Sepúlveda, Juan Ginés de
Umanista spagnolo, teorico dell’imperialismo della Spagna, nacque nel 1490 a Pozoblanco. Dopo i primi studi a Córdoba e Alcalá, passò nel Collegio spagnolo di Bologna (1515), dove ascoltò Pietro Pomponazzi. Imparò il greco, lesse Cicerone ed entrò nella cerchia di Alberto III Pio, polemizzando con Erasmo da Rotterdam. Pubblicò inoltre il Gonsalus sive de appetenda gloria (1523) e la traduzione latina commentata di opere di Aristotele. Eletto pontefice Giulio de’ Medici (Clemente VII), altro suo protettore, fu chiamato a Roma, dove stampò un De fato et libero arbitrio (1526) contro Martino Lutero e un De ritu nuptiarum et dispensatione (1531) contro Enrico VIII. Dopo il sacco di Roma del 1527, ristabiliti i rapporti tra Sede apostolica e Asburgo, scrisse per Carlo V una Cohortatio ut bellum suscipiat in Turcas (1529) e nel 1530 accompagnò il papa per l’incoronazione imperiale di Bologna.
Fu allora che concepì il dialogo De convenientia militaris disciplinae cum christiana religione qui inscribitur Democrates, apparso a Roma nel 1535 per i tipi di Antonio Blado. Come attestano anche le opere di João de Barros e Jerónimo Osório, il Collegio spagnolo di Bologna fu teatro di precocissime discussioni innescate da Discorsi II ii e dalla tesi di M. secondo cui, al contrario dell’antica religione romana, il cristianesimo avrebbe enervato la forza militare e reso imbelli gli animi predicando una virtù non mondana e opposta a quella classica che esaltava la gloria. Il mondo iberico influenzato dal realismo e dall’Umanesimo italiano respinse quelle pagine con asprezza, anche perché gli anni Trenta furono quelli in cui fu elaborata un’ideologia che celebrava il dominio asburgico in Europa (erede di Roma) e le conquiste cattoliche in Asia e in America. Il dialogo polemizzava anzitutto con l’irenismo erasmiano, che si era diffuso nei circoli di corte di Carlo V; ma l’opera (in cui il greco Democrates, voce dell’autore, accusa il tedesco Leopoldo, in odore di eresia, di non capire l’accordo tra il cristianesimo e l’etica stoica, necessaria per il mestiere delle armi) aveva anche un altro obiettivo: nel libro III, infatti, si rigetta l’idea che la fede in Cristo renda gli uomini ignavi. L’ipotesi che il passo si riferisca a M., avanzata da Adriano Prosperi (1979), è confermata dal manoscritto dell’opera conservato alla Biblioteca Apostolica Vaticana in cui compare il nome taciuto a stampa:
neque [...] ferendum est Machiavelli nescio cuius impudens mendacium, hominis videlicet ingenio arguto illo quidem nec obeso, sed philosophiae plane indocto, ad impietatem proclivi, qui in libello quodam a se Italorum populari sermone nuper edito, quae a multis video cum plausu lectitari, religionem christianam sustinuit in eo vanissime damnare, quia homines reddat ignavos et ad imperandum ineptos
e non si deve tollerare l’impudente menzogna di un tal Machiavelli, uomo di ingegno senz’altro acuto e sottile, ma del tutto privo di cognizioni filosofiche, che in un piccolo libro da lui appena pubblicato in lingua italiana volgare, che da molti è stato accolto, da quel che vedo, con approvazione, ha sostenuto molto stoltamente che la religione cristiana è nociva in questo: perché rende gli uomini ignavi e incapaci di comandare (Barb. lat. 1896, cc. 85v-86r).
La forza delle truppe cattoliche spagnole, osserva S., basta a smentire la scellerata tesi di Machiavelli.
Dopo la campagna di Tunisi, S. ritornò in Spagna con l’incarico di cronista imperiale. Poco avvezzo ai dibattiti scolastici, si attirò però le ire dei teologi domenicani sostenendo la liceità della conquista del Nuovo Mondo in base alla tesi aristotelica della servitù naturale con cui giustificò la conversione coatta e l’encomienda come rimedio per i ‘crimini contro natura’ degli indios. Così nel 1551 il Democrates alter (continuazione del dialogo sulla guerra) fu censurato da una giunta di esperti e poté vedere la luce soltanto nel 1892. S. fece pubblicare comunque una Apologia pro libro de justis belli causis (1550), parte dell’Epistolario (1557) e un De regno libri III (1570). Morì a Pozoblanco nel 1573.
Bibliografia: Á. Losada, Juan Ginés de Sepúlveda a través de su Epistolario y nuevos documentos, Madrid 19732; H. Méchoulan, L’antihumanisme de J. G. de Sepúlveda. Étude critique du Democrates primus, Paris-La Haye 1974; A. Prosperi, La religione, il potere, le élites. Incontri italo-spagnoli della Controriforma, in Colloquio internazionale su ‘potere e élites’ nella Spagna e nell’Italia spagnola nei secoli XV-XVII, Roma 1979, pp. 499-532, ora in Id., Eresie e devozioni. La religione italiana in età moderna, 1° vol., Roma 2010, pp. 61-85; A. Coroleu, Il Democrates primus di Juan Ginés de Sepúlveda: una nuova prima condanna contro il Machiavelli, «Il pensiero politico», 1992, 25, 2, pp. 263-68; G. Procacci, Machiavelli nella cultura europea dell’età moderna, Roma-Bari 1995, pp. 85-88; G. Marcocci, Machiavelli, la religione dei romani e l’impero portoghese, «Storica», 2008, 41-42, pp. 35-68; J.G. de Sepúlveda, Obras completas, 15° vol., Demócrates, a cura di J. Solana Pujalte, I.J. García Pinilla, Madrid 2010, pp. CXV-CLXI, 80192; V. Lavenia, Se la guerra dei cristiani è più feroce. Il Democrates primus, in Guerra giusta e schiavitù naturale. Juan Ginés de Sepúlveda ed il dibattito sulla Conquista, a cura di M. Geuna, Milano 2012, pp. 1-29.