Kitsch
di Abraham A. Moles
Kitsch
sommario: 1. Definizioni. 2. Kitsch ed estetica sociale. 3. I caratteri oggettivabili del Kitsch. 4. Cenni storici. 5. La comparsa del neo-Kitsch. 6. Alcuni fenomeni Kitsch: a) il turismo; b) il souvenir; c) il Kitsch religioso; d) la religione come Kitsch; e) il Kitsch scientifico. 7. L'anti-Kitsch. 8. Kitsch e movimenti artistici. □ Bibliografia.
1. Definizioni
Il Kitsch è un processo sociale di inflazione dell'attività estetica nella società dei consumi di massa; esso comporta una ‛degradazione' dell'opera d'arte attraverso la ripetizione multipla e dà luogo a forme artistiche secondarie, prive di autenticità, ma che soddisfano tuttavia un bisogno umano.
Il termine Kitsch è bavarese e ha fatto la sua comparsa, con l'attuale significato estetico, a Monaco verso il 1860. Esso significa, al suo apparire, fare del vecchio col nuovo, impasticciare, lavorare di copia; per lo più viene applicato al mobilio. Si diffonde poco a poco negli ambienti artistici come aggettivo dispregiativo e diventa termine d'uso corrente nella letteratura critica tedesca tra il 1920 e il 1940. È Kitsch una copia a buon mercato, fatta con materiali di qualità mediocre. È Kitsch la riduzione musicale di un'opera classica fatta per andare incontro al gusto del grosso pubblico. È Kitsch la letteratura da quattro soldi sfornata a migliaia di copie, che si fonda su personaggi e situazioni stereotipati e fornisce una distrazione facile, che non esige da parte del lettore uno sforzo particolare d'intelligenza e di penetrazione.
Il termine Kitsch ha equivalenti o connotazioni affini in parecchie lingue: l'idea di quétaine del canadese francofono, quella di camp in inglese sono abbastanza vicine a quella di Kitsch, pur avendo ciascuna connotazioni specifiche.
Di fatto, da alcuni anni è chiaro che il fenomeno del Kitsch, di cui molti critici tedeschi ci hanno aiutato a prendere coscienza, è connesso con una sorta di patologia estetica della società dei consumi di massa che, attraverso il meccanismo del mercato, cerca di soddisfare i bisogni estetici del maggior numero di persone con la minima spesa, servendosi a questo scopo delle possibilità offerte dalla ‛ripetizione multipla', una delle principali caratteristiche introdotte dalla tecnologia nella nostra epoca.
Da questo punto di vista, i souvenirs dei pellegrinaggi religiosi, realizzati grossolanamente in materia plastica, dipinti a colori vivaci, venduti un po' dappertutto a prezzi modici, sono un tipico esempio di massificazione di un'opera d'arte originale. Le mani in preghiera di Dürer evocanti la pietà religiosa e fuse in vetro smerigliato, la sagoma della gondola veneziana che fa pensare a Casanova, le copertine della ‟Domenica del Corriere" degli anni venti, il fotoromanzo che sunteggia e schematizza Dostoevskij o la storia biblica messa al posto d'onore in un qualsiasi giornale illustrato: ecco altri esempi dello stesso fenomeno che appartengono alla vita d'ogni giorno. Questi prodotti artistici della società di massa hanno finito per assumere una così grande importanza sul piano pratico e quantitativo da poterli considerare come quelli che soddisfano il bisogno artistico dell'uomo medio, il petit homme, che, come dice Eyck, è ormai la misura di tutte le cose.
Al limite, si potrebbe definire il Kitsch partendo dalla ben nota formula commerciale: ‟c'è di meglio ma costa di più", trasformandola così: ‟costa un po' meno, è un po' meno buono, tuttavia non proprio cattivo e, in ogni caso, accettabile", e così è messo alla portata di tutti.
2. Kitsch ed estetica sociale
È concepibile un'arte a buon mercato? È il problema estetico sollevato dal fenomeno del Kitsch sempre che, naturalmente, s'intenda ‛a buon mercato' non soltanto in senso economico, ma nel senso più generale adottato dagli psicologi motivazionali, senso che implica l'idea di un ‛costo generalizzato' dell'atto estetico, ossia quello al cui prezzo l'individuo può accogliere nella propria sensibilità una percezione dall'esterno o un'azione: è dunque il prezzo di uno sforzo culturale, di un dispendio materiale e di tempo, di una volontà, di un minimo d'impegno intellettuale la cui entità, assai più del prezzo in unità monetarie, costituisce il ‛costo di accesso' all'‛arte'.
Da questo punto di vista il Kitsch appare come ‛anti-arte' perché nega il carattere essenziale dell'opera d'arte: lo sforzo, la volontà di originalità che sono alla radice del suo valore trascendentale. È chiaro allora che il fenomeno del Kitsch, piuttosto che come un insieme di opere o come lo stile che le informa, si configura come un atteggiamento mentale. Vi è un Kitsch di ogni cosa, di ogni opera e di ogni azione umana, come una specie di succedaneo a buon mercato di un originale. Come l'arte, il Kitsch non è una cosa, ma un atteggiamento dell'uomo nei confronti delle cose. È evidente che tanto l'arte come il Kitsch si concretizzano e si traducono in opere, ma tuttavia le trascendono, le inglobano tutte in un ‛atteggiamento', che è poi quello dell'essere di fronte alle cose. Un tramonto su un mare costellato di mille luci può anche essere il momento di un brivido estetico; ma quando, ripreso da un abile fotografo, viene riprodotto (senza che egli, in quanto tale, abbia parte nel procedimento) in migliaia di cartoline illustrate, viste non importa da chi e ricevute non importa quando nè dove, si determina un inflazione della percezione che esse trasmettono e, nello stesso tempo, una sua svalutazione: il brivido estetico si dissolve così nella quotidianità e, insieme alla rarità, perde forza, importanza e valore.
Se ne deduce che il Kitsch è universale. Se il termine è nato nell'ambiente dei fabbricanti di mobili ‛in stile', non v'è campo di attività umana che non abbia il suo Kitsch. C'è un Kitsch del film dell'orrore, un Kitsch dell'atto di eroismo, un Kitsch dell'emozione turistica, un Kitsch della pasticceria, un Kitsch della letteratura e via dicendo.
Il Kitsch si presenta spesso come un neo-qualcosa: un neo-non-importa-che, del resto. Ogni arte, non appena definita, disvela, grazie ai suoi volgarizzatori e ripetitori, il proprio Kitsch. Ogni stile del passato contiene allo stato potenziale un suo ‛neo-'. Kitsch è una qualificazione, più che un essere-in-sè. Ogni trascendimento ha il suo Kitsch: si tratta di una tendenza inerente alla società di massa, che pone a questa società stessa il problema della sua accettabilità. Infatti, se il Kitsch è universale, dipende evidentemente dalle condizioni della percezione o dell'azione a cui si connette; il Kitsch non è mai puro, e se ‟vi è un pizzico di Kitsch in ogni arte" (Broch), vi è un pizzico di arte in ogni Kitsch.
È dunque assai difficile tracciare le frontiere dell'universo del Kitsch perché esso è coestensivo con l'universo dell'arte: il Kitsch è ‟permanente come il peccato" (Eggenter), è il diavolo dell'arte.
Tuttavia, considerata la sua importanza nella sociologia dell'arte, poiché ormai l'arte è condizionata e determinata dalle possibilità di riprodurre l'opera in un numero di copie illimitato (la musica è inseparabile dal disco come la pittura dal ‛museo immaginario' delle riproduzioni e la letteratura dal rewriting), è possibile e anche utile definire alcuni fattori del procedimento del Kitsch: fattori che, senza affatto esaurire l'infinita varietà dei suoi aspetti, ci si presentano però, quasi sempre, come le espressioni più tipiche della degradazione sociale di quello che si era convenuto di chiamare l'‛autentico'.
3. I caratteri oggettivabili del Kitsch
Per dare un'idea dell'universalità del Kitsch proporremo qui alcuni esempi caratteristici, ciascuno connesso a una forma artistica determinata o a uno stile.
Uno dei caratteri del Kitsch è connesso con la civiltà borghese per la sua volontà di conquistare il mondo con il commercio, la proprietà, l'ostentazione. La borghesia trionfante della fine del sec. XIX si esprime attraverso le proprietà accumulate: il borghese si identifica in certo modo con la quantità di cose possedute e la vocazione ad accumulare è indubbiamente una delle componenti costanti del Kitsch borghese. Esso si serve abbondantemente di quelle arti che, a loro volta, hanno giocato con la ridondanza, la profusione, la ricchezza ostentata, come per esempio lo stile rococò da cui Luigi di Baviera ha attinto a piene mani l'ispirazione estetica che potrebbe fare di lui il re del Kitsch. Ma per il teorico dell'arte rimane sempre aperto il problema: il re del Kitsch può essere considerato esso stesso Kitsch o la sua stessa dismisura costituisce il motivo del suo trascendimento del Kitsch?
Il complesso gioco di ‛mediocrità' ed ‛eccesso' combinati o, più precisamente, l'‛eccesso nella mediocrità', la sproporzione tra mezzi e fini sono un'altra caratteristica del Kitsch. Per il fabbricante di scarpe con velleità artistiche, esporre in vetrina la più grande scarpa del mondo - un metro e mezzo di misura - sarà tipica espressione di questo eccesso rispetto alla mediocrità dello scopo; ma sarà certo molto difficile separare con un taglio netto l'eccesso di un Gaudi nella Sagrada Familia dalle tendenze alla profusione del Kitsch spagnolo.
L'‛accumulo' di ricchezze, ricchezze di materiali e di forme, che un signore orientale ostenta nel suo arredamento, la ‛decorazione' sovrabbondante di un letto con delle urì d'avorio su montanti d'argento: ecco un'altra espressione di questo eccesso, di questa sproporzione tra mezzi e fini. Il rifiuto deliberato e radicale della funzionalità pur senza rinunciare alla ‛funzione': un piatto, un lampadario, un letto, ma un piatto troppo ornato per poterlo lavare, un lampadario troppo fragile per reggere le candele accese, un letto troppo alto per salirvi, illustrano perfettamente questa tendenza e la diffusione del Kitsch nelle arti applicate e nella decorazione.
La ‛sinestesia' costituisce un altro degli elementi caratteristici del Kitsch nell'arte. Nel teatro è Kitsch l'ambizione dello ‛spettacolo totale', che coinvolge contemporaneamente la vista e l'udito, l'intelligenza e i sensi, ed è insieme colore e forma, scena e personaggi, musica e poesia; e che, se gli fosse possibile, per rendere più assoluta la sua onnipresenza e la sua totalità, farebbe appello anche al gusto, all'olfatto, al senso tattile. Nella spettacolarità dell'opéra comique, con le sue incongruenze, le sue scene di cartapesta e il suo ‛bel canto', troviamo ben più che un pizzico di Kitsch.
Anche all'interno di una data arte, come per esempio la musica, lo sfruttamento ‛simultaneo' di più procedimenti inventati da grandi compositori al fine di rendere popolare e di ipersensualizzare un'opera musicale è espressione delle stesse tendenze. Riunire in una stessa interpretazione orchestrale il procedimento dell'iterazione con varianti di un tema lineare, come nelle fughe di Bach o nel Bolero di Ravel, e un massiccio spiegamento di strumenti (centouno violini per un'orchestra d'archi); aggiungere forme ritmiche forti a un'orchestra impostata principalmente sul gioco delle percussioni e della voce umana, come in Stravinskij e in Orff, inserire interventi di ‛pizzicato' debitamente amplificati e connessi con quella riverberazione artificiale intensa in cui sono particolarmente abili i tecnici del suono della radio e gli arrangiatori di musiche popolari: ecco altrettanti modi con cui si può conferire a un'onesta sinfonia di Mozart una prodigalità sensuale così forte da trasformarla in hit per un qualsiasi juke-box.
Il ‛gioco dei materiali', la deliberata sostituzione dei materiali originari, decisa per lo più per motivi di costo, la sostituzione dell'argento col rame argentato, della pietra con il calcestruzzo, del legno con il cemento (si pensi alle false rocailles, ai falsi rami d'albero in cemento nei nostri giardini pubblici), dell'avorio con la materia plastica, del diamante con lo zircone, dello zircone con lo strass, costituiscono un'altra delle tendenze costanti del Kitsch contemporaneo.
4. Cenni storici
Il Kitsch, come universale atteggiamento mentale, è non soltanto permanente e cioè incancellabile, ma eterno: è una delle grandi tendenze dell'atteggiamento estetico universale ed è correlata con l'idea di accumulazione, di estensione del Lebensraum. Si capisce così come vi sia un processo Kitsch quale prolungamento di ogni grande epoca artistica e come si possa, volendo, rintracciare un Kitsch ante litteram nel grande mercato dell'Impero romano della decadenza, dove si mescolavano i quadranti solari portati dalle legioni al loro rientro, i vasi greci e gli amuleti negri, il tutto eventualmente rielaborato in serie artigianali nei quartieri plebei di Roma. E il procedimento mentale del cittadino del basso Impero non era diverso da quello che sarà proprio del borghese del XIX secolo.
Indubbiamente vi è un Kitsch del gotico fiammeggiante, un Kitsch della fine del Rinascimento o del tardo manierismo, i cui rapporti con il rococò (basti pensare al trompe-l'oeil) non sono ancora definitivamente chiariti. Del resto soltanto da poco tempo si è cominciato a studiare analiticamente, dal punto di vista estetico e sociale, le culture del passato. Ma è necessario tener presente che il concetto di Kitsch non ha valore e non mette conto di svilupparlo se non quando assume un'importanza quantitativa tale da configurarlo come una precisa categoria mentale.
Di fatto, in mancanza di un'analisi più approfondita, è forse legittimo far cominciare la storia del Kitsch dal tardo romanticismo e dalla nascita della ‛manifattura', cioè della produzione in serie - dapprima artigianale e poi industriale - destinata a quei nuovi templi della società borghese che sono i grandi magazzini. A tale proposito è particolarmente rivelatrice la consultazione delle pagine dedicate sul finire del secolo all'arredamento, al mobilio o alle ‛opere d'arte' nei cataloghi di grandi magazzini famosi come Sears & Roebuk, il Bon Marché, Karstadt. L'epoca d'oro del Kitsch coincide con l'espansione trionfale della società borghese: è l'arte che si vende ‟Au bonheur des dames" (Zola). Di conseguenza, il Kitsch viene a coincidere con i movimenti artistici che si sviluppano nella medesima epoca e che talvolta nascono come reazione a esso. Se Angelus di Millet è stato un'opera d'arte (e certo lo è ancora per qualche amatore o qualche studioso che vi individuano un'autenticità profonda e un'emozione genuina e irripetibile), riprodotto sugli almanacchi, ripetuto in infinite riproduzioni cromolitografiche e perfino nei ricami delle ragazze, è diventato uno dei pilastri dell'atteggiamento Kitsch nelle campagne di tutta Europa.
Partecipando dello spirito dell'epoca, il Kitsch della fine dell'Ottocento predilige anch'esso lo stile floreale invadente, la mania della decorazione, del sovrappiù: e sono i caratteri che abbiamo già messi in evidenza. Sarebbe abbastanza difficile non affibbiare la qualifica di Kitsch alla profusione ornamentale del Dolma Baghce a Istanbul (Palazzo dell'Impero ottomano), alla stravaganza dello Jugendstil bavarese o alle volute dello style nouille di Guimard. La storia del Kitsch nel XIX secolo (diciamo dal 1860 al 1915) si snoda attraverso i movimenti artistici dell'epoca, ma trova sempre la sua specificità nell'idea di un neo-qualcosa, di sovrappiù, di esagerazione, di sproporzione, di pseudo-funzionalità, di frenesia. Proprio come reazione contro l'establishment borghese, col suo mobilio Enrico II (neo-, naturalmente), con i castelli rifatti da Viollet-le-Duc, con il romanticismo irresistibile dei valzer viennesi, nasce l'impressionismo; Cézanne e van Gogh creano una pittura fortemente disegnata e costruita in antitesi con la pittura leccata dei Salons; Munch, Kubin e il Blaue Reiter danno vita all'espressionismo mitteleuropeo (in netta antitesi con lo stile Biedermeier) e, infine, il Bauhaus imporrà a Weimar la ricerca teorica dell'autenticità funzionale.
È una rivolta dei figli contro i padri, degli artisti che passano le notti a discutere nei caffè contro i salotti do- ve ‛Madame' riceve il venerdì pomeriggio e offre il tè nelle tazze pseudo-cinesi, posate su piattini posati su centrini posati su vassoi posati su tovaglie ricamate posate sul tavolino rotondo. Contro la moda del servizio da pesce e della molletta per lo zucchero, dei pesci rossi e della lampada a petrolio trasformata in elettrica si scateneranno gli attacchi dei funzionalisti in guerra contro la decorazione.
Quella che si può chiamare l'‛età dell'oro del Kitsch' in Occidente finisce con i movimenti del rigorismo e dell'ascetismo estetico che, sotto il nome generalizzato di Bauhaus, si affermano dapprima nell'Europa centrale e poi nel mondo intero. Il Kitsch prende coscienza della propria colpa e la borghesia quasi si vergogna della propria esistenza. Era infatti proprio la borghesia che aveva inventato un'arte del vivere, imposto un modello di vita complicato e rigido risultante dall'ibrida combinazione di modelli ereditati dall'aristocrazia, dai costumi vittoriani, dagli atteggiamenti appresi nelle colonie conquistate: erano riti inderogabili, diffusi dai manuali del ‛saper vivere', dai romanzi a buon mercato, dai grandi magazzini, dalla pubblicità. Ogni cittadino, ai diversi livelli della piramide sociale, si faceva, di quel rituale, un compendio compatibile con le proprie risorse.
Nell'intervallo tra le due guerre, il Kitsch occidentale estende il proprio raggio d'azione, colonizza il Brasile, la Patagonia, la Siberia, ma regredisce nella società dove era nato, nella quale si vanno formando i meccanismi della ‛massificazione'. Il Kitsch si vergogna di sé e, con un pro- cesso accelerato di liquidazione, va a finire nella spazzatura, in soffitta o dal rigattiere: ed è una liquidazione progressiva, non esente da ambiguità da parte di coloro che, insieme con i tavolini ‛stile Impero', mandano in solaio gli squisiti vetri di Gallé.
Tra i meccanismi che entrano in gioco con la massificazione sociale, il cartellone pubblicitario, la radio e il cinema hanno un ruolo preminente. Ma, crescendo il benessere, analoga importanza assumono i nuovi sistemi di distribuzione. I vari magazzini Woolworth, Prisunic, Kaufhaus, Standa alimentano le loro catene distributive di oggetti ‛portatori di forme' che adottano e adeguano ai gusti del pubblico almeno alcuni dei principi di sobrietà funzionale che discendevano dalla mistica del Bauhaus attraverso le sue derivazioni, esplicite negli Stati Uniti o in Inghilterra, più timide e incerte in Francia e in Italia (dove soltanto più tardi, trent'anni dopo la sua scomparsa, il Bauhaus di Weimar, di Dessau, di Berlino farà sentire la sua influenza).
5. La comparsa del neo-Kitsch
Si è verificato così un sovvertimento delle norme culturali: quello che era collegato all'idea di ricchezza, all'estensione, alla profusione, alla sinestesia, all'ostentazione e che costituiva il tema dominante, il modello a cui nei limiti dei propri mezzi tendeva l'uomo dell'ultimo Ottocento, cessa di valere e viene sostituito dà un nuovo modello, accettato dai leaders del comportamento, e cioè il modello della sobrietà, della nudità, della superficie piana e ascetica, della funzionalità. L'oggetto è fatto per servire e dalla funzione trae la sua bellezza: ‟la bellezza è data in sovrappiù" dice Gropius. L'impressionismo all'Ovest e l'espressionismo all'Est diventano le sole correnti che producano opere d'arte; tutto il resto è passività, debolezza, conservatorismo. La tendenza Kitsch, l'atteggiamento Kitsch incarnano ormai il ‛male estetico', costituiscono un modello regressivo, un'aberrazione: buona per le portinaie, fiere del loro ‟Arciere - bellissimo gesso imitazione bronzo patinato, fatto da X, serie limitata, prezzo conveniente". La corrente che era stata egemone sembra regredire, ma non per questo scompare. La società di massa è la società della felicità; il diritto alla felicità è diritto alla bellezza per tutti, al bello alla portata di tutte le borse, a un piacere estetico le cui modalità non sono più fissate dal creatore ma dal consumatore. È l'espressione, nelle democrazie popolari, del realismo socialista codificato da Ždanov; è l'arte di Prisunic, il design della Galerie Lafayette; e queste forze premono contro il rigorismo creativo essenziale del funzionalismo che voleva bensì soddisfare i reali bisogni degli uomini, ma non voleva crearne altri, laddove la promozione della società dei consumi implica una produzione illimitata, anche a costo di creare nuovi bisogni che poi dovranno essere soddisfatti.
Questo meccanismo si mette in movimento tramite le catene dei punti di vendita, l'invenzione di nuovi materiali sintetici plasmabili, la produzione in serie, il turismo di massa e la concentrazione delle grandi città: il suo sviluppo corrisponde a quello dei principali meccanismi della società. Le catene dei grandi magazzini, con il loro assortimento standardizzato e livellatore, proveniente dalle fabbriche e non più dalle botteghe artigiane, con la loro messa in scena e le loro luci e musiche festose, le loro porte spalancate sui marciapiedi dove si accalca la folla, esigono l'intervento di designers che sappiano ideare e realizzare modelli alla portata di tutti: svolgono così un ruolo didattico, di divulgazione, e Kitsch. L'inutilità si sposta dal piano dell'oggetto a quello della funzione: nasce il feticcio funzionale, il gadget, espressione di una pseudo-funzionalità che si pretende essenziale, anche se di fatto è superflua o ridondante. Più specificamente, nel settore degli articoli per arredamento, dei piccoli oggetti della vita d'ogni giorno, i magazzini mettono in circolazione pendoli a cucù, lampade da tavolo, orologi, ferma-carte, portapenne, posacenere, che, rispetto al modo di vita dello strato sociale più numeroso, rappresentano esattamente quello che cinquant'anni fa i grandi magazzini offrivano alla borghesia. I designers di questa produzione di massa non hanno il minimo scrupolo a mettere in circolo quello che si può ben chiamare il ‛neo-Kitsch' e che palesemente risulta dall'accaparramento e dal reimpiego di taluni principi enunciati dalla scuola funzionalista che faceva capo al Bauhaus e, dopo il 1950, alla Hochsehule für Gestaltung di Ulm: per dotare di superfici nude, color nero-opaco, di angoli arrotondati, di lucentezza e di sobrietà formali l'accendino che si getta dopo l'uso o le lavatrici vendute a migliaia di esemplari e che, in più, danno all'acquirente l'illusione di pagare un dovuto tributo alla morale estetica del tempo presente.
Si sta sviluppando uno stile neo-Kitsch che dà libero sfogo alle pulsioni anti-ascetiche di una società dei consumi per la quale l'idea di un'estensione del Lebensraum alle funzioni della vita quotidiana sostituisce, negli appartamenti angusti dei grandi caseggiati, quella che abbiamo chiamato l'identificazione del borghese con le sue proprietà.
6. Alcuni fenomeni Kitsch
a) Il turismo
Il fenomeno Kitsch, in altri campi, è sostenuto e rafforzato da meccanismi specifici come il turismo, che sta sistematicamente trasformando tutti i più importanti centri storici, della cultura e della religione in altrettanti programmi o tours, e cioè in quella che è la merce venduta e messa alla portata di tutti, appunto, dal turismo. L'invasione dei luoghi che furono sacri da parte dei pellegrini della cultura o della fede li sottopone allo stesso processo di degradazione già descritto a proposito dell'arte. Al limite del grottesco, si arriva a creare dei paesaggi turistici artificiali (Disneyland); e il Kitsch della preistoria ha già fatto la sua comparsa per appagare una ‛fame' di cultura che si confonde con il desiderio del ‛bello' a ogni gradino della piramide culturale.
b) Il souvenir
Il mercato dei souvenirs fa prosperare l'industria che li produce. Pare che l'idea di souvenir sia stata introdotta nella vita culturale della società in epoca tardo-romantica. Ma si è generalizzata: poiché le pietre dell'Acropoli sono in numero limitato, si decide di fabbricarne. Questo processo ha dato l'avvio a tutta una serie di prodotti e ha fatto nascere un'enorme industria che ha le sue fiere internazionali, la sua politica, i suoi esperti, i suoi tecnici. Caratteristico di questa industria è il diverso nell'uniforme, con in più il tentativo di attribuire a ciascun oggetto-souvenir una pseudo-giustificazione: nascono così i termometri come Torri Eiffel o i barattoli di mostarda come templi di Paestum che costituiscono un contributo davvero rilevante al Kitsch universale.
c) Il Kitsch religioso
Uno dei problemi critici più interessanti posti dal Kitsch è quello del Kitsch religioso. Nel loro aspetto sociale, le religioni si rivolgono alle moltitudini, all'uomo comune, alla vita d'ogni giorno; vogliono collegarsi con tutti gli istanti della vita quotidiana, con tanta maggiore intensità quanto più deboli sono le loro basi in una società che si pretende razionalista. Certe religioni sono perciò indotte a valersi di tutte le vie per accostare l'individuo e proporgli uno sforzo senza sforzo, e cioè oggetti di culto invece di un culto, una volgarizzazione invece di una dottrina, una giustificazione invece di un impegno.
Le religioni di massa diventano Kitsch anzitutto nei loro oggetti di culto e poi nel loro stesso assunto. Con un artifizio sottile, e talvolta ben calcolato, traspongono la venerazione essenziale del sacro sugli oggetti, le statue, gli amuleti, le immagini che sembrano trattenere misteriosamente una traccia del sacro che rappresentano; e questa trasposizione facilita l'accesso al divino delle moltitudini che le religioni vogliono conservarsi fedeli. Vi è dunque una collusione tra religioni con finalità sociali e Kitsch: di qui la gran profusione di un vero e proprio Kitsch religioso, di cui lo stile Saint-Sulpice ha fornito in Francia, alla fine del secolo scorso, un bellissimo esempio, al punto che, man mano che le chiese se ne disfanno, comincia a essere ricercato dai collezionisti. Al suo posto è sorto uno stile nuovo che rispecchia la medesima impostazione (di fatto non è che una continuazione del precedente) o che, con più sottile proposito, ostenta una ‛ricerca di sobrietà' (!), avallata dall'ombra di Le Corbusier e allusiva a un ‛ritorno alle origini', per cui la nudità dello stile romanico viene data come un valore assiomaticamente superiore all'eleganza del gotico fiammeggiante o allo splendore del rococò. Andando avanti si arriva a immaginare un neo-Kitsch religioso che ricostruisce una ‛nudità sacra' prendendo le mosse dal neo-gotico delle cattedrali delle città sudamericane in via di espansione. Questo meccanismo, legato al tipo e ai fattori materiali dei diversi culti, si manifesta naturalmente a livelli molto diversi secondo le posizioni di principio assunte dalle diverse religioni nei confronti dell'ambiente materiale del culto e dei suoi oggetti o di quella che potremmo chiamare la ‛strumentazione del sacro'.
d) La religione come Kitsch
Si avverte la possibilità che si costituiscano delle religioni che sono intrinsecamente Kitsch: il ‛caodaismo' ce ne fornisce un esempio singolare con il suo accoppiamento di dei e di profeti in un sincretismo dommatico che riconcilia i fedeli divisi di fronte alle scelte, ed evita i conflitti di obbedienza: Napoleone, Buddha, Confucio si accordano con Auguste Comte per apportare pace interiore sia allo slancio mistico, come alla ragione e all'azione. Dietro il Kitsch religioso si profila così la religione Kitsch e questo problema, connesso al conflitto fra una volontà sempre un po' demagogica di andare verso il popolo e una volontà di ascesi che porta necessariamente al di là del quotidiano, pone un problema fondamentale ai teologi pensosi del difficile rapporto tra il religioso e il sociale.
e) Il Kitsch scientifico
Non esistono situazioni umane che, in un qualche grado del loro sviluppo, non possano avere un esito Kitsch. Siamo soltanto al principio dell'esplorazione del terreno della scienza, eppure si può dire che, da quando la città della scienza si è imborghesita, si è aperta la prospettiva di un Kitsch che la scienza stessa costruisce sull'inadeguatezza dei mezzi ai fini, sull'accumulo dei procedimenti tecnologici, sulla raffinatezza dell'esattezza senza scopo (la ‛quantofrenia' di Sorokin). Sono tendenze che affiorano, quasi in trasparenza, dalle critiche che molti grandi scienziati rivolgono allo sviluppo della scienza contemporanea.
L'espressione ‛Kitsch della ragione' è un modo pertinente di definire la venerazione della gente per ciò che ‛è stato scientificamente dimostrato': con una ‛reverenza' che è proprio il contrario della ragione. Favorita dalla divulgazione a grandi tirature, la religione della scienza sarà forse la componente Kitsch della città della scienza: per vendere una crema per il viso niente è più efficace che il consistente appoggio, magari autenticato da un tribunale, degli esperimenti di una dozzina di ricercatori su centomila conigli, cosicché la consumatrice sarà persuasa che la qualità della crema sia in qualche modo in rapporto con il numero dei conigli. Non diversamente l'opinione di un professore d'università espressa nei termini più dotti sull'etichetta di una bottiglia di acqua minerale è indubbiamente un contributo del Kitsch scientifico all'universo dei consumi.
Questa universalizzazione di un atteggiamento umano rispetto all'ambiente, di cui la parola Kitsch comincia a dar conto nel linguaggio, si propone come così totale, così universale, che vi si può vedere una sorta di ‛totalitarismo della vita quotidiana', che impone leggi e modalità precise per l'accostamento a qualsiasi oggetto, a qualsiasi essere.
Vi è un aspetto Kitsch in ogni uomo: nessun artista, nessuno scienziato ne è indenne; nessuno al mondo può considerarsi immune da questa malattia socio-estetica.
7. L'anti-Kitsch
Come logici, siamo indotti a chiederci se esistano esseri, fenomeni, situazioni che siano completamente estranei a questa tendenza generalizzata che è il Kitsch.
Consideriamo alcuni casi-limite: per esempio quello di un ufficiale di un sommergibile nucleare che adempia alle sue funzioni in una missione di sicurezza, quando la somma dei doveri, dei regolamenti e degli sforzi che disciplinano il suo comportamento, in quanto elemento di una strategia minuziosamente preordinata, esclude ogni considerazione estetica dalla sua attività significativa, riducendo l'eventualità del Kitsch a qualche momento della sua vita privata che non rientra nel quadro tipico della sua esistenza.
Analogamente, il recupero dell'artigianato da parte del Kitsch (che nella società industriale ha raggiunto la quasi totalità degli artigiani) si contrappone all'attività del calzolaio indiano che, nel suo villaggio primitivo, al di sotto del primo gradino dell'arte, e senza alcuna preoccupazione di arte o anti-arte, adempie al suo compito sociale secondo un comportamento nel quale l'estetica è così profondamente incorporata alla funzione dalla quale è indissociabile, che tale attività non può emergere ad alcuna espressione cosciente e per essa, come nella formula enunciata da Gropius, ‟la bellezza è in sovrappiù". La bellezza, in quel tipo di lavoro, è casuale, un residuo oltre l'adempimento del compito, che sarà percepito e individuato coscientemente solo ‛dall'esterno', dall'etnologo o dall'artista di passaggio, il cui intervento introduce a un tempo le categorie di arte e anti-arte: la bellezza del fiasco di Chianti e il Kitsch del canestro di vimini realizzato in plastica.
Un vero atteggiamento anti-Kitsch, in un universo tuttavia essenzialmente estetico, sarà quello del surrealista, che nella sua ricerca autonoma, guidata da un'etica precisa, si approprierà degli elementi Kitsch di uno spettacolo, di una situazione, di un insieme di oggetti, per ‛riorganizzarli' attraverso il pensiero. In un impulso veramente ‛creativo' saprà collocare un teschio messicano di zucchero rosa su un foglio di carta nera, con un'operazione creativa raffinata che è agli antipodi del pensiero Kitsch.
Possiamo infine considerare la ricerca ostinata, appassionata e riflessiva dell'‛estetologo' o dell'‛antiquario' che battono le campagne alla ricerca del ‛Kitsch degli altri', del bell'oggetto Kitsch che potranno mettere nella loro collezione o valorizzare: essi studiano valori dei quali non partecipano in proprio e la loro stessa prossimità al fenomeno li immunizza necessariamente dal contagio.
8. Kitsch e movimenti artistici
In rapporto ai movimenti artistici contemporanei la posizione del Kitsch è contraddittoria.
Da un lato il Kitsch è soprattutto divulgatore e ripetitore: riducendo la trascendenza accresce l'accessibilità; l'inno alla gioia s'impara più facilmente in una versione per chitarra interpretata in inglese da un cantante spagnolo con tutte le risorse dell'arte microfonica, così come gli artifizi dei compositori di musica concreta possono benissimo essere utilizzati indipendentemente dalla loro musica. Il Kitsch volgarizzerà Xénakis e P. Henry con il lavoro sottile dell'arrangiatore, così come la cromolitografia o le fabbriche di tessuti stampati volgarizzeranno l'astrattismo geometrico.
L'arte (?), o almeno quella che i ministeri della cultura intendono con questo nome, viene a trovarsi veramente alla portata di tutti, realizzando così una delle finalità fondamentali enunciate da certe politiche culturali.
D'altra parte, però, la pop art andrà a cercare nella bottiglietta di Coca Cola, nella bandiera americana, nei fumetti o nella forma delle scatole di conserva un'ispirazione fondata sulla sospensione del loro significato, che viene messo tra parentesi, per additarli all'attenzione ironica della microsocietà degli artisti o degli intellettuali: si pongono in cornice o su un piedistallo cose che vengono designate così come degne di nota, proponendo questo ‛esercizio dell'interesse' come un'attività estetica in sé, consistente in un nuovo ‛modo di attenzione' al mondo circostante, così come viene foggiato dall'industria. Il surrealismo, ampiamente sfruttato dai cartelli pubblicitari nelle sue principali modalità creative, servirà allora a presentare delle nature morte eseguite secondo tecniche simili a quelle di Salvador Dalì, che viene così messo alla portata di tutti.
Kitsch e movimenti artistici si vengono così a trovare necessariamente in uno stato di simbiosi: l'arte fornisce la sorgente zampillante alla quale si alimenta il Kitsch universale votandosi perciò alla distruzione del proprio carattere trascendente, cioè della sua stessa essenza. Un ciclo artistico si impone come uno dei meccanismi fondamentali della società contemporanea.
Questo meccanismo fondamentale della società contemporanea dei micro-ambienti si applica allora ai rapporti tra i movimenti artistici importanti: da un lato il surrealismo, la pop art, l'arte povera utilizzano il Kitsch come ‛cosa da vedere', lo incorniciano e lo mettono in risalto, attirando l'attenzione del micro-ambiente culturale su quegli oggetti come ‛degni di essere guardati'. Si prepara così l'ineluttabile diffusione dell'arte, la sua degradazione nel banale. Al limite, ci si chiederà se la pin-up della Coca Cola appartenga veramente al mondo del Kitsch quotidiano o non stia a indicare una parziale riabilitazione, come un riflesso di un'arte pop nell'arte povera. Dall'altro lato il Kitsch si appropria del surrealismo di Magritte e di Salvador Dalì con la mediazione di un canale pubblicitario per vendere una crema per le mani o un'acqua minerale. Adempirà così a un compito di volgarizzazione senza pericolo, immunizzando la società contro la forza esplosiva del surrealismo, che viene come diluita nello sciroppo zuccheroso della pittura leccata e del poster Kitsch. Con la riduzione del carattere trascendente, con la dissoluzione dello sforzo creativo, con la sua azione banalizzante e divulgativa il Kitsch finisce per avere la meglio su tutti i quadri artistici della società. Nella capanna che custodisce un cuore si mette un calendario: vuol dire che la felicità è di tutti i giorni e che il Kitsch è l'arte della felicità.
Se il Kitsch è messo sotto processo, un processo intentato dagli artisti, dai critici d'arte e dai sociologi dell'alienazione, è il caso di rilevare che, com'è facile e divertente istruirne l'atto d'accusa, così è sociologicamente importante impostarne la difesa, ricordando che, come abbiamo veduto, il Kitsch è un prodotto sociale e didascalico, che a livello della cultura di massa la strada del buon gusto passa anzitutto per l'epurazione del cattivo gusto; infine, che il Kitsch è la forma d'arte prediletta e spontaneamente rispettata dai bambini. Una vera educazione artistica si consegue con il distacco progressivo dalle forme di arte Kitsch, dalla pittura leccata e dalla precisione fotografica per arrivare a proiettare e a imporre sul mondo dei valori. Il buon gusto non è che il limite del cattivo gusto.
Il Kitsch è l'arte della felicità, ed è quindi anti-arte perché la felicità è mancanza di tensione e di sforzo. Esso offre una delle risposte più esaurienti al problema della socialità dell'arte, che finora ha tormentato invano le migliori intelligenze dell'umanesimo sociale.
O il Kitsch non sarà, per avventura, l'esempio di un ‛totalitarismo senza violenza', contro il quale non v'è rimedio al di fuori dell'ascetismo o della volontà creativa: due vertici che, nella piramide sociale, soltanto a pochi è dato raggiungere?
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