ISLANDA
(XIX, p. 622; App. I, p. 739; II, II, p. 67; III, I, p. 898; IV, II, p. 236)
Stime anagrafiche del 1990 attribuiscono al paese una popolazione di 255.708 ab. (erano 229.187 al censimento del 1980), corrispondenti a una densità media di 2,5 ab./km2. I centri costieri grandi e piccoli ospitano il 90% della popolazione, mentre i centri di colonizzazione dell'interno continuano ad avere un peso irrilevante. Sempre più evidente è l'importanza del distretto di Reykjanes (situato a sud-ovest), nel quale si concentrano i due terzi della popolazione dell'intero paese e dove la densità sale a 81 ab./km2. Le tre principali città di questo distretto − Reykjavik, la capitale (97.569 ab.), Hafnarfjördur (15.151 ab.) e Kópavogur (16.186 ab.) − formano una conurbazione che, insieme con la settentrionale Akureyri (14.174 ab.), esercita una sempre maggiore attrazione sulla popolazione isolana.
Il tasso di natalità, a partire dalla seconda metà degli anni Settanta, è sceso al 18,7‰. Il tasso di mortalità (6,7‰) è leggermente aumentato rispetto al decennio precedente (6,5‰), mentre quello di mortalità infantile, passato dal 12,5‰ del 1975 al 6,3‰ del 1990, è uno dei più bassi del mondo.
Nel 1990, secondo le stime della Banca Mondiale, il prodotto interno lordo dell'I. (misurato ai prezzi 1988-90) è risultato di quasi 5,5 miliardi di dollari USA, corrispondenti a oltre 21.000 dollari pro capite (un valore che colloca il paese nell'ambito dei primi quindici della graduatoria mondiale). Nel corso degli anni Ottanta il PIL si è mediamente incrementato a una media annua del 2,4%; l'accrescimento del PIL pro capite è risultato solo dell'1,2% annuo: questi due valori hanno sensibilmente risentito del decremento verificatosi negli anni 1988-90, valutato attorno a un 4% annuo. In fatto di utilizzazione del suolo si osserva un aumento dell'area coltivabile (dallo 0,01% del 1976 all'1,3% del 1989) che, irrilevante in termini assoluti, è degno di nota in considerazione della rudezza del clima. Tra i vegetali, solo la patata riesce a completare il ciclo vegetativo all'aperto in alcune zone particolarmente solatìe (1000 ha per 149.000 q nel 1990); le restanti produzioni vegetali si ottengono in serre che utilizzano le acque termali come fonte di riscaldamento. I cereali rappresentano una delle voci più rilevanti dell'importazione (131.000 q importati nel 1989). L'allevamento ovino rappresenta tuttora una risorsa di rilievo (548.000 capi e 1200 t di filati di lana nel 1990) e fornisce, insieme a quello bovino (75.000 capi), una discreta produzione di latticini e di carne. In progresso l'allevamento suino e degli animali da pelliccia, e l'avicoltura. La principale risorsa dell'I. rimane tuttavia la pesca (1.501.000 t di pescato nel 1990), i cui prodotti rappresentano la voce più importante delle esportazioni islandesi.
Nel 1984 è stato creato un organismo che si prefigge di raccogliere le conoscenze relative alla pesca, alla biologia marina e alle tecniche di conservazione e di vendita dei prodotti ittici, al fine di una migliore tutela e di un ulteriore sviluppo dell'industria ittica islandese, che è servita da una flotta peschereccia di 966 unità per 126.000 t di stazza.
Povera di risorse minerarie e di combustibili, l'I. ricava il 95% dell'energia elettrica da centrali idroelettriche; il restante 5% è di origine geotermica. Le principali attività industriali sono legate alla lavorazione dei prodotti ittici. Una certa importanza riveste anche l'industria dell'alluminio, localizzata a Straumsvík, la cui produzione viene in gran parte esportata.
Nell'ultimo decennio, la bilancia commerciale ha ridotto progressivamente il suo deficit, raggiungendo il pareggio nel 1989, grazie al minor costo dei prodotti petroliferi e all'aumento sui mercati internazionali (specialmente nordamericani) dei prezzi dei prodotti ittici.
Bibl.: F. Bonasera, Reykjavik, la capitale più settentrionale del mondo, in Annali Fac. di Econ. e Comm. Univ. di Palermo, 1964, pp. 1-50; J.R. Coll, S. Jonson, Iceland after the cod war, in Geography, Sheffield 1979, pp. 129-33; L. La Rivière, Problèmes humains et économiques de l'Islande, Poitiers 1982, pp. 5-16; P. Biays, L'Islande, Parigi 1983; E.L. Jackson, Energy development, tourism and nature conservation in Iceland. Essays honouring Don Gill, a cura di R. Olson, R. Hastings, F. Geddes, Edmonton 1984, pp. 387-403; R. Friolo, L'attività peschereccia in Islanda, in Geografia nelle scuole, 1987, pp. 448-55; Id., Islanda: Condizionamenti climatici e dissesto idrogeologico, ibid., 1988, pp. 37-44; E. Manzi, Islanda, in E. Manzi, A. Melelli, P. Persi, L'Europa occidentale, Torino 1990, ii, pp. 286-94.
Storia. - Gli accordi sui diritti di pesca, stipulati nella seconda metà degli anni Settanta e nella prima metà degli anni Ottanta, hanno migliorato i rapporti internazionali dell'I.; rapporti che soprattutto con la Gran Bretagna avevano attraversato momenti di forte tensione fino alla rottura delle relazioni diplomatiche, avvenuta pochi mesi prima dell'accordo raggiunto nel giugno 1976. Anche con la Danimarca e la Norvegia sono state stipulate intese (1980-81) che definivano le rispettive aree di pesca, dopo che l'I. aveva esteso la propria zona di diritto fino a 200 miglia marine.
La pesca continua a rappresentare la principale risorsa del paese e costituisce la quota principale delle esportazioni, condizionando in modo determinante l'equilibrio della bilancia commerciale. L'I. è peraltro dipendente dalle importazioni per una vasta gamma di materie prime e di prodotti; è perciò nel complesso molto esposta alle oscillazioni del mercato internazionale e ha fortemente risentito della crisi mondiale della metà degli anni Settanta. I problemi di ordine economico hanno rappresentato pertanto una delle principali cause dell'instabilità politica che ha caratterizzato il paese.
Le elezioni del giugno 1974 portarono alla formazione di un governo di cui facevano parte il Partito progressista e il Partito indipendentista guidato da G. Hallgrímsson. La politica deflazionistica varata dalla nuova coalizione e volta a combattere l'elevato tasso d'inflazione suscitò un profondo malcontento e sfociò, con le elezioni del giugno 1978, nella netta sconfitta dei partiti di governo e nella vittoria delle sinistre. Il governo costituitosi in settembre, guidato dal progressista O. Jóhannesson e composto dal Partito progressista, del Partito socialdemocratico e dall'Alleanza popolare, ebbe un'esistenza piuttosto travagliata a causa delle divisioni interne riguardanti sia le scelte economiche che quelle di politica estera, soprattutto per l'opposizione dell'Alleanza del popolo alla permanenza dell'I. nella NATO. L'uscita dei socialdemocratici portò alle dimissioni del governo e alle elezioni politiche, che si svolsero nel dicembre 1979 ma non modificarono in modo decisivo la situazione. Nel febbraio 1980 si formò un governo presieduto da G. Thoroddsen, cui parteciparono gli indipendentisti, i progressisti e l'Alleanza popolare.
Nel giugno 1980 fu eletta alla presidenza della Repubblica V. Finnbogadóttir, candidata indipendente appoggiata dalle sinistre, nota per la sua opposizione alle basi militari USA in I., che fu confermata nella carica nel 1984. Minato da contrasti interni, il governo di Thoroddsen rassegnò le dimissioni e nell'aprile del 1983 si svolsero le elezioni generali che segnarono un'avanzata degli indipendentisti e l'ingresso in Parlamento di due nuovi partiti: la Federazione socialdemocratica (scioltasi poi nel 1986) e l'Alleanza delle donne, che conquistarono insieme il 13% dei voti. Si formò un governo di centro destra con indipendentisti e progressisti, guidato dal progressista S. Hermannsson il cui problema fondamentale fu quello della riduzione del tasso d'inflazione, salito nel 1983 all'87%. Fu varata perciò una politica deflazionistica, che portò a sospendere l'indicizzazione dei salari, mentre con una nuova svalutazione della corona si cercò di sostenere la competitività delle esportazioni.
Le elezioni dell'aprile 1987, in cui il diritto di voto fu abbassato a diciotto anni, registrarono una sconfitta dei partiti di governo, in particolare degli indipendentisti, un'avanzata dei socialdemocratici e dell'Alleanza delle donne, una buona affermazione del Partito dei cittadini, fondato in quello stesso anno su un programma genericamente conservatore con un'impronta di carattere populista. Dopo lunghe trattative, in luglio si costituì un nuovo governo guidato dall'indipendentista T. Pálsson e composto da socialdemocratici, progressisti e indipendentisti.
Nonostante si trovasse a operare in una situazione economica nettamente migliorata (il tasso d'inflazione era sceso nel 1986 al 12%), il governo, logorato da contrasti interni, si dimise nel settembre 1988. Il presidente della Repubblica V. Finnbogadóttir, confermata nella carica nel giugno 1988, affidò l'incarico a S. Hermannsson, che nello stesso mese di settembre varò un governo composto dai partiti della precedente coalizione, a cui nel settembre 1989 si aggiunge il Partito dei cittadini. Nell'aprile 1991 le elezioni registrarono la vittoria del Partito indipendente, che passò da 18 a 26 seggi, e la sconfitta del Partito dei cittadini, che non ottenne alcuna rappresentanza parlamentare. Pressoché immutata rimase la situazione delle altre forze politiche. Alla fine di aprile fu varato un governo di centro destra, composto dal Partito indipendentista e da quello socialdemocratico, presieduto da D. Oddsson, leader del Partito indipendentista.
Bibl.: H. Jonsson, Friends in conflict: the anglo-icelandic cod wars and the law of the sea, Hamden (Conn.) 1982; I. Einarsson, Patterns of societal development in Iceland, 1930-1980, Uppsala 1987; G. Gunnarson, The economic growth in Iceland nineteen ten to nineteen eighty: a productivity study, ivi 1990.
Letteratura. - Anche negli ultimi decenni coesistono e s'intrecciano − tematicamente e formalmente, al di fuori di scuole o gruppi letterari − orgogliosa fedeltà alla tradizione autoctona, volontà di rottura, ansiosa ricerca, oltre gli orizzonti nazionali, di nuovi modelli e di diverse tecniche espressive. Intatta la posizione di prestigio che la letteratura ha nel paese, e stretto il contatto con il pubblico. Alla lirica, ancora predominante, si affianca una sempre crescente produzione narrativa, spesso tematicamente legata all'I., anche se a volte l'immaginario nazionale si dilata a mondi fantastici, mutuati da diverse culture, non ultima quella ispano-americana.
Nel 1972 muore Jóhannes úr Kötlum (n. 1899), tra i primi fondatori della rivista d'avanguardia Raudhir pennar (1935-39, "Penne rosse"); nel 1974 scompaiono Thórbergur Thórdharson (n. 1889), tra i primi, negli anni Venti, ad aprire la via al socialismo e a nuove esperienze formali; e Gudhmundur Bödhvarson, visionario precursore dei poeti ''dell'età atomica''; nel 1975, Gunnar Gunnarsson (v. islanda: Letteratura, App. IV, ii, p. 237), impegnato nelle sue ultime opere, in lingua islandese, a inseguire immagini di storia nazionale; nel 1988, Ólafur Johánn Sigurdhsson (n. 1918), premio del Consiglio Nordico 1976, fedele anche nelle ultime liriche di Du minns en brunn (1976, "Ricordi una fonte") e di Adh lokum (1988, "Alla fine") al suo amore per la natura e la cultura popolare islandese.
La figura più rappresentativa della nazione è sempre Halldór Kiljan Laxness (v. App. III, i, p. 971), ultimamente ancora al centro dell'interesse per una fortunata drammatizzazione della tetralogia Heimsljós (1937-40, "Mondo luminoso") e la trasposizione cinematografica, per opera della figlia, del romanzo Kristnihald undir Jökli (1968, "Cura d'anime sotto il ghiacciaio"). Tra gli scrittori già noti oltre i confini nazionali, grande successo ha avuto Thor Vilhjálmsson (n. 1925) − dopo una lunga pausa narrativa dedicata in parte alla traduzione de Il nome della rosa di U. Eco − col romanzo Grámosinn glóir (1986, "Il lichene avvampa"), che può considerarsi un ritorno alle radici dopo i romanzi sperimentali di ambiente internazionale. La Reykjavík del dopoguerra, lacerata da contrasti politici e generazionali, spinta da un'ansia incontrollata di novità e di benessere, con le contraddizioni dovute alla presenza statunitense, è al centro di molti romanzi; ricordiamo Djöflaeyjan ris (1983, "L'isola del diavolo") e Gulleyjan (1986, "L'isola d'oro") di Einar Kárason (n. 1955), che presenta con amaro realismo la vita a Camp Thule; e la tetralogia di Andris di Pétur Gunnarsson (n. 1947), conclusa nel 1985 col fortunato Sagan öll ("Tutta la storia"), quadro ironico e acuto della gioventù del 1968. Diversa l'atmosfera della Reykjavík di Einar Már Gudhmundsson (n. 1954), che vede la città come metafora di una condizione esistenziale nei romanzi Riddarar hringstigens (1982, "I cavalieri della scala rotonda") e Eftirmáli regndropanna (1986, "Epilogo della goccia di pioggia").
Notevole, negli ultimi anni, il contributo femminile alla narrativa, teso a spezzare i vincoli della tradizione. Al rinnovamento della prosa ha concorso, sin dagli anni Sessanta, con novelle e romanzi di critica sociale, Svava Jacobsdóttir (n. 1930), che ultimamente ha riscosso successo in tutta la Scandinavia col romanzo Gunnladhar saga (1987, "La saga di Gunnlód"), ove intreccia confusamente problemi e catastrofi attuali (quella della centrale nucleare di Černobyl) con antichi miti norreni. A un modo personale di scrittura perviene anche Steinunn Sigurdhardóttir (n. 1950), con la fusione di toni quotidiani e lirici, nel romanzo Timathjófurinn (1987, "Il perditempo"). Interessante per lo stile e l'avanzata tecnica narrativa Hringsól (1987, "Rotazione") di Álfrún Gunnlaugsdóttir (n. 1938), docente di Scienza della letteratura.
Nel campo della lirica sono ancora presenti molti dei protagonisti della rivoluzione formale del dopoguerra, come Snorri Hjartarson (n. 1906), premio del Consiglio Nordico per la raccolta Hauströkkidh yfir mér (1979, "La tenebra d'autunno sul mio capo"); Jón ür Vör (n. 1917); Sigfús Dadhason (n. 1928) con la sua ultima raccolta Utlínar bakvidh minnidh (1987, "Contorni dietro la memoria"); Hannes Sigfússon (n. 1922), che affina il proprio linguaggio profetico e metaforico in Lágt muldur thrumunnar (1988, "Il debole sussurro della tempesta"); e, in modo particolare, Stefan Húrdur Grimsson (n. 1920), che nelle liriche di Tengsl (1987, "Connessioni") ricorre al mondo delle credenze popolari per dar forma ai suoi timori davanti alla minaccia d'inquinamento fisico e morale che incombe sul mondo di oggi.
La lezione del modernismo si fonde con forme tradizionali nell'ultima raccolta di Bödhvar Gudhmundsson (n. 1939), Vatnaskil (1987, "Spartiacque"), composta dopo quindici anni di silenzio. Ancorato alla cultura popolare è Thorsteinn frá Hamris (n. 1938) anche nell'ultima raccolta Urdhargaldur (1987, "La magia del deserto"). Tra i poeti radicati nella tradizione e insieme impegnati ad ampliare i confini della poesia islandese ricordiamo Matthías Johannessen (n. 1930) con la sua ultima raccolta Dagur af degi (1988, "Giorno dopo giorno"). Tra i giovani, ha avuto successo il surrealista Sjón (pseud. di Sigurjón B. Sigurdhsson, n. 1962), con la raccolta lirica Drengurinn medh röntgenaugen (1986, "Il ragazzo dagli occhi röntgen").
Dal 1950, anno di fondazione del teatro nazionale a Reykjavík, si sono moltiplicati i tentativi drammatici, che comunque risentono, per gran parte, della mancanza di una tradizione nazionale.
Tra gli scrittori di successo ricordiamo Jökull Jakobson (n. 1934); il marxista Vésteinn Lúdvíksson (n. 1945), autore di divertenti commedie di attualità; la già ricordata S. Jakobsdóttir, acuta osservatrice della condizione femminile e, in modo particolare, Birgir Sigurdhsson (n. 1937), che dopo il fortunato Pétur och Rúna (1973, "Pétur e Rúna") ha dimostrato la validità della sua vocazione drammatica con Dagur vonar (1987, "Giorno di speranza"), dramma familiare di abiezione e di speranza nella Reykjavík degli anni Cinquanta.
Bibl.: Bjarni M. Gíslason, Islands Litteratur efter Sagatiden, Copenaghen 1949; Kristinn E. Andrésson, Den moderna Islands litteratur 1918-48, Stoccolma 1955; Stefán Einarsson, A history of Icelandic literature, Ithaca (N.Y.) 1957; Id., Íslensk bókmenntasaga, Reykjavík 1961; H. Barüske, Die nordischen Literaturen, Berlino 1974; F. Paul, Grundzüge der neueren skandinavischen Literaturen, Darmstadt 1982; S. H. Rossel, A history of Scandinavian literature 1870-1980, Minneapolis 1982; Sveinn Skorri Höskuld, Modern literature, in Iceland, Reykjavík 1986, pp. 274-92.