karma (o karman)
(o karman, rispettivamente nominativo e puro tema dello stesso termine sanscrito) In ambito rituale, il termine indica l’azione rituale, ossia il sacrificio inteso come «azione» per eccellenza. La via di salvezza consistente nell’osservanza delle norme rituali e nell’esecuzione dei sacrifici prescritti si chiama perciò karmamārga. Nella grammatica, k. indica la funzione semantica (kāraka) dell’oggetto (➔ vyākaraṇa). Nella filosofia indiana, indica l’azione nel suo aspetto morale e la concatenazione causale di azione e reazione. Il k. positivo, risultante da azioni encomiabili, può anche essere detto puṇya o dharma, quello negativo, risultante da infrazioni o azioni malvagie, pāpa o adharma. Da rilevare, rispetto alle teorie morali occidentali, è l’attenzione posta alla concatenazione causale che segue ogni azione (intendendo con ‘azione’ anche azioni sottili come parole o intenzioni). La retribuzione karmica è quindi semplicemente una serie di effetti e, in tal senso, non ha necessariamente bisogno di un Dio giudice. Questi compare solo in alcune scuole come garante dell’ordine della retribuzione karmica. L’inevitabilità della retribuzione karmica implica anche necessariamente il superamento del limite della singola esistenza, giacché gli ultimi atti della vita resterebbero altrimenti senza effetto. Al contrario, la retribuzione si estende attraverso vite divine, umane, animali e (secondo alcune scuole) vegetali e minerali anche in mondi paradisiaci o infernali (➔ loka). Lo storico arabo al-Bīrūnī descrisse il k. come il credo fondamentale del pensiero religioso indiano. Anche se tale definizione è esagerata, essa caratterizza bene il carattere panindiano della teoria del k. (unica eccezione sono le scuole materialiste) (➔ materialismo indiano).