Giobèrti, Vincenzo. - Filosofo e uomo politico (Torino 1801 - Parigi 1852). Sacerdote, fu ministro (1848) e presidente del Consiglio (1848-49) del Regno di Sardegna e sostenitore del processo di unificazione dell’Italia sotto l’egida sabauda, come espresso in una delle sue maggiori opere (Del rinnovamento civile d'Italia, 1851). Quello di G. rappresenta uno dei momenti più elevati del pensiero politico italiano. Nella speculazione filosofica, G. concentrò soprattutto la sua attenzione sul problema metafisico e gnoseologico del rapporto fra l'universale e l'individuale, fra Dio e l'uomo, fra lo spirito e la realtà.
Nato da famiglia di modeste condizioni economiche, si laureò nel 1823 in teologia e nel 1825 fu ordinato sacerdote. Cappellano di corte dal 1826, divenne presto noto per gli studi teologici e per la professione di repubblicanesimo (nel 1834 la rivista mazziniana Giovine Italia pubblicò la sua lettera Della repubblica e del cristianesimo). Arrestato ed esiliato, visse a Parigi e a Bruxelles dal 1834 al 1845, insegnando e scrivendo gran parte delle opere. Nel 1843 pubblicò Del primato morale e civile degli italiani in cui perorava una soluzione federalista del problema nazionale sotto l'egida del papa, ritenendo l'afflato ideale e la tradizione monarchica del cattolicesimo in grado di sostenere l'aspirazione all'indipendenza nazionale e armonizzare gli interessi particolari. L'opera ebbe grande risonanza dal momento in cui, salito Pio IX al soglio pontificio (1846), la politica vaticana sembrò orientarsi nella direzione indicata da G., e questi, rientrato a Torino lo stesso anno, venne coinvolto nella direzione politica del Regno di Sardegna (nell'ag. 1848 fu ministro del governo Casati e dal dic. 1848 al febbr. 1849 presidente del Consiglio), assistendo da quell'osservatorio al tramonto dell'ipotesi neoguelfa. Dopo un breve periodo nel quale fu ambasciatore a Parigi, ritornò alla vita privata e agli studi e nel 1851 diede alle stampe Del rinnovamento civile d'Italia, la sua seconda grande opera politica, nella quale, riconoscendo gli errori di previsione sulle potenzialità della politica ecclesiastica, tornava a perorare la causa nazionale affidandone i destini ai principi sabaudi cui sarebbe spettato l'onere dell’unificazione d'Italia e dell'elevazione di Roma a capitale. Il pensiero politico di G., al di là dei contingenti insuccessi, ebbe grande rilevanza nell'azione risorgimentale. Come filosofo G., partito da un'esperienza di religiosità trascendente, concepì come problema fondamentale della filosofia quello dell'immanentizzazione di tale trascendenza. Di qui la sua "formula ideale", "l'Ente crea l'Esistente e l'Esistente ritorna all'Ente": cioè l'universale razionale si determina nel reale, il quale a sua volta tende alla razionalità dell'idea. In tale concezione dialettica del rapporto tra l'essere, proprio di Dio, e l'esistere, proprio dell'uomo, fra il razionale e il reale, con cui G. rinnova in certo modo l'esperienza hegeliana, è d'altronde il punto essenziale della sua polemica contro Rosmini, nella cui dottrina dell'"Essere ideale" scorgeva un residuo di psicologismo e di soggettivismo.
Alle opere già ricordate sono da aggiungere: Teorica del sovrannaturale (1838); Introduzione allo studio della filosofia (1839-40); Degli errori filosofici di A. Rosmini (1841); Il gesuita moderno (1846-47). Scritti postumi: Della riforma cattolica della Chiesa (1856); La filosofia della rivelazione (1857); Della protologia (1857); Pensieri di V. G.: Miscellanee (1858- 1860); Ricordi biografici e carteggio (1860-62); Meditazioni filosofiche inedite (1909); La teorica della mente umana (1910); Ultima replica ai municipali (1917); I frammenti della "Riforma cattolica" e della "Libertà cattolica" (1924); Epistolario (ed. naz., 11 voll., 1927-37). È in corso (dal 1938) l'ed. naz. delle sue opere, a cura dell'Istituto di studî filosofici di Roma.