Fichte, Johann Gottlieb
Filosofo (Rammenau, Alta Lusazia, 1762 - Berlino 1814).
Di origini contadine, poté studiare grazie all’aiuto del barone von Miltitz, morto il quale dovette affrontare dure difficoltà di vita. Studiò nelle univ. di Jena e di Lipsia. Fu precettore a Zurigo nel 1788, dove conobbe Marie Johanne Rahn, nipote del poeta Fr.G. Klopstock, che poi sposò. Dopo la lettura delle opere di Kant, che lo entusiasmarono, si recò a Königsberg nel 1791 per conoscere personalmente il filosofo, e gli presentò il Versuch einer Kritik aller Offenbarung (trad. it. Saggio di una critica di ogni rivelazione) che, pubblicato anonimo nel 1792, fu attribuito allo stesso Kant. Nel 1793 pubblicò i Beiträge zur Berichtigung der Urteile des Publicums über die französische Revolution (trad. it. Contributo per rettificare i giudizi del pubblico sulla Rivoluzione francese), saggio apologetico della Rivoluzione e di Rousseau, interpretati entrambi con criteri che già annunciano gli ulteriori svolgimenti della sua filosofia. Dal 1794 al 1799 professore di filosofia all’univ. di Jena, dovette lasciare l’incarico in seguito a un’accusa di ateismo, che ebbe strascichi polemici. Agli anni di Jena appartengono le sue opere fondamentali: Über den Begriff der Wissenschaftslehre oder der sogenannten Philosophie (1794; trad. it. Sul concetto della dottrina della scienza o della cosiddetta filosofia); Grundlage der gesammten Wissenschaftslehre (1794; trad. it. Fondamenti dell’intera dottrina della scienza); Vorlesungen über die Bestimmung des Gelehrten (1794; trad. it. Lezioni sulla missione del dotto); Grundlage des Naturrechts (1796; trad. it. Fondamento del diritto naturale); Das System der Sittenlehre nach den Prinzipien der Wissenschaftslehre (1798; trad. it. Il sistema della dottrina morale secondo i principi della dottrina della scienza). Dopo Jena si recò a Berlino, dove ebbe contatti con il circolo romantico. Fu poi a Königsberg e quindi a Copenaghen. Nell’inverno 1807-08 tenne a Berlino le famose Reden an die deutsche Nation (trad. it. Discorsi alla nazione tedesca). Fu professore e rettore dell’univ. fondata a Berlino nel 1810.
Come F. stesso dice, fu la Critica della ragion pratica di Kant a rivelargli un nuovo mondo, diverso da quello della necessità, il mondo della morale, del dovere, della libertà. Questo è il punto di partenza e il tema fondamentale della meditazione fichtiana: costruire un edificio sistematico che abbia come fondamento un principio di libertà. Il corso storico, la vita politica, la vita individuale tendono e devono tendere verso la realizzazione di una sempre maggiore libertà, contro il meccanicismo, la passività, la ripetizione. Aderire a una filosofia come la sua, dice F., non è soltanto il risultato di una riflessione, ma è essenzialmente una scelta, quella scelta che è lo stesso punto di partenza della filosofia fichtiana, la quale ha esplicitamente origine in un atto di fede, la fede nell’autonomia e nella libertà dell’uomo. Per dare un fondamento speculativo a queste esigenze, F. si serve di un metodo, che pretende di andare più a fondo di quello di Kant, il quale si limitava a constatare e analizzare, mentre F. costruisce o piuttosto descrive una genesi ideale. Il problema è ricondurre a un principio unico di libertà ogni fenomeno, compresi quelli che si presentano con caratteri opposti a esso. Questo principio di libertà è l’Io, puro atto verso la cui realizzazione noi tendiamo. Nella Grundlage (1794) F. espone la genesi ideale del mondo attraverso alcuni principi fondamentali. Il primo principio è l’io pone sé stesso, col quale principio noi pensiamo un’attività illimitata, un assoluto atto spirituale. Il secondo principio è l’io pone il non-io; anche questo principio è assoluto, inderivabile dal primo, e rende ragione della necessità di una opposizione, di una resistenza, perché l’io si realizzi. Con ciò io e non-io sono in reciproco rapporto e si limitano reciprocamente. Di qui il terzo principio, l’io oppone nell’io all’io divisibile un non-io divisibile. Abbiamo così raggiunto la coscienza empirica, la cui esperienza, sia in quel che ha di attivo, sia in quel che ha di passivo, ha la sua fonte ultima nell’io puro. L’esperienza dell’io è duplice, teoretica e pratica. La prima è la presa di coscienza dell’io attraverso la rappresentazione dell’oggetto; dalla sensazione alla ragione si ha un progressivo intervento delle facoltà rappresentative nel processo di costituzione dell’oggetto conosciuto, ciascuna delle quali interviene perché il soggetto cerca di possedere pienamente l’oggetto, ossia di trovare in sé stesso la ragion d’essere di esso. Ma questa esigenza non può essere soddisfatta appieno, giacché, se lo fosse, verrebbe meno la stessa esperienza teoretica, la quale presuppone l’alterità dell’oggetto e quindi l’urto del soggetto nell’oggetto. Questa esigenza di possesso completo dell’oggetto è la meta ideale (destinata a rimanere tale) verso cui tende progressivamente l’attività pratica. E tale è in generale il compito dell’uomo morale; ma questo compito si attua attraverso una serie di azioni particolari, a seconda delle singole persone e delle circostanze. Ora la particolarità dei doveri non è data dall’impulso morale puro, ma dall’unione di impulso morale e impulso naturale; l’impulso naturale offre la materia dell’azione, il morale puro la forma. Con ciò F. cerca evidentemente di superare le difficoltà del formalismo kantiano; comunque la sua morale è una morale dell’autonomia spirituale.
Strettamente connessa con la dottrina morale di F. è la sua dottrina politico-giuridica. Il diritto è fondato sull’autonomia della persona e sorge dall’esigenza di garantire questa autonomia. Ma a ciò non bastano le volontà singole; occorre una volontà superiore che faccia propria l’esigenza giuridica e le dia forza. Questa volontà è lo Stato, la cui autorità si basa sul consenso dei singoli, secondo lo schema contrattualistico, ripreso da Fichte. Ma lo Stato fichtiano non è semplicemente giuridico; ha anche una funzione etico-pedagogica, volta a promuovere la libertà dei cittadini. Non deve, per es., limitarsi a garantire il diritto di proprietà, ma deve fare in modo che tutti ne fruiscano; lo Stato pertanto interviene nella vita economica, tanto che si è parlato talora di un socialismo di Stato fichtiano. L’azione dello Stato è però soltanto un mezzo per l’attuazione della vita morale, cosicché esso si estinguerebbe se la vita morale potesse realizzare la meta ideale cui aspira, ma alla quale, come si è osservato, essa può solo progressivamente avvicinarsi.
Con il 1800, anno di pubblicazione di Die Bestimmung des Menschen (trad. it. La missione dell’uomo) si fa iniziare una nuova fase della speculazione di Fichte. In essa ritroviamo tutti gli elementi della precedente, ma con un mutamento di accenti e di toni. L’io puro diventa una sorta di assoluto, al di sopra dell’io finito; certamente è pur sempre l’io finito che rivela e realizza questo assoluto, ma è l’assoluto che è il primo, e la libertà, il sapere dei singoli gli sono subordinati. F. indulge a motivi religiosi, come quello della grazia o dell’aspirazione all’eterno, ripercorrendo itinerari neoplatonici; i vecchi motivi della sua filosofia continuano tuttavia a vivere, ma all’interno di questo nuovo quadro. Ciò è caratteristico del pensiero politico, i cui temi restano i medesimi, solo che F. sovrappone a essi una funzione pedagogica (e autoritaria), che li promuova; il popolo, per es., che egli aveva teorizzato sovrano, è ora incapace di governarsi da sé e ha ancora bisogno di essere educato.
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