Vedi Kazakistan dell'anno: 2012 - 2013 - 2014 - 2015 - 2016
Per estensione e per collocazione geografica, abbondanza di riserve energetiche e tassi di crescita economica, il Kazakistan è uno degli attori chiave della regione centroasiatica e, più in generale, dello spazio post-sovietico. A conferire al Kazakistan tale connotazione ha contribuito una politica estera tradizionalmente accorta e fondata sul tentativo di bilanciare i buoni rapporti con la Federazione Russa con l’approfondimento delle relazioni con i principali paesi e le più rilevanti organizzazioni sovranazionali di matrice euro-atlantica.
I legami con Mosca sono rimasti saldi anche dopo l’indipendenza, sia sul piano della cooperazione economica, sia di quella strategica. Sin dalla dissoluzione dell’Urss, Astana ha aderito ai principali meccanismi di cooperazione regionale sostenuti dalla Russia: dalla Comunità degli stati indipendenti (Cis) alla Organizzazione di Shanghai per la cooperazione (Sco), dall’Organizzazione per il trattato di sicurezza collettiva della Cis (Csto) fino alla Eurasian Economic Community (Eurasec) e all’Unione Doganale con Russia e Bielorussia (da gennaio 2015 Unione Economica Eurasiatica), di cui tra l’ottobre 2014 e il maggio 2015 sono entrate a far parte anche Armenia e Kirghizistan. Più in generale, il Kazakistan ha sostenuto il tentativo di Mosca di favorire e guidare la progressiva integrazione dello spazio post-sovietico. In questa prospettiva, candidandosi al ruolo di catalizzatore e locomotiva dello sviluppo economico regionale, Astana sostiene (oltre che esserne stata promotrice) il progetto russo di dar vita nel medio termine a una più istituzionalizzata Unione Eurasiatica in grado di cooperare e competere con Unione Europea (Eu), Cina e Usa.
La relazione privilegiata con la Federazione Russa non ha impedito al Kazakistan di crearsi interlocutori euro-atlantici. Dai primi anni Novanta, la cooperazione alla sicurezza e alla non proliferazione ha costituito il principale ambito di collaborazione con gli Stati Uniti, che hanno sostenuto politicamente ed economicamente la rimozione delle testate nucleari ereditate dall’Urss (rimozione completata nel 1995), nonché l’adesione del paese ai principali trattati in materia di controllo degli armamenti e ai meccanismi di cooperazione con la Nato. La relazione kazako-statunitense si è rafforzata dopo gli attentati dell’11 settembre 2001 e il lancio dell’operazione Enduring Freedom, per la quale il sostegno logistico kazako nel quadro del ‘network di distribuzione settentrionale’ si è rivelato essenziale. I rilevanti interessi delle compagnie energetiche statunitensi nell’esplorazione e nello sfruttamento dei giacimenti di idrocarburi kazaki e il sostegno assicurato dalla Casa Bianca ai progetti infrastrutturali, volti a favorire l’esportazione diretta delle risorse del paese verso i mercati occidentali, completano il quadro di una partnership prioritaria per Astana. Di natura principalmente economica – e legati allo sfruttamento delle risorse energetiche del paese – sono i rapporti tra Kazakistan e l’Eu, con la quale Astana ha siglato nel 1999 un accordo di partenariato e cooperazione, rinnovato e rafforzato nel dicembre del 2015. La rilevanza del comparto energetico nelle relazioni con l’Eu è confermata, prima ancora che dal memorandum d’intesa siglato nel 2006, dagli accordi bilaterali di partenariato conclusi da Astana con i principali paesi importatori dello spazio comunitario: Italia, Germania, Francia e Spagna.
La promozione di una politica estera ‘multivettoriale’ si è infine rafforzata negli ultimi anni con l’approfondimento delle relazioni con la Repubblica Popolare Cinese. Accantonata la diffidenza legata alle possibili mire egemoniche di Pechino in Asia centrale, Astana ha avviato una crescente cooperazione con il suo potente vicino, tanto in materia commerciale ed energetica, quanto di sicurezza. La crescente cooperazione sino-kazaka ha fatto della Cina il primo partner commerciale di Astana, e ha permesso a Pechino di acquisire il ruolo tradizionalmente svolto dalla Russia. Al contempo, per Pechino la cooperazione con Astana acquista maggior rilevanza riguardo ai tentativi di stabilizzazione della regione orientale cinese dello Xinjiang e di contrasto dell’irredentismo degli Uiguri, una delle minoranze turcofone (oltre 200.000 persone) presenti anche in Kazakistan. A testimonianza della crescente rilevanza internazionale assunta dal Kazakistan, al paese è stata affidata, nel 2010, la presidenza di turno dell’Osce, nonostante i dubbi di molti dei suoi membri circa le credenziali democratiche del paese.
Le sorti del Kazakistan sono rette, sin dal conseguimento dell’indipendenza dall’Urss, da Nursultan Nazarbayev, che nell’aprile 2015, con elezioni anticipate di un anno, è stato eletto – con il 97.7% dei voti – per la quinta volta alla presidenza della Repubblica. Nel ventennio repubblicano, Nazarbayev ha costruito un solido sistema di potere personale, assicurandosi il controllo delle istituzioni politiche, del potere giudiziario, di quello economico e dei media. Ciononostante si inseguono con insistenza speculazioni circa una possibile transizione di potere ai vertici della repubblica kazaka nella quale verrebbe coinvolto il gruppo più ristretto dell’inner-circle presidenziale.
Il potere legislativo, composto da una camera alta e da una camera bassa eletta con sistema proporzionale, non ha mai svolto un’effettiva azione di bilanciamento dell’esecutivo, anche perché il partito di cui Nazarbayev è leader, il Nur Otan, ha controllato la Majilis, la camera bassa. La soglia per l’accesso al parlamento, costituzionalmente fissata al 7%, ha peraltro impedito che altri partiti al di fuori del Nur Otan ottenessero seggi parlamentari delineando un parlamento monocolore, unico caso nello spazio post-sovietico. L’emendamento alla legge elettorale del 2009, in base al quale al secondo partito è comunque assicurata una presenza in parlamento indipendentemente dal raggiungimento della soglia del 7%, non sembra poter introdurre sostanziali modifiche nell’assetto politico-istituzionale. Nelle elezioni parlamentari del gennaio 2012 – tenutesi in virtù dello scioglimento anticipato dell’assemblea da parte di Nazarbayev – a superare la soglia di sbarramento e a entrare in parlamento assieme al Nur Otan sono stati l’Ak Zhol, che con il 7,47% delle preferenze ha ottenuto otto seggi, e il Partito comunista del popolo che, con il 7,19%, ne ha ottenuti invece sette. Gli 83 seggi vinti dal Nur Otan grazie all’80,99% delle preferenze lasciano tuttavia intatto il controllo del partito sull’assemblea legislativa. Parimenti, il potere giudiziario, lungi dall’essere indipendente, ha tradizionalmente protetto gli interessi politici ed economici dei circoli governativi, colpendo al contempo l’opposizione politica e quella parte della società civile e dei media critica verso l’esecutivo.
Nonostante l’apparente stabilità del regime, le maggiori minacce alla sicurezza sono rappresentate da tre fattori. In primo luogo, il malcontento popolare, soprattutto tra gli operai nelle zone di provincia, a causa della difficile condizione economica nazionale (svalutazione monetaria, corruzione, disuguaglianza, etc.) che ha portato anche a un cambio di primo ministro (Karim Masimov al posto di Serik Akhmetov) nell’aprile 2014. In secondo luogo la ricerca di maggiore integrazione politica di una classe media emergente – prevalentemente nelle due più grandi città, Astana e Almaty – con l’attuale sistema di potere, che potrebbe provocare, nel medio-lungo periodo alcune divisioni nella struttura sociale kazaka (anche se i livelli di impegno politico e civile rimangono ancora bassi). Infine, la presenza nelle regioni settentrionali del paese di un’importante maggioranza russofona, che in passato ha sporadicamente manifestato irrequietezza e nei cui confronti della quale la diffidenza della Presidenza è aumentata a seguito della decisione russa di annettere la Crimea sulla base di ragioni etno-linguistiche.
Nel 1989, nessun gruppo etnico costituiva la maggioranza assoluta della popolazione kazaka, equamente distribuita tra kazaki e russi. Nonostante la dissoluzione sovietica abbia comportato un ingente flusso migratorio verso nord di una parte cospicua della minoranza russa, questa rappresenta oggi circa il 24% della popolazione, e più del 50% in alcune zone nella parte settentrionale del paese. Una presenza importante che si riflette anche nella struttura della popolazione per credo religioso con il 70% di fede islamica sunnita e il 26% ortodossa. Culti minoritari, soprattutto buddisti ed ebraici, sono professati dal restante 4% della popolazione.
Dopo l’11 settembre 2001, le autorità hanno imposto una stretta sorveglianza sui culti minoritari, sottoposti a stringenti regole di registrazione e monitoraggio; pratiche, queste, definite di ‘repressione silenziosa’ dall’Ong internazionale Human Rights Watch. Analoghe restrizioni colpiscono la libertà di associazione e di espressione delle diverse identità etniche del paese, così come delle organizzazioni non governative e dei movimenti d’opposizione. In questo scenario anche le elezioni parlamentari 2012 e quelle presidenziali del 2015 non hanno fatto eccezione, poiché giudicate non libere né corrette dagli osservatori internazionali.
Più in generale, il livello di tutela e garanzia dei diritti civili e politici resta deficitario e la transizione dal sistema totalitario di matrice sovietica a una democrazia liberale può considerarsi addirittura in involuzione. Freedom House ha segnalato un lento ma costante peggioramento nel corso degli anni. Infine, nonostante gli impegni assunti da Nazarbayev per arginare la corruzione, il fenomeno resta diffuso a tutti i livelli istituzionali.
Malgrado l’evidente deficit democratico, un’accorta politica ridistribuiva delle risorse statali ha assicurato al paese standard di vita e di sviluppo umano nettamente superiori alla media regionale. Parte dei rilevanti proventi del settore estrattivo è stata reinvestita nei sistemi pensionistico, sanitario e dell’istruzione. Il risultato è un sistema di protezione sociale unico nel panorama post-sovietico. Inoltre, la creazione di un clima favorevole agli investimenti delle piccole e medie imprese ha attirato numerosi investitori, favorendo una diminuzione del tasso di disoccupazione, giunto al 5,2% nel 2014. La dinamicità dell’economia e il miglioramento degli standard di vita della popolazione hanno indotto nel tasso di migrazione nazionale (attestatosi su valori negativi nel corso degli ultimi anni) un’inversione di tendenza, attirando crescenti quantità di immigrati dalle repubbliche centroasiatiche e dalla Cina.
L’economia kazaka si basa principalmente sugli idrocarburi e sulle commodities legate al settore estrattivo, che pesano per il 75% della composizione merceologica del totale dell’export. Il Kazakistan possiede ingenti riserve di gas e, soprattutto, di petrolio che hanno garantito rilevanti tassi di crescita (il 10% medio annuo) nel periodo 2000-07. Gli ottimi risultati ottenuti in campo economico sono stati anche frutto di prudenti politiche macro-economiche, di riforme strutturali e del progressivo accesso ai mercati finanziari internazionali. Tutto ciò ha permesso al paese di attraversare con successo la transizione dall’economia pianificata e basata sull’industria pesante di epoca sovietica a una di impronta liberale. Dopo una parentesi negativa, determinata dalla crisi economica internazionale e dal crollo dei prezzi degli idrocarburi, l’economia kazaka è tornare a crescere nel biennio 2010-11 (7% e 7,5% rispettivamente). Il merito è anche della politica statale di investimenti e dell’intervento di sostegno all’economia e al sistema bancario garantito dal Fondo petrolifero nazionale, i cui asset sono aumentati fino a 100 miliardi di dollari nel 2015. La tendenza positiva si è confermata negli anni a seguire con un tasso medio di crescita del 5%. Tuttavia, le svalutazioni della moneta nazionale nel febbraio 2014 e ancora nell’agosto 2015, nonché il crollo del prezzo del petrolio nel corso del 2015, hanno causato un aumento dell’inflazione che pesa negativamente sulle previsioni di crescita nel biennio 2016-18.
Mentre la bassa crescita e le sanzioni euro-atlantiche alla Russia per via delle tensioni in Ucraina non dovrebbero influire eccessivamente sulla produzione e sulle esportazioni del petrolio, il prezzo di mercato dell’olio nero incide fortemente sulle finanze statali a causa dell’eccessiva dipendenza dell’economia nazionale dal comparto energetico.
Le principali sfide per il Kazakistan consisteranno sia in una maggiore diversificazione economica, sia in una migliore capacità di attrazione degli investitori internazionali per l’esplorazione e lo sfruttamento delle risorse energetiche, cercando di predisporre nuove rotte per l’esportazione, al fine di ridurre la dipendenza infrastrutturale dalla Russia. Nel merito, a partire dal 2009 la società italiana Eni è coinvolta in un piano di sviluppo e produzione petrolifera a Kashagan, enorme giacimento kazako scoperto nel 2000 e situato sul mar Caspio settentrionale. Importanti guasti tecnici ne stanno però rallentato l’avanzamento. Astana è riuscita solo parzialmente a cogliere il secondo obiettivo: dalla fine degli anni Novanta il governo ha attirato le principali compagnie petrolifere internazionali – oltre ad Eni la Bp, Shell, Chevron, Total, Lukoil – ma non è stata in grado di diversificare le rotte di esportazione energetica a causa delle resistenze russe a rinunciare al monopolio sull’acquisto delle risorse kazake. Prima ancora che dell’apertura di un canale di esportazione navale transcaspico verso l’Azerbaigian, Astana ha beneficiato, in questa prospettiva, della crescente proiezione regionale della Cina, oggi collegata al Kazakistan con un oleodotto proveniente dai giacimenti caspici e con un gasdotto di provenienza turkmena. Lo sviluppo della rete infrastrutturale permetterà al Kazakistan di portare gas alle regioni sudorientali che, isolate dai giacimenti occidentali del paese, ricorrono ancora a importazioni dai vicini centroasiatici.
L’ampia disponibilità di materie prime non è limitata a petrolio e gas. Il Kazakistan possedeva circa il 90% delle riserve sovietiche di cromo e circa la metà di quelle di piombo, rame e zinco. Il paese era, tra le repubbliche sovietiche, il terzo produttore di carbone dopo Russia e Ucraina e ancora oggi è il principale esportatore del fossile – che costituisce la principale fonte del mix energetico nazionale – verso le repubbliche dell’area.
L’uso estensivo di carbone per la generazione elettrica (circa il 70% del totale) rappresenta una delle principali cause dei rilevanti problemi ambientali che affliggono il paese. Il Kazakistan è tra i principali produttori di anidride carbonica su scala mondiale, tanto per livelli assoluti quanto pro capite. Sede in epoca sovietica dei test atomici e di estrazione e sfruttamento dell’uranio, il paese registra inoltre elevati tassi di inquinamento radioattivo.
Sin dall’adesione al Trattato di sicurezza collettiva della Cis nel 1992, la Federazione russa ha rappresentato il principale alleato e interlocutore strategico del Kazakistan. I legami bilaterali in materia di cooperazione alla sicurezza si sono rinsaldati, da allora, principalmente attraverso la istituzionalizzazione della Csto nel 2002. L’organizzazione – che comprende Russia, Armenia, Bielorussia e le repubbliche centroasiatiche, con la sola eccezione del Turkmenistan e dell’Uzbekistan – si è dotata nel 2009 di una forza collettiva di reazione rapida (Ksor) che ha tenuto la prima esercitazione congiunta proprio in Kazakistan nell’ottobre dello stesso anno. Scopo principale della Ksor è contrastare le minacce transfrontaliere regionali, in particolar modo le reti del crimine organizzato e del terrorismo di matrice islamica. A seguito della demarcazione dei rispettivi confini, nel 2005, Mosca e Astana hanno inoltre avviato azioni di pattugliamento congiunto in chiave antiterroristica e per contrastare il narcotraffico, che ha in Kazakistan uno dei più rilevanti snodi regionali.
La lotta al terrorismo è uno degli ambiti di cooperazione attorno ai quali è andata saldandosi la cooperazione alla sicurezza sino-kazaka. Oltre che nel quadro multilaterale della Sco, i due paesi collaborano contro il Movimento islamico del Turkestan orientale (Etim), formazione terroristica con base nella provincia cinese dello Xinjiang. Benché il Kazakistan non sia stato oggetto di diretta minaccia terroristica, rappresenta una base ideale per le cellule centroasiatiche di Etim, così come del più radicato e attivo Movimento islamico dell’Uzbekistan, oltre che di al-Qaida. In questa prospettiva, la partecipazione del Kazakistan alla cooperazione antiterroristica risulta di vitale importanza.
In linea con il più ampio perseguimento di una politica estera multivettoriale, il Kazakistan ha approfondito la cooperazione nella sicurezza con le organizzazioni euro-atlantiche e, in particolare, con la Nato. Membro della Partnership for Peace (Pfp), di cui ha celebrato il ventennale nell’ottobre 2014, il Kazakistan è stato il primo paese centroasiatico a partecipare, dal 2002, al Pfp Planning and Review Process (Parp), che serve a garantire il coordinamento delle forze nazionali con quelle dell’Alleanza atlantica. Nella stessa prospettiva e per coordinare la cooperazione per riformare il settore della difesa, Astana ha sottoscritto nel 2006 un Individual Partnership Action Plan (Ipap). L’approfondimento della collaborazione tra il Kazakistan e la Nato – risultato di fondamentale importanza per lo sforzo di modernizzazione e professionalizzazione delle forze armate nazionali, qualitativamente limitate – si è verificato sullo sfondo del sostegno garantito da Astana alla lotta internazionale al terrorismo e alle operazioni in Afghanistan. Oltre a garantire alla Nato il diritto di sorvolo, Astana ha concesso la possibilità di transito terrestre per i rifornimenti non militari, contribuendo al rafforzamento della rete di rifornimento settentrionale che collega Europa e Afghanistan attraverso la Russia e l’Asia centrale. L’attiva partecipazione ai meccanismi di cooperazione regionali antiterroristici si è infine concretizzata con l’adesione kazaka al Partnership Action Plan against Terrorism (Pap-t), nell’ambito del quale il paese ha ospitato diverse esercitazioni dell’Alleanza atlantica.
Figura controversa – dittatore per i suoi detrattori, artefice e garante dello sviluppo socioeconomico del Kazakistan per i suoi sostenitori – il settantaseienne Nazarbayev, già membro del politburo sovietico e presidente della Repubblica Socialista Sovietica del Kazakistan fino al 1991, è stato il primo presidente eletto a seguito del conseguimento dell’indipendenza, nel dicembre dello stesso anno. Nel 1995 un referendum popolare approvato con il 95% dei consensi ha prolungato il suo primo mandato, in scadenza quell’anno, fino al 2000. Nazarbayev è stato poi rieletto alla presidenza nel gennaio 1999 e nel dicembre 2005 – rispettivamente con l’80% e il 91% dei consensi – in tornate elettorali considerate dagli osservatori internazionali non libere né corrette. Nel maggio 2007, un parlamento mai realmente indipendente ha sancito con previsione costituzionale la non applicabilità al solo Nazarbayev (in quanto ‘Primo Presidente della Repubblica’) del limite dei due mandati presidenziali; nel giugno 2010, sullo sfondo di critiche e indagini sulla corruzione governativa anche dello stesso presidente, il parlamento gli ha garantito l’immunità civile e penale a vita, riconoscendogli inoltre il titolo di ‘leader della nazione’. Un nuovo tentativo, sostenuto dal potere legislativo, di estendere per referendum il mandato presidenziale sino al 2020 è stato rigettato come incostituzionale tanto dalla Corte costituzionale quanto dallo stesso Nazarbayev. Questi ha invece indetto - nel gennaio 2011 e poi ancora nell’aprile 2015, - elezioni anticipate, consapevole dell’ampio sostegno popolare e forte delle restrizioni alla registrazione dei candidati imposte dalla commissione elettorale. L’ultima tornata elettorale, nell’aprile 2015, ha confermato la presa di Nazarbayev sull’elettorato, che gli ha conferito il quinto mandato presidenziale con il 97.7% delle preferenze.
Il progressivo prosciugamento del Lago Aral, una volta il più grande specchio di acqua salata al mondo e oggi ridotto a un decimo della sua estensione originaria, rappresenta uno dei principali disastri ecologici dello spazio eurasiatico.
Le cause principali del processo di progressivo prosciugamento del lago risiedono nella pratica delle colture intensive di cotone e riso, introdotte dall’Urss a partire dagli anni Sessanta attraverso opere di canalizzazione che deviavano i fiumi immissari dell’Aral e attraverso la tecnica dell’inondazione, che ha progressivamente esposto le falde acquifere al clima torrido della regione. D’altra parte, l’utilizzo estensivo di pesticidi e fertilizzanti ha quasi totalmente distrutto l’ecosistema dell’area dell’Aral, aggiungendo un rilevante problema di inquinamento del terreno ai marcati cambiamenti climatici connessi alla sparizione del lago. L’alta incidenza di malattie nell’area è d’altro canto ampiamente testimoniata da un tasso di mortalità infantile più che doppio rispetto a quello nazionale. La mancanza d’acqua ha infine impoverito tutta la regione, la cui economia si era tradizionalmente fondata su pesca e agricoltura.
Il governo kazako ha introdotto le prime misure efficaci per porre un argine al disastro ecologico soltanto a partire dai primi anni del nuovo secolo, con la costruzione di una diga finalizzata a innalzare il livello delle acque della porzione nord del lago – a oggi diviso in quattro laghi lungo la dorsale nord-occidentale del bacino originario.
Più difficili sono stati invece i tentativi di affrontare la questione sul piano regionale. La portata transnazionale della problematica ha ostacolato coerenti e tempestive misure d’intervento, rese più ardue dalla progressiva politicizzazione della stessa. I paesi che ospitano i fiumi immissari del Lago Aral – Tagikistan e Kirghizistan – hanno mostrato tradizionalmente la tendenza a negoziare la concessione delle acque in cambio di accordi in materia energetica, resi necessari dall’estrema povertà dei due paesi e dalla mancanza di idrocarburi. Su questo sfondo, largamente inefficace è stata la Interstate Commission for Water Coordination of Central Asia, istituita nel 1992 dalle repubbliche centroasiatiche per affrontare i problemi ecologici e socioeconomici connessi al disastro dell’Aral.