Donne, John
D. nacque a Londra nel 1572 in un’importante famiglia inglese che professava il cattolicesimo (Thomas More fu uno dei suoi antenati diretti) e che per questo subì ostracismi politici e sociali. A partire dal 1583 studiò a Oxford (Hart Hall) e dal 1586 all’Università di Cambridge: nel 1592 fu ammesso al Lincoln’s Inn per specializzarsi in diritto. Nel 1597 diventò segretario del barone Thomas Egerton, di cui nel 1601 sposò, in nozze clandestine, la nipote Anne More: una volta reso pubblico il matrimonio, dovette abbandonare la carriera diplomatica a causa delle polemiche e cadde in miseria. Nonostante tali difficoltà, riuscì a essere eletto membro del Parlamento (1601): progressivamente si avvicinò all’anglicanesimo e nel 1610, con l’opera Pseudomartyr, iniziò a pubblicare feroci polemiche anticattoliche. Tutto ciò favorì il suo riscatto sociale e il suo riavvicinamento ai ceti dirigenti londinesi. Nel 1614 fu eletto nuovamente in Parlamento. Nel 1615, grazie ai favori della corona, fu ordinato membro della chiesa di Inghilterra: ebbe così inizio la sua carriera ecclesiastica, che lo portò a diventare decano della chiesa di St. Paul, dal 1621 fino alla morte. Nel 1617 morì sua moglie. Tra le sue numerose opere (sermoni e poemi di carattere religioso, poesie d’amore, epigrammi, sonetti, elegie e canzoni) ebbero fortuna soprattutto le due raccolte di versi Anniversaries (1611 e 1612): la prima edizione completa delle poesie e dei sonetti fu però pubblicata postuma nel 1633. Nella sua produzione intellettuale furono decisive le opere Biathanatos (1608, pubblicata nel 1644) e Devotions upon emergent occasions (1624), in cui i temi religiosi si intersecavano con quelli della morte e del suicidio, che furono al centro anche di uno dei suoi ultimi sermoni, dal titolo Death’s duel, pronunciato un mese prima di morire, nel 1631, a Londra.
Attento ai mutamenti culturali dell’epoca – fu uno dei primi a citare Galileo Galilei nella satira Ignatius his conclave (1611) –, D. attraversò le frontiere tra la tradizione e la modernità, tra il naturalismo rinascimentale e la visionarietà barocca, tra il sacro e il profano, diventando moralista e predicatore dopo essere stato autore di opere caratterizzate da sensualità pagana e da scetticismo irreligioso.
D. cita per la prima volta M. nella sua opera Pseudo-martyr (1610). Nella prefazione la citazione è esplicita e riguarda le Istorie fiorentine (citate nell’edizione di «Piacenza 1587», in realtà stampata a Londra), considerate un esempio di narrazione nella quale emergono con chiarezza e lucidità tutti i problemi politici causati all’Italia dal papato. Ma in quest’opera sono evidenti anche altre citazioni indirette da M., per esempio quando D. parla del rapporto tra ragion di Stato e dissimulazione, della teoria della «potestas indirecta» del cardinale Roberto Bellarmino e della commistione tra religione e politica promossa dai gesuiti. La figura di M. è però centrale soprattutto nell’opera satirica Ignatius his conclave (pubblicata anonima in inglese e in latino nel 1611: la versione inglese fu ristampata cinque volte tra il 1611 e il 1652, mentre la versione latina fu ristampata solo nel 1680). La leggenda nera di M. era viva da lungo tempo in Inghilterra, ma originale è il nesso qui istituito da D. tra machiavellismo e gesuitismo: M. è infatti associato con Ignazio di Loyola alla corte di Lucifero. Nonostante i gesuiti fossero stati tra i primi e più feroci detrattori del Segretario fiorentino, D. individua un forte nesso tra le proposte politiche di Ignazio e di M., tutte fondate su un unico principio: la supremazia dell’esistenza mondana (quindi del potere, del dominio e della gloria) su quella ultraterrena.
Questa satira si presenta come la narrazione di un sogno di D., durante il quale la sua anima si è separata dal corpo e, dopo aver viaggiato attraverso i cieli, si è fermata di fronte ai cancelli dell’inferno, dove si sta svolgendo una cerimonia molto particolare, relativa alle condizioni di accesso al centro degli inferi, dove sono ammessi solo pochi eletti: Lucifero – la massima autorità infernale, seguita da papa Bonifacio III e da Maometto – esamina infatti i titoli di coloro che pretendono di essere introdotti alla sua corte, dopo aver insinuato il male tra gli uomini con false opinioni, innovazioni e dubbi verso le tradizioni (Ignatius his conclave, ed. C.M. Coffin, 1941, pp. 6-8). Durante questa selezione Ignazio di Loyola si propone come segretario di Lucifero e mira a rifiutare l’ammissione in questa ristretta cerchia a tutti i richiedenti, eccetto lui stesso e coloro che sono membri della sua Compagnia (pp. 15 e segg.). Dopo che tale ufficio è rifiutato a Niccolò Copernico e a Paracelso, viene il turno di M., che pensa di ingaggiare battaglia con Ignazio. Quest’ultimo, infatti, si è da solo insediato accanto a Lucifero e pertanto merita di essere bersagliato, secondo M., con qualche freccia avvelenata. Tuttavia, accorgendosi presto che Lucifero approva tutto quanto viene affermato da Ignazio, M. cambia velocemente idea e decide di rivolgersi a Ignazio («genio vigilante e diligente») come alla principale autorità dopo Lucifero («temuto imperatore»). In questa azione gli scopi di M. sono duplici: da un lato, accattivarsi le simpatie di Ignazio; dall’altro, rendere geloso e sospettoso Lucifero, che avrebbe dovuto imparare a guardarsi dal crescente potere di Ignazio. Nel suo discorso di autoelogio quale alfiere del male (pp. 34 e segg.) il M. di D. pronuncia eresie, loda l’ateismo e l’arte della simulazione, elogia lo spargimento di sangue e delinea una gerarchia del male attraverso cui si propone come maestro universale (anche dei gesuiti) nell’organizzazione delle congiure contro i re: per tale motivo è indignato di vedere ostacolata la sua ammissione alla corte di Lucifero. Di fronte a tale commossa orazione di M., Lucifero si sente in dovere di ricompensare il Segretario fiorentino per la sua opera a favore del male, con lo scopo ulteriore di utilizzare i suoi servizi per tenere a bada le ambizioni di Ignazio. Tale situazione non sfugge però al fondatore della Compagnia di Gesù, che passa al contrattacco e a sua volta pronuncia un’orazione – ben più lunga di quella pronunciata da M. – dalla quale il machiavellismo risulta essere un gioco infantile in confronto all’astuzia malvagia dei gesuiti (pp. 66 e segg.; 78 e segg.). In particolare, Ignazio ricorda a Lucifero che M., durante la sua vita terrena, non ha mai riconosciuto l’autorità del diavolo, né ha mai lottato a fianco del papa (l’anticristo in Terra): inoltre il Segretario fiorentino non può essere individuato come il principale sostenitore del regicidio, visto che questo titolo spetta al cardinale Bellarmino. Infine, ben poca portata pratica hanno gli insegnamenti immorali e irreligiosi di M. – inutili perché troppo facili da comprendere per il volgo – se confrontati con quelli dei gesuiti, che hanno superato il Fiorentino proprio nelle sue arti (oscenità, lascivia, malvagità, tradimento, simulazione ecc.). Di fronte a questo monumentale attacco di Ignazio (che è, allo stesso tempo, una formidabile descrizione della «doppiezza» dei gesuiti, esemplificata dalla dottrina della «riserva mentale»), il M. di D. non può che barcollare, per poi alla fine scomparire alla vista, indirizzato verso il limbo e non tra gli «innovatori» degni di accedere al centro dell’inferno (p. 91): M. non può sedere alla corte di Lucifero, dove sono ammessi solo i discepoli di Ignazio. Il bersaglio polemico di D. in questa satira – sulla scia di una più ampia propaganda antigesuitica, i cui stereotipi sono caratteristici dell’età elisabettiana e giacobita – è dunque più Ignazio che M.: per D. i gesuiti sono più machiavellici di Machiavelli.
Bibliografia: Pseudo-martyr. Wherein out of certaine propositions and gradations, this conclusion is evicted. That those which are of the Romane religion in this kingdome, may and ought to take the oath of allegiance, London 1610 (ed. A. Raspa, Montreal 1993); Ignatius his conclave, or his inthronisation in a late election in hell, London 1611 (ed. C.M. Coffin, New York 1941).
Per gli studi critici si vedano: M. Praz, Machiavelli in Inghilterra, Firenze 1962; S. Anglo, More Machiavellian than Machiavelli. A study of the context of Donne’s conclave, in John Donne, ed. A.J. Smith, London 1972, pp. 349-80; John Donne’s religious imag ination, ed. R.J. Frontain, F.M. Malpezzi, Conway 1995; T.M. Di Pasquale, Literature and sacrament. The sacred and the secular in John Donne, Cambridge 2001; S. Tutino, Notes on Machiavelli and Ignatius Loyola in John Donne’s Ignatius his conclave and Pseudomartyr, «English historical review», 2004, 119, 484, pp. 1308-21.