Mannheim, Karl
Sociologo e filosofo ungherese, naturalizzato tedesco (Budapest 1893 - Londra 1947). Formatosi nell’ambiente intellettuale tedesco, fu prof. di sociologia nelle univv. di Heidelberg e di Francoforte. Colpito nel 1933 dai primi atti antisemiti del nazismo, fu sospeso dall’insegnamento e si rifugiò in Inghilterra, dove ottenne la cittadinanza britannica. Dal 1933 al 1947 insegnò all’univ. di Londra: oltre alla docenza di sociologia alla London school of economics, fu prof. (1941-45) di sociologia dell’educazione e direttore (1945-47) dell’Institute for education. Le sue opere principali sono: Ideologie und Utopie (1929; trad. it. Ideologia e utopia); Mensch und Gesellschaft im Zeitalter des Umbaus (1935; ed. ampliata 1940; trad. it. Uomo e società in un’età di ricostruzione); Diagnosis of our time (1943; trad. it. Diagnosi del nostro tempo); Freedom, power and democratic planning (1951; trad. it. Libertà, potere e pianificazione democratica). I più importanti saggi in lingua tedesca e inglese (tra i quali Konservatismus. Ein Beitrag zur Soziologie des Wissens, post. 1984; trad. it. Conservatorismo) sono raccolti in: Essays on the sociology of knowledge (1952; trad. it. Sociologia della conoscenza); Essays on the sociology of culture (1956; trad. it. Saggi di sociologia della cultura); Systematic sociology (1957; trad. it. Sociologia sistematica). In Ideologia e utopia, la sua opera più importante, M. tende a dare fondamento storico-filosofico alla ‘sociologia del sapere’ (Wissenssoziologie), alla scienza cioè che studia le relazioni che uniscono idee e dottrine alle situazioni storico-sociali. In quest’opera M. cerca di definire il concetto di ideologia «in modo neutrale rispetto ai valori». Quando egli parla di una «connessione esistenziale» (Seinsverbundenheit), ciò non implica alcun atto valutativo. Tutti gli enunciati sull’uomo sulla società e sulla storia hanno una loro collocazione storica, sociale e temporale, e vanno quindi considerati come ugualmente relativi rispetto a una ‘verità’ che si può cogliere solo nel complesso dei punti di vista espressi nel corso della storia dell’umanità. Ogni pensiero storico è socialmente determinato e non può quindi aspirare alla conoscenza oggettiva del vero; tuttavia rappresenta sempre, in quanto «sapere connesso con una visione del mondo», una verità parziale, che erroneamente si ritiene assoluta. M. analizza varie forme di pensiero ideologico, evidenziando il contrasto tra ideologie conservatrici (che esprimono gli interessi dei gruppi dominanti) e concezioni utopistiche (che esprimono le esigenze dei gruppi dominati e stanno alla base di azioni riformatrici o rivoluzionarie). La conoscenza oggettiva della realtà empirica, come pure di determinati valori, è possibile solo attraverso un autocontrollo del soggetto conoscente, fondato sulla sociologia del sapere. Il soggetto diventa così relativamente autonomo rispetto alla posizione della sua classe, del suo ceto, ecc., di cui condivide sempre le forme di pensiero tipiche. Chi è capace di attuare un simile processo cognitivo, nel senso dell’autoanalisi della sociologia del sapere, fa parte per M. di quel «sottile strato sociale» che ha maggiori possibilità di conoscenza rispetto agli individui ciecamente coinvolti. Sulla scia di A. Weber, M. definisce questo strato sociale «intelligencija liberamente fluttuante» (freischwebende) e gli attribuisce il compito specifico di elaborare, attraverso una continua autocritica, «sintesi relative» di tutti gli elementi di verità esistenti nelle diverse posizioni spirituali e politiche di un’epoca. Ciò è possibile solo per mezzo di «concetti fluidi» capaci di adeguarsi allo sviluppo storico della società («sintesi culturali»).