ISABELLA Gonzaga, duchessa di Mantova
Figlia di Alfonso conte di Novellara e di Vittoria Di Capua, nacque nel 1576.
Nel 1594 andò sposa a Ferrante Gonzaga signore di San Martino, dal quale ebbe 11 figli. Rimasta vedova nel 1605, a soli 29 anni, assunse la reggenza per il primogenito Scipione e si dedicò al governo del piccolo Stato, che comprendeva anche Isola Dovarese.
Al contempo fu assorbita dall'educazione dei figli: oltre a Scipione, Alfonso, postosi poi al servizio del duca Carlo I Gonzaga e nominato marchese di Pomaro in Monferrato; Federico, avviato all'esercizio delle armi (militò per la Spagna nelle Fiandre e in Ungheria per l'Impero); Luigi, che si pose al servizio dell'Impero; Camillo, per molti anni generale dell'esercito veneziano; Annibale, maresciallo anch'egli dell'Impero, quindi famiglio alla corte dell'imperatrice Eleonora Gonzaga e insignito poi del Toson d'oro da Filippo IV di Spagna; Carlo, che si laureò all'Università di Salamanca, divenendo abate commendatario di Lucedio, nel Monferrato; Isabella, che si fece religiosa.
Nel 1609, in seguito alla morte senza eredi di Giulio Cesare Gonzaga principe di Bozzolo, fratello di Ferrante, I. prese ad amministrare anche tale dominio, passato in eredità al figlio Scipione insieme con le terre di Rivarolo Fuori, Pomponesco e Commessaggio. A esse si aggiunse nel 1615 il Marchesato di Ostiano, rinunciato a favore di Scipione dallo zio Annibale, vescovo di Mantova.
Le cronache dell'epoca riferiscono del buon governo operato da I. nei confronti della comunità bozzolese; a lei si deve nel 1610 la promulgazione di quegli importanti Ordini e decreti per il governo della città, il cui impianto si deve tuttavia fare risalire al cognato Giulio Cesare. Istituì inoltre un pubblico archivio notarile, ponendo anche grande cura nella corretta amministrazione della giustizia. Nel 1609, in occasione di una piena particolarmente rovinosa del Po, seppe impartire sagge disposizioni che risparmiarono ai territori da lei amministrati i gravi danni che solitamente li devastavano.
Nel 1613 cedette il governo al figlio Scipione, ormai diciottenne, ritirandosi dopo un anno nella residenza di San Martino. Nelle sue vicinanze, a Gazzuolo, andò a vivere nel 1516 il giovane cardinale Vincenzo Gonzaga, che nel dicembre dell'anno precedente aveva rilevato la porpora dismessa dal fratello Ferdinando, divenuto duca di Mantova. Questi, a causa della condotta dissoluta e dei continui scandali suscitati a corte da Vincenzo, lo aveva allontanato, relegandolo a Gazzuolo. Da lì, il ventenne cardinale volle fare visita a I., che godeva fama di donna colta e brillante. Dotata ancora a quarant'anni di un aspetto fiorente, oltre che di grande ingegno e arguzia, I. nel corso dei loro pubblici incontri ammaliò con tali grazie il giovane, che questi si invaghì della matura cugina al punto da rinunciare di sua spontanea volontà alla porpora per sposarla impulsivamente nell'agosto 1616. I. non aveva voluto, infatti, accondiscendere alle sue volontà, sembra con meditata accortezza, senza aver prima celebrato regolari nozze. Nello stesso tempo in cui sposava I. nella cappella di San Martino, alla presenza del principe Scipione e del conte Alfonso, fratello della sposa, il giovane Vincenzo rinviò al papa Paolo V i simboli cardinalizi con fare irrispettoso e provocatorio, tale da suscitare le ire del pontefice, il quale già nel concistoro del 5 settembre ripagò il Gonzaga per la sua tracotanza decretandolo decaduto dall'alto ufficio.
La condotta di Vincenzo non fu approvata dal duca Ferdinando. Egli, preoccupato che il fratello perdesse i ricchi benefici ecclesiastici, e il casato i vantaggi politici di un seggio nel S. Collegio, operò immediatamente presso la S. Sede affinché fosse restituita l'alta dignità e dichiarato nullo il matrimonio, adducendo che era stato celebrato ancor prima che fosse giunta da Roma la dispensa della rinuncia alla porpora. In un primo tempo incontrò l'opposizione dello stesso Vincenzo, il quale, ancora confuso dal fascino di I., si adoperò personalmente presso il pontefice affinché riconoscesse il matrimonio. Nei mesi successivi la volontà del duca si inasprì al punto da allontanare il fratello da Gazzuolo e confinarlo a Goito fino a quando non avesse deciso di chiedere l'annullamento. Messo alle strette, anche economiche, il giovane si piegò alla politica del fratello, richiedendo sul finire del 1616 l'invalidazione del sacramento. Avendo in quello stesso tempo I. insinuato la possibilità di una presunta gravidanza, fu invitata a restare nel feudo di Gazzuolo sotto stretto controllo dei consiglieri del duca di Mantova finché non si fosse accertato il suo stato. Trascorso invano il periodo necessario, I. tornò a San Martino, mentre a Mantova si apriva un lungo braccio di ferro con il pontefice allo scopo di annullare le nozze di Vincenzo.
La via dell'annullamento fu in un primo tempo motivata da ragioni di affinità familiari dei due Gonzaga risalenti all'epoca del primo duca Federico, ragioni avallate da un autorevole parere legale rilasciato ad arte da tre docenti della Sorbona a istanza della regina Maria de' Medici, zia materna dello sposo. Non riconosciuta valevole tale via, il papa esortò, ma inascoltato, i due a ricongiungersi, minacciando di avocare a sé la facoltà di affidare la questione alla Sacra Rota. Negli anni successivi la pratica si trascinò inutilmente mediante diverse iniziative diplomatico-giudiziarie, che videro in opposizione i Gonzaga di Bozzolo e di Mantova.
Nel 1621 Ferdinando Gonzaga era ancora senza eredi, malgrado fossero trascorsi quattro anni dal suo matrimonio con Caterina de' Medici; nel timore di prematura morte del duca, tornarono dunque di attualità le vicende matrimoniali di Vincenzo, rovinose dal punto di vista dinastico e della successione in un momento in cui nelle cancellerie di tutta Europa già si disegnavano gli scenari futuri per l'assegnazione dei territori del Mantovano e del Monferrato. La necessità di liberare Vincenzo dal vincolo matrimoniale che ancora lo legava a I., in uno con l'impossibilità di toglierle la vita, protetta com'era dai Gonzaga di Bozzolo e di Novellara, fece saltare fuori in Mantova un'accusa di stregoneria nei confronti di Isabella. Secondo testimoni che si rivelarono poi prezzolati, cinque anni prima ella avrebbe stregato il giovane cardinale con filtri e pozioni magiche per convincerlo a sposarla. Dietro sollecitazione della corte ducale venne perciò istruito un processo dall'Inquisizione di Mantova. Consapevole dei rischi che avrebbe corso in quella città, esposta com'era ai ricatti di Ferdinando, e con scarse probabilità di vedersi riconosciuta innocente, nel 1623 I. si rifugiò a Roma, affidandosi al giudizio della suprema Inquisizione con il fermo proposito di strappare i testimoni dal diretto controllo del duca. Istruito un nuovo processo e convocati i testi dal tribunale romano, il duca si rifiutò di mandarli fin tanto che non fosse stata imprigionata la cognata, allora libera di circolare nella città e ossequiata dalla nobiltà romana. Sul finire del 1623, il nuovo pontefice Urbano VIII approvò l'avvio del processo, che si concluse in breve tempo dopo l'audizione dei testimoni mantovani, i quali ritrattarono tutte le accuse. Completamente scagionata, dopo un breve soggiorno nelle prigioni di Castel Sant'Angelo, I. uscì libera il 5 genn. 1624 ottenendo nel maggio successivo una sentenza di non colpevolezza.
Il 29 ott. 1626, con la morte a Mantova di Ferdinando Gonzaga e la successione al trono ducale di Vincenzo II, I. divenne a tutti gli effetti duchessa di Mantova, ricevendo la notizia a Roma, dov'era rimasta dopo la conclusione del processo. Il 3 apr. 1627 Urbano VIII affidò la causa di scioglimento alla Sacra Rota, nel corso della quale I., oltre a rinnovare la richiesta di validità del matrimonio contratto con il duca, avanzò istanza formale di risarcimento dei danni subiti e il riconoscimento dello stato di duchessa. Il 25 dicembre successivo, la morte di Vincenzo, risoluto fino all'ultimo a ripudiarla, pose termine alla dinastia dei Gonzaga di Mantova e alle tormentate vicende matrimoniali con Isabella.
Ritiratasi a Bozzolo nel monastero delle suore agostiniane, I. morì nel 1630, in seguito alla pestilenza seguita al sacco di Mantova.
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