MADISON, James
Uomo di stato americano e quarto presidente degli Stati Uniti d'America, nato a Port Conway, nella Virginia, il 16 marzo 1751, da famiglia forse discendente dai colonizzatori del 1631. Compiuti i suoi studî nel New Jersey College, dove si laureò nel 1771, tornò nella Virginia, ed entrò, giovanissimo, nella vita politica, dapprima come presidente del comitato di salute pubblica per la contea di Orange (1775), e poi come delegato alla nuova convenzione per la Virginia (1776). Nelle controversie, specialmente di carattere religioso, che vi si agitavano, il M. si schierò per una completa libertà, seguendo i precetti di Jefferson, del quale fu, fin da allora, amico e collaboratore fedele. Non fu rieletto l'anno successivo, ma dopo una breve partecipazione ai lavori del Consiglio di stato (Privy Council), alla fine del 1779 fu inviato come delegato della Virginia al Congresso continentale. Qui, tra le difficoltà in cui si dibatteva il nuovo governo federale (si era alle ultime fasi della guerra d'indipendenza), il M., attraverso un'azione improntata a grande fermezza, portò un notevole contributo alla risoluzione di gravi problemi, specie di quello finanziario.
Le condizioni economiche della Confederazione erano assai precarie, per le enormi spese della guerra, per l'impossibilità di ottenere ulteriori contributi dai singoli stati, anch'essi in grandi strettezze, e per i pericoli dell'inflazione alla quale molti stati avevano ceduto. Il M. proclamò la necessità di conferire al congresso maggiore autorità e più ampî poteri, e di proibire energicamente agli stati ogni ulteriore emissione di carta moneta. Successivamente, insieme ad altri provvedimenti di carattere economico, M., malgrado si trovasse in aperta opposizione con il parlamento della Virginia, che egli rappresentava, propose ed ottenne che gli stati confederati autorizzassero il congresso ad applicare per venticinque anni una tassa sulle importazioni. Anche notevole, tra i suoi lavori in questo periodo, è lo schema da lui tracciato per dare istruzioni al rappresentante degli Stati Uniti a Madrid, Jay, perché ottenesse dal governo spagnolo la libera navigazione sul Mississippi, sostenendo il principio che il nuovo stato doveva considerarsi successore di tutti i diritti già acquisiti dall'Inghilterra sul territorio della Federazione.
M. restò al Congresso continentale fino al 1783; nel 1874 fu eletto alla Camera dei delegati della Virginia. Le controversie religiose che s'inasprirono in quegli anni, trovarono M. sempre fautore della più completa libertà; egli si oppose alla concessione di privilegi alla chiesa episcopale, e alla fine del 1785 presentò e fece approvare il progetto di Jefferson sulla piena libertà di culto nella Virginia.
Nel 1786 M. fu tra i promotori della convenzione di Annapolis, che si riuniva per decidere dei rapporti commerciali tra gli stati confederati, e per regolare il traffico delle vie fluviali; della convenzione di Annapolis fu, l'anno successivo, immediata conseguenza la convocazione della convenzione di Filadelfia, la quale doveva dare agli Stati Uniti una costituzione. Si può dire che il maggior contributo di M. alle fortune della sua patria sia stato offerto in questo momento, con la redazione di quel "piano della Virginia" che egli elaborò, giovandosi della sua vasta preparazione storica e politica, e che, accettato a Filadelfia nelle linee essenziali, costituisce tuttora la base della costituzione americana. In una memoranda lettera indirizzata a Giorgio Washington (16 aprile 1787), M. illustrò i principî informatori del suo progetto. Egli attribuiva la debolezza del governo federale al fatto che il Congresso continentale rappresentava gli stati e non gl'individui, venendo così a mancare un contatto diretto tra i cittadini e il governo. Occorreva dunque creare un corpo legislativo che rappresentasse la popolazione. Le vivaci opposizioni dei piccoli stati portarono al compromesso che i rappresentanti della camera alta fossero designati dagli stati, quelli della camera bassa fossero eletti dal popolo. Anche l'altra controversia tra gli Stati del Sud e quelli del Nord per il computo degli schiavi ai fini della rappresentanza politica, fu risoluta con l'intervento di M., stabilendo che cinque schiavi si calcolassero per tre individui: soluzione assai criticata, ma che in quel momento servì a evitare più gravi discordie. Né meno importanti sono gli altri punti del piano costituzionale ideato da M.; in realtà esso portava il governo da una slegata confederazione di stati a una solida nazione federale, attraverso formule e compromessi che potevano essere accettati da tutti gli stati. Approvato, con qualche emendamento, il piano della Virginia dalla convenzione di Filadelfia, M. divise con Alessandro Hamilton (v.), del quale allora egli condivideva le idee, l'arduo compito e il merito di fare ratificare la nuova costituzione dai varî stati, e specialmente dalla Virginia, dove, dopo un mese di discussioni, la ratifica si ottenne con una modestissima maggioranza. A illustrare e a diffondere i principî della costituzione, fu pubblicata, tra il 1787 e il 1788 una serie di 85 saggi, sotto il titolo The Federalist; di essi, circa cinquanta furono scritti da Hamilton, e una trentina da M.
I capi del movimento antifederalista della Virginia, Patrick Henry e Richard H. Lee, riuscirono a fare escludere M. dal senato per quell'anno, ma non riuscirono a impedire che fosse eletto deputato alla prima legislatura nazionale, dove le sue benemerenze e la sua esperienza politica, gli assicurarono un posto assai eminente. Non è ben chiaro come M. sia divenuto il capo dell'opposizione alla politica di Hamilton. Si deve forse pensare alla influenza di Jefferson; forse il suo carattere prudente rifuggiva dal sistema di governo, alquanto ardito, di Hamilton, specialmente nel campo economico; certo è da lamentare che i rapporti tra questi due uomini, che avevano tanto lavorato in comune, si raffreddassero fin quasi all'inimicizia. Tuttavia, l'opposizione di M., che diveniva uno dei capi del nuovo partito repubblicano, fu sempre improntata a serenità e disinteresse. Alla fine della seconda presidenza di Washington, M. si ritirò per quattro anni (1797-1801) dalla vita pubblica.
Nel 1801 Jefferson, eletto presidente, lo volle segretario di stato. Con la partecipazione al governo comincia il secondo periodo della sua attività politica, che non ebbe però grande fortuna né grandi successi. Ottimo teorico, legislatore ricco di dottrina e d'intuito, mancavano a lui quelle doti di energia e di autorità necessarie a dirigere la politica di un paese, specialmente nei rapporti internazionali, e in tempi di grandi difficoltà, quando le tempeste che travagliavano l'Europa facevano sentire i loro effetti anche sull'altra sponda dell'Atlantico. Nella lotta gigantesca tra Francia e Inghilterra, il commercio americano era rimasto annientato; i rimedî che Jefferson tentò di opporre, specialmente l'Embargo Act, si dimostrarono più dannosi che utili; il malanimo contro l'Inghilterra, accresciuto anche da alcuni incidenti, dai quali gli Americani uscirono umiliati, si faceva sempre più vivo; tanto che quando, nel 1809, Jefferson lasciò la presidenza, M., succedendogli, raccoglieva una precisa eredità di guerra. E la guerra fu dichiarata, infatti, il 18 giugno 1812, e si protrasse per due anni con alterne vicende, e attraverso momenti di grave disagio e pericolo per gli Americani, specialmente quando gl'Inglesi riuscirono a impadronirsi di Washington. L'opera di M., come presidente degli Stati Uniti, fu debole e incerta; aspramente criticata dalla maggior parte degli storici, giustificata da altri più benevoli, essa non valse certo ad accrescere la fama e i meriti che M. si era anteriormente acquistati.
Nel 1817 M. si ritirò a vita privata nella sua proprietà di Montpelier. Lì, in perfetta serenità, tenendosi completamente estraneo alla politica, trascorse l'ultimo ventennio della sua vita. Morì il 28 giugno 1836.
Bibl.: The Writings of J.M., voll. 9, a cura di Gaillard Hunt, New York 1900-1910; J.G. Adams, The Lives of J.M. and J. Monroe, Boston 1850; S.H. Gay, J.M., in American Statesmen Series, Boston 1884; Hannis Taylor, The real Authorship of the Constitution of the U.S., Washington 1912.