CAMBACÉRÈS, Jean-Jacques-Régis de
Giurista e uomo politico francese, nato a Montpellier il 15 ottobre 1753, morto a Parigi l'8 marzo 1824. Agl'inizî della Rivoluzione, era consigliere alla Corte dei conti della sua città. Eletto deputato agli Stati generali, non fu convalidato che come semplice supplente, e non ebbe quindi titolo per partecipare ai lavori dell'Assemblea costituente. A Parigi, aprì uno studio di avvocato e vi si stabilì nel 1792, quando fu eletto deputato del suo dipartimento alla Convenzione nazionale. Si propose di non occuparsi che di materie legali; ma, sebbene cercasse faticosamente di trovare una formula per salvare la vita di Luigi XVI, si lasciò intimidire dai giacobini e nell'ultimo appello diede il suo voto con una motivazione che lo fece ritenere fautore dell'esecuzione immediata del re. Nel 1793 fu chiamato a far parte del Comitato di salute pubblica, nel quale cercò di limitare le sanguinose rappresaglie contro i monarchici e i federalisti. Morto il Robespierre, invocò l'inviolabilità dei membri della Convenzione e propugnò un'amnistia. Si preoccupava peraltro di non essere tacciato di simpatie per i Borboni, che gli furono imputate specie dopo il moto del 13 vendemmiale.
Pertanto, i repubblicani più accesi si opposero alla sua designazione a membro del Direttorio, mentre ebbe molti voti nell'elezione dei membri della Convenzione che dovevano costituire i due terzi del Consiglio dei Cinquecento, di cui fece parte fino al 20 maggio 1797. Il rimaneggiamento del Direttorio dopo il 18 fruttidoro rafforzò proprio gli elementi più contrarî al C.: la sua elezione nell'anno seguente, come deputato di Parigi, fu annullata. La posizione politica del C. fu invece assai migliorata dal nuovo colpo di stato del 30 pratile, quando il Sieyès divenne membro del Direttorio e gli affidò il ministero della Giustizia. Dopo il 18 brumaio, il Bonaparte non esitò a valersi della grande esperienza legale ed amministrativa del C., che fu nominato secondo console. Si consacrò interamente all'opera di ricostruzione legislativa e, non nascondendo la sua propensione per l'antico regime, ricollocò nei tribunali il maggior numero possibile di magistrati provenienti da antiche famiglie di toga. Incoraggiò il Bonaparte nelle trattative con la Santa Sede ed anche lo esortò a trasformare il consolato in impero. Fece invece ogni sforzo per trattenere Napoleone, al quale sì era realmente affezionato, dall'assassinio del duca d'Enghien, come pure manifestò il suo dissenso dalla politica spagnola dell'imperatore e dalla decisione di divorziare da Giuseppina. Con queste riserve abilmente formulate, il C., che amava la vita fastosa, quand'anche si ritengano infondate le accuse rivoltegli di cattivi costumi, riteneva di avere acquetato la sua coscienza; l'eventuale suo dissenso, poi, non lo tratteneva dal magnificare tutte le decisioni che potesse prendere Napoleone e dal farsene l'esecutore e l'interprete nel Senato e nel Consiglio di stato, che presiedeva in assenza dell'imperatore, dacché nel maggio 1804 era stato assunto alla carica di arcicancelliere dell'Impero. Nell'inverno 1814, Napoleone nominò il C. presidente del Consiglio di reggenza. Dopo che il Senato ebbe proclamato la decadenza di Napoleone dal trono, il C. inviò una dichiarazione d'adesione. Non ebbe la forza di rifiutare da Napoleone, nel marzo 1815, il portafoglio della Giustizia. Fu quindi indotto a presiedere la Camera dei pari dei Cento giorni ed a figurare in parecchie occasioni solenni. durante quest'ultima esperienza del governo napoleonico, compromettendosi di fronte ai Borboni. Infatti, nel febbraio 1816, compreso, senza un vero fondamento di giustizia, fra i "regicidi", fu bandito per due anni dal territorio francese, ma nel 1818 fu riammesso in patria. Aveva rinunciato sin dall'inizio della Restaurazione al titolo di duca di Parma, che Napoleone gli aveva conferito nel 1808.
Bibl.: A. A., Vie de Cambacérès, Parigi 1824; P. Vialler, l'Archichancellier Cambacérès, Parigi 1908; P. Duvivier, L'exil de Combacérès à Bruxelles, 1816-18, Parigi 1909.