Jakubisko, Juraj
Regista cinematografico slovacco, nato a Kojšov, il 30 aprile 1938. Considerato il più importante regista slovacco, l'anima surrealista-visionaria del cinema della Nová Vlna insieme a Jan Němec e Pavel Juraček, con il suo film d'esordio Kristove roky (1967; Gli anni di Cristo), riflessione filosofico-surreale sulla gioventù colta nel suo passaggio verso la maturità, si è imposto all'attenzione internazionale, riconfermandosi autore di grande talento con Zběhovia a putnici (1968; Il disertore e i nomadi), uno sconvolgente apologo sulla guerra e la morte, e vent'anni dopo con un film bloccato dalla normalizzazione seguita alla Primavera di Praga, Vtáčkovia, siroty a blázni (Uccellini orfani e pazzi) realizzato nel 1969 e uscito nel 1990. Dopo aver frequentato il liceo artistico e aver esordito come pittore, J. scoprì che la fotografia poteva dargli "di più nel ritrarre il reale e nell'andare oltre esso". Ammesso nel 1960 alla FAMU (Facoltà di cinema dell'Accademia delle Muse) di Praga si ritrovò nell'ambiente che sarebbe stato la fucina della Nová Vlna cecoslovacca. Si fece subito notare con i cortometraggi Mičanie (1962, Mutismo) e Dážd′ (1965, Pioggia), ma fu il filmato di diploma Čakajú na Godota (1966, Aspettando Godot) che destò notevole interesse per lo stile composito, che riprendeva il pedinamento zavattiniano, l'assurdo pinteriano e un surrealismo alla Man Ray. Spunti autobiografici si ritrovano in Kristove roky con il giovane artista Juro alla ricerca del senso della vita tra pittura e amore, inserito in una realtà sovente priva di logica (l'apertura in panoramica con il giovane che spara verso qualcosa), colto in un continuo deambulare tra il suo studio, la casa della sua ragazza, la città. Le gag, la recitazione da teatro dell'assurdo e sperimentale (per es. il finto morto in strada per scioccare i passanti, simile a una trovata di Vera Chytilová) e le innovazioni di regia (riprese dall'alto; fermo-fotogramma; uso della 'ripresa a schiaffo', panoramiche a spalla di 360°) non tacciono un'influenza per es. di Jean-Luc Godard. Con i tre racconti di Zběhovia a putinici J. affrontò il tema della guerra e della morte, con i motivi del 'diverso' (Kalman, lo zigano del primo episodio che diserta), della paura, dell'amore tragico. L'espressionismo, il barocchismo, il montaggio forsennato sono la cifra con cui J. vede la follia del mondo, violenta e immersa nel sangue. In Vtáčkovia, siroty a blázni, terminato grazie alla copia italiana che le autorità avevano conservato, follia e quotidianità sono accentuate dalla forma di una parossistica camera a spalla e dall'uso del grandangolo (operatore lo stesso J.), dove il vivere in una casa diroccata, inventandosi una famiglia di tre persone (Marta, Jurik e Andrej), tra uccelli, orfani, pazzi e impostori, azioni nonsense, era di nuovo trasportare l'assurdo e la follia nella 'logica' della vita quotidiana 'ri-normalizzata'. Vtačkovia è anche il film di J. con maggiori elementi metacinematografici, nello stile della Nová Vlna. Gli estremismi borghesi presenti costarono a J. nove anni di silenzio, interrotti solo da un'incolore produzione di Stato Postav dom, zasad strom (1980; Costruisci una casa, pianta un albero). Bisognava attendere il 1983 per rivedere in Tisícročná včela (L'ape millenaria, da un testo di Peter Jaroš) le tradizioni contadine calate in un originale intreccio narrativo felicemente oscillante tra il documentaristico e il realismo magico, per inscenare una storia di tre generazioni nella campagna slovacca, tra Ottocento e Novecento. Con Perinbabà (1985; Frau holle ‒ La signora della neve), tratto dai fratelli Grimm, J. affidò il suo lato fiabesco a Giulietta Masina che concesse al film un'aria fellinianamente surreale (per es., i motivi del sogno a occhi aperti, del circo, la rilettura non fedele degli avvenimenti dei testi sacri). Il vento della perestrojka ("rinnovamento") si avverte in Sedim na konari a je mi dobre (1989; Sono seduto sul ramo e mi sento bene) dove l'autore può ironicamente raccontare i terribili anni della guerra fredda. Pochi mesi dopo il novembre 1989 veniva completato Do videnia v pekle, priatelia (Arrivederci all'inferno, amici). Il film è la summa dei motivi tipici del cinema di J.: i testi sacri e la parodia sulla fine del mondo; la famiglia irreale e allargata; la donna che ama due uomini (ma anche il nonno e il padre del nonno); un padre sui generis (sorta di cristiano ecumenico) che amministra i sacramenti piuttosto liberamente; il motivo della reincarnazione come simbolo di libertà infinita che si rinnova. Il tutto intende ribadire la completa indipendenza, folle e anarchica, della vita, vissuta come risposta all'invasione sovietica del 1968 e ai dogmatismi. Il tema della libertà riconquistata e l'implacabile desiderio di viaggiare fuori dai confini ispirano Lepšie byt bohatý a sdravý ako chudobný a chorý (1993, Meglio essere ricchi e felici che poveri e malati; anche qui un'atipica unione a tre, due donne e un uomo). J. ha chiuso il millennio con un'altra allegoria, Nejasná zpravá o konci světa (1997, Rapporto non chiaro sulla fine del mondo), saga di una piccola comunità di montagna tagliata fuori dal progresso, flagellata da sventure, che vive tra profezie e superstizioni, in un inesorabile degrado, segnato da violenza e sangue e abilmente raccontato in un procedere a suspense da giallo, con un montaggio ellittico e anacolutico (che fonde l'inizio con la fine lasciando allo spettatore più soluzioni), il cui principale protagonista è ancora la morte: forse perché parlare della morte è l'unico modo per esorcizzarla.
Nel 1992 si era trasferito a Praga, dove ha poi fondato una sua casa di produzione, la J.J.Film, dedicandosi anche all'insegnamento presso la FAMU.
L. Miccichè, Il cinema degli anni Sessanta, Torino 1972; P. Hames, The Cechoslovak new wave, Chicago 1985, passim; E. Ciccotti, Résurrection et continuité du cinéma en Europe de l'Est, in "Champs visuels", 1997, 7.