iscrizioni e lapidi, lingua delle
Le iscrizioni e le lapidi rientrano nelle «scritture d’apparato» (Petrucci 1986) e si distinguono, tanto per il diverso supporto materiale (la pietra o il bronzo), quanto sul piano linguistico e testuale, da altri tipi di scritture ‘esposte’, quali insegne, manifesti e scritte di carattere spontaneo (cartelli, scritte murali; ➔ graffiti).
Le iscrizioni possono essere inserite in monumenti celebrativi, nei quali il testo figurativo ha un’importanza maggiore rispetto a quello verbale (come nelle scritte collocate in pitture, diffuse soprattutto tra il tardo medioevo e il primo Rinascimento; cfr. Ciociola 1989 e 1997), mentre le lapidi si caratterizzano come «scritte autonome» (Sabatini 1996).
Collocate per lo più in luoghi aperti, e indirizzate a chiunque vi passi davanti, iscrizioni e lapidi contengono messaggi specifici che si suppongono universalmente condivisi o che comunque esprimono l’ideologia del potere dominante o di gruppi sociali e politici da esso riconosciuti e accettati. Di norma, infatti, è l’autorità pubblica che dispone o concede la collocazione di una lapide e i committenti sono spesso citati nei testi delle scritte, per lo più alla fine, in una frase indipendente (in corpo minore del testo principale).
Per secoli la lingua normalmente usata per le lapidi e le epigrafi è stata il latino. Nel medioevo e ancora nel Cinquecento non mancano esempi di testi scritti integralmente o parzialmente in volgare (per un quadro complessivo dell’Italia settentrionale e della Toscana, cfr. Stussi 1997), ma le iscrizioni in latino restano la stragrande maggioranza. Anche successivamente il latino ha dominato pressoché incontrastato nell’epigrafia almeno fino all’inizio dell’Ottocento e ha avuto qualche tentativo di rilancio ancora nel Novecento, per es., durante il fascismo.
In ogni caso, alcune caratteristiche dell’epigrafia (e della lingua) latina hanno lasciato tracce anche nei testi scritti in italiano, nella grafia (i caratteri capitali delle lettere; l’indicazione delle date in numeri romani; l’assenza di punteggiatura; la resa con l’unico segno «V» sia della ‹v› sia dalla ‹u›, abbandonata del tutto solo in anni recenti), nella sintassi (la frequente collocazione del verbo alla fine) e nel lessico (dove abbondano i latinismi).
Come ricorda Nencioni (1993: 57-58), l’uso dell’italiano inizia col primo Ottocento nell’epigrafia sepolcrale, col sorgere dei moderni cimiteri suburbani, e dopo l’Unità nelle lapidi commemorative, in cui la scelta linguistica può essere motivata dalla ricerca di una più ampia leggibilità, ma sembra assumere spesso anche un significato ideologico, in direzione laica e anticlericale. A partire dagli anni successivi al 1861 le vie, le piazze e i giardini pubblici delle principali città italiane, ma anche dei centri minori, vennero arredati con iscrizioni che avevano una funzione unificatrice e omologante, al pari delle nuove intitolazioni delle vie urbane.
Due le tipologie più diffuse: le targhe apposte sui muri di case e palazzi cittadini a ricordare un avvenimento o, più spesso, la nascita o la morte di una personalità degna di essere annoverata tra le ‘glorie’ locali, oppure la permanenza o il semplice passaggio di uno degli ‘uomini illustri’ della nazione (talvolta anche di stranieri); i nuovi monumenti di carattere patriottico (statue, colonne, ecc.), eretti a celebrare (anche attraverso le scritte) prima i grandi del Risorgimento e poi, via via, i caduti delle due guerre mondiali e della Resistenza, le vittime del terrorismo, ecc.
Ma il compito delle scritte non è solo quello di dar lustro ai personaggi menzionati, ma anche ai centri che hanno dato loro i natali, o che li hanno ospitati, o che comunque si sono preoccupati di ricordarli. Mancano raccolte complessive di questi testi, se non limitate a singole città o province e/o a periodi o eventi circoscritti, come la Grande guerra (cfr., per es., Huetter 1959-1962 e Vidotto, Tobia & Brice 1998 per Roma; Cuppini, De Marzi & Desideri 1995 per Pesaro e Urbino; Petrantoni 1997 per Milano; Mangiavacchi & Vigni 2007 per Siena), e rari sono gli studi linguistici.
Dato il loro carattere prevalentemente commemorativo, Mortara Garavelli (1988: 162) inserisce le epigrafi tra i testi narrativi, nella sottoclasse costituita da massime, motti proverbiali, detti, aforismi, sulla base dei tratti della brevità (su cui cfr. anche D’Achille 2008) e della pregnanza di significato. Più decisamente in questa sottoclasse rientrano le scritte murali fasciste, contenenti motti o frasi tratti dai discorsi di Mussolini, la cui collocazione negli spazi urbani e rurali fu attentamente studiata (Desideri 1998). Ma i testi di carattere gnomico o prescrittivo sono rari rispetto a quelli commemorativi, di gran lunga predominanti.
La lingua delle iscrizioni e delle lapidi mostra caratteristiche un po’ diverse a seconda dell’epoca di esecuzione: per Milano è stato notato (D’Achille 1997) che le scritte affisse negli anni Sessanta e Settanta dell’Ottocento sono molto sobrie:
In questa casa
nel giorno xviii marzo mdcccxlviii
si raccolsero
i capi della insurrezione di Milano
contro gli austriaci
mentre quelle di fine secolo e del primo ventennio del Novecento usano una lingua assai più ricercata:
Questa casa fece ne’ secoli memoranda
Giuseppe Verdi
[…]
che avvivò nei petti italici con celestiali armonie
il desiderio e la speranza di una patria
Questa ampollosità retorica si protrae e si intensifica in epoca fascista, mentre le scritte della Resistenza puntano alla solennità attraverso la concisione:
… in supremo anelito di libertà
hanno donato la vita
Se nelle epigrafi del secondo dopoguerra, fino alla fine degli anni Sessanta, si nota un conformismo linguistico che rende i testi alquanto sbiaditi, dagli anni Settanta in poi le epigrafi presentano una più ricca varietà di stili e registri.
In generale, l’italiano delle epigrafi mostra molto di rado deviazioni dallo standard, ma è spesso venato da tratti arcaizzanti, adottati per conferire ai testi una certa solennità, consona al loro carattere pubblico. Sul piano grafico – dove sono fondamentali anche gli aspetti extralinguistici, come la distribuzione del testo nelle varie righe (che consente l’isolamento e quindi la messa in rilievo di alcuni elementi) e l’assenza di spezzature delle parole negli a capo – si segnala la rarità delle elisioni e la frequenza della d eufonica.
Dal punto di vista morfologico, si nota la predilezione per il ➔ passato remoto, anche in forme arcaiche (offerse, diè), usato sia nelle parti narrative (nacque, morì), sia in quelle in cui compare l’emittente della scritta stessa (pose, dedicò), tanto che i due eventi sono spesso posti sullo stesso piano, in rapporto al momento della lettura del testo, ed è la successione testuale a determinare quella temporale. Non manca però il ricorso all’➔imperfetto anche per azioni puntuali (moriva); più raro il passato prossimo e il presente:
l’opera e il nome
del cardinale Federico Borromeo
[…]
Milano onorata reverente ricorda
A livello sintattico, frequentissima è l’anteposizione dell’aggettivo, anche di relazione, al sostantivo (perenne ricordo; teutonica violenza; italica redenzione; presenta estremo sacrificio anche un’epigrafe posta a Roma nel 2001) e dell’avverbio al verbo (romanamente caddero; orrendamente straziati), come pure la già citata collocazione del verbo alla fine della frase:
Giuseppe Garibaldi
qui dimorò
Spiccano inoltre le dittologie (dedica e consacra), le anafore di preposizioni (di fede e di lealtà), i participi e i gerundi e, a livello lessicale, gli aulicismi (avìto, strenuamente, auspicio, onusto, ove locativo).
Sul piano testuale, è notevole anzitutto la presenza di elementi di deissi (➔ deittici) che fanno esplicito riferimento al contesto extralinguistico in cui le lapidi sono collocate e che ne giustificano l’esistenza (questa casa; qui; in questa via) o al supporto materiale del testo o al testo stesso (questo marmo, questa lapide, questo ricordo). Rara la deissi personale, con allocuzioni ai celebrati:
o beatissimi voi che offriste
il petto
alle nemiche lance
o ai potenziali lettori
viandante […]
tu sei giunto presso
la pietra che ricorda un olocausto immenso
vi sta di fronte
la casa dove nacque
Ettore Bugatti
Caratteristici anche i frequenti fenomeni di ellissi: il verbo manca spesso nelle scritte dei monumenti dedicati ai caduti:
Acqualagna
ai suoi caduti
(Desideri 1995)
le valenze verbali non sono sempre saturate:
regnando Umberto I
il comune di Roma edificò
(Sabatini 1999: 156)
e in particolare il verbo porre manca dell’oggetto diretto (Il Comune pose, che sottintende questa epigrafe). Lo stilema è frequente anche nelle lapidi sepolcrali, i cui testi peraltro si sono progressivamente ridotti, fino a limitarsi, di norma, ai nomi dei defunti e alle loro date di nascita e di morte.
I redattori dei testi delle epigrafi restano in genere anonimi. Non mancano però casi di epigrafi d’autore, come la lapide di Caiazzo del 1943, scritta da Benedetto Croce a ricordo della strage nazista (Petrucci 1986: 143) o l’“Ode a Kesselring” di Pietro Calamandrei, collocata nel 1952 nell’atrio del Palazzo comunale di Cuneo, il cui famoso incipit
Lo avrai
camerata Kesselring
il monumento che pretendi da noi italiani
ma con che pietra si costruirà
a deciderlo tocca a noi
presenta una dislocazione a destra assolutamente eccezionale nella lingua dell’epigrafia.
Ciociola, Claudio (1989), “Visibile parlare”: agenda, «Rivista di letteratura» 7, pp. 9-77.
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Cuppini, Silvia, De Marzi, Giacomo & Desideri, Paola (1995), La memoria storica tra parola e immagine. I monumenti celebrativi nella provincia di Pesaro e Urbino dal Risorgimento alla Liberazione, Urbino, Quattro Venti.
D’Achille, Paolo (1997), Aspetti linguistici dell’epigrafia milanese contemporanea, in Petrantoni 1997, pp. 157-173.
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Desideri, Paola (1995), Parole sulla pietra, in Cuppini, De Marzi & Desideri 1995, pp. 47-62.
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Petrucci, Armando (1986), La scrittura. Ideologia e rappresentazione, Torino, Einaudi.
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Sabatini, Francesco (1999), ‘Rigidità-espicitezza’ vs ‘elasticità-implicitezza’: possibili parametri massimi per una tipologia dei testi, in Linguistica testuale comparativa. In memoriam Maria-Elisabeth Conte. Atti del Convegno interannuale della Società di Linguistica Italiana (Copenaghen, 5-7 febbraio 1998), a cura di G. Skytte & F. Sabatini, København, Museum Tusculanum Press, pp. 213-229.
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Vidotto, Vittorio, Tobia, Bruno & Brice, Catherine (a cura di) (1998), La memoria perduta. I monumenti ai caduti della Grande Guerra a Roma e nel Lazio, Roma, Argos.