Sardegna, italiano di
L’➔italiano regionale usato in Sardegna (cfr. Loi Corvetto 1983) è una varietà che, nei suoi tratti principali, è diffusa presso tutti gli strati sociali dell’isola, non è recepita come marcata in maniera negativa e non è quindi socialmente stigmatizzata. L’italiano regionale è accettato dai parlanti sardi ed è utilizzato in qualunque ambito, a differenza di altre varietà di italiano, più influenzate dal dialetto e diastraticamente marcate (➔ variazione diastratica), che nell’area sarda sono considerate negativamente dai nativi.
In Sardegna si ha pertanto una netta distinzione fra l’italiano usato in tutta l’area, le cui proprietà sono accettate da tutti i parlanti, anche non dialettofoni, e i tratti della produzione in italiano e derivanti dall’interferenza massiccia del dialetto, marcati negativamente dal punto di vista sociale. Nel primo tipo di italiano intervengono numerosi fattori: l’azione del dialetto, di cui si può avere anche una competenza passiva (➔ sardi, dialetti); la prevalenza di esiti italiani diffusi in diverse aree dell’Italia; l’impiego di forme che, pur essendo italiane, hanno significati differenti rispetto alle stesse forme usate in altre aree. Il secondo tipo di italiano presente nell’area sarda è fortemente orientato verso il dialetto, dal quale, spesso inconsapevolmente, prende molti tratti. Tale varietà è usata da dialettofoni con una scarsa conoscenza dell’italiano, che fanno frequente ricorso alla ➔ commutazione di codice per superare gli ostacoli dovuti appunto alla limitata conoscenza dell’italiano. Si tratta spesso di forme lessicali dialettali italianizzate nella morfologia (➔ italianizzazione dei dialetti), quali saffatte per vassoi, pistocchi per biscotti, sartania per padella, o di parole di una forma italiana ma dal significato proprio del dialetto, come torna «di nuovo, ancora» (campidanese torra). Socialmente, questa varietà è collocata al limite basso dell’asse diastratico e valutata come non accettabile.
In questa voce sarà presa in considerazione solo la varietà comunemente accettata dai parlanti, non marcata in negativo nella dimensione diastratica.
Le particolarità fonetiche dell’italiano regionale sardo sono la metafonesi (➔ metafonia), l’armonizzazione e la iatizzazione, tra i fenomeni vocalici; tra i fenomeni consonantici, il rafforzamento.
La metafonesi riguarda le vocali medie toniche, che si realizzano aperte [ε, ɔ] se seguite da vocale aperta o media, chiuse [e, o] se seguite da vocale chiusa: resa, tetto, sede, colto, dottore, sono pronunciate nell’italiano regionale sardo con [ɛ] e [ɔ]; resi, tetti, sedi, colti, dottori sono pronunciate con [e] e [o] per l’azione metafonetica della vocale finale. La metafonesi è diffusa anche nelle zone nelle quali non è presente a livello dialettale.
Strettamente connessa alla metafonesi è l’armonizzazione. Si tratta di una forma particolare di ➔ assimilazione vocalica a distanza, favorita dalla tendenza a semplificare l’articolazione della catena parlata. Nell’italiano regionale sardo si ha l’assimilazione ‘a catena’ del grado di apertura delle vocali medie: la vocale finale modifica il grado di apertura delle vocali toniche, le quali a loro volta influenzano il grado di apertura delle vocali che precedono la sillaba tonica. Si avrà pertanto mentale, secondo, regalo con [ɛ], ma mensile, secondi, repubblica con [e]; romeno, contento, rosato con [ɔ], ma contenti, romeni, rovina con [o].
La tendenza alla iatizzazione (cioè alla trasformazione del ➔ dittongo in ➔ iato e il conseguente cambiamento della struttura sillabica; ➔ sillaba) si manifesta in tutta l’area sarda, per quanto sia più marcata nell’area campidanese e soprattutto nel Cagliaritano. In tal modo le semiconsonanti (➔ semivocali) si trasformano in vocali, i bisillabi diventano trisillabi e i trisillabi diventano quadrisillabi: nell’italiano regionale sardo sono quindi realizzati come trisillabi pi.e.no, fi.u.me, bu.o.no. Forme quali quaranta, guardare, suonato, trasformandosi in quadrisillabe, ricevono l’➔accento secondario sull’elemento che originariamente era una semiconsonante: qú.a.ran.ta, gú.ar.da.re, sú.o.nato.
Tra i fenomeni riguardanti le consonanti il più evidente è il rafforzamento (➔ raddoppiamento sintattico). Tutte le consonanti, a eccezione di /r/ e /l/, sono rafforzate in posizione iniziale e interna di parola, anche nei casi derivanti da combinazioni sintattiche. La /r/ e la /l/ sono rafforzate in sede iniziale di parola o nei gruppi consonantici, ma non in sede mediana: pertanto si avrà la realizzazione rafforzata di /l/ sia in [lː]ana sia in la [lː]ana; in pala invece il segmento /l/ è articolato non rafforzato. Ugualmente /r/ è rafforzata in [rː]ana e in la [rː]ana, ma non in para.
Le consonanti ➔ fricative dentali sono realizzate come sonore in posizione intervocalica, tranne che a inizio di parola e in contesti intervocalici derivanti da processi sintattici. Si avrà pertanto ro[z]a con la fricativa sonora, ma la [s]era con la fricativa sorda. Le affricate ➔ dentali, che nelle varietà dialettali sarde sono in prevalenza sorde a inizio di parola, si realizzano costantemente come sonore: si avrà quindi [ʣ]ucchero, [ʣ]io con l’affricata sonora, anche se le forme corrispondenti nelle varietà dialettali sono [ˈʦukːuru], [ˈʦiu] con l’affricata sorda.
I fenomeni fonetici citati si hanno perlopiù in tutta l’area sarda. A livello dialettale, tuttavia, essi non sono presenti in ogni singola area: la metafonesi, per es., è tipica dei dialetti campidanese, logudorese, arborense, non dei dialetti gallurese e sassarese (➔ sardi, dialetti). Nell’italiano regionale la metafonesi si è diffusa in tutte le aree linguistiche per l’influenza esercitata dall’italiano parlato nelle maggiori aree, il Campidano con il ruolo egemone di Cagliari e il Logudoro. L’armonizzazione e la iatizzazione, invece, sono presenti nell’italiano parlato nell’area campidanese, logudorese, arborense e sassarese, non nell’area gallurese. Tra i fenomeni consonantici sono diffusi in tutta l’area sarda la sonorizzazione delle fricative dentali in posizione intervocalica, a eccezione dei contesti che derivano da processi fonotattici (➔ fonetica sintattica), la sonorizzazione delle affricate dentali a inizio di parola e il rafforzamento consonantico, con l’eccezione dell’area gallurese.
In relazione alla morfosintassi, i tratti che caratterizzano l’italiano regionale sardo sono essenzialmente fenomeni di polivalenza, la formazione dei gradi dell’aggettivo (➔ aggettivi), la posizione dell’aggettivo rispetto al nome, la posposizione del verbo e l’omissione dell’➔articolo determinativo.
La polivalenza di che è certamente un tratto dovuto all’influenza dei dialetti locali, ma nello stesso tempo è un fenomeno di ➔ semplificazione che l’italiano regionale sardo condivide con l’italiano parlato in vaste aree della Penisola. Frasi come
(1) è uno dei locali che ti servono cibo genuino
(2) è l’amico che ti ho parlato
sono diffuse non solo nell’area sarda, ma anche in altre aree italiane (➔ che polivalente; ➔ relative, frasi).
La polivalenza della preposizione a si manifesta sia coi verbi di moto (➔ movimento, verbi di) che richiederebbero per (per es., parto a Roma), sia nei contesti nei quali a seleziona l’➔accusativo preposizionale in dipendenza da verbi transitivi (chiama a Teresa; vuoi a Maria?). Questo tratto è tipico solo dell’italiano parlato nel Campidano e nel Logudoro, al pari dell’iterazione dell’aggettivo (➔ raddoppiamento espressivo) per indicare l’intensità di un processo (diventa rosso rosso, va svelto svelto) e dell’uso ridondante di tutto dopo pronome interrogativo, per indicare la pluralità degli elementi e nello stesso tempo la considerazione di ogni singolo elemento:
(3) chi tutto c’era?
(4) che tutto hai comprato?
Diffusa nell’italiano parlato in tutta la Sardegna è la tendenza a omettere l’articolo con la sequenza di aggettivo possessivo + nome di parentela:
(5) telefono a miei fratelli
(6) la casa di tuoi figli
Tale tendenza è dovuta all’azione esercitata dai dialetti solo nel Campidano e nel Logudoro, essendo il fenomeno sconosciuto nei dialetti parlati nelle altre aree. È invece limitata alle aree campidanese e logudorese l’omissione dell’articolo dinanzi ai nomi di professione (➔ appellativi) in combinazione con un nome proprio:
(7) il padre di professor Melis
(8) dottor Lai ha detto
In tutta l’area sarda si nota la tendenza a costruire il ➔ sintagma nominale secondo la successione articolo + nome + aggettivo (ho visto la casa nuova, ho venduto l’auto vecchia), per influenza dei dialetti locali, dato che nel campidanese, nell’arborense e nel logudorese è costante la posposizione dell’aggettivo al nome, mentre nel sassarese e nel gallurese, pur essendo ammesse sia l’anteposizione che la posposizione, prevale la tendenza alla collocazione posposta.
Diffusa solo nell’italiano parlato nelle aree campidanese, arborense e logudorese è invece la posposizione del verbo, dovuta all’influenza dei dialetti locali, che si manifesta:
(a) nelle frasi interrogative, a esclusione di quelle che iniziano con un pronome interrogativo:
(9) il giornale vuoi?
(10) arrivato sei?
(11) telefonando stai?
(b) nelle risposte:
(12) il giornale voglio
(13) Marco sono
(14) arrivato sono
(c) nel predicato nominale formato da aggettivo + che + verbo. Quest’ultimo costrutto ricorre anche nell’italiano di Gallura e del Sassarese:
(15) antipatica che sei
(16) buono che è questo pane
È da segnalare, infine, l’uso come ausiliare (➔ ausiliari, verbi) di volere, impiegato con il participio passato per indicare necessità e dovere (come accade anche in Campania e in Sicilia; ➔ meridionali, dialetti):
(17) la macchina vuole pagata [= «bisogna pagare la macchina»]
(18) questo vuole fatto [= «bisogna fare questo»].
Quanto al lessico, le peculiarità dell’italiano regionale sardo sono rappresentate principalmente da scelte particolari fra diverse possibilità sinonimiche offerte dall’italiano, dall’impiego di lessemi con significato diverso dall’➔italiano standard e dall’impiego di ➔ dialettismi.
Alla prima categoria appartengono, per es., forme come anguria, bietole, bollito, chiasso, far vela, fede, guancia, intrallazzo, muggine, spigola, spazzino, ghiaino. Quanto alla seconda, si nota, per es. in area cagliaritana, l’uso di canadese con il significato di «tuta sportiva». L’impiego di continente e di continentale, diffuso in tutta l’area sarda, rivela un significato peculiare poiché (come nota Dettori 2007) con questi lessemi i sardi si riferiscono non solo alla penisola italiana e ai suoi abitanti, ma anche alla Sicilia e ai siciliani.
Fra gli adattamenti semantici e i calchi basati sul dialetto si hanno, per es., cacciare «vomitare», brutta voglia «nausea» (da dial. [ˈgana ˈmala]), merdona «sorcio di fogna», cercare «molestare», lavamano «catino» (da [lavaˈmanu]), dare occasione «importunare», dire cosa «rimproverare» (da [ˈnai ˈɣɔza]), dire una cosa «confidare un segreto» (da [ˈnai ˈuna ˈɣɔza]), fungo di carne «cardarello» (da [kardoˈlinu de ˈpɛtːsa]), passata di … «grande quantità di …», troppo «molto» davanti a un aggettivo.
L’impiego di dialettalismi, infine, è circoscritto soprattutto a specifici campi semantici connessi alla gastronomia o, comunque, alla cultura locale. Si tratta di lessemi per i quali talvolta non esiste un corrispondente italiano, quali corbula «cesto di giunco o fieno», civrasciu [ʧiˈvraʒu] «tipo di pane», griva «tordi o merli lessati con mirto e sale», leppa «coltello a serramanico», pattadesa «coltello a serramanico di Pattada», fregula «tipo di pasta», pardula «formaggella», barracello «guardia armata giurata», pincaro «gioco della campana», aiò! «andiamo!».
In altri casi l’uso del dialettismo si deve al fatto che la parola dialettale è considerata più espressiva o serve a introdurre una distinzione semantica. L’impiego di ficchetto «impiccione» o crastula «pettegola» è, per es., favorito dalla maggiore espressività dei termini rispetto ai corrispondenti italiani. Talvolta il dialettismo è usato per creare differenziazioni all’interno dell’area sarda; in area campidanese, per es., si distinguono a volte i kulurzones dai ravioli, intendendo nel primo caso i ravioli a forma di foglia ripieni di patate o di formaggio prodotti in Ogliastra, in contrapposizione ai ravioli prodotti in Campidano e ripieni di ricotta. L’uso in Campidano di kulurzones, o anche kulurgionis, è presumibilmente dovuto a ragioni commerciali, dato che tali sono le diciture riportate sulle confezioni dei ravioli di patate o di formaggio.
È poi noto che la segmentazione della giornata avviene in Sardegna in relazione coi pasti principali: mattina è la denominazione della giornata fino al primo pasto, o pranzo, sera si riferisce all’arco della giornata fra il pranzo e il secondo pasto, o cena, notte alla parte della giornata successiva alla cena.
Regionalismi sardi possono essere facilmente individuati anche nella letteratura regionale, in opere scritte in italiano in cui sono ripresi moduli tipici del parlato. Un’indagine sul lessico regionale negli scrittori contemporanei (Dettori 2008) fornisce, per es., una significativa tipologia dei regionalismi utilizzati dallo scrittore isolano Marcello Fois nella sua opera Sempre caro (Nuoro 1998), quali confettare «condire», carena «carcassa», levarsi da mezzo ai piedi «liberarsi di», dire cose «fare pettegolezzi».
È frequente presso numerosi parlanti sardi la ➔ commutazione di codice. In passato questo fenomeno aveva una certa diffusione in tutte le aree linguistiche sarde a eccezione di quella campidanese, ove l’uso di una forma dialettale in un discorso in italiano era considerata negativamente da parte dei parlanti, che lo ammettevano solo in caso di lacuna lessicale. Recentemente invece il ricorso alla commutazione italiano / varietà dialettale sarda si nota anche nell’area campidanese, nella quale, unitamente a un ampio ricorso a termini dialettali italianizzati, è diffuso persino presso le giovani generazioni.
Ricorrono, per es., nella produzione linguistica dei giovani (De Cupin 1991) termini come sciolloriato «frastornato», allichirito «ben vestito, vestito a festa», ammollarinci «lasciati andare (soprattutto con una ragazza)», appuntorato «raffreddato», dengosa «viziata», crastula e crastulare rispettivamente «pettegola» e «spettegolare», cessu «perbacco, accidenti» (ma anche espressioni miste sardo/inglese del tipo cuccai party «party in cui è possibile agganciare delle ragazze»; ➔ giovanile, linguaggio). Nel parlato colloquiale delle giovani generazioni queste forme sono impiegate entro discorsi in italiano e si configurano come usi espressivi destinati a fare da collante fra i membri del medesimo gruppo. Recenti ricerche sul linguaggio giovanile in Sardegna hanno infatti messo in evidenza la funzione di aggregazione interna e, nel contempo, di contrapposizione nei confronti degli ‘esterni’ svolta dal dialetto (Mura Porcu & Gargiulo 2005: 306).
In questo contesto assume un ruolo innovativo appunto il dialetto, che consente la creazione di numerosi ➔ neologismi, anche con finalità espressive, ruolo che in altre varietà diatopiche è svolto piuttosto dai prestiti stranieri (Gargiulo 2002). Forme quali cassare «cogliere in fallo», trassare «fare intrallazzi», squartarato «crepato» sono dialettismi ormai entrati nella lingua dei giovani e utilizzati anche nella scrittura, per es. negli sms, e nelle scritte murali.
Lavinio (2008) documenta un nutrito corpus di forme dell’italiano regionale sardo e interessanti differenziazioni subregionali nel linguaggio giovanile: nel meridione dell’isola si hanno, per es., craccato «bocciato» o pivella «fidanzatina», a cui nel sassarese corrispondono rispettivamente crepato e pischella o pizzinna.
De Cupin, Malvio (1991), Phraseologia Kalaritana, Cagliari, Edizioni Universitarie della Sardegna.
Dettori, Antonietta (2007), Tra identità e alterità. “Continente” e “continentale” in Sardegna, in Dialetto, memoria & fantasia. Atti del Convegno (Sappada / Plodn, 28 giugno - 2 luglio 2006), a cura di G. Marcato, Padova, Unipress, pp. 393-403.
Dettori, Antonietta (2008), La variazione e gli usi. Il sardo contemporaneo fra oralità e scrittura letteraria, in L’Italia dei dialetti. Atti del Convegno (Sappada / Plodn, 27 giugno - 1° luglio 2007), a cura di G. Marcato, Padova, Unipress, pp. 425-440.
Gargiulo, Marco (2002), In Vela! Il linguaggio giovanile in Sardegna. Un’inchiesta sulle scuole superiori di Cagliari, Cagliari, AM&D.
Lavinio, Cristina (2008), Usare i dati per conoscere, per fare, per insegnare, in Ead. & Lanero, Gabriella (a cura di), Dimmi come parli … Indagine sugli usi linguistici giovanili in Sardegna, Cagliari, CUEC Editrice, pp. 201-234.
Loi Corvetto, Ines (1983), L’italiano regionale della Sardegna, Bologna, Zanichelli.
Mura Porcu, Anna Maria & Gargiulo, Marco (2005), Varietà a contatto nel linguaggio giovanile in Sardegna, in Atti del IV congresso di studi dell’Associazione italiana di linguistica applicata (Modena, 19-20 febbraio 2004), a cura di G. Banti et al., Perugia, Guerra, pp. 303-319.