VALDÉS, Juan de
Fratello gemello o poco minore di Alfonso (v.) e anche lui teologo, fine letterato (oltre alle opere teologiche, gli si attribuisce anche un Diálogo de la lengua) e in certo modo uomo politico.
Dopo essere stato in Spagna in rapporti con parecchi erasmiani e dal 1528 in diretta corrispondenza epistolare con Erasmo stesso, fu costretto ad abbandonare nel 1529, per motivi religiosi, il paese natale, e a trasferirsi dapprima a Roma con un incarico presso Clemente VII (1534), indi a Napoli, dove fu fondatore e principale animatore d'una piccola comunità di mistici orientati verso il protestantesimo (tra cui la bellissima Giulia Gonzaga); morì intorno al 1541.
Quale fascino emanasse dalla sua persona, la quale, mentre "reggeva con una particella dell'animo il corpo suo debole e magro, con la maggior parte poi e col puro intelletto, quasi come fuor del corpo, stava sempre sollevato alla contemplazione della verità e delle cose divine", viene attestato concordemente dai contemporanei. Sennonché, tutto materiato di fini sfumature, il pensiero religioso ch'egli svolse nelle sue opere teologiche, nelle quali dall'erasmismo passò via via a una concezione sempre più luteraneggiante - il Diálogo de doctrina cristiana, pubblicato nel 1529 in Spagna; l'Alfabeto cristiano, scritto nel 1536 per la Gonzaga; le Cento e dieci divine considerazioni, pubblicate postume nel 1550 in una traduzione italiana del Curione; nonché lavori esegetici su Matteo, Paolo di Tarso e altri testi sacri - mal si presta a riassunti. Comunque, profondamente mistico, egli afferma arroganza volere investigare le opere di Dio, ossia la realtà tutta, al semplice lume della sapienza umana, ch'è mera curiosità, anzi prodotto del peccato originale, che privò l'uomo della luce divina e dell'immortalità. Per contrario, solo mezzo di conoscenza vera è il tendere con tutti gli sforzi a sentire puramente e personalmente Dio mediante l'esperienza: cosa ben possibile al cristiano, che ha avuto da Dio il dono gratuito della fede. Ma fede non è soltanto credenza nelle parole degli Evangeli, che di essa non sono se non un "alfabeto" per i "principianti": fede è soprattutto meditazione della parola divina, "sprofondamento" nella bontà dì Dio e nel sacrificio di Cristo. Soltanto dopo che avrà inteso in qual guisa Cristo espiò i peccati degli uomini e stipulò per tal modo un nuovo patto tra il Padre celeste e i cristiani, soltanto allora il credente sentirà nell'animo una pace ineffabile, si libererà dal mondo, mortificherà la carne, si separerà da ogni materia e, divenuto tutto spirito, acquisterà la certezza di trasformarsi e divenire tutt'uno con Cristo.
Bibl.: E. Böhmer, Cenni biografici sui fratelli G. e A. di V., aggiunti, in italiano e in tedesco, alla nuova ediz. e alla traduz. tedesca delle Cento e dieci considerazioni, Halle 1860 e 1870; B. B. Wiffen, Life and writings of J. de V., Londra 1865; F. Caballero, Conquenses ilustres, IV, A. y J. de V., Madrid 1875; M. Carrasco, A. et J. de V.: leur vie et leurs écrits religieux, Ginevra 1880; M. Menéndez y Pelayo, Historia de los eterodoxes españoles, Madrid 1880; II; J. Heep, J. de V., seine Religion, sein Werden, seine Bedeutung, Lipsia 1909; B .Croce, Storie e leggende napoletane, Bari 1919, saggio I; M. Bataillon, A. de V. auteur du "Diálogo de Mercurio y Carón", Madrid 1924, e introduzione alla sua riproduzione fototipica del Diálogo de doctrina cristiana, Coimbra 1925; J. F. Montesinos, introduz. alle sue riedizioni del Dialógo de las cosas ocurridas en Roma, del Diálogo de Mercurio y Carón di Alfonso, Madrid 1928 e 1929, e del Diálogo de la lengua e delle Cartas inéditas al cardinal Gonzaga di Giovanni, ivi 1928 e 1931; L. Linnhoff, Spanische Protestanten und England, Emsdetten 1934; B. Nicolini, B. Ochino e la Riforma in Italia, Napoli 1935.