(catalano Catalunya, sp. Cataluña) Comunità autonoma della Spagna (32.091 km2, con 7.210.508 ab. nel 2007), la seconda per popolazione, dopo l’Andalusia; capoluogo Barcellona. Occupa la parte nord-orientale della Penisola Iberica e comprende le province di Barcellona, Gerona, Lérida e Tarragona. Deriva la sua identità da fatti storico-culturali, mancando invece di individualità fisica; vi si distinguono almeno tre unità naturali: il versante S dei Pirenei orientali, con caratteri climatici e morfologici tipicamente montani; l’ampia depressione interna corrispondente a buona parte del bacino del Segre (tributario dell’Ebro), con clima piuttosto continentale; l’area costiera, spiccatamente mediterranea, formata da rilievi litoranei in genere non molto elevati, interrotti da alcuni solchi fluviali. La costa è quasi ovunque alta e rocciosa; solo ai due estremi si estendono ampie piane litoranee: l’Empordá, ai piedi dei Pirenei, e il vasto delta dell’Ebro.
La popolazione è assai difformemente ripartita: la sola provincia di Barcellona accoglie i quattro quinti della popolazione della comunità, e con quella di Gerona spicca per lo sviluppo delle attività industriali, commerciali e turistiche. Passata dalla fase industriale a quella postindustriale, la C. si caratterizza soprattutto per le attività direzionali e per altri servizi di livello elevato, oltre che per l’ormai collaudato sviluppo turistico, nonostante ospiti ancora un settore secondario imponente e sia la regione di gran lunga più industrializzata della Spagna. Il ramo tessile è quello di più antica tradizione; rilevanti sono le industrie meccaniche (soprattutto automobili), metallurgiche, chimiche e petrolchimiche. Notevole è la produzione di energia, sia idro- sia termoelettrica, quest’ultima in parte proveniente dalla centrale nucleare di Vandellós (Tarragona). Il turismo ha conosciuto uno sviluppo eccezionale, soprattutto nei centri della Costa Brava, il pittoresco litorale settentrionale; più recente l’avvaloramento degli altri tratti costieri. Non particolarmente abbondanti le risorse minerarie (piombo; un piccolo giacimento di uranio in provincia di Lérida). L’agricoltura ha incidenza modesta rispetto alle attività secondarie e terziarie, ma è tuttora notevole nelle province di Tarragona e, soprattutto, di Lérida.
La C. è anche la comunità che, muovendo da una situazione di partenza nettamente migliore delle altre (per l’industrializzazione di vecchia data e per la presenza di una grande metropoli che, favorita dalla sua posizione marittima, ha contrastato con successo la leadership della capitale), ha meglio, e con maggior determinazione, profittato delle possibilità offerte dal nuovo ordinamento regionale del paese, ampliando costantemente e sensibilmente la propria autonomia, in particolare per quanto riguarda l’affermazione della lingua e l’organizzazione scolastica e sanitaria.
Abitata in origine da società iberiche indipendenti, la C. subì largamente, dall’8° al 6° sec. a.C., l’influsso dei Fenici e in seguito dei Greci. Nel 3° sec. fu conquistata dai Cartaginesi e poi dai Romani (218 a.C.). Fece parte della provincia Hispania citerior e poi della Tarraconensis. Invasa dai Visigoti (5° sec.) e occupata dagli Arabi (711), alla fine dell’8° sec. fu liberata da Carlomagno. Fra il 9° e il 12° sec. la sua storia si identifica con quella della contea di Barcellona che, nel suo processo di espansione, comprese l’intera regione con il conte Raimondo Berengario IV (1131-1162). Grazie al matrimonio del conte con Petronilla, erede del trono aragonese (1137), si creò la confederazione catalano-aragonese chiamata dagli storici Regno d’Aragona.
A partire dal 14° sec. fu creata la Generalitat della C., organismo permanente con rappresentanti dei tre bracci delle Cortes (ecclesiastico, militare, popolare) con sede a Barcellona. La C. formò così una gelosa coscienza dei propri diritti e delle proprie ‘singolarità’ di fronte alle altre regioni iberiche, che costituì il motivo centrale della storia catalana nell’unità spagnola. L’inaridirsi del commercio in Oriente per l’irrompere dei Turchi e l’esclusione dal commercio con l’America a favore della Castiglia (cui l’Aragona si era unita con il matrimonio di Ferdinando il Cattolico con Isabella di Castiglia) crearono un fermento anticastigliano e separatista. Pur di sottrarsi al dominio di Filippo IV la C. si dette alla Francia (1640-52) e appoggiò Carlo d’Austria contro Filippo V durante la guerra di successione di Spagna, il che comportò la soppressione delle sue istituzioni autonome.
Nel 18° sec. Carlo III di Borbone concesse ai Catalani il commercio con l’America: al risveglio economico e culturale si accompagnò lo sviluppo di tendenze autonomistiche e separatistiche, il cosiddetto catalanismo, movimento politico e culturale che, tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, oppose al centralismo spagnolo l’idea della Nacionalitat catalana. Dal catalanismo trasse origine la Lliga regionalista, fondata nel 1901, che avviò un processo di autonomia, realizzatosi parzialmente nel 1914 con il riconoscimento da parte del governo spagnolo della Mancomunitat de Catalunya, organo amministrativo superprovinciale, poi soppresso nel 1925 dal dittatore P. de Rivera. Caduto il regime di de Rivera, l’ascesa del nazionalismo repubblicano e radicale trovò espressione nella Esquerra republicana de Catalunya, che, vinte le elezioni nell’aprile 1931, proclamò la Repubblica catalana. L’anno successivo, un compromesso raggiunto con Madrid si tradusse nella creazione di un governo regionale autonomo e nel varo di uno statuto di autonomia, approvato dai Catalani in un referendum e sancito dal Parlamento spagnolo nel settembre 1932. Lo statuto, insieme con la Repubblica catalana, fu abrogato da Franco nel 1938 e la C., che aveva assunto un ruolo rilevante durante la guerra civile, subì negli anni della dittatura la repressione di ogni istanza autonomistica.
Il processo di democratizzazione avviato in Spagna dopo la morte di Franco (1975) portò alla ricostituzione nel 1977 della Generalitat de Catalunya e al varo di uno statuto di autonomia, approvato tramite referendum nell’ottobre 1979 ed entrato in vigore nel gennaio 1980. Nel 2006 un nuovo statuto ha esteso l’autogoverno della regione, attribuendo alla Generalitat maggiori prerogative in campo fiscale, giudiziario e amministrativo, oltre alla facoltà di mandare un proprio rappresentante alle riunioni europee in cui si discuta di questioni che possano toccare la Catalogna.
Le elezioni tenutesi nel novembre 2010 hanno registrato una netta vittoria del partito Convergència i Unió (CiU), che ha insediato il 46% dei deputati alla Camera (62 seggi), essendo il suo candidato A. Mas eletto presidente della Generalitat. In una fase di profonda crisi con il governo spagnolo, Mas ha tentato di affrettare il processo di autodeterminazione, ma nel settembre 2012 è stato costretto a convocare elezioni anticipate, alle quali è risultato nuovamente vincitore pur perdendo 12 seggi in Parlamento. Le istanze indipendentiste, al centro del programma politico di Mas e più volte ribadite negli anni successivi con imponenti manifestazioni di piazza, si sono però dovute confrontare con il veto posto da Madrid sul referendum indetto nel settembre 2014 e previsto per il 2016, mentre alle elezioni regionali fissate anticipatamente al settembre 2015 la coalizione del presidente della Generalitat ha mirato a ottenere la maggioranza assoluta nel nuovo Parlamento di Barcellona, al fine di creare una Costituente del nuovo Stato repubblicano, per la cui proclamazione è fissato un termine di 18 mesi dalle consultazioni. Le elezioni hanno registrato la vittoria delle due liste indipendentiste, Junts pel sì di Mas (62 seggi) e Candidatura d'Unitat Popular, CUP, (10 seggi), che hanno conquistato 72 seggi su 135 nel nuovo Parlamento catalano, rimanendo però al di sotto del 50% dei voti. Nel novembre 2015 il Parlamento di Barcellona ha approvato una mozione nella quale ha dichiarato l'inizio del processo verso la costituzione di "uno Stato catalano indipendente sotto forma di repubblica", aprendo una profonda crisi con il governo spagnolo, che il mese successivo ha annullato la risoluzione indipendentista. Il processo secessionista ha rischiato di subire un'ulteriore battuta di arresto a seguito della decisione del CUP di non sostenere il governo di Mas rischiando di obbligare la regione a nuove elezioni, ciò che l'uomo politico ha evitato nel gennaio 2016 rinunciando a ricandidarsi alla presidenza della Generalitat; nello stesso mese è stato eletto in questa carica l'indipendentista C. Puigdemont. Il referendum separatista indetto dal governo della C. e dichiarato illegittimo dalla Corte costituzionale spagnola si è svolto nell'ottobre 2017 in un clima di fortissime tensioni, aprendo una grave crisi tra i poteri locali e il governo centrale, che ha applicato dure misure repressive per impedire il regolare svolgimento delle consultazioni; con un afflusso alle urne del 43% degli aventi diritto, il 90% dei votanti si è pronunciato a favore dell'indipendenza, contro il 7,8% di pareri contrari. Nei giorni successivi il presidente Puigdemont ha firmato la dichiarazione di indipendenza, sospendendola subito dopo per aprire il dialogo con il governo nazionale, cui il premier Rajoy ha risposto con fermezza, attivando le procedure per l'applicazione dell'articolo 155 della Costituzione, che prevede il commissariamento e il passaggio a Madrid delle competenze della Generalitat, e indicendo elezioni anticipate da tenersi entro sei mesi. Il 27 ottobre il Parlamento catalano ha approvato a scrutinio segreto la risoluzione che dichiara l’indipendenza dalla Spagna e la costituzione della Repubblica catalana come "stato indipendente e sovrano di diritto democratico e sociale"; nello stesso giorno, a seguito di tale atto, il premier Rajoy ha sciolto il Parlamento catalano, destituito Puigdemont - del quale ha assunto la carica delegandola alla vicepremier S. Sáenz de Santamaría - e indetto nuove elezioni; alle consultazioni, svoltesi nel mese di dicembre, il fronte indipendentista composto dalle liste ERC (Esquerra Republicana de Catalunya), JuntsxCat (Junts per Catalunya) dell’ex presidente Puigdemont e CUP (Candidatura d'Unitat Popular) ha riconquistato insieme la maggioranza assoluta, con 70 seggi su 135 nel nuovo Parlamento di Barcellona, mentre i tre partiti unionisti CS (Ciudadanos), Partit dels Socialistes (PSC) e PP (Partido Popular) hanno ottenuto complessivamente 57 seggi, Ciudadanos attestandosi come prima forza politica catalana. Nel maggio dell'anno successivo è stato eletto presidente della Generalit l’indipendentista Q. Torra - candidato dal presidente deposto e in esilio Puigdemont - che ha ottenuto 66 voti a favore e 65 contrari; sollevato dall'incarico nell'ottobre 2020 dal Tribunale supremo spagnolo a seguito di una condanna per disobbedienza, Torra è stato sostituito ad interim dal vicepresidente P. Aragonès. Le elezioni per il rinnovo del Parlamento tenutesi nel febbraio 2021 hanno registrato un'avanzata degli indipendentisti di ERC, che hanno ottenuto il 23% dei voti e 33 seggi.
Il catalano è parlato, oltre che nella C. e territori adiacenti, nelle isole Baleari e Pitiuse, e in Alghero (Sardegna), da circa 7.000.000 di persone. Per alcuni tratti si accosta allo spagnolo, per altri mostra influssi provenzali che hanno abolito caratteri iberici; così nella soppressione della dittongazione di e e o aperte accentate e nella caduta di vocali finali a eccezione di a. La sostituzione per mezzo dell’articolo derivato da ille dell’articolo es sa da ipse ipsa (come in sardo) nei più antichi monumenti e tuttora in certi dialetti orientali è dovuta probabilmente a influsso spagnolo. Da notare è anche l’uso di amb (lat. apud) nel significato di con, come in provenzale. Caratteristiche sono le prime persone di certi verbi in -ch ‹k› (caych «cado»), la desinenza -ì della prima persona nei perfetti deboli (cantì «cantai»).
I dialetti catalani si distinguono in due gruppi: l’orientale e l’occidentale, le differenze consistono in fenomeni di vocalismo. Nel 1931 la C. ottenne l’autonomia e il catalano divenne lingua di Stato accanto allo spagnolo; alla fine della guerra civile, lo spagnolo riprese la posizione di unica lingua ufficiale, che ha mantenuto fino al varo dello statuto del 1979.
La letteratura catalana vanta tra la fine del 12° sec. e gli inizi del 13° una scuola poetica propria, anche se di lingua e ispirazione provenzale (G. de Berguedà, Cerverí de Girona, Uc de Mataplana, R. Vidal de Besalú). La lingua nazionale, il catalanesch, già affermatasi nelle Homelies d’Organyà (12°-13° sec.), si estese per tutto il Mediterraneo, seguendo il ritmo delle vicende storiche della Catalogna. La trasformò in ottimo strumento di espressione scientifica R. Lullo (13°-14° sec.), che seppe distinguere definitivamente il catalano dal provenzale, conferendogli dignità. Accanto a Lullo, il Llibre dels feyts di Giacomo I scritto da R. Muntaner e la cronaca di Pietro III scritta da B. Desclot sono la più alta espressione della cultura di quel periodo, che vide la nascita di università (Perpignano e Lérida) e di ricche biblioteche (Poblet). Nella poesia, sull’esempio della Sobregaya companhia dels set trobadors de Tolosa, nacque nel 1393, a opera di Ll. d’Averçó e J. March, la escola poética catalana, che, pur aderendo nella forma ai Giochi Floreali di Tolosa, se ne differenziava per una maggior libertà tematica e per l’uso della lingua catalana. Accanto alla lirica d’intonazione amorosa, si sviluppò la poesia narrativa, in due forme principali: le noves rimades e la codolada, con un evidente l’influsso provenzale e francese (B. de So; J. March; G. Torroella).
Sul finire del 14° sec., il primo svolgersi del Rinascimento diffuse, con versioni e adattamenti, la conoscenza dei classici; attraverso l’opera latina di F. Petrarca e G. Boccaccio s’inserì l’influenza italiana. A. Febrer diede un’ottima versione della Divina Commedia, anch’essa fonte d’ispirazioni e imitazioni, mentre nella delicata eleganza della poesia di J. de Sant Jordi si fondono influenze provenzali e petrarchismo. Realismo italiano e sentimentalismo di romanzi cavallereschi stanno alla base del Curial y Güelfa e del Tirant lo blanc. Dalla folta schiera di poeti legati alla vecchia tradizione provenzale e accademica si distingue il mistico poeta di amori profani, Ausiàs March (14°-15° sec.), che riassume la tradizione trovadorica e petrarchesca. Anche a Valenza fiorì vigorosa l’imitazione dei classici e degli Italiani; la poesia di R. Llull , talora in tinte delicate, e il greve realismo di J. Gassul segnano le ultime tappe di questa letteratura che l’unione politica con la Castiglia privò presto anche della lingua, sostituita dal castigliano. J. Boscà rinnovò la vana ingegnosità della scuola valenziana con l’imitazione italiana; ultime voci quelle di P. Serafí (16° sec.), J. Pujol di Mataró (16°-17° sec.) e V. García (17° sec.).
Sotto l’influsso del castigliano, la lingua decadde a dialetto e cessò di avere carattere ufficiale; nel 1714 si chiusero le università catalane, cui Filippo V voleva contrapporre la nuova di Cervera. Ma il processo di assimilazione castigliana non fu completo. B.C. Aribau con la sua Oda a la patria (1833) segnò il primo passo verso la resurrezione della lingua regionale; nel 1841 apparve il primo volume di versi catalani, Lo gayter de Llobregat di J. Rubió i Ors. Risorse l’interesse, anche dei poeti, per la storia e la letteratura regionale. La restaurazione dei Giochi Floreali (1859) segnò il passaggio dal catalanismo letterario a quello politico, che da allora in poi furono intimamente fusi.
Dalla fine del 19° sec., la cultura della C. accolse tutti i valori spirituali e tutte le forme e tentativi di espressione: il teatro vanta i nomi di I. Iglésias, S. Rusiñol, A. Gual; la lirica quelli del romantico J. Maragall, di E. Guanyavens, J. Zanné, M. Costa i Llobera, G. Alomar, J. Carner, J.M. López-Picó, J.M. de Sagarra; la prosa quelli di C. Albert i Paradís, J. Ruyra. La fondazione dell’Institut d’estudis catalans (1907) contribuì al felice sviluppo degli studi letterari e scientifici. Il sopraggiungere del regime franchista, ostile a ogni espressione di autonomia, pose non pochi ostacoli a tale positivo sviluppo. Ma già a partire dagli anni 1950 la letteratura catalana ebbe una notevole ripresa, cui contribuirono scrittori di diverse generazioni, come L. Villalonga, P. Quart, A. Bartra, M. Rodoreda, S. Espriu, M.A. Capmany, J. Brossa, G. Ferrater, J. Perucho, R. Salvat, T. Moix, P. Gimferrer, M. Roig, R. Gomis. A partire dagli anni 1960, l’attenuarsi della censura e delle prescrizioni imposte dal regime rese possibile la pubblicazione in catalano di molte opere scritte prima della guerra civile, o date alle stampe da scrittori in esilio. La maggior parte delle opere di J. Pla i Casadevall, V. Riera i Llorca, J.M. Espinàs, M. Rodoreda, J. Vidal i Alcover affrontava in chiave realistica i temi dell’esilio e della guerra, o tentava un’analisi disincantata della società catalana del dopoguerra. Una visione pessimistica dell’esistenza e della realtà politica spagnola si percepisce nelle opere di uno dei più prolifici autori della narrativa catalana, M. de Pedrolo i Molina, che si apre all’esistenzialismo francese e poi alle tecniche del nouveau roman, in una felice contaminazione di generi. Menzione a parte merita P. Calders i Rossinyol, con i suoi racconti irreali e onirici, ricchi di fantasia e umorismo. Un mondo favoloso, dove la realtà svela continuamente aspetti fantastici, è anche quello dei romanzi di J. Perucho, scrittore raffinato e coltissimo. Negli anni della transizione democratica, la vita culturale catalana ricevette un nuovo impulso: dal 1978 fu autorizzato l’insegnamento della lingua catalana e si diede avvio a un programma di ‘normalizzazione’ linguistica fino ad arrivare a un bilinguismo ufficiale. Dalle attività di promozione culturale ha tratto beneficio un gruppo di narratori più giovani (E. Teixidor, R. Saladrigas, T. Moix, J. Albanell, P. Gimferrer, J. Cabrè, M.A. Anglada, M. Pessarrodona, M. Roig, C. Riera). Essi mostrano una netta preoccupazione per i problemi tecnici della scrittura e da un punto di vista tematico restano legati all’esperienza autobiografica, facendosi testimoni dei mutamenti sociali, religiosi e morali in cui la loro generazione è stata coinvolta (i movimenti studenteschi, la fine del franchismo, la crisi delle ideologie). Una vena che affonda le sue radici nel mondo popolare e contadino, nel legame profondo e magico con la terra, non priva tuttavia di valutazioni critiche verso le tradizioni rurali e talora soffusa d’ironia, si registra soprattutto tra i narratori delle Isole Baleari e della regione valenzana (B. Porcel, J.L. Seguí, P. Faner, F. Cremades).
La poesia catalana degli anni posteriori alla dittatura è stata percorsa da una reazione contro l’estetica del realismo critico e della poesia sociale, imperante negli anni 1960, e ha mantenuto vivo al contempo il dialogo con la poesia anteriore alla guerra. Sensibile alle innovazioni delle neoavanguardie, creativo e geniale nella sperimentazione sulle forme liriche tradizionali e nella contaminazione con le arti figurative è J. Brossa, autore di poesie visive e su un piano fortemente sperimentale va situata anche l’opera poetica del pittore A. Ràfols Casamada. Voce tra le più originali è quella di P. Gimferrer (La llum, 1991), neobarocco e simbolista. Su una linea diversa, ma pur sempre segnata dal rifiuto di una poesia militante, si colloca G. Ferrater (1922-1972), una delle voci più pregnanti nel rivendicare una poesia personale ed essenzialmente etica, influenzata dalla lirica anglosassone.
Meno ricca appare la produzione teatrale, nonostante l’impulso offerto dalle istituzioni promotrici di festival (Festival Grec di Barcellona, Festival de teatre al Carrer de Tàrrega ecc.) e l’attività sperimentale di alcuni teatri attivi in particolare sul finire del franchismo.
All’incrocio di varie correnti artistiche, l’arte della C. presenta una sua particolare connotazione a partire dal 10° sec. e ha come centri di diffusione importanti monasteri: S. Pedro de Roda, Vich, Ripoll ecc. In architettura elementi lombardi furono trasmessi dai maestri che vi lavorarono, tuttavia peculiari della C. furono l’uso precoce della volta e le soluzioni planimetriche delle navate, con o senza transetto, terminanti con absidi (fino a sette, come in S. Maria di Ripoll). La scultura, abbandonato l’intreccio geometrico per influsso della cultura provenzale, da questa si distacca per un’esigenza di realismo che provoca la robusta plasticità della forma (facciata della cattedrale di Ripoll, 12° sec.; chiostri di Gerona, Barcellona, Tarragona, 12°-13° sec.). Una scuola di pittura romanica murale e su tavola fu vivace nelle vallate dei Pirenei e a Urgel: è caratterizzata da contorni secchi, da colori vivi e piatti; alla fine del 12° sec. è recepita in modo particolare l’influenza bizantina. Alla fine del 14° sec. l’architettura civile mostra un’elegante agilità di forme (‘Lonja’ di Barcellona e di Palma). Fiorirono l’oreficeria, la scultura, l’intaglio con gli scultori J. Castays, P. Morey, G. Sagrera. I retablos scolpiti divennero sempre più complessi. Pere Joan de Vallfogona scolpì (1462) quello della cattedrale di Tarragona interpretando con vivace realismo i modi fiamminghi. Nella pittura del 14° sec. dominò la corrente senese (tramite Avignone) con F. Bassá (affreschi nel monastero di Pedralbes); nel 15° sec. il predominio passò alla corrente franco-fiamminga senza che ne venisse compromessa l’originalità di pittori eminenti come L. Borrassà, J. Huguet, L. Dalmau, secondo il gusto dominante in C., con sovrabbondante ricchezza decorativa di ori e rilievi in stucco.
Nel 1469 la C. entrò nell’unità spagnola, e da quel momento anche le sue vicende artistiche vanno considerate nel quadro generale dell’arte spagnola (➔ Spagna). Rammentiamo qui tuttavia la particolare vivacità, in C., del Modernismo (➔) con L. Domenech i Montaner e A. Gaudí, del GATCPAC (➔), delle numerose personalità e gruppi catalani, protagonisti dell’arte d’avanguardia spagnola.