddito pro capite ha registrato un incremento medio annuo pari al 5,6%: è il tasso più elevato fra tutti i paesi aderenti all'Unione Europea. Questi risultati sono stati resi possibili anche per il sostegno ottenuto dai fondi strutturali stanziati dall'Unione Europea e assegnati all'I. nell'ambito della politica regionale prevista dal Trattato di Maastricht a favore delle economie meno sviluppate. I finanziamenti sono stati utilizzati per il potenziamento dell'industria, dei trasporti e delle comunicazioni, tutti provvedimenti già contemplati dal piano di sviluppo approntato dal governo nell'ottobre del 1993. Di non minore importanza sono stati gli interventi nel campo dell'istruzione e delle finanze. Numerose società straniere (di cui 450 statunitensi) hanno trovato conveniente investire in I., un paese dove è disponibile manodopera qualificata, a livelli salariali ancora contenuti, e dove l'imposizione fiscale sulle società è la più bassa dell'Europa comunitaria.
Abbattuto nel corso degli anni Novanta il tasso d'inflazione, il principale problema del paese riguarda la disoccupazione che, nel corso del 1997, pur essendo diminuita di un paio di punti percentuali rispetto all'inizio degli anni Novanta, raggiungeva ancora il 10,3%. È questo un valore che in I. risulta difficilmente comprimibile; in massima parte si tratta, infatti, di lavoratori non qualificati e difficilmente riassorbibili in un mercato del lavoro sempre più specializzato. Nei recenti programmi governativi sono previste agevolazioni fiscali per il reinserimento dei disoccupati in attività produttive.
L'I. non è particolarmente dotata di risorse minerarie. Il paese dispone comunque di buone riserve di zinco (stimate in 6,2 milioni di t) e di piombo (1,5 milioni di t), e le produzioni annue si aggirano sulle 200.000 t di zinco e sulle 50.000 t di piombo. L'attività esplorativa del sottosuolo alla ricerca di nuove risorse non è stata abbandonata e una cinquantina di imprese sono attualmente impegnate in operazioni di carotaggio. Nel 1989 sono stati scoperti giacimenti di gas naturale a Kinsale Head (50 km al largo della costa meridionale) e, più modesti, a Ballycotton (poco più a nord-ovest). Entrati in produzione nel corso del 1991, pur non essendo rilevanti, questi giacimenti sono in grado di soddisfare la domanda interna.
Il 10% circa della popolazione irlandese risulta tuttora occupato nel settore primario. La popolazione più giovane tende però a inurbarsi e, di conseguenza, più della metà degli agricoltori risulta oggi costituita da persone di età superiore ai cinquant'anni. Accanto alle tradizionali colture dei cereali (orzo, frumento e avena) e delle patate, si va progressivamente diffondendo la coltivazione della barbabietola da zucchero. Oltre i due terzi della superficie complessiva sono però destinati a prati e pascoli; in espansione risulta sia l'allevamento bovino (circa 6,8 milioni di capi nel 1997) sia quello suino (1,7 milioni di capi), mentre il tradizionale allevamento ovino (5,4 milioni di capi) è in lento ma costante regresso. Importante per l'economia irlandese è la pesca, sia per il numero di occupati del settore (sono circa 8000 gli addetti), sia per la quantità di pescato (più di 360.000 t nel 1996).
Il settore più dinamico dell'economia dell'I. è quello secondario. Le attività tradizionali, quali la distillazione, la lavorazione della lana e del latte, a cui da tempo si era aggiunta la chimica di base, pur mantenendo un ruolo importante nel contesto produttivo irlandese, vengono progressivamente affiancate da altre produzioni. In particolare, negli anni Novanta si è verificato un marcato incremento di nuove imprese, molte delle quali a capitale straniero, per lo più destinate alla fabbricazione di prodotti a tecnologia avanzata. In proposito si ricordano le industrie farmaceutiche (oltre 200 nuovi stabilimenti) e quelle elettroniche, che contano già più di 32.000 addetti.
I conti con l'estero presentano saldi attivi, sia nella componente commerciale sia in quella dei movimenti di capitale. La struttura dei trasporti interni (ferroviari e stradali) risulta ancora carente. Nel 1994 solo 38 dei circa 3000 km di ferrovie erano elettrificati e, alla stessa data, erano in esercizio meno di 70 km di autostrade. I trasporti marittimi godono di una situazione certamente migliore: nel 1995 nei porti irlandesi è stato registrato un movimento merci complessivo superiore ai 27 milioni di t. In crescita è pure il trasporto aereo (Dublino ospita il principale aeroporto, altri scali importanti sono Shannon, Cork e Knock). In rapida evoluzione anche i flussi turistici, in maggioranza provenienti da altri paesi europei: nel 1993 sono stati registrati circa 3,3 milioni di arrivi, saliti a oltre 5 milioni nel 1997.
bibliografia
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The economy of Ireland. Policy and performance of a small European country, ed. J.W. O'Hagan, Basingstoke 1995. Geografia d'Irlanda, a cura di N. Famoso, Catania 1997.
Storia
di Claudio Novelli
La situazione politica irlandese è stata caratterizzata, fin dalla proclamazione ufficiale della Repubblica (1949), da una sostanziale alternanza al governo dei due principali partiti: il Fianna Fáil, nazionalista moderato, e il Fine Gael, conservatore. A un certo immobilismo del quadro politico e sociale ha contribuito il tradizionale ruolo della Chiesa cattolica, nonostante qualche tentativo di limitarne l'influenza e di avviare, attraverso alcune riforme, una più ampia laicizzazione dello Stato. Un maggiore dinamismo si è avuto in campo economico: se il settore agricolo e quello dell'allevamento hanno conservato un ruolo fondamentale nell'economia del paese, a partire dalla seconda metà degli anni Ottanta si è cominciata a verificare una progressiva industrializzazione e un'espansione del terziario, ottenute attraverso un vasto programma di austerità e grazie a una serie di incentivi fiscali volti ad attirare gli investimenti esteri (particolarmente cospicui i capitali di provenienza statunitense). Rilevante importanza ha continuato ad avere la questione nord-irlandese: il contrasto tra cattolici e protestanti nell'Ulster è rimasto costantemente al centro dell'attenzione sia dell'opinione pubblica irlandese sia del governo di Dublino, protagonista, insieme a quello britannico, di diversi tentativi di raggiungere un accordo tra le parti.
Il primo ministro C. Haughey, che dal 1989 era alla guida di un governo di coalizione comprendente esponenti del suo partito, il Fianna Fáil, e dei Progressive Democrats (PD, formazione moderata sorta nel 1985 da una scissione dello stesso Fianna Fáil), rimase in carica fino al febbraio 1992, quando le difficoltà economiche del paese e in particolare il nuovo aumento, dopo una fase di flessione, del tasso di disoccupazione lo spinsero alle dimissioni. A sostituirlo ai vertici sia del partito sia del governo fu, sempre nel febbraio 1992, A. Reynolds, che costituì un gabinetto di coalizione comprendente ancora Fianna Fáil e Progressive Democrats. La vita della nuova compagine governativa fu piuttosto breve: il presunto coinvolgimento di Reynolds in uno scandalo finanziario, risalente al periodo in cui ricopriva la carica di ministro dell'Industria e del Commercio (1987-88), condusse, nel novembre successivo, all'abbandono della coalizione da parte dei Progressive Democrats e alle conseguenti dimissioni del governo. Le elezioni politiche anticipate svoltesi nello stesso mese di novembre confermarono la frammentazione del quadro politico: i due partiti principali, Fianna Fáil e Fine Gael, subirono entrambi un netto calo di consensi, a vantaggio del Labour Party e dei Progressive Democrats.
Rispetto alle consultazioni del 1989, il Fianna Fáil scese da 77 a 68 seggi e i tradizionali avversari del Fine Gael da 55 a 45. I laburisti, invece, raddoppiarono il numero dei loro deputati, saliti da 15 a 33, mentre i Progressive Democrats passarono da 6 a 10 seggi. Contemporaneamente alle elezioni legislative si tennero tre referendum costituzionali, che mitigarono parzialmente la rigida legislazione antiabortista (in particolare, furono rimossi i limiti all'espatrio volti a impedire a cittadine irlandesi di abortire all'estero, limiti che apparivano in contrasto con il principio della libera circolazione in vigore nei paesi dell'Unione Europea).
Non avendo alcun partito raggiunto la maggioranza assoluta in Parlamento (composto da 166 rappresentanti), si aprì tra le forze politiche una lunga fase di trattative, terminata solo nel gennaio 1993 con il raggiungimento di un accordo tra Fianna Fáil e Labour Party. Reynolds formò un nuovo governo di coalizione, che aveva come ministro degli Esteri e vice primo ministro il leader laburista D. Spring, e che tra le sue prime iniziative svalutò la moneta del 10% nel tentativo di rilanciare le esportazioni e promosse alcune riforme in campo sociale (legalizzazione della vendita dei profilattici, depenalizzazione dei comportamenti omosessuali tra adulti ecc.). La stabilità dell'esecutivo venne meno, però, nel novembre 1994, quando i laburisti, contrari alla nomina alla Corte suprema di un giudice noto per le sue posizioni conservatrici, decisero di ritirarsi dal governo e provocarono una crisi che condusse alle dimissioni di Haughey. A questo punto, di fronte all'ipotesi dell'ennesimo ricorso a elezioni anticipate, i principali leader politici (Haughey fu sostituito alla guida del Fianna Fáil da B. Ahern) avviarono una serie di consultazioni e trattative, che si protrassero per circa un mese. Solo a dicembre si costituì un nuovo governo, comprendente laburisti, Democratic Left (DL, formazione progressista nata nel 1992) e Fine Gael; a guidarlo era il leader di quest'ultimo, J. Bruton. Come il suo predecessore, che si era impegnato per rilanciare, dopo una fase di stallo dei negoziati, il processo di distensione in Irlanda del Nord, il nuovo primo ministro si adoperò per cercare una soluzione della questione dell'Ulster.
Durante il governo Reynolds, nel dicembre 1993, un momento importante era stato rappresentato dalla dichiarazione congiunta (Downing Street declaration) effettuata insieme al premier britannico J. Major: per la prima volta la Gran Bretagna non escludeva la possibilità di una rinuncia alla sovranità sull'Irlanda del Nord (qualora così si fosse espressa la maggioranza della popolazione dell'Ulster), mentre Dublino prendeva in esame la possibilità di una modifica della sua Costituzione, che prevede espressamente la riunificazione dell'isola. Il 31 agosto 1994, quindi, l'IRA (Irish Republican Army) aveva annunciato un cessate il fuoco cui aveva fatto seguito, in ottobre, un analogo annuncio da parte delle milizie protestanti (l'IRA avrebbe interrotto la tregua nel febbraio 1996, per poi proclamarla di nuovo nel luglio 1997).
Rispetto a Reynolds, però, Bruton si scontrò con la rinnovata intransigenza degli unionisti e di Londra, ferma nella sua richiesta all'IRA di consegnare le armi come condizione preliminare all'avvio di negoziati con la partecipazione del Sinn Féin, suo braccio politico. Alle difficoltà su questo fronte si accompagnava, intanto, una ripresa del processo di laicizzazione dello Stato, che faceva un rilevante passo avanti nel novembre 1995: nonostante l'esplicita opposizione della Chiesa cattolica, un referendum popolare sostenuto da tutti i principali partiti abrogava, anche se a strettissima maggioranza (50,3% contro il 49,7%), il divieto posto dalla Costituzione al divorzio. A dispetto di alcuni positivi risultati raggiunti in politica economica (crescita annuale intorno al 5,5%, calo della disoccupazione dal 14% nel 1994 al 12% nel 1996), la cosiddetta Coalizione arcobaleno, ossia l'alleanza delle forze di governo, fu sconfitta nelle elezioni del giugno 1997 da un cartello di centro-destra comprendente Fianna Fáil e Progressive Democrats.
Ancora una volta nessun partito ottenne la maggioranza assoluta in Parlamento: il Fine Gael ottenne il 27,9% dei voti e 54 seggi, ma il Labour Party scese a soli 17 seggi (il 10,4% dei voti). Vincitore delle elezioni fu il Fianna Fáil, che con il 38,3% dei consensi conquistò 77 seggi.
A dar vita a un nuovo esecutivo fu quindi, sempre in giugno, il leader del Fianna Fáil, Ahern, con il sostegno dei quattro deputati dei Progressive Democrats e di alcuni indipendenti. Pochi mesi dopo, a ottobre, il Fianna Fáil ottenne un nuovo successo con l'elezione della sua candidata, M. McAleese, alla carica di presidente della Repubblica (M. Robinson aveva lasciato anticipatamente il proprio incarico per assumere le funzioni di Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani). Di particolare importanza, riguardo alla questione dell'Ulster, fu il contributo del governo irlandese all'accordo raggiunto nell'aprile 1998, grazie alla mediazione dell'inviato degli Stati Uniti G. Mitchell, dal primo ministro britannico, da quello irlandese e dai leader dei maggiori partiti - protestante (Ulster Unionist Party) e repubblicano (Sinn Féin) - dell'Irlanda del Nord.
Di fronte ai nuovi episodi di violenza nell'Ulster il governo adottò misure antiterrorismo (agosto 1998), mentre nel febbraio 1999 Ahern sostenne la pregiudiziale avanzata dagli Unionisti della smilitarizzazione dell'IRA.
L'accordo sanciva il diritto all'autodeterminazione dell'isola, precisando che le regioni del Nord avrebbero potuto in futuro unirsi alla Repubblica d'I. solo con il consenso della maggioranza della popolazione (di fede protestante). L'I., da parte sua, si dichiarava disposta a rinunciare alla sovranità sulle sei contee dell'Ulster, fissata negli articoli 2 e 3 della Costituzione. Oltre a tali principi, l'accordo stabiliva, tra le altre cose, l'istituzione di un'assemblea elettiva con potere legislativo in Irlanda del Nord (composta di 108 membri eletti con sistema proporzionale, avrebbe avuto il compito di eleggere il primo ministro) e di un Consiglio Nord-Sud comprendente i titolari del potere esecutivo della Repubblica d'I. e dell'Ulster (le funzioni di questo organismo rimanevano ancora da stabilire); un Consiglio anglo-irlandese avrebbe garantito, poi, la costante collaborazione tra i due paesi. Il mese successivo circa il 95% degli Irlandesi approvava l'accordo di aprile con un referendum popolare (in Ulster si dichiarò a favore circa il 71% della popolazione).
bibliografia
Ph. Bull, Land, politics and nationalism. A study of the Irish land question, Dublin 1996.
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