knowledge management (o KM)
knowledge management <nòliǧ mä'niǧmënt> locuz. sost. ingl., usata in it. al masch. – La nozione di k. m. o KM (in italiano «gestione della conoscenza») contiene numerosi livelli di significato ed è in continua evoluzione dal tempo del suo esordio, negli anni Novanta del secolo scorso. La conoscenza, da sempre considerata una risorsa importante per l’uomo, è diventata essenziale nei contesti produttivi delle aziende del mondo moderno, caratterizzato dalla globalizzazione e da intensi regimi di competizione. Ha acquisito sempre maggior rilievo, nel tempo, la capacità di saperla coltivare, trasmettere, conservare: in una parola, gestire. Ci sono molti modi di gestire la conoscenza rispetto a determinati obiettivi, e per questo sono stati sviluppati metodi e teorie diversi. Non esiste una definizione unica di KM, e i molti studiosi che si sono occupati di questo tema ne hanno ciascuno rivelato un aspetto. Di valore capitale, perché inquadra il fenomeno dalla sua origine fino ai giorni nostri, è la definizione di Karl Wiig (1993), coniatore dell'espressione stessa: «Il KM è costruzione, rinnovamento e applicazione, sistematici, espliciti e deliberati, della conoscenza per massimizzare l’efficacia legata alla conoscenza di un’impresa e il rendimento del suo patrimonio conoscitivo». In questo contesto, che è il principale, il KM si occupa della conoscenza ‘aziendale’ ed è visto come un insieme di processi applicati. Secondo altre prospettive è, a volte, una disciplina a sé stante, a volte un insieme di tecnologie e applicazioni di supporto, a volte una serie di principi guida, a volte è ‘personale’, nel qual caso è detta personal knowledge management (v. PKM). Al suo aspetto concettuale ha massimamente contribuito l’opera di due studiosi giapponesi, Ikujiro Nonaka e Hirotaka Takeuchi, conosciuti in tutto il mondo per il loro modello della creazione di conoscenza nelle organizzazioni, SECI (Socialization, externalization, combination, internalization). Il rapidissimo sviluppo dell’information technology negli ultimi anni del secolo scorso ha molto influenzato l’impostazione del KM in quel periodo: la sua realizzazione consisteva quasi esclusivamente nell’introduzione di grossi sistemi informatici, quali basi di dati e applicazioni di information retrieval (recupero di informazioni). Agli inizi del nuovo secolo il grande economista Peter Drucker, autore di Managing in the next society (2002), richiamava l’attenzione sulle dinamiche della componente umana, ponendo il knowledge worker al centro dell’impresa. Successivamente, l’avvento del web sociale e delle potenti tecnologie di comunicazione e digitalizzazione ha continuato a trasformare ulteriormente l’intero scenario concettuale e applicativo del KM. Si è compreso che determinante sarebbero state la cura e la promozione della conoscenza dei singoli individui partecipanti all’azienda, da ottenere con politiche ripensate e attente agli aspetti di condivisione, collaborazione e socializzazione. Studiosi come David Weinberger con il suo Everything is miscellaneous: the power of the new digital disorder (2007) o David Snowden con la sua serie di saggi Everything is fragmented (2008-09), per es., hanno messo in luce l’impatto delle nuove tecnologie e gli inediti aspetti della conoscenza nella modernità: la sua parcellizzazione nelle reti e nelle transazioni tra le persone e la sua mutata organizzazione, non più governata da tassonomie gerarchiche, ma definita orizzontalmente dal tagging esercitato dalle grandi popolazioni di utenti di Internet. Il KM, inizialmente tecnocentrico, successivamente focalizzato sulla persona, entra in una terza fase, determinata dal sempre più rapido sviluppo del web. Qui si affrontano le questioni della ‘web-conoscenza’, la ricerca di significati (semantic search) nella gigantesca mole di contenuti digitali a disposizione dell’uomo, nelle reti.