Svevo, Italo
La coscienza inquieta dell’uomo comune
Protagonista dei romanzi di Italo Svevo è l’uomo comune, come il commerciante di La coscienza di Zeno, capolavoro della letteratura del Novecento. Zeno è un uomo logorato dai dubbi, incapace di gestire la propria vita, rappresentato con suprema ironia in tutta la sua infelicità
Italo Svevo è lo pseudonimo dello scrittore Ettore Schmitz, nato a Trieste nel 1861. Egli, tuttavia, non fu un letterato di professione: compì da giovane studi commerciali e lavorò dapprima come impiegato di banca e poi come uomo d’affari nell’attività industriale del suocero. Pertanto si dedicò al lavoro sui testi letterari (narrativi e teatrali) in modo saltuario. Anche l’incontro con James Joyce, che gli dette lezioni di lingua inglese, fu inizialmente funzionale alle sole necessità lavorative, e solo in seguito l’amicizia con lo scrittore irlandese riuscì a essere di stimolo per la sua passione letteraria.
La Prima guerra mondiale, inducendolo a una inattività forzata, favorì l’intensificarsi degli interessi letterari e lo studio della psicoanalisi intrapreso fin dal 1908 con l’apprendimento delle teorie freudiane. In questo periodo di letture e di riflessioni venne elaborata La coscienza di Zeno (1923). Il successo del romanzo, che avrebbe ottenuto subito il plauso della critica francese e poi il lento riconoscimento di quella italiana, portò Svevo a prendere piena coscienza delle sue capacità di scrittore, ma questa consapevolezza e il produttivo entusiasmo che ne derivò furono improvvisamente troncati dalla morte, sopraggiunta nel 1928 in seguito a un incidente stradale.
I suoi primi due romanzi (Una vita e Senilità) furono pubblicati nell’ultimo decennio dell’Ottocento e risentono, per l’analisi documentaria, del naturalismo francese, ma da esso si distanziano per l’attenzione prioritaria rivolta all’indagine psicologica dei personaggi, che sarà propria del romanzo novecentesco. In entrambe le opere Svevo si oppone al decadentismo di D’Annunzio, e con esso alla retorica dell’individuo eccezionale, per proclamare l’assurdità della vita e rappresentare l’uomo comune, privo di qualità.
I protagonisti dei suoi romanzi sono, infatti, degli anti-eroi, dalla natura incoerente, inetta e abulica; così Antonio Nitti, protagonista di Una vita, è un mediocre impiegato di banca, incapace di agire e di comprendere gli altri, tanto da soccombere alla sua inerzia fino al suicidio; ugualmente Emilio Brentani, protagonista di Senilità, è uno scrittore fallito che conduce una vita apatica, privo di qualsiasi energia vitale anche quando è coinvolto in una conturbante esperienza amorosa.
Il romanzo La coscienza di Zeno, capolavoro di Svevo, si presenta come l’autobiografia di un commerciante triestino, Zeno Cosini, altra incarnazione dell’antieroe. Scritto in prima persona, il romanzo abbandona completamente l’impianto naturalistico dei lavori precedenti e punta all’analisi introspettiva: dal monologo interiore del personaggio emergono esperienze di volta in volta grottesche e paradossali, alcune volte comiche oppure pietosamente umane, spesso assurde e imprevedibili.
Il protagonista, Zeno, aveva cominciato a fumare da ragazzo con gli amici della sua età, e aveva continuato di nascosto, rubando gli spiccioli dal taschino del panciotto di suo padre. Aveva fumato molto e in tutti i luoghi possibili finché, a seguito di un forte mal di gola, un dottore gli aveva vietato di fumare. Da quel momento aveva cominciato a fumare ogni sigaretta come fosse l’ultima, senza riuscire mai a smettere.
All’inizio del libro lo troviamo ormai sulla soglia dei sessant’anni, intenzionato a scrivere a scopo terapeutico la propria autobiografia e con essa un’analisi della propensione al fumo: per iniziare invoca l’assistenza delle sigarette, tutte così somiglianti a quella che tiene ancora in mano.
Zeno si presenta dunque come un uomo innamorato della sua malattia, conscio di essere un individuo comune e mediocre, incapace di vivere con gli altri e di mutare sé stesso, le sue abitudini e le sue manie. Attraverso di esso Svevo approfondisce la sua diagnosi della crisi dell’uomo contemporaneo: quel disagio, che sembra all’inizio un fatto individuale, si rivela un destino comune, al quale nessuno può sottrarsi.