Mill, John Stuart
Filosofo ed economista inglese (Londra 1806 - Avignone 1873).
Figlio del filosofo ed economista James M., nacque a Londra, dove il padre si era trasferito dalla natia Scozia per seguire la propria vocazione intellettuale. Il nome per il primogenito fu scelto dal padre in segno di riconoscenza nei confronti di sir John Stuart di Fettercairn, barone dello Scacchiere di Scozia, sotto la cui protezione James M. aveva potuto compiere gli studi all’univ. di Edimburgo. Fu lo stesso James M. a curare personalmente l’educazione del figlio. Il resoconto di questo esperimento, consegnato da J.S.M. alle pagine dell’Autobiography (post., 1873; trad. it. Autobiografia), è un documento impressionante: dai tre ai dodici anni il piccolo J. S. studia greco, latino, geometria, algebra, elementi di calcolo differenziale e di matematica superiore; legge i classici della letteratura greca e latina, i poeti inglesi e opere storiche antiche e moderne. Passa in seguito a studiare logica e filosofia della mente, sui classici della tradizione empiristica, ed economia politica, sotto la guida del padre e dell’amico di quest’ultimo David Ricardo. Determinante per la formazione del giovane M. fu l’influenza di Bentham, che il padre aveva conosciuto pochi anni prima, dando avvio a una collaborazione che avrebbe segnato profondamente la storia intellettuale e politica dell’Inghilterra dei primi decenni dell’Ottocento. Nel segno dell’utilitarismo benthamiano e dell’economia politica ricardiana, M. fece il suo esordio nella scena politica e intellettuale come protagonista del cosiddetto radicalismo filosofico, il movimento di intellettuali impegnati nel promuovere la riforma in senso democratico e liberale del tradizionale assetto istituzionale inglese, giudicato ormai inadeguato a rispondere ai bisogni della società emersa dalla rivoluzione industriale. Il dispendio di energie impiegate nella militanza radicale, cui si aggiunse presto l’avvio di una brillante carriera nella Compagnia delle Indie Orientali, di cui il padre era funzionario e in cui avrebbe raggiunto le posizioni più elevate, furono all’origine di una crisi psicologica profonda che colpì M. allora ventenne. Ebbe la sensazione in quei frangenti che il suo carattere non fosse stato il frutto di uno sviluppo autonomo, ma il prodotto artificiale di uno schema imposto da altri. Per uscire dalla crisi trovò aiuto, secondo quanto si legge nell’Autobiography, nella lettura dei poeti romantici inglesi, vissuta come un antidoto all’educazione intellettualistica ricevuta; non meno determinante si rivelò l’inizio della relazione, caratterizzata da un’alta tensione spirituale, con Harriet Taylor, che nel 1851 divenne sua moglie. Il senso di riconquistata autonomia si tradusse in un ripensamento profondo da parte di M. delle basi culturali della sua formazione. Non abbandonò la filosofia empiristica, né l’utilitarismo, né le idee di riforma sociale e politica, ma s’impegnò a ripensare il lascito paterno e di Bentham in una chiave che gli permettesse di confrontarsi con le correnti antilluministiche che, partendo dalla Germania, andavano diffondendosi anche in Gran Bretagna. Le opere della maturità di M. nacquero all’interno di questo progetto originale teso a rinnovare profondamente i contenuti filosofici, etici e politici dell’empirismo.
Frutto di lunghi anni di lavoro, il System of logic, uno dei testi da cui ha origine la filosofia della scienza contemporanea, fu pubblicato nel 1843 (trad. it. Sistema di logica deduttiva e induttiva) (➔). L’impetuoso sviluppo delle scienze induttive aveva riportato in primo piano il problema del fondamento dell’induzione, già affrontato da Hume e da lui risolto ‘scetticamente’ in chiave psicologica. Nelle sue ricerche di storia e filosofia della scienza Whewell, sensibile all’influenza del trascendentalismo kantiano, oltreché della cosiddetta risposta scozzese allo scetticismo humiano, aveva fatto appello a strutture formali di carattere extraempirico al fine di fornire stabilità e oggettività ai procedimenti induttivi. La via scelta da M. è invece quella di un empirismo radicale, che non ammette altra fonte di conoscenza al di fuori dell’esperienza. Il principio di uniformità della natura e la legge di causazione, su cui si basa l’induzione, non sono a priori e non hanno carattere intuitivo; sono di origine empirica, frutto di successive generalizzazioni, che le scoperte delle scienze tendono a rendere sempre più comprensive e stabili. La concezione fenomenistica della causalità, come successione costante di antecedente e conseguente, non era una scoperta di M., ne avevano già parlato sia Hume sia Comte, individuando in essa uno dei punti nodali della rivoluzione scientifica. Il compito di una logica della ricerca scientifica sta piuttosto per M. nell’accertare che l’attribuzione delle cause dei fenomeni naturali sia condotta in modo corretto, eliminando quelle soltanto apparenti per individuare le cause invariabili e incondizionate, attraverso una serie di procedimenti chiamati da M. «canoni dell’induzione». Nell’introdurre il System, M. avvertiva che non si sarebbe occupato in quella sede della natura della materia e della mente, distinguendo con nettezza i territori della logica da quelli della metafisica. Se ne occupò invece nella sua ultima, impegnativa opera di carattere filosofico, An examination of Sir William Hamilton’s philosophy (1865). Per credere nell’esistenza degli oggetti e nell’identità personale non è necessario, secondo M., ricorrere alle intuizioni del senso comune, come aveva ipotizzato Reid in risposta a Hume; tale operazione è possibile anche mantenendosi nei confini di una visione genuinamente empiristica. A tale scopo M. avanza la dottrina della «possibilità permanente delle sensazioni», secondo la quale la concezione che ci formiamo del mondo esterno e dell’Io comprende, oltre al numero limitato delle sensazioni in atto in un particolare momento, una varietà illimitata di sensazioni possibili; mentre le sensazioni presenti sono destinate a passare, le possibilità di sensazione sono invece permanenti, ed è appunto da questa permanenza che nascono le idee di mondo esterno e di identità personale.
Nel sesto e conclusivo libro del System of logic M., suggestionato dalla lettura del Cours de philosophie positive (1830-42; trad. it. Corso di filosofia positiva) di Comte, si era posto il problema della logica della scienza sociale. Ma, a differenza dell’ambizioso progetto sociologico comtiano, M. si limitò ad alcune indicazioni di carattere metodologico. Se le regole dell’induzione erano le stesse dimostratesi valide nel campo delle scienze naturali, quella sociale era destinata a restare una scienza ‘inesatta’, capace di fornire solo linee di tendenza. La differenza non dipendeva dal metodo, ma dall’estrema complessità della natura umana e dall’intrecciarsi delle infinite ragioni che influiscono sui comportamenti sociali, così diversi dalla relativa semplicità con cui si presentano i nessi causali che regolano gli eventi fisici. Lo stato ancora in fieri di una scienza generale della società convinse M. a far affidamento sull’unica scienza sociale giunta allo stadio di maturità, l’economia politica. I Principles of political economy videro la luce nell’apr. 1848 (trad. it. Principi di economia politica). Abbandonando l’approccio ‘tecnico’ dei trattati del padre e di Ricardo, M. ebbe modo, specie nelle edizioni successive alla prima, riviste all’indomani della rivoluzione parigina del ’48 che seguì con attenzione e con favore, di inserire nella trattazione dei temi canonici della disciplina l’esposizione delle idee che era andato maturando sulla distribuzione delle ricchezze, sulla proprietà e sulle questioni sociali di più scottante attualità. Motivo di novità dell’opera è soprattutto l’affermazione del carattere storico, e non naturale e come tale immodificabile, delle leggi della distribuzione della ricchezza, che permise a M. di avviare un proficuo confronto con le teorie socialiste, cui si era avvicinato in gioventù attraverso la lettura delle opere dei sansimoniani e sulle quali sarebbe tornato negli incompiuti Chapters on socialism, pubblicati postumi nel 1879. In un capitolo dei Principles M. criticava l’atteggiamento paternalistico dei ceti dirigenti nei confronti delle classi operaie, auspicando il pieno sviluppo della loro autonomia. L’allargamento del diritto di voto agli operai è anche uno dei temi delle Considerations on representative government (1861; trad. it. Considerazioni sul governo rappresentativo), dove giunge a compimento il lungo processo di revisione del modello di democrazia rappresentativa che era stato al centro del radicalismo filosofico. La funzione determinante della partecipazione politica nello sviluppo individuale è al centro di una visione della democrazia in cui il controllo popolare, unica garanzia contro il malgoverno, non va disgiunto dal ruolo educativo e di equilibrio affidato nell’ambito delle istituzioni rappresentative all’eccellenza intellettuale e morale.
Alla metà degli anni Cinquanta, con il riaffacciarsi dello spettro minaccioso della tubercolosi che nel 1858 avrebbe causato la morte della moglie, M. reputò fosse giunto il momento di mettere su carta quelle idee di riforma morale e sociale, prima ancora che politica, nate dall’intenso sodalizio con H. Taylor. È il progetto dei grandi saggi cui in gran parte è legata la fama di M., alcuni dei quali videro la luce negli anni successivi, mentre altri furono pubblicati, dopo la sua morte, dalla figliastra Helen Taylor, divenuta la sua principale collaboratrice dopo la scomparsa della moglie. Nel 1859 uscì On liberty (trad. it. Saggio sulla libertà): al centro del saggio è la tutela della sfera della libertà individuale contro ogni forma di oppressione esercitata dalla società tramite il giogo dell’opinione pubblica. L’attenzione di M. al tema risaliva alla lettura dell’opera di Tocqueville; la rivendicazione dei diritti individuali è ora svolta in nome di un utilitarismo che guarda all’interesse dell’individuo come «essere progressivo» e vede nello sviluppo di singole individualità e di stili di vita originali un elemento prezioso di utilità sociale. Un utilitarismo diverso da quello benthamiano è sviluppato da M. in Utilitarianism (1861; trad. it. Utilitarismo). Non diversamente da Bentham, l’utilitarismo milliano guarda alla felicità del maggior numero di individui e identifica la felicità con il piacere e l’assenza di dolore, ma rispetto a Bentham viene ora introdotta nel calcolo utilitaristico la dimensione qualitativa dei piaceri e la rivendicazione della superiorità dei piaceri dell’intelletto, dei sentimenti morali e dell’immaginazione nei confronti dei piaceri sensibili. L’identificazione della sanzione dell’utilitarismo con i sentimenti sociali dell’umanità apriva poi a una dimensione di solidarietà e di altruismo che colorava l’utilitarismo di laica religiosità, non estranea alla comtiana religione dell’umanità, cui M. continuò a guardare con favore anche dopo le severe critiche mosse al filosofo francese in Auguste Comte and positivism (1865; trad. it. Auguste Comte e il positivismo). Nella sua breve esperienza parlamentare (1865-67) M. volle per la prima volta nella storia parlamentare inglese porre all’ordine del giorno la questione del suffragio femminile. Nel 1869 considerò giunto il momento di dare alle stampe un saggio composto anni prima, The subjection of women (trad. it. La soggezione delle donne), dando forma a riflessioni che risalivano ai primi incontri con H. Taylor. Nel saggio, l’interdizione delle donne dalla vita politica, dalle professioni e dall’istruzione superiore veniva fatta risalire a una forma di disuguaglianza più profonda dovuta alla subordinazione della donna all’uomo nel rapporto domestico, giustificata a sua volta dal pregiudizio dell’inferiorità naturale, biologica della donna. Dei saggi progettati alla metà degli anni Cinquanta, alla sua morte, avvenuta ad Avignone dove riposava la moglie e dove era solito trascorrere parte dell’anno, M. lasciava inediti l’Autobiography, testimonianza di una non comune formazione intellettuale e sentimentale, e alcuni scritti sulla religione, pubblicati da Helen Taylor nel 1874 con il titolo Three essays on religion (trad. it. Saggi sulla religione), dove il tema del rapporto tra morale utilitaristica e religione dell’umanità è ulteriormente sviluppato.
Biografia