Pilsudski, Jozef
Generale e politico polacco (Żułowo, Lituania, 1867-Varsavia 1935). Costretto a interrompere gli studi in medicina perché politicamente sospetto (1886), entrò presto in contatto con gli ambienti socialisti di Vilna; deportato in Siberia con la falsa accusa di aver complottato per uccidere lo zar Alessandro III (1887-92), al suo ritorno fu tra i fondatori del Partito socialista polacco e dal 1894 iniziò a pubblicare il giornale clandestino Robotnik («L’operaio»), propugnando contemporaneamente gli ideali socialisti e il ristabilimento dell’indipendenza polacca. Arrestato (1900), riuscì a fuggire dall’ospedale militare di San Pietroburgo, dove era stato trasferito (1901). Scoppiata la guerra russo-giapponese (1904), P. si recò a Tokyo sperando di ottenere il sostegno del Giappone per un’insurrezione in Polonia. Contrariamente al capo del Partito democratico nazionale polacco, R. Dmowski, che intendeva appoggiarsi, per la rinascita della Polonia, alla Russia e additava nella Germania il secolare nemico della nazione polacca, P. riteneva che obiettivo politico della Polonia dovesse essere «la disintegrazione della Russia nelle sue parti principali e la liberazione, per mezzo della forza, dei Paesi incorporati nell’impero». Dopo il 1905, spostatosi in Galizia, continuò l’opera rivoluzionaria con l’acquiescenza dell’Austria, costituendo un’organizzazione militare segreta. Scoppiata la Prima guerra mondiale, fu a capo di una delle legioni polacche nella Polonia russa, organizzate sotto il comando austro-ungarico. Alla fine del 1916 assunse la carica di ministro della Guerra nel Consiglio di Stato, organizzato nei territori polacchi da Austria e Germania. Il rifiuto di collaborare ulteriormente allo sforzo bellico degli imperi centrali costò a P. l’arresto e la prigionia a Magdeburgo. Nel nov. 1918, dopo il crollo tedesco, tornò trionfalmente a Varsavia e fu nominato capo dello Stato e comandante dell’esercito (1918-22). Il suo sforzo di portare le frontiere della Polonia a Kiev e al Mar Nero, col proposito di federare alla Polonia lituani e bianco-russi, portò alla reazione bolscevica, che P. riuscì a fermare, con gli aiuti dell’Intesa, sulla Vistola (ott. 1920). Nel maggio 1923 P. lasciò la carica di capo di stato maggiore dell’esercito, assunta l’anno precedente, ritirandosi a vita privata. Di fronte all’instabilità dei governi democratici, col sostegno dell’esercito attuò un colpo di Stato e s’impadronì del potere (12 maggio 1926). Pur avendo rifiutato la presidenza della Repubblica, P. costituì di fatto un regime dittatoriale, ricoprendo il ruolo di primo ministro (1926-28 e 1930) e, soprattutto, quello di ministro della Guerra (dal 1926 alla morte). In politica estera, il suo regime staccò la Polonia dalla Francia, suo tradizionale alleato, riavvicinandola alla Germania col Patto di non aggressione del 26 genn. 1934, e cercò di far accettare la Polonia nel novero delle grandi potenze.