McDowell, John Henry
Filosofo inglese (n. Boksburg, Rep. Sudafricana, 1942). Allievo di Strawson, ha insegnato all’University College di Oxford per poi trasferirsi a Pittsburgh come prof. di filosofia. Si è occupato di filosofia antica (ha curato una traduzione e un commentario del Teeteto di Platone), di metafisica e di epistemologia, ma è noto soprattutto per i suoi scritti sulla filosofia della mente e del linguaggio. Influenzato dalla filosofia di Davidson, negli anni Settanta ha partecipato al progetto di sviluppare una teoria semantica del linguaggio naturale, pubblicando (in collab. con Evans) la raccolta di saggi Truth and meaning (1976). Fautore di una concezione esternistica della mente (secondo cui i contenuti di almeno alcuni stati mentali dipendono in parte dal mondo esterno o da fattori ambientali), ha fornito sulla scia di Evans una interpretazione della semantica di Frege basata sull’idea che i pensieri senza oggetto esulano dalla sfera del pensabile. Significativo è stato inoltre il suo contributo nel campo della filosofia morale, soprattutto nell’ambito dei dibattiti metaetici sulla natura delle ragioni morali e dell’obiettività morale. Negli sviluppi successivi del suo pensiero, che risentono fortemente dell’influsso di Rorty e Sellars, M. ha elaborato una concezione neokantiana della percezione, criticando l’idea che la nostra esperienza possa contenere rappresentazioni non concettualmente strutturate, contenuti ‘non concettuali’, e proponendo una prospettiva ‘naturalistica’ in cui le capacità mentali sono considerate il prodotto culturale di una «seconda natura» umana. Tra le sue opere più importanti si segnalano: Mind and world (1994; trad. it. Mente e mondo); Mind, value and real-ity (1998); Meaning, knowledge and reality (1998).