jnana
Nell’epistemologia indiana, indica un singolo episodio conoscitivo, una cognizione, a prescindere dal suo essere corretta o no. In tal senso, si differenzia da pramāṇa, che indica invece la conoscenza valida. J. può perciò includere anche casi di cognizioni che non rientrano nella categoria di pramāṇa, come la memoria o l’osservazione ripetuta di uno stesso contenuto (per la maggior parte delle scuole, infatti, una cognizione può essere detta un pramāṇa solo se permette di conoscere un contenuto prima ignoto; rivedere lo stesso oggetto è perciò un caso di j., ma non di pramāṇa). Costitutivo è anche il suo essere episodico, nel senso che uno j. è di durata istantanea e il ricordo di un’esperienza conoscitiva passata costituisce uno j. distinto. Alcuni autori (per es., Kumārila Bhaṭṭa, Ślokavārttika, 1.1.4) descrivono lo j. come lo strumento per giungere a una conoscenza valida, intendendo così l’episodio conoscitivo come strumento rispetto al risultato consistente nella nozione acquisita mediante questo. Kumārila si oppone a Dignāga e in generale alla scuola Pramāṇavāda nel negare che uno j. percepisca sé stesso. Dignāga sostiene infatti che ogni atto conoscitivo sia consapevole di sé stesso (svayam-prakāśa) e che, come una lampada, illumini e faccia conoscere contemporaneamente sé stesso e il proprio oggetto. Se uno j. non conoscesse sé stesso, non sarebbe possibile spiegare casi come «ricordo di aver visto un vaso», il cui contenuto è l’atto conoscitivo precedente. Per Kumārila, tuttavia, la nostra consapevolezza di aver conosciuto qualcosa è un dato successivo all’atto conoscitivo stesso. Dal momento che un certo oggetto è stato conosciuto è infatti corretto inferire che sia avvenuto un atto conoscitivo, ma lo j. di per sé non è consapevole di sé stesso. Esso può perciò essere paragonato a una bilancia, che permette di conoscere il peso di un altro oggetto, ma non contemporaneamente il proprio. Uno j. può essere aconcettuale (nir-vikalpa, ➔ vikalpa) o concettuale (sa-vikalpa), in accordo con il ruolo che il ragionamento e il linguaggio vi hanno. Un savikalpa j. è un atto conoscitivo descrivibile linguisticamente dal momento che il suo contenuto è esplicitamente qualificato da qualcos’altro (i logici indiani contemporanei, come B.K. Matilal, descrivono tali atti cognitivi con la formula Q(xy), ossia x, in quanto qualificato da y). J. indica anche la conoscenza come via di salvezza (jñānamārga), opposta alla via dell’azione rituale (karmamārga). In tale accezio- ne, j. mantiene il proprio carattere istantaneo e il proprio precedere l’accertamento discorsivo del- la validità del proprio contenuto, in quanto tale conoscenza salvifica è spesso descritta come un’intuizione immediata della realtà. Nel suo commento alla Bhagavadgītā, Śaṅkara oppone anzi j. a vijñāna, caratterizzando quest’ultimo come una conoscenza discorsiva e quindi necessariamente inferiore perché concettuale (➔ vikalpa) rispetto all’immediatezza conoscitiva rappresentata da jñāna.