ISLANDA (XIX, p. 622; App. I, p. 739; II, 11, p. 67; III, 1, p. 898)
L'isola ha visto gradualmente crescere i suoi abitanti (216.628 nel 1974; densità 2 ab. per km2), dato il coefficente d'aumento piuttosto elevato (13‰ all'anno). Sempre più pronunciata è la tendenza a vivere nelle città (indice urbano: 86%), mentre i centri di colonizzazione nell'interno risultano in regresso. Nel 1974, oltre la capitale (Reykjavik: 84.772 ab.), superano 10.000 ab. Kópavogur (11.463) e Hafnarfjördur (10.926), che si possono considerare sue gemmazioni, e Akureyri (11.484), centro commerciale, industriale e amministrativo dell'I. settentrionale.
Il vulcanismo ha dato luogo a manifestazioni imponenti. Il 14 novembre 1963 è sorta presso le coste meridionali una nuova isola (Surtsey) e l'eruzione è continuata fino al maggio 1965, con la formazione di un vulcano, detto Surtur. Nel 1970 si è risvegliato il vulcano Hekla. Ma danni considerevoli ha causato soprattutto l'eruzione del Heimaey nella maggiore isola del gruppo di Vestmannaeyjar, che, iniziata il 23 gennaio 1973, è durata per 5 mesi e ha fortemente danneggiato la città di Vestmannaeyjar (4906 ab.), distruggendo la terza parte dell'abitato e costringendo gli altri abitanti ad abbandonare temporaneamente le loro case.
L'economia non ha subito modificazioni di rilievo. Mentre le colture sono limitate a un migliaio di ha (destinati alle patate), cui sono da aggiungere numerose serre che utilizzano per il riscaldamento le acque termali, in progresso risulta l'allevamento ovino (846.000 capi) e bovino (67.000) e quindi la produzione di latte e di burro. Una fabbrica di alluminio lavora a Straumsvik. Per ora modesto è il movimento turistico (71.676 visitatori nel 1975). La pesca continua a essere la principale risorsa; essa è passata da 734.000 t (1970) a 994.791 (1975) (in prevalenza merluzzi e aringhe), e in pari tempo hanno progredito le industrie che ne derivano (olio e farina di pesce). In regresso invece la caccia alla balena (365 unità nel 1973-74). La fascia riservata alla pesca, che a partire dal 10 settembre 1958 era stata estesa a 12 miglia, è stata portata dal febbraio 1972 a 50 miglia, non senza suscitare proteste da parte di pescatori stranieri (soprattutto inglesi). La flotta commerciale conta ora su 154.381 t di stazza, cui sono da aggiungere 996 unità (per 167.000 t) dedite alla pesca. La bilancia commerciale risulta passiva, influenzata dall'accresciuto costo dell'olio combustibile, necessario ai pescherecci, mentre per il riscaldamento delle case s'impiega in misura crescente l'acqua delle sorgenti calde, oltre che l'energia idrica. In seguito a un accordo stipulato il 26 settembre 1974 gli Stati Uniti conservano la base di Keflavik.
Bibl.: C. F. Capello, Surtsey, una nuova isola vulcanica islandese, in Rivista geografica italiana, LXXI (1964), pp. 139-44; S. Thorarinsson, Surtsey. Geburt einer Vulkaninsel im Nordmeer, Zurigo 1966; W. Taubmann, Islands Landwirtschaft in Erdkunde, XXIV (1969), pp. 30-47; V. Kristinsson, Population distribution and standard of living in Iceland, in Geoforum, XIII (1973), pp. 53-62.
Storia. - La politica dell'I. degli anni Sessanta e Settanta è dominata dalla contesa sui diritti di pesca, riaperta col secondo allargamento delle acque territoriali (da 4 a 12 miglia), stabilito unilateralmente nel 1958. La politica di successive estensioni delle acque territoriali mira a proteggere, anche a costo di ripetuti contrasti economici e diplomatici con la Gran Bretagna (incidenti in alto mare dopo il 1958 e nell'inverno 1972-73), la pesca islandese dalla concorrenza delle più moderne flotte britannica e tedesca, per salvaguardare quella che rimane tuttora la base dell'esportazione (90%) e di tutta l'economia islandese. L'iniziativa del 1958 era stata presa dal governo Jónasson, formato dai partiti progressista (agrario) e socialdemocratico e dall'Alleanza del popolo (formata nel 1956 dal partito comunista con l'aggregazione di socialdemocratici dissidenti), già ostili al mantenimento della base NATO di Keflavik: larghissimo il consenso dell'opinione pubblica, incalzante l'Alleanza (cui non sarebbero dispiaciute ripercussioni negative sui rapporti con la NATO), mentre l'opposizione (gl'indipendentisti), ferma sostenitrice della NATO, limitava le sue critiche alle forme dell'azione governativa. Nel 1961 la Gran Bretagna e la RFG accettarono le 12 miglia.
Le elezioni del 1971 segnarono la caduta della coalizione fra socialdemocratici e indipendentisti (conservatori), che aveva governato l'Islanda dal 1959, con i leaders Thors e Benediktsson, e l'avvento del gabinetto Johanesson, formato dai progressisti, dall'Alleanza del popolo e dall'Unione dei liberali e delle sinistre (costituita nel 1970 dal sindacalista Valdimarsson con i comunisti che dissentivano sull'occupazione sovietica della Cecoslovacchia). Nella questione della permanenza nella NATO, controversa nella coalizione, prevalse la linea che intendeva mutare sostanzialmente la posizione islandese, senza uscire dall'alleanza, ma imponendo la revisione del trattato del 1951 e il graduale sgombero di Keflavik; un passo in tal senso fu compiuto nel 1973 presso la NATO. Sull'importanza strategica di Keflavik per la rotta dell'Atlantico del nord ha potuto far leva il nuovo governo islandese, ancora più sensibile alle correnti isolazionistiche e al peso dei comunisti, quando aprì una nuova fase della contesa sui diritti di pesca, portando nel 1972 le frontiere di pesca a 50 miglia e istituendo una zona di 100 miglia anti-inquinamento (misure, queste, che colpirono oltre la Gran Bretagna anche la RFG). L'atteggiamento intransigente islandese (nel maggio del 1973 ebbe luogo la rottura delle trattative anglo-islandesi dopo gl'incidenti in alto mare dell'inverno) fu mantenuto nei confronti sia delle due potenze alleate, sia della CEE e della Corte internazionale dell'Aja (1972-73). Il 12 ottobre 1974 fu concluso un accordo ad interim con la Gran Bretagna. Si attende ormai la proclamazione ufficiale, da parte del nuovo ministero Hallgrimsson, di una frontiera marittima economica di 200 miglia, già ventilata fin dalla costituzione del gabinetto (agosto 1974).
Tutta la politica estera islandese è venata di isolazionismo, non solo nei riguardi della NATO (cui contribuisce sostanzialmente solo con la base di Keflavik, mancando di forze armate), ma anche nel quadro della cooperazione nordica (v. svezia), cui partecipa con evidente distacco. Dopo aver aderito con ritardo (nel 1970) all'EFTA l'I. ha concluso nel luglio 1972 un accordo di libero scambio con la CEE (avversato peraltro dal partito comunista). Nell'agosto 1976 è stato rieletto presidente della Repubblica Geir Hallgrimsson.
Bibl.: M. Davis, Iceland extends its fisheries limits. A political analysis, (Oslo) 1963; N. Andrén, Government and politics in the nordic countries, Stoccolma-Göteborg-Uppsala 1964; J. C. Griffith, Modern Iceland, Londra 1969; R. Bjarnason, The security of Iceland, in Five Roads to Security, a cura di J. J. Holst, Oslo-Bergen-Tromsø 1973.
Letteratura. - Per lungo tempo, anche per gran parte del nostro secolo, la cultura e la vita intellettuale islandese sono rimaste ferme al loro grande passato. L'insularità, per non dire l'isolamento della vita nazionale, è qui documentata dall'estremo conservatorismo linguistico. Fino alla totale indipendenza politica dalla Danimarca (17 giugno 1944), la letteratura islandese odierna ha serbato l'arcaica impronta linguistica e tematica della sua classicità medievale, malgrado le ovvie innovazioni fonetiche e neologistiche.
Quando nel 1930 il Kvaedhakver ("Quaderno di poesia") di H. Laxness segnò il trionfo del verso libero e, poco dopo, il panegirico dell'Unione Sovietica di Th. Thórdharson (Raudhahaetten, "Il pericolo rosso", 1935) aprì la via a nuove esperienze politiche, anche i più recenti fermenti culturali europei cominciarono a penetrare e a permeare la società sostanzialmente contadina dell'isola.
La più giovane generazione di scrittori - qui pure, grosso modo, scissa fra filooccidentali e filocomunisti - si fronteggia oggi in fervidi dibattiti ideologici sulla stampa, nei periodici (notevolissimo Birtingur, 1953 segg.) e in una rinnovata attività editoriale (traduzioni dalle grandi lingue europee moderne e antiche, studi, edizioni critiche del corpus delle Saghe norrene, ecc.).
Se da una parte H. Laxness (premio Nobel 1955), che ha dato il meglio di sé nella narrativa riesumando e modernizzando temi e modi dell'epica islandese antica (Gerpla, "Eroica", 1958; Paradhísarheimt, "Il paradiso riconquistato", 1960), ancora alterna l'opera creativa con una alquanto conformistica polemica antiamericana (Land til salgs, "Paese in vendita", 1966) e con intervalli di più seria autocritica (Upphaf mannu-dharstefnu, "Inizio dell'età umana", 1965); se, accanto a lui, G. Gunnarsson (n. 1889), scrivente per lo più in danese, gode di una fama, certo superiore al suo merito, per i romanzi una volta celeberrimi intessuti di fatalismo, di senso della colpa e del castigo, e ambientati nel nostro tempo (Borgslaegtens historie, "La famiglia di Borg", 1915, tradotto anche in italiano; Sálumessa, "Messa di requiem", 1952), la letteratura moderna d'I., nella sua tenace ma confusa volontà d'emancipazione e di cosmopolitismo, viene spesso valutata in base a criteri extraestetici.
Già il poeta rivoluzionario Steinn Steinarr (1908-1938) era assurto, per gli "scrittori dell'era atomica", a modello illustre da seguire per il suo messaggio sociale e per l'anticonformismo linguistico. E poi hanno mirato, sul suo esempio, alla libertà dalla metrica tradizionale e alla trattazione dei più scottanti temi contemporanei sia il traduttore di T. S. Eliot, Jón úr Vör (n. 1917), nei versi quasi "parlati" (Stund milli stridha, "Tregua fra le guerre", 1942; Medh örvalausum boga, "L'arco senza frecce", 1951); sia Thor Vilhjálmsson (n. 1925), introduttore in I. delle idee espressionistiche ed esistenzialistiche (sartriane) con la sua lirica (Andlit í spegli dropans, "Nello specchio di una goccia", 1957) sia, finalmente, Hannes Pétursson (n. 1931) che, sfidando ciò che una piccola società arcaica ancor oggi giudica quasi tradimento della patria, esprime in liriche d'intonazione popolareggiante ma di forme aperte (Stund og stadhir, "Tempo e spazio", 1962) il senso del nostro tempo sconvolto dall'angoscia.
Bibl.: K. E. Andréssen, Íslenzkar nútímabókmenntir 1918-1948, Reykiavík 1949; M. Gabrieli, Storia delle lett. della Scandinavia, Firenze-Milano 19692.