Bentham, Jeremy
Filosofo, giurista ed economista inglese (Londra 1748 - ivi 1832).
Dopo aver studiato nel Collegio di Westminster, entrò nel Queen’s College di Oxford (1763) diventando a soli 18 anni bachelor e master of arts (1766). Seguendo l’esempio del nonno e del padre iniziò la professione di avvocato, ma l’abbandonò presto, disgustato dall’incertezza delle leggi e dagli abusi della procedura. Questa breve esperienza lo convinse della necessità di procedere a una riforma della legislazione: nel 1776 pubblicò A fragment on government (trad. it. Un frammento sul governo), in cui criticò la teoria del contratto sociale e delineò la sua concezione filosofica e politica, ponendo come origine e fine del diritto il principio utilitaristico. Dal 1785 al 1787 compì lunghi viaggi, in Europa, a Costantinopoli e in Russia, e scrisse la Defence of usury (1787; trad. it. Difesa dell’usura), la cui tesi, ardita e perentoria, sollevò molte discussioni. Ritornato in Inghilterra, pubblicò nel 1789 la Introduction to the principles of morals and legislation (già stampata nel 1780; trad. it. Introduzione ai principi della morale e dell’educazione), dove espose le sue dottrine fondamentali. Amico di A. Morellet e di d’Alembert, seguì con molta simpatia la Rivoluzione francese contribuendo a essa con alcuni suoi scritti; per questo l’Assemblea legislativa gli conferì la cittadinanza francese (1792). Tutto ciò non gli impedì di rivolgere critiche, per la sua astrattezza, alla Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789. Tuttavia, fu in nome dei principi universali dell’Illuminismo che B. prese posizione contro la concezione storica del diritto e riaffermò sulla Westminster review (fondata nel 1823, insieme al suo miglior allievo, James Mill, e al figlio di questi John Stuart) l’esigenza di una codificazione definitiva e unitaria della legislazione inglese. Con James Mill diede vita a un movimento radical-liberale, teso al rinnovamento della struttura politica e sociale dell’Inghilterra attraverso riforme, quali suffragio universale, libero scambio, svecchiamento del sistema giudiziario, diffusione dell’insegnamento. Sotto l’influenza delle idee di Beccaria, sostenne la necessità di riformare il sistema carcerario e ideò un nuovo tipo di prigione con una struttura di controllo centralizzata, detto Panopticon, che servì da modello per la costruzione del primo carcere a celle (cfr. Panopticon, or the ispection-house, 1791; trad. it. Panopticon, ovvero la casa d’ispezione). Postuma (1834) fu pubblicata la Deontology, or the science of morality (trad. it. Deontologia), compilata dai discepoli sui suoi appunti.
B. sferra un feroce attacco contro le concezioni giusnaturalistiche in un testo intitolato Anarchical fallacies, being an examinationof the Declarationof rights issued duringtheFrench Revolution (scritto attorno al 1791 e pubblicato in francese nel 1816 come Sophismes politiques; trad. it. Sofismi anarchici). La Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino gli appare come un elenco di affermazioni apodittiche e spesso arbitrarie, senza alcun rapporto con la realtà concreta ma con conseguenze assai negative per l’ordinamento politico. Non è vero che gli uomini nascono uguali, perché vengono alla luce già inquadrati in gerarchie familiari e sociali, in condizioni di dipendenza (per es., del bambino dagli adulti) e sottoposti tutti a un governo e alle leggi. Nello stato di natura non vige la più perfetta libertà, ma la più perfetta anarchia; in esso non c’è sicurezza, né diritto, vige invece la legge del più forte. È inoltre insostenibile l’idea di un contratto originario: tutti i governi sono nati dalla forza e si sono consolidati con l’abitudine. Le tesi del giusnaturalismo sono quindi astratte, dogmatiche e intolleranti: esse, infatti, esercitano una specie di terrorismo ideologico pretendendo di essere naturali per dare alle proprie asserzioni una forza maggiore, cui nessuno si può sottrarre.
Criticata come fantastica l’ipotesi di un patto originario, B. vede il principio informatore del diritto, come della vita umana in generale, nella ricerca della felicità, che socialmente corrisponde al maggior utile possibile del più gran numero di individui. Sviluppa quindi una dottrina utilitaristica fondata sul principio della «massima felicità del maggior numero possibile di persone». L’individuo non deve abbandonarsi al piacere immediato, ma tendere al piacere più intenso e duraturo, tenendo conto delle conseguenze che dalle sue azioni deriveranno a sé stesso e agli altri. La limitazione del punto di vista egoistico, che questa considerazione comporta, viene compensata dai benefici che l’individuo può aspettarsi in futuro dagli altri da lui beneficati. Pertanto ognuno, nel comportamento sociale, deve operare un vero e proprio «calcolo dei piaceri» derivanti dalle varie azioni possibili, tenendo presente quali sono i requisiti del piacere da privilegiare: intensità, durata, certezza, prossimità, fecondità (tendenza a produrre altri piaceri), purezza (ossia non mescolanza col dolore), estensione (il numero di individui che vengono a godere di quel piacere).
B. pone il principio dell’utilitarismo anche a fondamento dell’etica, pervenendo, a partire da presupposti egoistici, alla giustificazione dell’altruismo. Egli vuole ricavare la morale dalle tendenze naturali dell’uomo: il punto di partenza per la costruzione di un’etica intesa come scienza esatta, secondo il modello delle scienze matematiche, è pertanto una psicologia di tipo sensistico-edonistico. B. muove dall’osservazione che due impulsi fondamentali dominano l’uomo e ne condizionano il comportamento: «La natura ha posto gli uomini sotto l’imperio di due padroni assoluti, il dolore e il piacere. Essi soli ci indicano cosa dovremmo fare e determinano cosa faremo. Al loro trono sono legate da una parte le norme del giusto e dell’ingiusto e dall’altra la concatenazione di cause ed effetti». Su questa base, dal momento che piacere e dolore sono forze misurabili, B. pensa di poter elaborare una «aritmetica morale» e di poter calcolare in maniera esatta tutte le possibili conseguenze e connessioni. Questi calcoli dovrebbero costituire dei criteri sicuri di valutazione e fondare così le nozioni di giusto e di ingiusto.
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