ZANGUIDI, Jacopo
Jacopo Zanguidi, detto il Bertoia (non conosciamo il significato del soprannome), nacque a Parma il 25 luglio 1544 da Giuseppe Zanguidi e dalla moglie Sarra (Ronchini, 1863, p. 330). Il padre era uno scultore o un artigiano in legno e va probabilmente identificato con il «Joseph de Zanguidis» che compare tra gli eredi di Parmigianino (ibid.).
La formazione artistica di Bertoia è ignota: Vasari non lo menziona, anche se lo conosceva, come dimostrano i due disegni che ne possedeva (De Grazia, 1991, p. 40). Giovanni Paolo Lomazzo ([1590], 1974) scriveva che era tra gli allievi del bolognese Ercole Procaccini, mentre la critica si è interrogata se potesse essere stato allievo di Girolamo Mirola, anche lui di Bologna, attivo per molto tempo per Ottavio Farnese duca di Parma e Piacenza.
La prima opera documentata di Bertoia è il gonfalone con la Madonna della Misericordia nella Galleria nazionale di Parma, per cui esiste un pagamento da parte della Compagnia di S. Quirino nel 1564 (il nome del pittore è assente, ma il lavoro gli si attribuisce per motivi stilistici). In questo dipinto, così come nella formazione del giovane pittore, l’influenza dominante è quella di Parmigianino: lo dimostrano le figure allungate, eteree e raffinate delle sue opere.
In seguito Bertoia realizzò la cosiddetta Incoronata di Piazza, un affresco con l’Incoronazione della Vergine commissionato dal Comune di Parma per la facciata del palazzo comunale, di cui è rimasto solo un frammento con il volto di Maria (Parma, palazzo comunale). L’opera fu compiuta per l’entrata solenne di Maria del Portogallo, giunta a Parma per sposare Alessandro Farnese, figlio di Ottavio, il 24 giugno 1566. In quest’occasione venne a lavorare a Parma anche il giovane pittore fiammingo Bartholomaeus Spranger, i cui paesaggi nordici, dalla profonda prospettiva, lasciarono il segno nella concezione spaziale del pittore parmigiano.
Negli anni tra il 1564 e il 1568 la critica ha rilevato in Bertoia l’influenza delle opere bolognesi di Pellegrino Tibaldi, filtrate anche attraverso l’esempio di Mirola, con cui lo Zanguidi si sarebbe poi trovato a lavorare nel palazzo del Giardino di Parma. Gli affreschi dalla forza dirompente michelangiolesca e dai colori accesi delle Storie di Ulisse,realizzati da Tibaldi in palazzo Poggi a Bologna tra il 1554 e il 1555, impressionarono sicuramente il giovane Zanguidi. Sempre in palazzo Poggi, le Storie di Camilla dipinte da Niccolò dell’Abate affascinarono Bertoia, che ne catturò e ne condivise lo spirito di leggerezza ed evasione aristocratica. In città Bertoia conobbe sicuramente anche l’opera di Prospero Fontana, attivo, tra altri luoghi, in S. Domenico (dove lavorò anche lo Zanguidi).
Intorno al 1566-68 a Bertoia furono commissionati affreschi per palazzo Lalatta a Parma (oggi Convitto nazionale Maria Luigia), di cui rimangono solo pochi frammenti dal forte aspetto tibaldesco, rappresentanti forse Storie di s. Caterina d’Alessandria.
Nello stesso periodo Bertoia affrescò dei fregi in alcune stanze adiacenti al salone di palazzo Borri a Parma. Molto rovinati, i dipinti rappresentano scene mitologiche in una sala e armi e guerrieri in un’altra.
Bertoia fu un prolifico disegnatore, e gli oltre cento disegni autografi che ci sono pervenuti, la maggior parte dei quali al Louvre, testimoniano l’interesse per la figura umana in atteggiamenti e pose diverse. Tali disegni sono stati a lungo confusi con quelli di Parmigianino, ma si distinguono per le corporature più solide, il segno della linea più spesso e l’uso notevole del colore diluito (De Grazia, 1991). è difficile stabilire una cronologia e uno sviluppo stilistico vero e proprio nell’opera grafica di Bertoia: in generale, secondo Diane De Grazia, si può solo operare una divisione tra i due periodi pre- e post-romano, quando i disegni dello Zanguidi rivelano ormai l’influenza di Perin del Vaga, di Francesco Salviati e dei fratelli Taddeo e Federico Zuccari.
Poco prima del 1568, forse già nel 1567, Bertoia si recò a Roma, dato che in una nota dei libri mastri farnesiani venne pagato 6 scudi il 10 marzo 1568 per “ritornare” nella Città Eterna (De Grazia, 1991, p. 27). Il giovane pittore dovette quindi giungere di nuovo nell’Urbe nella primavera del 1568, quando gli furono commissionate la progettazione e l’esecuzione degli affreschi della Passione di Cristo per l’oratorio del Gonfalone, probabilmente per intercessione del cardinale Alessandro Farnese, fratello di Ottavio e protettore della relativa confraternita.
Allo Zanguidi si deve l’ideazione del ciclo, come dimostrano sia i pagamenti pubblicati per primo da Amadio Ronchini (1863) e da studiosi successivi, sia gli studi di Loren Partridge (1971 e 1972) e della De Grazia, oltre ai numerosi disegni reperiti da quest’ultima (1972 e 1992; Bernardini, 2002). Il progetto generale era molto complesso, costituito da episodi evangelici suddivisi da un’intelaiatura formata da colonne tortili che sostenevano, nella parte superiore, un fregio di Sibille e Profeti e altre figure bibliche, divise da edicole, nicchie e finte statue. Tra la primavera del 1568 e il luglio 1569 Bertoia, quindi, lavorò alla prima campata degli affreschi, con la rappresentazione dell’Entrata in Gerusalemme e, sopra, di una Sibilla e di un Profeta. Nella parte inferiore della scena evangelica Bertoia affolla il primo piano di persone che si accalcano intorno alla figura di Gesù: la più pertinente concezione volumetrica e una migliore resa retorica nei gesti dimostrano un approfondito studio di Raffaello e di Michelangelo.
Bertoia intervenne nuovamente al Gonfalone tre anni più tardi, quando una lettera del segretario Ludovico Todesco al cardinale testimonia che il Farnese lo voleva nuovamente a Caprarola, dove era stato chiamato già a lavorare dal 1569 (13 luglio 1572; De Grazia, 1991, p. 292). Entro la metà del mese, lo Zanguidi dovette eseguire il fregio della quarta campata con un altro Profeta e un’altra Sibilla, affiancati dalle statue di David e Giuditta. Le forme sono più solide e armoniose e i colori sono orchestrati con maggior maestria, a causa del contatto con le opere dei fratelli Zuccari a Caprarola.
Tra l’ottobre e il dicembre 1569 Bertoia fu forse di nuovo a Parma; è poi documentato il suo arrivo in città il 24 novembre 1570, mentre nel gennaio 1571 lavorò per le decorazioni per la festa di s. Paolo.
Nell’autunno 1569 si collocano le Gesta rossiane (vicende degli antenati illustri della famiglia Rossi) affrescate dallo Zanguidi e da un altro artista nel soffitto e alle pareti del salone del Castello di S. Secondo, vicino Parma, commissionate dal signore Troilo Rossi (ipoteticamente la De Grazia [1991, pp. 171-179] suggerisce anche la presenza di Mirola, ma è molto difficile venire a capo della seconda personalità presente accanto a Bertoia).
Nel 1569 Bertoia era stato convocato, come accennato, dal cardinale Farnese, che il 13 luglio 1569 scrisse al proprio maggiordomo Ludovico Todesco di licenziare Federico Zuccari (capomaestro per la decorazione del palazzo di Caprarola) e di «mandare subito» da lui «Jacomo pittore da Parma» per affrescare altre stanze nel palazzo (De Grazia, 1991, p. 289). In un’altra lettera del 17 luglio 1569 il Farnese intimava al suo maggiordomo di accordarsi con la Compagnia del Gonfalone affinché Bertoia si liberasse per lavorare a Caprarola; infine, un’altra missiva del 18 luglio attesta la partenza del pittore per quel borgo (ivi, pp. 289 s.).
Bertoia divenne capocantiere il 20 luglio 1569, dopo i lavori condotti da Taddeo Zuccari (morto nel 1566) e dal fratello Federico. In primo luogo dovette portare a termine la Sala d’Ercole, al piano nobile, lasciata incompiuta da Federico. Qui lo stile di Bertoia si adatta a quello eroico del pittore marchigiano, tanto che, fino a quando Loren Partridge nel 1971 non gli restituì i quattro Fatti d’Ercole, si pensava che essi fossero opera di Federico.
Tra il gennaio e l’ottobre 1570 lo Zanguidi affrescò la stanza dei Giudizi, la stanza dei Sogni e la stanza della Penitenza, come si evince dalle date in cui furono innalzate e tolte le impalcature (Partridge, 1971 e 1972).
I primi due ambienti furono conclusi entro l’aprile del 1571, mentre la lettera di Todesco al Farnese del 13 luglio 1572 testimonia che Bertoia lavorò per i successivi tre mesi a Caprarola (De Grazia, 1972, p. 106, n. 66; 1991, p. 292). Nella sala dei Giudizi sono raffigurate scene di giustizia tratte dell’Antico Testamento, mentre la stanza successiva è dedicata a famosi sogni di personaggi biblici. L’importanza di quest’ultimo vano sta nello spazio dato al paesaggio, forse dovuto a un nuovo contatto con Spranger, che lavorò a Caprarola nel 1569.
Dopo la sala della Penitenza, in cui sono rappresentate scene di pentimenti e sacrifici, dall’agosto al novembre 1572 lo Zanguidi lavorò infine alla sala degli Angeli (al centro del soffitto affrescò la Caduta degli Angeli ribelli).
Tra la fine del settimo e l’inizio dell’ottavo decennio (a seconda delle datazioni proposte dalla critica), Bertoia fu attivo anche a Bologna negli affreschi della cappella Pepoli in S. Domenico, dove gli vengono attribuiti i Quattro Profeti negli spicchi delle volte e la Disputa di s. Caterina nella lunetta (secondo una parte della critica quest’ultima si deve a Prospero Fontana; De Grazia, 1991, p. 69; Bentini, 2004).
A Parma Bertoia lavorò per il duca Ottavio nel palazzo del Giardino. La questione critica degli affreschi delle sale del piano nobile è molto spinosa e negli anni si è passati da una preponderante attribuzione allo Zanguidi a un più equilibrato ridimensionamento in favore di Mirola. Questi fu stabilmente al servizio del duca dal 1556 al 1570, data della sua prematura scomparsa (22 aprile), mentre per Bertoia il primo contatto con il duca è documentato nel 1568 (De Grazia - Meijer, 1987, p. 396; Venturelli, 1999, pp. 125 s.).
Negli ultimi decenni la critica ha quindi assegnato a Mirola la progettazione e l’esecuzione della decorazione di tali ambienti (nel biennio 1562-63: Venturelli 1999, pp. 134 s.), ossia la sala del Bacio, la sala di Ariosto e una terza sala da cui provengono frammenti mitologici staccati e conservati presso la Galleria Nazionale di Parma (e attribuiti tradizionalmente a Bertoia). Secondo altri (De Grazia, 1991, p. 90; Chiusa, 2019, p. 29), a Bertoia andrebbero comunque attribuiti per motivi stilistici il cosiddetto “dado” della sala di Ariosto e il riquadro centrale della sala del Bacio (sulle cui pareti furono raffigurati da Mirola episodi tratti dall’Orlando innamorato di Matteo Maria Boiardo; De Vito Battaglia, 1972).
Nella sala di Ariosto, sotto gli affreschi di Mirola con le Storie di Ruggero e Alcina desunte dall’Orlando furioso, Bertoia realizzò una fascia a grisaille con putti che tengono cartouches e cornici, collegate da festoni di arance. All’interno delle cornici sono raffigurati paesaggi architettonici, coppie, guerrieri e cavalieri.
Dopo la morte di Mirola, Bertoia gli successe nella decorazione di altre due sale, scoperte nella seconda metà del Novecento nel sottotetto, in origine secondo piano dell’edificio (nelle stanze è stata ipotizzata dalla critica anche la presenza di Mirola; Chiusa, 2019, p. 29). Bertoia affrescò tali ambienti verso il 1571, nel periodo in cui non è documentata la sua attività in Lazio (De Grazia, 1991, p. 90).
Nel primo vano sono compendiate le Storie di Perseo, inserite in spazi che riflettono lo stesso sistema architettonico degli affreschi del Gonfalone. Le figure richiamano la monumentalità dei personaggi zuccareschi e l’impianto decorativo ricorda gli affreschi della Domus Aurea a Roma (Chiusa, 2019, p. 33).
Nella sala dei Paesaggi i pochi frammenti rimasti rappresentano vedute con montagne e “rovine”. Francesco Maria Violardi nel 1601 e Nicodemus Tessin il Giovane nel 1688 menzionarono nei propri scritti una “stanza della ruina”, considerata dal primo il capolavoro di Mirola, ma attribuita dal secondo al Bertoia: si trattava di un vano in cui, sulle pareti, erano simulate crepe e aperture che mostravano i mattoni sottostanti. Secondo Maria Cristina Chiusa (2019, p. 29), la sala dei Paesaggi potrebbe identificarsi proprio con tale stanza per la presenza di pitture con rovine architettoniche.
Infine, l’esistenza di un terzo vano sembra intuirsi da un lacerto di affresco (con delle colonne e una figura femminile) che dovrebbe continuare oltre le pareti più tarde (realizzate nel Settecento). Forse anche questa stanza fu eseguita dallo Zanguidi (Chiusa, 2019, p. 29).
Da ultimo, si può ricordare l’attività di incisore di Bertoia, che fu, secondo lo storico contemporaneo Angelo Maria Edoari da Erba, autore di «molte stampe di vaghissima invenzione in rame» (De Grazia, 1991, p. 44): la critica non ha individuato incisioni riferibili con certezza a lui, ma forse alcuni suoi disegni potrebbero essere ricondotti a modelli per rami (Spadaccini, 2013).
Non ancora trentenne, Bertoia morì nel corso del 1573, probabilmente poco dopo il 6 aprile: una lettera del segretario ducale farnesiano Giovambattista Pico all’altro segretario Davide Spilimbergo testimonia che il pittore era molto malato (il testo menziona l’ultima opera che dovette essere commissionata dal duca a Bertoia, l’ideazione degli affreschi nel salone centrale della dimora di Ascanio Pirotti, che si è proposto di identificare con l’attuale palazzetto di Eucherio Sanvitale; Bertini, 2013, p. 150). Prima di settembre il pittore era comunque scomparso, dato che Ludovico Todesco scrisse al cardinale quanto fosse difficile trovare a Roma altri artisti da impiegare a Caprarola (De Grazia, 1991, p. 13).
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