King Kong
Il mostro tenero di cuore
King Kong è un mostro particolare, spaventoso per l’aspetto ma incredibilmente umano per i suoi sentimenti. È entrato nel nostro immaginario con l’omonimo celebre film del 1933, che fu da subito un enorme successo ed è rimasto uno dei più importanti titoli della storia del cinema
La trama avventurosa di una troupe cinematografica che s’inoltra su un’isola misteriosa abitata da animali preistorici e da un gigantesco scimmione, Kong; la tragica storia dell’amore della scimmia per la bella attrice; il terrore delle scene in cui Kong si libera dalle catene e comincia a vagare per le strade di New York distruggendo tutto quello che gli capita a tiro; la meraviglia degli effetti speciali per quel tempo rivoluzionari furono gli ingredienti principali che stupirono e commossero il pubblico. Questo fu il film King Kong, uscito nel 1933 negli Stati Uniti, diretto da Merian C. Cooper ed Ernest B. Schoedsack.
Ma la fama di King Kong non si limitò a quegli anni: la sua storia rimase nella memoria, fu riproposta sugli schermi nel 1976 da John Guillermin e nel 2005 da Peter Jakson, e sicuramente tornerà ancora a comparire.
Viene da chiedersi perché una storia simile sia destinata a godere di vita così lunga. La risposta è forse nella scena finale del film. Il mostro che ha distrutto metropolitane, schiacciato passanti, fatto crollare interi palazzi, scalato il grattacielo più alto d’America, abbattuto aeroplani da guerra, è ora un enorme corpo morto, bersaglio solo delle macchine fotografiche di giornalisti curiosi. Un poliziotto ai piedi del gigantesco cadavere sospira con sollievo: «Ci sono riusciti gli aeroplani», ma riceve una strana risposta: «Oh no, non sono stati gli aeroplani... È stata la bella che ha ucciso la bestia!». E infatti la storia di King Kong è prima di tutto quella di un amore impossibile, quello tra la Bella e la Bestia, proprio come nella famosa fiaba. Qui, però, non c’è nessuna magia che può trasformare il mostro in principe: la distanza tra la creatura enorme, mostruosa e animalesca e la bella e fragile attrice rimane incolmabile e non può che trasformarsi in tragedia.
Il grande e potente Kong muore per amore, ma anche perché gli uomini non hanno la sensibilità per comprenderne e accettarne i comportamenti e le emozioni. Sanno solo catturarlo e portarlo via dalla sua isola, metterlo in catene e sfruttarlo come attrazione nei teatri, per ottenere soldi e successo. I mostri sono talmente diversi da noi che non possono certo avere sentimenti e non meritano particolari attenzioni! Si può solo imprigionarli ed eliminarli. Così è accaduto alla creatura nata dagli esperimenti del dottor Frankenstein, talmente orribile a vedersi da essere condannata per sempre alla solitudine; così accade a Edward mani di forbice, il protagonista dell’omonimo film diretto da Tim Burton nel 1990, anche lui nato in laboratorio e subito considerato pericoloso per la sua diversità.
King Kong è un essere vivente molto più vicino a noi, anzi fra tutti gli animali è quello che più ci assomiglia. Tali somiglianze si sono trasformate in parentela da quando, a metà dell’Ottocento, Charles Darwin scoprì e rivelò a tutto il mondo che l’uomo e le scimmie hanno un antenato in comune. Fu una rivoluzione che sconvolse la diffusa opinione che l’uomo non potesse discendere dagli animali.
Da allora la figura della scimmia ha cominciato a diventare protagonista di numerose storie: dal racconto giallo di Edgar Allan Poe I delitti della Rue Morgue, al Tarzan di Edgar Rice Borroughs a I libri della giungla di Rudyard Kipling. E Lo strano caso del Dr. Jekyll e Mr. Hyde di Robert Louis Stevenson non è forse la storia di un dottore della buona società che trova il modo di trasformarsi quando vuole in una creatura bestiale? King Kong allora non fa paura perché è gigantesco e potentissimo, ma perché in fondo quel mostro siamo stati anche noi, tanti anni fa, magari con dimensioni un po’ ridotte. I nostri tentativi di tenere lontano chi è diverso sono così falliti miseramente: non bastano più gabbie e catene, i mostri si sono liberati e vagano per le strade delle nostre città. Più che scappare dovremmo forse imparare a parlare con loro: potremmo scoprire che i veri pericoli stanno altrove.