Ius superveniens favorevole e custodia cautelare
Ogni qual volta il legislatore interviene in materia di custodia cautelare in carcere, si impone la necessità di indagare sulle sorti dei provvedimenti cautelari in corso di esecuzione: bisogna infatti capire se alle ordinanze custodiali impositive siano o meno applicabili le nuove disposizioni. Mentre le Sezioni Unite hanno risolto il problema rispetto alle norme sopraggiunte “di sfavore”, ancora aperta è la soluzione rispetto alle norme “di favore”.
Spinto dalla pressante necessità di “svuotare le carceri” a seguito della condanna per trattamenti disumani e degradanti dei detenuti1, il legislatore è intervenuto anche in materia cautelare. Hanno visto così la luce due provvedimenti che introducono delle così dette “norme di favore”, delle disposizioni cioè che, rispetto alla previgente disciplina, limitano sensibilmente la possibilità di applicare la custodia in carcere.
Da una parte, il d.l. 1.7.2013, n. 78, convertito dalla l. 9.8.2013, n. 94, prevede che la custodia in carcere può essere disposta solo per i delitti, consumati o tentati, per i quali sia prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni (artt. 280, co. 2, e 274, co. 2, lett. c, c.p.p.), sebbene con alcune eccezioni: lo stalking, attraverso però la modifica della sua pena edittale, e il delitto di illecito finanziamento ai partiti.
Dall’altra, il d.l. 26.6.2014, n. 92 convertito con modificazioni dalla l. 11.8.2014, n. 117, introduce un’inedita previsione: «non si può applicare la custodia cautelare in carcere se il giudice ritiene che all’esito del giudizio la pena detentiva irrogata non sarà superiore a tre anni»», sebbene con una serie di eccezioni e precisioni (art. 275, co. 2-bis, c.p.p.).
Il dubbio, immediatamente sorto, è se tale disciplina di favore sia o meno applicabile anche ai provvedimenti restrittivi della libertà personale in corso di esecuzione già prima dell’entrata in vigore delle due novelle legislative.
Il problema, come è noto, è risolvibile attraverso il così detto “diritto intertemporale”: si tratta di “metanorme” (norme su norme), cioè delle prescrizioni che dal punto di vista strutturale risultano strumentali all’individuazione della norma, fra tutte quelle coinvolte nel conflitto temporale, concretamente applicabile nella vicenda storica2.
Nell’ambito della nozione di diritto intertemporale in senso ampio si possono ricomprendere quindi le disposizioni, le regole, i principi di carattere generale che hanno la funzione di risolvere i conflitti fra norme nel tempo. Le meta-norme intertemporali non disciplinano specifiche ipotesi legislative, bensì dettano criteri generali validi per tutto l’ordinamento (ad es., art. 11 disp. prel. c.c.) o per un sotto-sistema particolare (ad es., per il diritto penale, cfr. artt. 2 e 25, co. 2 Cost.). Esse, come chiaramente scritto, «non hanno contenuto materiale, ma strumentale, giacché – come nel diritto internazionale privato – si limitano ad indicare il criterio da usare per individuare volta per volta la disposizione applicabile»3. Senza pretesa di completezza, possono, ad esempio, collocarsi all’interno del concetto di diritto intertemporale: l’art. 11 disp. prel. c.c., l’art. 25, co. 2, Cost., l’art. 2 c.p., l’art. 15 c.p., l’art. 1 l. 24.11.1981, n. 689, il principio tempus regit actum, il principio cronologico della lex posterior ex art. 15 disp. prel. c.c., il principio di irretroattività della legge penale sfavorevole, il principio di retroattività della legge penale più favorevole, il principio del favor rei e del favor libertatis.
Ebbene, il sistema processuale penale è retto dal principio intertemporale del tempus regit actum4: il brocardo riassume – adattandola al sistema processuale – la regola contenuta nell’art. 11 disp. prel. c.c. in virtù della quale si applica la disciplina vigente al momento del compimento del singolo atto processuale, a nulla rilevando né la disciplina del tempo in cui è stato commesso il fatto di reato per cui si procede, né quella del tempo in cui si è aperto il procedimento penale, né, soprattutto, la disciplina sopravvenuta al compimento dell’atto5.
Nel diritto processuale penale dunque la regola intertemporale è sempre la stessa: si applica la norma del tempo dell’atto; divieto di applicazione retroattiva della legge, qualsiasi sia il contenuto della modifica intervenuta successivamente.
La semplicità della regola è tuttavia complicata dal fatto che nel processo penale esistono degli atti che continuano a produrre i loro effetti anche dopo la loro adozione. Cosa accade una volta che, emesso l’atto, vi sia un mutamento legislativo e tuttavia l’atto processuale non abbia ancora esaurito i suoi effetti?
Ed è questo il caso delle misure cautelari: può il provvedimento essere rivisto durante la sua esecuzione in virtù della disciplina sopravvenuta? In definitiva, qual è il “tempo dell’atto” dei provvedimenti impositivi di una misura custodiale in carcere: è solo il tempo in cui è stato disposto, o è anche quello della sua esecuzione?
Se rileva il momento genetico del provvedimento – come oggi affermano le Sezioni Unite6 – le sopravvenienze legislative non si dovrebbero applicare mai (né le favorevoli, né le sfavorevoli). Se invece conta anche il momento dell’esecuzione – come le medesime Sezioni Unite hanno ritenuto nel passato7 – si dovrebbero applicare tutte le modifiche normative (sia le favorevoli, sia le sfavorevoli).
Volendo esprimere un giudizio sui “valori”, la prima opzione sembrerebbe più “ragionevole”: si rinuncia, certo, ad applicare l’effetto in bonam partem; ma si evita di applicare quello in malam partem. La soluzione, se pur non pienamente appagante, appare tuttavia più meritevole di essere perseguita rispetto a quella opposta che consente l’applicazione delle norme favorevoli, ma nel contempo anche di quelle sfavorevoli.
Per tale motivo merita apprezzamento la recente pronuncia delle Sezioni Unite (Ambrogio) nella quale si è affermato che “il tempo” è solo quello riferito all’adozione della misura custodiale: «la norma vigente almomento del compimento di ciascun atto ne segna definitivamente e irrevocabilmente le condizioni di legittimità, ne costituisce insomma lo statuto regolativo»8. Sulla base di tale premessa la Corte ha potuto agevolmente concludere che la misura cautelare in corso di esecuzione disposta prima della novella codicistica non può subire modifiche solo per effetto della nuova, “più sfavorevole” normativa.
Tuttavia, va ribadito che in base a tale impostazione non potrebbero essere applicate nemmeno le sopravvenienze favorevoli, come per esempio quelle introdotte dalle recenti novelle.
In definitiva, poiché la regola intertemporale processuale è “una sola”, non si riesce a uscire da un circolo vizioso: qualsiasi soluzione relativa all’individuazione del tempo rilevante ai fini dell’applicazione della disciplina ai provvedimenti cautelari in corso di esecuzione è inappagante; o si rinuncia ad applicare la norma più favorevole sopravvenuta, o si è costretti ad applicare quelle sfavorevole sopravvenuta9.
Il problema che si pone è allora di cercare di differenziare la disciplina intertemporale processuale, valorizzando i contrapposti effetti che le novelle legislative producono sui provvedimenti in atto. Così che si possano applicare le novelle favorevoli, ma, di contro, non quelle sfavorevoli.
Al fine di differenziare il regime intertemporale processuale, una soluzione potrebbe essere quella di estendere alle norme processuali cautelari le regole intertemporali previste per le norme sostanziali: divieto di applicare la norma sopravvenuta sfavorevole (art. 25 Cost. e art. 2, co. 1, c.p.), obbligo di applicare la norma sopravvenuta favorevole (art. 7CEDU, art. 117Cost. e art. 2, co. 2-4, c.p.). Il diritto intertemporale penale, infatti, differenzia le soluzioni a seconda del contenuto normativo delle novelle: retroattività della norma favorevole, irretroattività di quella sfavorevole.
Per arrivare a questo risultato occorrerebbe, da una parte, valorizzare la natura costituzionale di tali previsioni penali sostanziali (così che ne sia imposta l’applicazione); dall’altra, qualificare come “materia penale” anche il sistema cautelare processuale.
Ebbene, dal primo punto di vista nessuno dubita che la irretroattività delle norme penali sfavorevoli sia principio costituzionale, proprio per la sua espressa formulazione nell’art. 25 Cost.Ma oggi tale considerazione vale anche per la retroattività della legge favorevole. Nella nota sentenza Scoppola10, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha affermato che la retroattività della lex mitior è compresa nell’area della legalità convenzionale affermata dall’art. 7 CEDU. Si sono così trasformate le sembianze del principio, che è assurto al rango di diritto fondamentale dell’uomo11. Tale principio, in virtù dell’art. 117 Cost., deve considerarsi facente parte a pieno titolo del nostro sistema costituzionale e non più attraverso la sua riconduzione al principio di ragionevolezza (o di uguaglianza secondo una diversa prospettiva), come invece accadeva prima della pronuncia della Corte sovranazionale.
Dal secondo punto di vista, invece, in via generale la Corte europea esclude dall’ambito della materia penale le norme di diritto processuale penale.
Tuttavia a diverse conclusioni si perviene nel caso in cui le norme processuali abbiano incidenza nel computo del trattamento sanzionatorio. Sempre nel caso Scoppola, si è ritenuta l’applicabilità dell’art. 7 CEDU rispetto alla disposizione che disciplina la riduzione di pena nel caso di scelta del giudizio abbreviato, reputandolo direttamente incidente sul quantum di pena irrogabile in sede di condanna12.
Si tratta allora di verificare se il sistema cautelare possa essere ricondotto alla categoria delle norme relative al trattamento sanzionatorio.
La Corte europea assegna in particolare alla “finalità punitiva-repressiva” un ruolo preminente per l’individuazione delle norme che ricadono nel concetto di “materia penale”: e tale finalità è stata riconosciuta alla nostra confisca urbanistica13, alla confisca del veicolo ex art. 186 c.d.s. e alla custodia di sicurezza del sistema tedesco14. Sicché queste sanzioni beneficiano delle garanzie della CEDU, a prescindere dalla qualifica formale che possiedono nell’ordinamento interno15.
Al contrario, se la sanzione ha finalità “preventiva” fuoriesce dalle garanzie apprestate dall’art. 7 CEDU, non rilevando per contro la severità della pena.
Non bisogna però procedere ad assimilazioni troppo affrettate: per esempio la Corte europea ha già escluso che possano considerarsi punitive le disposizioni relative alla fase di esecuzione della pena, come le misure alternative alla detenzione16. E lo stesso percorso ha seguito la Corte di cassazione17: si è affermato che le norme che disciplinano l’esecuzione della pena e le condizioni di applicazione di misure alternative alla detenzione non sono leggi penali sostanziali perché non riguardano l’accertamento del reato e l’irrogazione della pena.
E proprio per tale ragione la Cassazione ha ritenuto «manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 275, co. 3, c.p.p., come modificato dal d.l. 23.2.2011, n. 11, convertito in legge dalla l. 23.4.2009, n. 38, sollevata sul presupposto del contrasto, in punto di applicabilità alle misure già in atto, con la CEDU con conseguente violazione dell’art. 117 Cost., riguardando infatti il principio di irretroattività delle norme sfavorevoli di cui alla predetta Convenzione unicamente la pena e non anche le misure cautelari»18. Decisione che si ricollega alla giurisprudenza della stessa Corte costituzionale, che da sempre sottolinea la necessaria diversità della finalità cautelare da quella afflittiva19.
La nostra Costituzione esclude infatti che le misure cautelari possano avere “finalità” punitiva/afflittiva: ma il concetto di “finalità”, “scopo” non coincide con quello di “carattere”, “natura”. Allora, finché la Corte europea non allargherà anche alla “natura” afflittiva le garanzie previste dall’art. 7 CEDU, appare difficile arrivare a sostenere che la retroattività della norma più favorevole e la irretroattività di quella sfavorevole siano canoni imposti dal diritto sovranazionale anche in tema di provvedimenti custodiali.
Tuttavia, va segnalata una diversa posizione.
Di recente si è affermato – proprio in riferimento alla modifica dell’art. 280, co. 2, c.p.p. – che le condizioni di applicabilità della misura custodiale in carcere, inerendo allo status libertatis, hanno anche natura penale, e dunque ad esse andrebbe applicato il regime intertemporale penale della lex mitior20. Ma si tratta di una pronuncia isolata, perché allo stato della prevalente giurisprudenza nazionale e sovranazionale si deve escludere che i due diversi canoni del diritto intertemporale penale possano essere utilizzati nella materia del diritto processuale cautelare.
3.1 La volontà del legislatore
Scartata, almeno ad oggi, la possibilità di estendere il diritto intertemporale penale alla materia processuale, si potrebbe tentare di percorrere un’altra strada al fine di diversificare le soluzioni a seconda del contenuto delle modifiche normative: valorizzare la condanna della Corte europea in forza della quale sono stati emessi i due nuovi provvedimenti legislativi.
La Corte sovranazionale ha ingiunto allo Stato italiano di introdurre «un ricorso o un insieme di ricorsi interni idonei a offrire un ristoro adeguato e sufficiente per i casi di sovraffollamento carcerario, in conformità ai principi stabiliti dalla giurisprudenza della Corte»21.
Ma non solo: «nella pronuncia la Corte riafferma… l’obbligo a carico dello Stato soccombente di mettere in opera … le misure individuali (relative alla posizione del singolo ricorrente) e le misure generali (relative alla generalità di coloro che si trovino in situazioni analoghe) necessarie a ovviare alla violazione, sia assicurando un adeguato ristoro per le violazioni già subite, sia – soprattutto – ponendo fine alle violazioni ancora in essere»22.
Proprio valorizzando la necessità di ovviare alle «violazioni ancora in essere», si potrebbe ritenere che le novelle in discussione abbiano un effetto anche rispetto alle misure custodiali già in atto, in deroga alle regole generali del diritto intertemporale che governano la materia processuale.
Si tratterebbe di un’interpretazione compiuta secondo la tecnica della “intenzione del legislatore”23, nella duplice variante della “volontà del legislatore” e “della volontà della legge” (canoni che qui verrebbero inconsuetamente a coincidere). Sia il “legislatore storico” che la ratio legis consentono di affermare che le modifiche normative degli artt. 174, 175 e 180 c.p.p. debbano essere applicate anche ai provvedimenti cautelari in esecuzione: le due leggi che le prevedono nascono, infatti, in ottemperanza alla condanna della Corte europea al fine di far cessare immediatamente le violazioni in atto. Sottrarre la disciplina ai provvedimenti in corso di esecuzione equivale a frustrare il risultato cui tendono le nuove regolamentazioni: intervenire immediatamente sul sovraffollamento carcerario; evitare alla Stato italiano una nuova condanna24.
3.2 Il principio di tassatività
Un’ulteriore strada da percorrere potrebbe essere quella seguita da una recente sentenza della Corte di cassazione, proprio in riferimento alla modifica dell’art. 274, co. 2, lett. c), c.p.p.25.
La Corte ha individuato un nuovo principio di diritto intertemporale processuale penale, servendosi del principio di tassatività delle misure restrittive della libertà personale. Si è affermato che, se non si applicassero anche ai provvedimenti in corso di esecuzione le norme favorevoli sopravvenute, vi sarebbe un’inammissibile «violazione del quadro costituzionale, dei presupposti e delle condizioni di legalità delle limitazioni che possono essere tassativamente imposte alle libertà della persona (ex artt. 13, co. 2, Cost. e 272 c.p.p.)».
Tale affermazione, letta a contrario, presuppone che l’art. 13 Cost. imponga che vi debba essere una continua corrispondenza fra i provvedimenti in corso di esecuzione e la normativa vigente. La misura applicata secondo canoni abrogati diviene una restrizione non prevista dalla legge. Ex post la cautela risulta applicata in violazione della tassatività. In pratica il principio di retroattività delle norme favorevoli diviene un corollario del principio di tassatività.
Se l’indagato/imputato durante il processo può essere privato della libertà personale solo nei casi previsti dalla legge, tutte le volte in cui una novella legislativa riduca le ipotesi di intervento coercitivo, la cautela in corso di esecuzione non sarebbe più autorizzata normativamente: la fattispecie rientrerebbe nelle ipotesi escluse dalla disciplina, proprio in virtù del principio di tassatività.
Si tratta senza dubbio di un’interpretazione mossa dal comprensibile intento di voler applicare le modifiche di favore ai provvedimenti in corso di esecuzione: nondimeno essa appare di difficile condivisione.
In primo luogo, una modifica normativa non rende illegale la disciplina precedente e dunque non travolge la legittimità delle attività svolte sotto la sua vigenza. Tale effetto si produce solo a seguito dell’“annullamento” delle norme da parte della Corte costituzionale.
Un conto sono gli interventi legislativi che aboliscono una norma (abrogandola o sostituendola); un conto è l’annullamento di una norma, perché costituzionalmente illegittima. Il primo caso – a differenza del secondo – è un evento fisiologico dell’ordinamento, che dunque non rende illegittimo o illegale ciò che è stato già compiuto. Ed infatti, a seguito dell’abrogazione normativa, le fattispecie concrete che si sono realizzate sotto la vigenza della vecchia legge continuano ad essere regolate da questa.
E proprio al fine di “derogare” a tale normale operatività ex nunc della abrogazione normativa, in alcuni settori dell’ordinamento come quello penale è previsto il principio della retroattività della norma favorevole. Si consente così di estendere eccezionalmente gli effetti delle novelle a fattispecie che si sono verificate sotto la vigenza della vecchia legge.
Di contro, solo in caso di annullamento per illegittimità costituzionale, si produce un effetto retroattivo (giustificato qui dall’illegittimità del precedente assetto normativo), che tuttavia a volte viene “derogato” attraverso “l’ultrattività” della norma annullata, come ad esempio nel caso delle c.d. norme penali di favore.
In secondo luogo, è necessario non trascurare gli scopi, gli obiettivi, le finalità sottesi ai vari principi e, di conseguenza, la loro autonomia.
Il “principio di tassatività”, è noto, comprime l’attività del giudice: deve ragionare a contrario e non può servirsi dell’argomento analogico; dunque ciò che non è regolato non può essere disciplinato come ciò che è regolato.
Il “principio di irretroattività delle norme di sfavore”, invece, comprime e regola l’attività del legislatore: non può adottare leggi di sfavore volte a disciplinare fattispecie che si sono già realizzate.
Il “principio di retroattività delle norme di favore”, invece, non regola né l’attività del giudice, né quella del legislatore: è un principio fondato su esigenze di uguaglianza-ragionevolezza, di coerenza dell’ordinamento, nonché di favor libertatis.
La stessa Corte europea dei diritti ha spiegato che il principio della lex mitior non è implicato nel divieto di irretroattività della legge sfavorevole: è un principio indipendente dagli altri, che si è affermato nelle tradizioni culturali di molti Paesi con un suo autonomo percorso26.
In terzo luogo, se letto in tal modo e ragionando ad absurdum, il principio costituzionale di tassatività del sistema cautelare consentirebbe anche l’applicazione delle disposizioni sopravvenute sfavorevoli. Se vi deve essere una piena corrispondenza fra la disciplina vigente e la misura in corso di esecuzione, tale canone sarebbe sicuramente rispettato anche se si applicassero le sopravvenienze sfavorevoli. Non si potrebbe certo affermare che vi sia una violazione della legalità e delle condizioni legittimanti la restrizione.
Forse la Cassazione avrebbe dovuto porre l’accento più che sul principio di tassatività, su quello del favor libertatis, ricavabile da molteplici norme costituzionali. Dal favor libertatis, infatti, potrebbe ricavarsi una regola speciale di diritto intertemporale relativa al sotto sistema processuale cautelare: là dove il legislatore intervenga con modifiche di favore, la norma sopravvenuta va applicata anche ai provvedimenti in corso di esecuzione, perché l’inviolabilità della libertà personale impone l’immediata riespansione della sfera della libertà personale.
Si tratterebbe di un principio autonomo, e non già di un corollario di altri principi, giustificato da una specifica e propria ratio.
Tuttavia, va anche segnalato che laddove si riconoscesse una copertura costituzionale alla lex mitior processuale cautelare, sarebbe difficoltoso nel futuro derogare a tale principio. Non va infatti sottovalutato che in tale materia sia “ragionevole” lasciare al legislatore ordinario un certo spazio di manovra.
Basti pensare alla vicenda relativa al reato di stalking. Il legislatore, per consentire la perdurante applicabilità della misura custodiale in carcere, ne ha innalzato la pena edittale al fine di inserirlo nel nuovo limite edittale previsto dai riformulati artt. 274 e 380 c.p.p.: l’art. 612 bis, co. 1, c.p. commina ora la reclusione da sei mesi a cinque anni. In tal caso dunque mentre la modifica di carattere sostanziale è di sfavore, quella processuale sembrerebbe di favore.
Infatti, coloro che sono stati sottoposti a una misura cautelare ancora in corso di esecuzione, proprio perché per essi vale ancora la precedente sanzione, rimangono assoggettati a una pena che non consente più l’applicazione della misura cautelare. Eppure la volontà del legislatore era proprio quella di garantire, per il passato e per il futuro, l’applicazione della più grave misura coercitiva. Applicando il principio di tassatività, o del favor libertatis, si dovrebbe dunque procedere all’immediata scarcerazione dei ristretti. Proprio per tale motivo in una recente pronuncia della Cassazione, si è ritenuto che in tal caso non vi sia stata “alcuna modifica normativa” delle condizioni di applicabilità della misura cautelare, perché la “fattispecie di reato di stalking” – sia ieri che oggi – consente l’applicazione della misura cautelare. Si è così consentita la possibilità di mantenere in esecuzione i provvedimenti restrittivi adottati prima della novella. Inoltre, nella pronuncia si è anche valorizzato l’argomento interpretativo della volontà del legislatore: con la rimodulazione del trattamento sanzionatorio il legislatore mirava proprio a sottrarre alla logica dello “svuota carceri” la peculiare fattispecie, e dunque rispetto ad essa non può ipotizzarsi un’estensione ai provvedimenti in corso di esecuzione27. Si tratta di operazioni interpretative che non sarebbero più consentite qualora si riconoscesse l’esistenza e la natura costituzionale della lex mitior processuale cautelare.
3.3 L’assoluta necessità di norme transitorie
Ebbene, come risolverà la Corte di cassazione il problema della sopraggiunta inapplicabilità della misura della custodia in carcere in caso di diagnosi sulla condanna definitiva a pena inferiore ai tre anni (art. 275, co. 2-bis, c.p.p.) rispetto ai provvedimenti già in esecuzione? Guarderà al momento genetico dei provvedimenti, qualificherà come penali le modifiche, si servirà del principio di tassatività/favor libertatis, ricorrerà all’argomento della volontà del legislatore, percorrerà una “imprevedibile” strada interpretativa?
In definitiva emerge come sia “assolutamente necessario” che il legislatore in materia di custodia cautelare in carcere intervenga sempre con delle disposizioni transitorie.
Il principio del tempus regit actum, infatti – a differenza della irretroattività della legge penale sfavorevole e delle retroattività della legge penale favorevole – non è un principio costituzionale e pertanto può essere derogato28.
Però va subito fatta una precisazione. Il legislatore ordinario non dovrebbe nemmeno codificare una regola speciale di “diritto intertemporale” in materia cautelare differente dall’art. 11 disp. prel. c.c., che distingua – magari a imitazione del diritto intertemporale penale – le varie evenienze (come per esempio una disposizione dal seguente tenore: «se nel corso di esecuzione di un provvedimento cautelare muta la disciplina giuridica che lo regola, questa si applica immediatamente se favorevole»).
Infatti – e lo abbiamo visto – appare difficile in questa materia fare una scelta di fondo, che possa risultare in ogni caso meritevole di essere perseguita.
E le norme di diritto intertemporale dettano criteri generali validi per tutto l’ordinamento o per un sotto-sistema particolare29: si applicano dunque sempre, senza eccezioni. Rispetto alle singole modifiche normative, si continuerebbe a porre il problema di superare la disciplina generale per trovare una diversa soluzione più adatta alla specifiche vicende legislative.
Più agevole risulta allora lo strumento delle “disposizioni transitorie”30.
Le disposizioni transitorie, infatti, derogano alle norme e ai principi di diritto intertemporale: si tratta di disposizioni singolari che hanno ad oggetto specifiche e ben definite leggi, e che sottraggono dei casi specifici alla disciplina generale che sarebbe applicabile in base alle comuni regole o principi di diritto intertemporale.
Se dunque il sotto-sistema cautelare è regolato dalla disciplina generale del tempus regit actum (e l’atto è il provvedimento impositivo), con una disposizione transitoria si potrebbe sottrarre da tale regola una specifica fattispecie, imponendo l’applicazione della novella anche se il provvedimento cautelare è stato già emesso ed è già in corso di esecuzione. Il legislatore avrebbe così la possibilità di indirizzare l’interprete verso soluzioni predeterminate, secondo le esigenze che di volta in volta voglia realizzare.
Là dove si persegua, per esempio, lo scopo dell’immediata riduzione della popolazione carceraria, si potrebbe inserire nell’articolato di una nuova legge la seguente disposizione: «le modifiche previste dalla presente legge si applicano anche ai provvedimenti di custodia in carcere in corso di esecuzione, se favorevoli».
Ma non solo: là dove il legislatore tenda all’inasprimento del trattamento cautelare in atto, per improrogabili esigenze di sicurezza e di ordine pubblico, ben potrebbe intervenire con una disposizione transitoria singolare di carattere opposto: «le modifiche previste dalla presente legge si applicano anche ai provvedimenti cautelari in corso di esecuzione, (pure) se sfavorevoli».
Né va trascurato che, qualora la Corte di cassazione tornasse sui suoi passi, ritenendo nuovamente che il tempo delle misure cautelari è anche quello durante il quale sono ancora in esecuzione31, si potrebbe agevolmente introdurre una disposizione transitoria, in questo caso diretta ad impedire l’immediata applicazione delle novelle.
1 C. eur. dir. uomo, 8.1.2013, Torreggiani e a. c. Italia.
2 Gambardella, M., Lex mitior e giustizia penale, Torino, 2013, 20 ss.
3 Rescigno, G.U., L’atto normativo, Bologna, 1998, 77. Cfr. inoltre Tarchi, R., Le leggi di sanatoria nella teoria del diritto intertemporale,Milano, 1990, 3 ss.; Giuliani, A., Le disposizioni sulla legge in generale. Gli articoli da 1 a 15, in Tratt. Rescigno, Torino, 1999, 470 ss.
4 Su cui Mazza, O., La norma processuale nel tempo, Milano, 1999, 104 ss.
5 Cfr. Pizzorusso, A., Fonti del diritto, in Comm. c.c. Scialoja-Branca, Bologna - Roma, 2011, 480 ss.
6 Cass. pen., S.U., 31.3.2011, n. 27919, Ambrogio, in Cass. pen, 2011, 4167, con nota di P. Spagnolo.
7 Cass. pen., S.U., 27.3.1992, n. 8, Di Marco; Cass. pen., S.U., 1.10.1991, n. 20, Alleruzzo.
8 Cass. pen., S.U., 31.3.2011, n. 27919, Ambrogio.
9 Cfr. Quadri, R. L’applicazione della legge in generale, in Comm. c.c. Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1974, 103 ss.
10 C. eur dir. uomo, 17.9.2009, Scoppola c. Italia.
11 Gambardella, M., Lex mitior, cit., 59 ss.
12 C. eur dir. uomo, 17.9.2009, Scoppola c. Italia.
13 C. eur dir. uomo, 30.8.2007, Sud Fondi c. Italia e C. eur dir. uomo, 20.1.2009, Sud Fondi c. Italia.
14 C. eur dir. uomo, 17.12.2009, M. c. Germania.
15 C. eur dir. uomo, 26.1.1999, Adamson c. Regno Unito.
16 C. eur dir. uomo, 29.11.2005, Uttley c. Regno Unito. V. anche C. eur dir. uomo, 22.6.2000, Coemme c. Belgio, che ha escluso dalla classe delle sanzioni la prescrizione.
17 Cass. pen., 27.6.2014, n. 34073, Panno, rispetto alla nuova liberazione anticipata speciale;Cass., S.U., 30.5.2006, n. 24561, Aloi. Contra, Cass. pen., 17.8.2011, n. 32799, Caponi.
18 Cass. pen., 3.3.2010, n. 15378, Valentino; Cass. pen., 29.9.2009, n. 41107, nonché più in generale Cass. pen., S.U., 31.3.2010, Ambrogio.
19 C. cost., 1.2.1982, n. 15; C. cost., 7.7.2010, n. 265.
20 Cass. pen., 10.6.2014, n. 31839, Florio.
21 C. eur dir. uomo, 8.1.2013, Torreggiani, cit.
22 Viganò, F., Sentenza pilota della Corte EDUsul sovraffollamento delle carceri italiane, in www.penalecontemporaneo.it, 9.1.2013.
23 Cfr.Guastini, R., L’interpretazione dei documenti normativi, Milano, 2004, 150.
24 Per l’impiego di tale tecnica interpretativa proprio al fine di derogare alla regola del tempus regim actum, v.Giuliani, A., Le disposizioni, cit., 484.
25 Cass. pen., 8.10.2013, n. 48462, Staffetta.
26 C. eur. dir. uomo, 10.1.1010, Scoppola, cit.
27 Cass. pen., 10.6.2014, n. 31839, Florio, cit.
28 Giuliani, A., Le disposizioni, cit., 478; Guastini, R., Le fonti del diritto, Milano, 2010, 290.
29 Sulla nozione di “diritto intertemporale” e di “diritto transitorio” v. Gambardella, M., Lex mitior, cit., 33.
30 Cfr. Giuliani, A., Le disposizioni, cit., 471: «solo in assenza di un diritto transitorio è permesso all’interprete il ricorso all’art. 11 disp. prel. c.c.».
31 Ancora Cass. pen, S.U., 27.3.1992, n. 8, Di Marco e Cass. pen., S.U., 1.10.1991, n. 20, Alleruzzo.