KHMER
. Popolazione del Cambogia (v.), passata in parte, con le cessioni di territorio, anche nelle provincie del Siam e dell'Annam.
Sull'antichissima storia dei Khmer, ci informano dapprima le cronache cinesi, che designano la regione del Cambogia sotto il nome di Fu-Nan o Cin-La. Ma l'influsso culturale maggiore, nei secoli immediatamente precedenti e seguenti l'era volgare, fu quello indiano, esplicatosi con l'introduzione del brahmanesimo e del sanscrito (e più tardi del buddhismo). Una prima dinastia nazionale, stabilita nel sec. V d. C. da Srutavarman, si estingue nel sec. VII, l'unità del paese si spezza, e due stati, ciascuno con proprio sovrano, sottentrano al primitivo regno.
Ma nel sec. IX, ricostituita l'unità dell'impero, si inizia sotto la dinastia di Yayavarman II la grande epoca della potenza politica ed espansione artistica dei Khmer: è l'epoca dei grandi monumenti di Angkor (v.), sviluppatasi sotto il re Yasovarman attorno al 900, ma il cui maggiore tempio di Angkor-Vat sembra datare dal sec. XII. Durante questo periodo, sotto i colpi di re energici e bellicosi, cade il regno rivale di Champa (attuale Cocincina ed Annam meridionale), ma la vittoria non è definitiva per i Khmer, che debbono cominciare a difendersi a occidente del Siam, stato sino allora soggetto, e permettono così la ricostituzione politica dell'antico nemico. Ben presto l'impero khmer deve passare dall'offensiva alla difensiva: i già sudditi Thai invadono dal Siam (sec. XIV) il paese dei dominatori e giungono più volte a saccheggiarne la capitale Angkor-Thom. I secoli seguenti segnano la progressiva decadenza e ritirata della sfera d'azione khmer; abbandonata nel sec. XV Angkor-Thom, alla fine del XVI Lovak, che le era successa nel grado di capitale, il Cambogia finisce col diventare oggetto di contesa fra le crescenti potenze rivali del Siam e dell'Annam.
Attorno allo stesso tempo comincia la penetrazione europea, prima con i Portoghesi e gli Olandesi, più tardi con i Francesi, che nel sec. XIX trovarono l'antico regno dei Khmer in uno stato di estremo esaurimento, asservito praticamente al Siam dopo una lunga guerra di questo con l'Annam. E appunto per sottrarsi all'influenza siamese, il re Norodom fu indotto nel 1863 ad accettare il protettorato francese, che nel 1807 il Siam si acconciò a riconoscere; un successivo trattato del 1884 annullò di fatto l'autorità reale, ampliando i poteri della potenza protettrice in modo che la storia nazionale si può dire sotto quella data terminata, sottentrandole quella della colonizzazione francese (v. cambogia).
Ancor oggi la civiltà dell'India anteriore impronta i costumi di questo popolo, benché gli elementi della civiltà europea, sotto l'amministrazione francese, tendano sempre più a sostituirla.
Il nutrimento giornaliero della popolazione è basato sul riso, che fornisce anche il più importante prodotto di esportazione: i campi vengono arati dai bufali. Al riso si aggiunge poi il prodotto della pesca. Gli uomini portano calzoni corti e per lo più anche una giacca che si abbottona sul davanti; le donne si vestono di una gonna e di una sopravveste semiaperta sul petto. In luogo di questo abbigliamento, si usa spesso un semplice pezzo di stoffa girato sui fianchi e sulle gambe; le donne gettano in più una sciarpa intorno al petto in modo da lasciare la schiena e le braccia nude. Nei luoghi lontani dalle città l'abitazione è ancora la capanna di legno o di bambù eretta sui pali a uno o due metri dal suolo, col tetto di paglia o di foglie di palma.
Quando le ragazze entrano nella pubertà "si ritirano nell'ombra" cioè, dopo alcune cerimonie, fanno una vita molto ritirata. Per gli uomini un'usanza molto diffusa è entrare una volta nella vita come novizî in uno dei numerosi conventi. Prevale la famiglia monogama: lo sposo passa diversi anni nella casa dei suoceri e solo dopo la nascita di uno o di più figli, la sposa lascia col marito i suoi genitori. La posizione della donna è in generale molto buona; anche i bambini sono trattati con amorevolezza. Il rito funebre usuale è la cremazione. La musica, il teatro, la scrittura e la letteratura risalgono alla civiltà indiana, ma nel calcolo ciclico del tempo adoperato per il calendario si mostra un'influenza cinese. Per ogni mese è istituita una festa; nella festa di capo d'anno, che cade nel mese cet (marzo-aprile), il popolo lava le statue del Buddha e fa ricchi regali ai bonzi, mentre in ogni casa acqua cerimoniale è offerta dai figli ai genitori e dai servi ai padroni. Oltre a questo si dilettano di corse ippiche e di altri divertimenti pubblici.
La religione attuale è per lo più il buddhīsmo meridionale, ma l'induismo che vi regnava in precedenza vi ha lasciato numerose tracce. Il buddhīsmo ha grande importanza nell'educazione popolare, poiché i conventi sono i centri della letteratura e dell'insegnamento; al tempo stesso in quasi tutti i templi si trova una specie di casa di riposo (sāiā) che serve di asilo ai viaggiatori.
Gli aspetti più alti della civiltà nazionale sviluppati dai Khmer nella loro storia sono quelli artistici, per cui v. sotto. Dal punto di vista letterario, oltre alla parte religiosa (letteratura buddhistica in pali e in khmer), è da segnalare quella storica, costituita da cronache private (Ponsāvodar) o reali (Rācā Ponsāvodar), le cui parti più strettamente storiche si rifanno al sec. XIV, ma sono state materialmente redatte solo nel XIX; quella novellistica, con novelle popolari, favole, canzoni; e quella drammatica, dove più che di dramma è da parlare di mimo, e pantomima ritmata, su scarni libretti mitologici, storici e fiabeschi.
Per la lingua, v. munda-khmer.
Bibl.: A. Bergaigne, in Journal Asiatique, s. 8ª, III (1884), pp. 51-76; E. Aymonier, Le Cambodge, voll. 3, Parigi 1900-1904; J. Moura, Le Royaume du Cambodge, voll. 2, Parigi 1883; G. Maspero, L'Empire Khmer, Phnom-Penh 1904; id., L'Indochine, Parigi-Bruxelles 1929, pp. 93-153 e 297-305.
Arte.
L'arte dell'antico Cambogia, o arte khmer, ebbe due epoche di fioritura; la prima si vede nei templi di Sambor Prei Kuk, nella reggia di Kompong Thom, edificata da re Icanavarman nel secolo VII, la seconda raggiunse il fastigio con la fondazione, tra l'877 e il 910, nella regione di Tonlé Sap o Gran Lago, di una nuova capitale, centro poi politico e religioso d'un potente impero: Angkor. La prima attinse all'India dei Gupta ispirazione e formule tecniche; l'altra, pur conservando numerosi e profondi vincoli con la plastica indiana, s'affermò come arte nazionale con tendenze autoctone.
I templi di Sambor Prei Kuk - intorno ai quali furono inîziati nel 1927 lavori metodici - sono belle torri in mattoni, isolate o raggruppate e chiuse da una cinta quadrangolare. La sobria decorazione consta di architravi, di colonnette in grès e di varî motivi impressi nei mattoni e ricoperti di una specie di stucco dipinto. Questi santuarî racchiudono una sala quadrata o rettangolare, piuttosto oscura, spesso preceduta da un vestibolo o corridoio. Hanno una sola entrata, generalmente orientata a levante, le altre facciate hanno tavolta finte porte. La copertura è composta di piani digradanti. Nel centro della cella era un altare di pietra con bacino per le abluzioni, dove si raccoglievano i liquidi rituali sparsi dagli officianti sull'idolo. Questo era talvolta una divinità brahmanica, tal'altra un linga. Le sculture esterne rappresentano generalmente dei Vimâna o palazzi celesti, popolati da divinità tutelari o da genî, su animali e mostri mitologici.
L'architettura d'Angkor (secoli X-XI) deve il suo prodigioso sviluppo all'impiego del grès e del materiale laterizio che nel sec. IX comincia a sostituire il mattone comune nonché a molti nuovi elementi nell'icnografia: imbasamento a più terrazze, gallerie, viali lastricati, scale monumentali, avancorpi su colonne e atrî. L'esemplare più perfetto è Angkor-Vat, il "Partenone cambogiano", vasta costruzione visnuita, elevata a metà del sec. XII da Sūryavarman II, il cui architetto pare si chiamasse Divâkara (vedi angkor). Le gallerie a terreno sono decorate da un'interminabile serie di bassorilievi con rappresentazioni del cielo e dell'inferno indiano, con sfilate di truppe e di elefanti, con combattimenti davanti al re Paramavisnuloka (Sūryavarman II?) e con scene tratte dal Rāmāyana e dal Mahābhārata. Una di queste gigantesche figurazioni, che si estende per la lunghezza di circa 50 m., rappresenta lo zangolamento del mare di Latte, soggetto frequentemente trattato nella scultura khmer.
Incomparabile è la ricchezza della decorazione plastica: intorno ai frontoni istoriati strisciano serpenti policefali dalle creste fiammeggianti, le travature spariscono sotto la profusione del fogliame vigorosamente modellato, le pareti come le porte e le finestre sono ricoperte da ricami di leggieri rilievi. Stanno a guardia delle scalinate leoni di pietra, rigidi e minacciosi, viali e strade hanno ai lati balaustre in forma di naie gigantesche. Ma la più bella decorazione plastica di Angkor-Vat sono le innumerevoli danzatrici o fate celesti (devatās) che animano le facciate di tutti gli edifici, accolgono il visitatore all'entrata di ogni galleria, si nascondono, sorridenti, nella penombra grigia delle sale e dei minuscoli vestiboli. In bassorilievo, agili e ieratiche, attirano lo sguardo con la ricchezza delle tiare, dei braccialetti e delle collane, con la sapiente acconciatura, con la grazia delle movenze. Un tempo tutte le sculture erano avvivate di colori e le sommità delle torri si schiudevano al sole come grandi loti d'oro.
Scultori di genio e impareggiabili decoratori, i Khmer non furono mai maestri nel costruire in pietra. Ignorarono l'arco di conci, copersero sale e gallerie con vòlte a strati orizzontali aggettanti. Le loro murature a secco resistono ben poco all'azione della vegetazione che le investe. Per consolidarle usavano grappe di ferro o catene di legno.
Mentre Angkor-Vat era semplicemente un tempio di Viṣṇu e consacrato alla gloria postuma di un sovrano divinizzato, i fossati e l'immensa cinta di Angkor-Thom circondano l'area dall'antica capitale khmer, Jacodharapura (Angkor), di cui rimangono soltanto i ruderi in pietra - di templi, di terrazze, di vasche - essendo scomparso tutto il resto. Ma ne rimane la bella descrizione lasciatane da un viaggiatore cinese del secolo XIII: Chou Ta-kuan. Si è creduto a lungo che il tempio elevato nel centro della capitale fosse opera di re Yayavarman II (seconda metà del sec. IX), ma dopo le recenti ricerche e scoperte, sembra dell'età di Yayavarman VII (1181-1201?), le cui grandiose idee architettoniche hanno l'impronta di un orgoglio quasi neroniano. Non si conosce l'esatto significato simbolico delle 50 e piú torri a faccia umana che conferiscono a Bayon un aspetto così originale. E tuttavia certo trattarsi di un santuario o meglio di un complesso di cappelle dedicate al culto del bodhisattva Loke švara e di altri santi e deità buddhiste. Probabilmente, solo dopo la morte del suo fondatore, Bayon fu trasformata in tempio brahmanico e furono tolti dai frontoni scolpiti l'immagine del bodhisattva misericordioso. Allo stesso Yayavarman VII sono da attribuire la cinta e le cinque porte d'Angkor-Thom con le loro celebri vie monumentali, vigilate da giganti e da naie di pietra. Appartengono alla medesima epoca la puri o città regia di Banteai Chmar, il Prah-Khan d'Angkor, il Ta Prom, Banteai Kedei e molti altri templi. Una delle creazioni artistiche più originali di quel regno fu il Neak poun, isola santuario elevato in mezzo a un vasto bacino quadrato, consacrato a Lokešvara, la cui immagine, in forma del cavallo magico Balāha, sotto una vòlta di verde e di liane si specchia nell'acqua limpida. Per moltiplicare i mezzi di comunicazione tra le varie capitali e mantenere il contatto con le sue truppe, Yayavarman II fece costruire strade e ponti in laterizio, molti dei quali in uso ancor oggi.
L'arte khmer, singolarmente complessa, si direbbe congiunta da molteplici nessi alla plastica occidentale. Alcune sue formule artistiche, frontoni a fogliame, a fiamma e viticci dai ricci istoriati, evocano le chiese gotiche e del Rinascimento, o fanno pensare alla Grecia, alla Persia, all'Assiria. Ma la cronologia dei monumenti contrasta a tali riavvicinamenti, e al più si può ammettere una lieve influenza ellenistica, penetrata nel Cambogia nei secoli VI e VII attraverso l'arte indiana.
La statuaria khmer è rappresentata da due stili: quello detto preangkoriano è distinto dall'eleganza delle proporzioni e dalla morbidezza tutta indiana degli atteggiamenti (secolo VII); il più bell'esemplare ne è lo splendido idolo di Harihara al Museo Phnom-Penh; quello dell'epoca detta classica (secoli X-XII) nella statuaria non ha sempre un'abile esecuzione, ma spesso compensa la pesantezza e la rigidezza delle forme con la dolcezza del sorriso che anima il viso dagli occhi chiusi della divinità. Gli statuarî non conobbero il marmo; lavorarono invece in un grès molto fino e tenero di un colore grigiastro o roseo. Come gl'Indiani, loro maestri, i Khmer furono anche abili fonditori, e da tempo hanno attratto l'attenzione degli amatori statuette, campanelle, conche lustrali e pendenti cesellati. Usavano quasi esclusivamente la fusione a cera.
Rare sono le sculture khmer nei musei d'Europa; la più bella collezione, dopo quella del Museo Albert Sarraut a Phnom-Penh, è conservata nel Museo Guimet di Parigi. Il Museo del Trocadero, pure a Parigi, possiede un numero notevole di calchi e qualche pezzo originale, portati dal Cambogia dalle missioni scientifiche di E. Aymonier e di L. Delaporte.
V. tavv. XVII e XVIII.
Bibl.: F. Garnier, Voyage d'exploration en Indochine, Parigi 1873, voll. 2; L. Delaporte, Voyage au Cambodge. L'architecture khmère, Parigi 1880; Moura, Le royaume du Cambodge, Parigi 1883, voll. 2; E. Aymonier, Le Cambodge, Parigi 1900-1904, voll. 3; Tcheou Ta-kouan (Chou Ta-kouan), Mém. sur les coutumes du Cambodge, trad. Pelliot, in Bull. de l'École franç. d'Extrême-Orient, 1902; Lunet de Lajounquière, Inventaire descriptif des monuments du Cambodge, Parigi 1902-1911, voll. 3; P. Pelliot, Le Fou-nan, in Bull. de l'École française d'Extrême-Orient, 1903; J. Commaille, Guide aux ruines d'Angkor, Parigi 1912; Dufour e Carpeaux, Le Bayon d'Angkor Thom, Parigi 1914; G. Grosslier, Recherches sur les Cambodgiens, Parigi 1921; id., Angkor, Parigi 1924; V. Goloubew, Introduction à la connaissance d'Angkor, in Bull. des Amis de l'Orient, 1923; id., Le Phnom Kulèn, Hanoï 1924; L. Finot, H. Parmentier e V. Goloubew, Le Temple d'Içvarapura, in Mém. archeol. de l'École française d'Extrême Orient, I (1926); H. Parmentier, L'art Khmèr primitif, Parigi 1927; H. Marchal, Guide archéol. aux temples d'Angkor, Parigi 1928; Ph. Stern, Le Bayon d'Angkor et l'évolution de l'art Khmèr, Parigi 1929; R. Grousset, Hist. de l'Extrême-Orient, II, cap. 5°, Parigi 1929; id., Les Civilisations de l'Orient, II, cap. 2°, Parigi 1930; L. Finot, Lokeçvara en Indochine (Études Asiatiques, I); G. Coedès, La date du Bayon, in Études cambodgiennes, pubblicati dal Bull. de l'École française d'Extrême-Orient, XXVIII, nn. 1 e 2; Bronzes Khmèrs (Ars Asiatica, V). Arts et archéologie Khmèrs, rivista pubblicata da G. Groslier, Parigi 1921-26. Numerosi articoli sull'arte khmer in Bulletin de la commission archéol. de l'Indochine, e nel Bulletin de l'École franç. d'Extrême-Orient, Hanoï 1900-1929.
Musica.
Per quanto sfornita di notazione e di teoria la musica khmer mostra tratti piuttosto costanti e caratteri di raffinatezza che fanno ammettere una tradizione artistica. I musicisti d'altra parte non ne sanno chiarire le origini, pur ritenendole antichissime. La loro arte nasce dal vivo della tradizione, esprimendosi, non per dottrine ma per spontanea aderenza al costume, in forme nazionali riconoscibili. Nell'unione di più strumenti, indispensabile per il gusto musicale khmer (i popoli abitanti nelle terre vicine si soddisfano anche d'un flauto o d'un violino), si nota un procedere armonico per terze e quarte, che coi raddoppî genera i rivolti: seste e quinte: armonie non prive di saporosa singolarità.
L'invenzione melodica è assai euritmica e si svolge in linee pure e periodi ben definiti. Gli strumenti sono molto varî ma tutti necessarî all'espressione orchestrale; nessuno di essi entra nell'orchestra soltanto per maggior pompa, come avviene nei popoli vicini.
Strumenti a corda. - Varî tipi di chitarre, delle quali la più grande, detta Takhé, si colloca non sulle ginocchia del sonatore, ma sul suolo, e ha quindi tre piccoli piedi d'avorio. Tre corde (la1-mi2-la2), le due acute di fibra, l'altra metallica. Un'altra, Chapey-thom, è lunga m. 1,50; cassa ovoidale, quattro corde, manico con 11 tasti che dànno sulle due prime corde la gamma di Mi-b2, e sulle altre quella di Si-b1. I violini sono rappresentati dal Tro-khmer (3 corde: re-la-mi) e dal Tro-duong (2 corde). La cassa dei violini è traversata parte a parte dal manico. Il popolo usa poi un monocordo, Sadiou, la cui debole sonorità lo esclude dall'orchestra.
Strumenti a fiato. - Essi si riducono a un flauto, detto Kloie, e a un oboe, detto Sralay. Il Kloie è lungo 45 cm. e ha un diametro di 24 mm. Ha 7 fori più uno per la bocca, che dànno le note do-re-mi-fa♯-sol-la-si; il timbro è dolce; a questo strumento son destinati, nell'orchestra, i passaggi fioriti sì cari al pubblico indigeno. Lo Sralay è lungo 36 centimetri, e ha un diametro di 15 mm. Ha 6 fori che dànno le note: sol-la-si-do-re-mi. Sonorità oltremodo dura e forte.
Strumenti a tastiera. - Xilofono, detto Roneat-ek, a foggia di barca, poggiata su un supporto e attraversata in lunghezza da una tastiera di bambù tenuta da due cordoni; è a 21 tasti, con estensione fa2-mi b4. In orchestra le seconde parti sono affidate alla variante Roneatthom, a 17 tasti. Per i ripieni s'usa invece il Roneat-dec, a cassa rettangolare, con 21 tasti metallici da re1 a fa3.
Strumenti a percussione. - Kong-thom, cerchio munito di 17 timpani di ottone, accordati dal do2 al mi4. Il suonatore, posto al centro, si serve di un mazzuolo da Roneat. Si usa per ritmare le danze solenni all'aria aperta. Variante: Kong- toch (a 16 timpani, un'ottava sotto a quelli del precedente). Tchhoungs, piatti in metallo, timbro chiaro, paragonabile a quello del triangolo europeo. Scothom e Sompho, tam-tam d' intonazione grave, a forma di barile con due pelli di bufalo alle estremità. Si percuote con mazzuolo. Sangra, tam-tam battuto con la mano, intonazione grave da una faccia, acuta dall'altra. Thong, tam-tam di legno a forma di caraffa, col fondo coperto da una pelle. Ronmonea, tamburino di 30 cm. di diametro. Crap fuong, castagnette.