In linea di massima, per federalismo si intende quell’assetto istituzionale per cui, a partire dalla fine del XVIII secolo, un ordinamento giuridico si caratterizza per un riparto della potestà di imperio tra un apparto di governo centrale ed una pluralità di apparati di governo periferici. D’altra parte, proprio perché il federalismo è legato all’affermazione dello Stato moderno come ente monopolizzatore della forza (Forme di Stato e forme di governo), appare arduo parlare di federalismo propriamente detto a proposito del pluralismo politico medioevale. Pur se alcuni studiosi vedono in Althusius un precursore del federalismo, non vi è dubbio che la prima e più importante teorizzazione di esso è contenuta nei Federalist Papers (1788), raccolta di scritti di A. Hamilton, J. Jay e J. Madison indirizzati ai cittadini dello Stato di New York e di sostegno alla Costituzione statunitense del 1787.
Sul piano costituzionalistico, una parte della dottrina ha affrontato il federalismo da un punto di vista dogmatico, contrapponendo lo Stato federale allo Stato unitario, allo Stato regionale, alla confederazioni di Stati e alle unioni sovranazionali e sottolineando che, mentre nello Stato federale le autorità centrali e quelle periferiche sarebbero equiordinate, negli Stati regionali lo Stato sarebbe gerarchicamente sovraordinato rispetto alle sue articolazioni periferiche. A questa affermazione conseguirebbe, inoltre, che soltanto negli Stati federali le autorità periferiche parteciperebbero al procedimento della revisione costituzionale (art. V Cost. U.S.A. 1787; art. 196 Cost. Francoforte 1849; art. 44 Cost. Austria 1920; art. 78 Cost. Germania 1871; art. 123 Cost. Svizzera 1874; art. 76 Cost. Germania 1919; art. 79 Legge fondamentale Germania 1949; art. 192 ss. Cost. Svizzera 1999), al Governo federale (art. I, sez. 3, e XVII emendamento Cost. U.S.A. 1787; art. 96 Cost. Svizzera 1874; art. 175 Cost. Svizzera 1999) e alla seconda Camera federale (artt. 85 ss. Cost. Francoforte 1849; art. 6 ss. Cost. Germania 1871; art. 34 ss. Cost. Austria 1920; art. 60 ss. Cost. Germania 1919; art. 50 ss. Legge fondamentale Germania 1949; art. 150 Cost. Svizzera 1999). Un simile approccio, tuttavia, pare talora smentito dalla realtà, se si tiene presente che alcune Comunidades autonomas (basti pensare alla Catalogna o ai Paesi Baschi) della Spagna – generalmente considerato uno Stato regionale – godono di potestà legislative e amministrative nettamente più ampie delle rispettive potestà dei Länder dell’Austria, che è invece considerato tradizionalmente uno Stato federale.
Pertanto, secondo alcuni autori, sarebbe da considerarsi superata l’equazione tra federalismo e Stato federale. Sulla scia di quanto sostenuto da uno dei massimi studiosi della materia, C.J. Friedrich, si tende così piuttosto a parlare di «processi di federalizzazione», intendendo con ciò tutti quei processi che riguardano esperienze costituzionali assai diverse tra loro, caratterizzate dalla ripartizione, sia verso l’esterno che verso l’interno e in misura diversa, dei poteri politici tra distinti livelli di governo. In questo modo, quindi, rientrerebbero nell’ambito del federalismo non soltanto quelle peculiari figure organizzative chiamate Stati federali, ma anche gli Stati regionali, le confederazioni di Stati e le stesse unioni sovranazionali (in primis l’U.E.). D’altra parte, questa diversa concezione del federalismo consente di ricomprendere in un quadro unitario le attuali tendenze: da un lato, una sempre più forte integrazione a livello sovranazionale, tanto da fare parlare, sulla scia di Kant, di un federalismo «mondiale» o «cosmopolitico» e, dall’altro, le sempre più forti spinte all’interno degli Stati europei ad accentuare le spinte regionaliste ed autonomiste al proprio interno: basti pensare alla riforma del federalismo in Germania nel 2006 o alla decentralizzazione francese del 2002 o alla devoluzione britannica del biennio 1997-1999 o alle ondate di federalizzazione che hanno caratterizzato il Belgio negli ultimi quarant’anni o, ancora, alla riforma del titolo V della parte II della Costituzione italiana in virtù della l. cost. n. 3/2001.
Più problematico appare parlare di federalismo a proposito degli Stati socialisti. Nonostante che alcuni di essi riservavano a sé la qualifica di Stati federali (ad esempio, l’U.R.S.S. o la Cecoslovacchia), la presenza di due dei principi-cardine di quella forma di Stato, e cioè il principio del c.d. centralismo democratico e quello della c.d. unità del potere statale, finiva con il rendere formale ogni idea di divisione verticale del potere. In tal senso, una parziale eccezione era rappresentata dalla Iugoslavia, la cui Costituzione del 1974 esaltava più di ogni altra Costituzione socialista il principio del federalismo, riservando allo Stato soltanto le attribuzioni esclusive enunciate – mentre tutte le altre spettavano alle diverse comunità territoriali (art. 281) – e garantendo la partecipazione di tutte comunità territoriali alla Presidenza federale (art. 321) e al Consiglio esecutivo (art. 346 ss.). Tuttavia, la dissoluzione di questi Stati in entità più piccole (prima l’U.R.S.S., poi la Cecoslovacchia, poi la stessa Iugoslavia), nell’ultimo quindicennio del Novecento, conferma il sostanziale fallimento dell’esperimento federale nell’ambito dei Paesi socialisti.
Il federalismo in Italia. - In Italia, l’idea federalista prese forma dopo il periodo napoleonico in contrasto con la propaganda unitaria di G. Mazzini: ne furono espressione il federalismo neoguelfo di V. Gioberti, quello liberale-moderato di C. Balbo e M. d’Azeglio, il federalismo democratico di C. Cattaneo e quello repubblicano-rivoluzionario di G. Ferrari. Se il 1848 segnò il fallimento del programma neoguelfo, la politica cavouriana riuscì a isolare il federalismo di Cattaneo e Ferrari. Il federalismo sembrò affermarsi concretamente solo nel settembre 1860, quando G. Garibaldi e Cattaneo pensarono di costruire, attraverso Parlamenti speciali, l’indipendenza del Napoletano e della Sicilia. Il federalismo repubblicano in seguito si scontrò con l’accentramento amministrativo e burocratico postunitario, in difesa di un autonomismo democratico.
L’attuazione, sostanzialmente inadeguata, del regionalismo disegnato nel 1947 dall’Assemblea costituente ha fatto sì che dalla fine degli anni 1980 la questione del federalismo sia nuovamente divenuta centrale dei programmi delle forze politiche italiane, con un dibattito tra chi concepiva il federalismo in chiave separatista, talora anche secessionista, e chi lo interpretava in termini di ‘regionalismo forte’, conferendo alle Regioni poteri effettivi di autogoverno, ma salvaguardando l’unità dello Stato nazionale. Il dibattito parlamentare è sfociato quindi in una legge di revisione costituzionale che è stata sottoposta a referendum e promulgata dal presidente della Repubblica (l. cost. 3/2001). Tale legge non modifica lo Stato italiano in uno Stato federale, ma comporta una ridistribuzione di competenze tra Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni. La riforma dello Stato in senso più marcatamente federalista era prevista dalla legge di riforma della Costituzione approvata dal Parlamento nel novembre 2005, ma è stata bocciata dal referendum confermativo tenuto nel 2006.
Forme di Stato e forme di governo